Matrimonio “naturale”? Più che altro lo è l’accoppiamento


 

PREMESSA

di Piero Murineddu

 

Quanto segue l’autrice l’ha pubblicato a puntate su Facebook, dove sappiamo bene che i lunghi testi non sono graditi. Le lunghe analisi non è  roba adatta per feisbuk, dove non di rado prevale lo slogan ad effetto oppure il pollicione o il faccino, giusto per far vedere che un’occhiatina a quanto pubblica l’amico/a  si è data, e così lo/la si fa pure “felice”. Insomma, un luogo che rispecchia il frettoloso “consumare” dell’esistenze di molti.

Eccezioni ci sono, ma l’ordinario atteggiamento su  FB è questo. Probabilmente è anche per questo motivo che m’impegno a curare il presente blog, presumendo che chi decide di affacciarsi, lo faccia per leggere il contenuto per intero. Oltre alle mie personali elucubrazioni, uso infilarci dentro intuizioni altrui che a mio giudizio ritengo validi. Non è la prima volta che ospito il pensare di Rita, persona di ottima e acuta intelligenza.

Interessantissimo il lavoro svolto in questa occasione, nato come reazione al recente congresso mondiale delle famiglie svoltosi a Verona. Ed è a questo evento che sul finale viene fatto riferimento, rilevando che la vita va salvaguardata in tutte le sue fasi, e non solamente negando il sempre sofferto diritto di abortire. Senza voler generalizzare ad ogni costo, non è fuori luogo affermare che molti dei partecipanti a quel congresso la vita altrui non la rispettano, ad iniziare da certi relatori ufficiali, e nello stesso tempo si vorrebbe imporre la propria visione ad altri che non la condividono, usando impropriamente lo strumento legislativo. Vuoi essere rispettato? Inizia tu a rispettare.

Un particolare ringraziamento a Rita.

 

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di Rita Clemente

Il matrimonio, come legame tra persone di sesso diverso sancito socialmente, è nato in epoca storica e si è affermato non sempre e non solo nella variante monogamica, ma soprattutto in quella poligamica, nella maggior parte dei casi con la poliginia (un uomo può sposare più donne).

In alcune culture si è anche imposta la versione della poliandria (una donna può sposare più uomini) ma sono una netta minoranza di casi.

Quello che è naturale, non è il matrimonio, ma l’accoppiamento e questo vale per tutte le specie animali in cui la procreazione avviene attraverso il dimorfismo sessuale. L’etologia ci dice anche che non tra tutte le specie animali si forma un legame di coppia stabile e duraturo.

Tra i mammiferi, ad esempio, vi è una divisione di ruoli tra i maschi e le femmine, ma non un legame di coppia. Alle femmine è affidato (questo sì, dalla natura!) il compito di provvedere alla sopravvivenza dei piccoli, ma solo fintanto che non diventano adulti e autonomi. Poi, le madri allontanano da sé i propri figli.

Ai maschi è affidato il compito di competere per l’unione sessuale con le femmine e quello di difendere il territorio. A parte questa differenza, altre non ce ne sono tra maschi e femmine.

La mia gatta è cacciatrice, saltatrice, predatrice allo stesso modo di qualsiasi suo simile maschio. Fra diverse specie di uccelli invece si forma un legame stabile di coppia. Questo sempre per fini procreativi: la cova delle uova e il nutrimento dei pulcini dipendono sia dal maschio che dalla femmina.

Ora, gli esseri umani, in riferimento alla loro appartenenza al regno animale, sono dei mammiferi. In periodi precedenti alla storia addirittura il maschio non si rendeva neppure conto di quale fosse il suo ruolo nella capacità generativa, che sembrava appartenere solo ed esclusivamente alla femmina.

Per questo, durante il Neolitico, la femmina umana era circondata da un’aura di rispetto numinoso (qualcosa di radicalmente e totalmente diverso da ciò che è umano o anche cosmico) : lo testimoniano le numerose statuette di Veneri che rappresentano figure femminili dai grandi seni e dai larghi bacini, simboli di fecondità.

I primitivi immaginari della Divinità la rappresentano come una figura femminile: la Grande Dea, per esempio. Tanto che, per quel periodo, si parla di un’organizzazione sociale definita “matriarcato”. In realtà, mancano documenti storici scritti, non si può affermare con certezza che le donne avessero la preminenza sugli uomini.

