Le nostre comunità nella vita di una volta

 

Premessa

di Piero Murineddu

Volentieri, di tanto in tanto, mi piace riportare sulla pagina “Banca della Memoria” ma anche sul mio profilo FB, quanto scrive Pietro Meleddu, nativo e vivente a Sorgono, paesino in altura di neanche duemila abitanti al centro dell’isola.

Mi piace il suo sforzo di far conoscere ai giovani qual’era la vita che in quel paesino specialmente vi si svolgeva quand’era lui ragazzino ma anche prima. Mi piace anche l’uso dei termini locali riportati, utili per confrontarli coi nostri.

Questa volta l’argomento è la vita tipica quotidiana del tempo passato, fatta di molti sacrifici, come del resto è stato sempre per chi ha vissuto del proprio lavoro.

In compenso, il contatto tra le persone era molto più ravvicinato di quanto lo sia oggi, e questo è innegabile. Nessuna operazione “nostalgia” in questa mia considerazione. Ciascuno giudica secondo la propria sensibilità.

Il discorso richiederebbe molto spazio, e non è questo il luogo più adatto. Un solo esempio.
Oggi le persone si vedono specialmente nei supermercati e nei punti della grande distribuzione. Luoghi di vita? Mah! Se incontri persone conosciute, giusto qualche battuta, mentre se intravvedi qualcuno col quale c’è stato in passato qualche problemino, si fa di tutto per far finta di non vederlo. Ho fatto solo uno dei tantissimi esempi possibili.

Per quanto riguarda il finale sulla “condanna divina inappellabile”, Pietro mi ha volto chiarire che bisogna intenderlo come impossibilità di cambiamento e  se potesse scegliere se vivere nel passato non gli dispiacerebbe, considerando quella vita più povera si ma più vera.

Anch’io mi domando se le giornate di oggi, seppur  molto più varie ed appaganti, siano in realtà più piene di rapporti veramente umani.

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Vita legata alla buona o cattiva annata

di Pietro Meleddu

La vita, sia quella del contadino, che quella del pastore, era legata alla buona o alla cattiva annata.

De chitzo mannu, (dalla mattina presto) gli uomini si recavano nelle campagne (in campagna) a su “sartu”, inue trabballanta (lavoravano) de s’impuddile a s’iscurigadorgiu (dall’alba al tramonto).

“”Le donne condividevano la vita di sacrificio e di solitudine degli uomini, impegnandosi nelle faccende domestiche” quali:

suighere su cumossu po faet su pane, (lavorare la pasta per fare il pane);

a pustis a su forru po du coede, (dopo cuocerlo nel forno); andare a s’erriu po samunare bagnarolas de pannos, (andare al fiume per lavare grandi quantità di panni);

e a pustis ispraghet s’orroba, (subito dopo stendere tutta biancheria);

coghinare po faede a papare, ( cucinare);

mundare e allichidire sa ‘omo, (spazzare e mettere in ordine la casa);

acudire su bestiame,( assistere i vari animali domestici);

batire brocas de aba de sa funtana, ( andare poi alla sorgente e portare a casa l’acqua necessaria per bere, lavare, e lavarsi’ ecc….

Insoma sempere afainadas. comunque sempre indaffarate.

Nelle belle e calde giornate d’estate, ci si riuniva al calare della sera, e setzios in su friscu, (seduti al fresco della sera) magari accovacciati per terra o seduti su sgabelli di ferula o di sughero, si “sfogliava sotto le stelle” ”come qualcuno ha scritto” il libro della propria esistenza, e dividendo con i vicini (cun i bighinos), crucci ed affanni, gioie e dolori,speranze e delusioni di un intera vita.

Cando faiat tempu malu, aba, bentu, fritu… o poite c’arribaiat s’atongiu e s’ierru, (quando il tempo non lo permetteva perché magari pioveva, c’era vento o faceva freddo… e comunque in autunno inoltrato e per tutto l’inverno) le riunioni con i vicini con gli amici, e i parenti avvenivano davanti al fuoco del caminetto (sa geminera) o a furriu a furriu ‘e su foghile sempere allutu in mesu coghina. (o attorno al fuoco che ardeva perennemente al centro della stanza cucina.

Nei racconti e nei discorsi non mancavano mai le leggende, i miti, le tradizioni i riti che tenevano legati quegli uomini e quelle donne al mondo degli avi, che i “mannos” i grandi, li rievocavano e ne ripetevano raccontando le “gesta” perdendosi tra sogni e speranze di un futuro diverso, magari migliore, e cosi nel parlare e nel discutere dimenticavano (anche se per poco tempo), che un’altra dura giornata di lavoro gli attendeva di li a poche ore.

E questa vita condotta sempre uguale, trasmessa da padre in figlio da madre in figlia, si ripeteva da secoli sempre uguale senza modifiche senza cambiamenti, come una ‘condanna’ divina inappellabile.

 

 

Le nostre comunità nella vita di una voltaultima modifica: 2019-05-05T15:52:57+02:00da piero-murineddu
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