La cosa su cui però antropologi, paleontologi e studiosi della preistoria concordano è il fatto che non esistesse la “famiglia” come la intendiamo oggi: esistevano i clan, che erano delle organizzazioni sociali in cui vigeva una differenza di ruoli tra le femmine e i maschi: le femmine si occupavano, oltre che di allevare i piccoli, anche di praticare le prime forme di agricoltura e di allevamento.

Ai maschi era demandato il compito di procurare il cibo attraverso la caccia e la pesca. I piccoli, quindi, erano allevati all’interno dei clan femminili e la loro figura maschile di riferimento per l’apprendimento dei codici sociali e delle tecniche di produzione non era il padre biologico (che non si conosceva) ma lo zio materno.

Questo vuol dire che in tale tipo di società comandassero i gruppi femminili? No, vuol dire che c’era una divisione di ruoli senza gerarchia e comunque alle donne erano riconosciuti poteri e competenze notevoli, di cui si aveva grande considerazione. Questo quadro sociale mutò radicalmente in epoca storica.

La parola “storia” viene dal greco “istorìa”, che significa “ricerca, investigazione”. Essa ha inizio quindi dal momento in cui gli studiosi hanno del materiale documentario su cui investigare. Cioè, dei documenti scritti. La storia nasce quando alcune popolazioni umane appresero l’arte della scrittura. Ciò avvenne circa 6000 anni fa, che sembra un tempo lunghissimo; in realtà, per il tempo dell’evoluzione umana sono solo un tratto di tempo. Non parliamo per l’evoluzione del pianeta!

Queste mie considerazioni ovviamente sono molto generali e generiche.Tuttavia, rispettano in grandi linee i risultati della ricerca storica. Ora, in epoca storica si può dire che la stragrande maggioranza delle culture conobbe una evoluzione (o involuzione?) in senso rigorosamente patriarcale. Perché accadde questo? Vediamo di delinearne sinteticamente qualche ragione.

Dopo lungo tempo, gli uomini cominciarono a rendersi conto e a capire quale fosse il loro ruolo nella procreazione. Questo fu molto importante perché poi al seme dell’ uomo venne attribuito il merito principale nella costruzione di un nuovo essere umano. La donna cominciò a essere considerata nulla più che un “contenitore” (a questo proposito, basta solo ricordare cosa ne pensava Aristotele).

Questa credenza durò fino a quando la scienza mise in chiaro che il concepito possiede la metà del corredo cromosomico di ognuno dei due genitori, quindi a entrambi spetta in egual misura il “merito” della sua costruzione biologica.

Nel frattempo, erano anche cambiate le tecniche di produzione: con l’uso dell’aratro si cominciò a praticare l’agricoltura pesante e si diffuse l’allevamento intensivo. Questo diede agli uomini il ruolo di protagonisti nel processo di produzione delle risorse; alle donne vennero affidati ruoli magari necessari, ma considerati marginali.

Con la diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento nasce la proprietà privata dei mezzi di produzione. Con la proprietà privata, nasce il “patrimonio” che, alla morte di chi lo detiene, deve essere tramesso in eredità.

Tutto questo fa sì che per l’uomo, libero e padrone, diventi condizione irrinunciabile sapere, senza alcuna possibilità di errore, chi sono i suoi figli “legittimi”. Ma per questo necessitano due condizioni:
sancire legalmente e giuridicamente (ovviamente secondo i canoni in vigore in ogni tipo di cultura) un legame con una o più donne, allo scopo di assicurarsi una discendenza “legittima”, assicurarsi il controllo totale sulla sessualità femminile, almeno delle donne che “gli appartengono”.

Nasce così il matrimonio (più spesso presso le società antiche nella forma della poliginia: un uomo può sposare legalmente più donne).
Nasce anche, inevitabilmente, una condizione di sudditanza della donna, cui vengono imposti una serie di divieti e di limitazioni, soprattutto nella sfera sessuale.

Nasce anche il concetto di “adulterio”, considerato, come già detto, trasgressione dei doveri “sessuali” della donna sposata, che deve avere rapporti solo ed esclusivamente con il suo legittimo sposo. O dell’uomo che va con una donna sposata, perché lede i diritti di un altro uomo.

C’è da notare che l’adulterio viene punito con la morte e, per quanto riguarda la donna, in molti casi anche se la sua “trasgressione” fosse per caso avvenuta contro la sua volontà. Ovviamente, non viene considerato adulterio il rapporto sessuale di un uomo, sposato o meno, con qualsiasi donna che non “appartenga” a un altro uomo.

Insomma, nella società patriarcale le donne si dividono in due categorie:

1) quelle che appartengono a un uomo (mogli, figlie o sorelle);

2) quelle che non appartengono a nessun uomo e che quindi, sono “a disposizione” di tutti i maschi (le prostitute o quelle costrette a divenire tali, perché vedove, prigioniere di guerra, o semplicemente donne sole e sprovviste dei mezzi di sostentamento).

La donna in realtà diventa un “bene di consumo e di scambio”, come il gregge, come la terra. Le figlie e le sorelle vengono “usate” per stringere matrimoni o alleanze proficui e vantaggiosi, sotto l’aspetto economico e/o politico.

Questo stato di sudditanza della donna viene ideologicamente giustificato con la creazione di appositi miti presenti in varie culture. Ricordiamo il mito ebraico della “trasgressione” di Eva, che lungamente ha pesato anche in tutte le culture nate poi dal cristianesimo. Ma ricordiamo anche il mito greco del vaso di Pandora, una scervellata fanciulla che, scoperchiando un vaso, si è resa responsabile di tutti i mali che affliggono l’umanità.

Insomma, la donna viene considerata, oltre che come un essere inferiore, anche come un essere naturalmente malvagio. Lei stessa comincia a percepirsi, sin dalla sua infanzia, come un essere “imperfetto” e “incompleto” (la famosa “invidia del pene” di cui parla Freud).

Un’ultima considerazione: perché le donne accettano, senza apertamente ribellarsi, se non in casi sporadici e isolati, tale condizione di sudditanza? Anche qui, qualche spiegazione.

Il principale “imperativo categorico” di ogni femmina umana è quello di garantire la sopravvivenza ai propri piccoli.

Ora, l’infanzia di un essere umano è molto lunga. In società in cui le condizioni di sopravvivenza dipendono esclusivamente dagli uomini, l’unico sistema per proteggere i piccoli nati da lei è quello di “appartenere” a un uomo.

Le donne che “appartengono” legalmente a un uomo trovano, in definitiva, delle compensazioni. Una grande compensazione è quella di partorire figli legittimi al proprio uomo, soprattutto figli maschi.

Ecco: un figlio maschio è ciò che riabilita la donna e le dà riconoscimento sociale. Lo psicologo Lacan afferma che il figlio maschio diviene addirittura il “pene” della donna.
Ovviamente, nascono dei “meccanismi di difesa” che aiutano a trovare meno insopportabile questa situazione di “minorità dell’essere”.

Uno è quello di “identificarsi” con il proprio padrone, quindi di fare proprie le sue ostilità (le guerre, le inimicizie ecc.) e le sue alleanze. Un altro è quello di “interiorizzare” i valori e i disvalori del marito – padrone e della comunità sociale cui appartiene (clan, tribù, Stato ecc).

Un altro ancora consiste in una operazione di “spostamento”: le responsabili delle sue frustrazioni non sono gli uomini, ma le altre donne, specialmente se viste come rivali o “trasgressive”.

Infine, c’è da dire che, qualunque cosa ne pensino gli uomini, le donne, oltre che di utero e di figa, sono anche dotate di cervello. E questo cervello, nonostante la situazione di svantaggio, spesso elabora strategie di rivalsa e di autogratificazione.

Non potendo usare il “potere”, le donne usano altre armi: la seduzione, la manipolazione, l’astuzia. Pertanto, non è raro che gli uomini, senza rendersene conto, siano “guidati” anche nelle loro scelte – diciamo – politiche. Nelle scelte domestiche e di “politica familiare” spesso la regia resta in mano alle donne.

Fondamentalmente, questa è la situazione della donna nella società patriarcale. Società che sopravvive alla grande, anche nei suoi aspetti più mortificanti, punitivi e repressivi, n moltissime culture attuali. Ed è su queste basi che nasce la cosiddetta “famiglia tradizionale”, anche se in epoca antica ovviamente non esiste la famiglia nucleare.

Ma la storia continua.

Il cristianesimo si diffonde in tutto l’impero romano a partire dal primo secolo d. C. Oltre che una nuova religione è anche un nuovo sistema di valori, una nuova mentalità. Nasce dalla parola di un Rabbi ebreo, Gesù di Nazareth, così come ci è stata narrata attraverso i quattro vangeli canonici ed altri scritti.

Il principio fondamentale del cristianesimo è l’amore, secondo il precetto della spiritualità ebraica: Ama Dio…ama il tuo prossimo. Gesù rincara la dose: Nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici.

Con il tempo, il cristianesimo si definì e si cristallizzò in istituzioni e in dogmi dottrinari. Gesù venne considerato il figlio di Dio. In che modo la nuova religione influì sulla concezione del matrimonio e della famiglia e sulla condizione della donna?

Intanto, alcuni principi basilari: il matrimonio, tra un uomo e una donna, rigorosamente monogamico, deve essere indissolubile e comporta l’obbligo di fedeltà reciproca tra i coniugi.

In linea di principio, dovrebbe anche essere fondato sulla libera scelta. Nella realtà, le cose andarono diversamente. Fatto salvo il principio di indissolubilità (che solo l’autorità religiosa può sciogliere in particolari casi), il dovere di fedeltà venne largamente disatteso, soprattutto dagli uomini, mentre venne socialmente e religiosamente imposto alle donne, le cui eventuali trasgressioni erano pesantemente sanzionate.

Per quanto riguarda i matrimoni, essi continuarono per secoli a essere combinati dalle rispettive famiglie degli sposi, secondo interessi di convenienza, a parte naturalmente possibili eccezioni. Ma con il cristianesimo accadde anche molto di più. Intanto, accanto alle figure tradizionali della donna – moglie – madre e della donna – prostituta, si aggiunse un altro modello femminile: la donna – vergine – consacrata, che dedicava la sua vita a Dio (e alla Chiesa).

Molte donne sceglievano questa sorte per convinzione profonda, altre per sfuggire a matrimoni sgraditi, altre ancora per costrizione (ricordiamo l’esempio di Gertrude nei Promessi Sposi). In ogni caso, il cristianesimo, nella sua elaborazione dottrinale, fu anche contraddistinto da un fortissimo atteggiamento sessuofobico.

La sessualità umana venne considerata peccaminosa di per sé, ammessa e tollerata solo per fini procreativi all’interno del matrimonio. L’ideale della “castità”, intesa come astensione dai rapporti sessuali, divenne l’ideale di perfezione morale. Questo portò, purtroppo, a un atteggiamento di forte misoginia, presente in modo diffuso negli scritti di molti Padri della Chiesa, teorici della nuova religione.

Misoginia rafforzata anche “teologicamente” dal dogma del “peccato originale” desunto da una interpretazione di Genesi, laddove si parla della “trasgressione” di Eva. Interpretazione ampiamente legittimata da Agostino di Ippona, che divenne un cardine teorico del cristianesimo: tutti nasciamo con il “peccato originale” per la colpa di Eva.

La donna così viene vista, di per sé, come “tentatrice” soprattutto sul piano sessuale. Il suo ruolo di sottomissione all’interno della famiglia non viene messo in discussione, ma anzi ribadìto con molta convinzione, a partire da Paolo di Tarso.

Nella chiesa cattolica e nella chiesa ortodossa le donne vengono escluse dal culto e dalla predicazione della parola, le chiese si strutturano in senso rigidamente gerarchico e maschilista. Per diversi secoli, a cominciare dal Medioevo fino a circa la metà del 1700, accadde anche di peggio.

Moltissime donne vennero accusate di stregoneria e di essere “in combutta con il diavolo” e bruciate vive. Purtroppo, molti prelati fomentarono e incoraggiarono la diffusione delle peggiori superstizioni nel popolino.

Nonostante queste gravi limitazioni, moltissime donne diedero un grandissimo contributo di pensiero e di azione all’interno delle chiese, tanto che la chiesa cattolica dovette riconoscere per molte di loro lo stato di “santità”, dopo la loro morte.

E del principio di amore predicato dal Rabbi Gesù di Nazareth che cosa ne è stato? Se esso ha operato, lo ha fatto all’interno delle singole coscienze e delle singole famiglie. Nella strutturazione sociale e nella morale collettiva, nulla di sostanziale mutò per le donne, che anzi furono caricate di una ulteriore “colpa originale” di cui furono ritenute le prime responsabili.

I primi passi di un faticoso, incerto e ancora incompiuto ma reale percorso di emancipazione cominciò solo alla fine del 1700, per opera di pensatrici laiche.

Solo alla fine del 1700 comparve per la prima volta, negli scritti di due donne, l’orrenda parola “diritti”, orrenda perché riferita appunto ai diritti di cui dovrebbe godere anche l’altra metà del genere umano. In Francia, ad opera di Olympe De Gouges, apparve il pamphlet “Les droits de la femme et de la citoyenne”.

In Gran Bretagna Mary Wollstonekraft pubblica l’opera “ A Vindication of the Rights of Woman”. La prima finì ghigliottinata ad opera del governo rivoluzionario. A Mary andò meglio: fu una delle pochissime donne ad assicurarsi l’indipendenza anche grazie ai suoi scritti, ma morì abbastanza giovane di parto.

Anche nella liberale Inghilterra tuttavia occorrerà attendere ancora più di mezzo secolo prima che si formasse il primo nucleo di un vero e proprio movimento per la conquista del diritto di voto alle donne: il movimento delle suffragette (1869).

Nonostante fosse molto combattivo e determinato, non ottenne risultati concreti, finché nel 1897 non si formò la Società Femminile per il Suffragio femminile, fondato da Millicent Fawcett.
Il movimento delle suffragette si sviluppò in forme simili in vari paesi. Il primo paese ad introdurre il suffragio universale fu la Nuova Zelanda nel 1893, e solo più tardi la Finlandia e la Norvegia, rispettivamente nel 1906 e 1907. In Germania le donne ottennero tale diritto nel 1919. In diversi altri paesi la conquista del suffragio universale fu più tortuoso. La Francia, ad esempio, che pure aveva avuto già nella rivoluzione francese una prima presa di coscienza, concesse il diritto solo nel 1945. La Svizzera riconobbe il diritto di voto alle donne in alcuni cantoni già dal 1959, e solo nel 1971 la ottennero anche nei cantoni restanti.

Durante la prima guerra mondiale, le donne sostituirono gli uomini al fronte in diverse attività della vita civile e produttiva, dimostrando di sapersela cavare egregiamente. Durante la rivoluzione russa, molte furono le militanti che ebbero un ruolo di rilievo. Ma Aleksandra Kollontaj fu l’unica donna a essere nominata nel governo rivoluzionario, come Commissario all’Assistenza. C’è da dire però che divenne famosa piuttosto come “teorica del libero amore” e solo perché ebbe la sfrontatezza di decidere in piena autonomia con chi avere legami amorosi, più o meno duraturi. Su di lei lo stesso Lenin ebbe a pronunciare una frase niente affatto lusinghiera: “Certo, la sete chiede soddisfazione. Ma una persona normale in condizioni normali giace per terra nel fango e beve da una pozzanghera? O persino da una tazza sporcata da decine di labbra?”. E, a dimostrazione che il patriarcato è tale, anche quando veste panni rivoluzionari, aggiungo che, da parte sua, il caro Lenin non si fece alcuno scrupolo di vivere la sua intensa (e più o meno segreta) storia d’amore con la bella e tosta Inessa Armand, anche lei attivista rivoluzionaria e madre di cinque figli. Cornificando alla grande la devota moglie Nadiejda Krupskaja. In questo caso però (e magari anche in altri) non gli passò neppure per l’anticamera del cervello di stare bevendo “da una tazza sporcata da decine di labbra”! Sotto Stalin poi, la Kollontaj, molto utile ma anche molto “scomoda”, venne tenuta lontana con l’incarico di ambasciatrice in diverse nazioni europee. Aggiungo che, durante il periodo sovietico, sappiamo di una Valentina Tereshkova che fu la prima donna ad andare nello spazio, ma non mi risulta vi siano mai state donne a capo del Soviet Supremo.

Dagli anni ’30 in avanti, queste prime prove di lotta anche per l’emancipazione femminile (e non solo per la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico), con l’ affermazione dei regimi fascista e nazista subirono una drastica battuta d’arresto. La donna tedesca, secondo l’ideologia hitleriana, venne inquadrata nell’ambito delle “tre K”: Kinder, Kuche, Kirche (Bambini, Cucina, Chiesa). Non c’erano dubbi su quale dovesse essere il ruolo della donna all’interno della “famiglia stabile e tradizionale”. La stessa cosa accade nell’Italia fascista, dove viene incoraggiata, anche con aiuti economici, la fertilità femminile: il compito della donna è quello di “dare figli alla Patria”. Che poi se ne sarebbe servita per farne carne da cannone. E questa è storia.

Negli anni del secondo dopoguerra, una nuova ventata di libertà scosse l’Europa sconvolta dal conflitto e tenuta per anni sotto il giogo delle dittature nazi – fasciste. Questo nuova libertà portò dei cambiamenti nella vita delle donne e nel percorso di emancipazione femminile?

Devo dire che a questo punto, la storia diventa anche la “mia” storia personale, essendo io nata nel ’49. Sicuramente, molte differenze ci sono state tra il mio percorso di vita e quello di mia madre, quindi tra la mia generazione di donne e quella precedente. Un salto enorme, quasi un abisso. Mia madre è nata e vissuta in epoca fascista, nell’estremo sud dell’Italia. Amava molto la lettura (possedeva un intero cassone di romanzi d’appendice, dove io poi ho attinto alla grande, prima di scoprire la “grande letteratura”). Le sarebbe molto piaciuto continuare a studiare, dopo la quinta elementare. Le sarebbe piaciuto fare l’insegnante. Ma mio nonno, nonostante le volesse molto bene, fu inflessibile. “Le figlie femmine non devono allontanarsi da casa. La loro fortuna sarà quella di trovare un bravo marito e di dedicarsi alla famiglia”. Il destino di mia madre fu così segnato. Poi scoppiò la guerra, mio nonno morì. La nonna rimase sola con quattro figli. Le due femmine, appena trovarono l’occasione buona, si accasarono e misero su famiglia, rimanendo casalinghe. Mia madre non ha sposato il suo “grande amore” ma non aveva scelta. Mio padre era un uomo che alla famiglia e a noi figlie ha dato tutto quello che poteva, ma con la moglie non è mai stato particolarmente tenero. Come tanti altri uomini della sua generazione, del resto. Mia madre non ha fatto una vita felice. Io, a differenza di lei, ho potuto studiare fino a laurearmi. Ho potuto lavorare ed essere economicamente indipendente. Ho fatto le mie scelte affettive, fino a trovare l’uomo secondo il mio cuore. Con lui sono stata e sono felice.

Certo, non a tutte le donne, anche della mia generazione, è andata così bene. Però, in linea di massima, negli anni del secondo dopoguerra la condizione esistenziale per molte ragazze cambiò perché potevano studiare e trovare un lavoro che le rendesse economicamente autosufficienti. Però i valori di riferimento per le donne e le famiglie con cambiarono di molto. In Italia governava la Democrazia cristiana come partito di maggioranza. I principi di riferimento erano quelli della morale cattolica. Mentre ai figli maschi era concessa un’ampia libertà, le figlie femmine erano tenute più sotto controllo. La verginità femminile, da conservare fino al matrimonio, era considerato un bene prioritario da tutelare con cura. Il matrimonio celebrato in chiesa, per effetto del concordato, aveva anche effetti civili, le unioni civili invece non erano considerate valide dalla Chiesa.

L’uomo era considerato l’indiscusso “capofamiglia”, la moglie doveva seguire le sue decisioni. L’adulterio femminile era sanzionato e punito per legge, quello maschile no. Esistevano compiacenti attenuanti giudiziarie per il cosiddetto “delitto d’onore”. Ovviamente, non esisteva il divorzio. L’aborto era largamente praticato, ma con mezzi empirici e al di fuori da ogni controllo sanitario. So di molte donne, piissime cattoliche, che hanno abortito perché “non ci possiamo permettere un altro figlio. Mio marito non vuole”. So di alcune ragazze che ci hanno rimesso la vita, perché sono ricorse all’aiuto delle cosiddette “mammane”, pur di liberarsi da una gravidanza indesiderata e “fuorilegge”. E non erano casi rari o eccezionali.
Fu poi negli anni ’60 che avvenne l’esplosione. Intanto, anche in Europa si diffuse l’uso della pillola anticoncezionale, sperimentata negli USA fin dal 1958. Nacquero i consultori, che informavano le donne sui problemi inerenti la contraccezione, sicché per molte donne e ragazze divenne meno problematico evitare una gravidanza indesiderata.

E poi ci fu il ’68, oggi diventato idolo polemico per molti nostalgici dell’età patriarcale dell’oro. Come tutti i periodi di grandi rivolgimenti rivoluzionari, conobbe le sue contraddizioni e i suoi eccessi, però…però fu davvero, finalmente, una salutare tempesta che strappò il velo di tutti gli autoritarismi: politici, sociali, economici, religiosi, familiari. E ne smascherò le profonde ipocrisie. Noi fummo protagonisti di quella stagione e io stessa puntai il dito contro i fantocci del potere prevaricatore chiamandoli ipocriti.

Non tutto fu risolto e lentamente, ma inevitabilmente, il fiume in piena tornò nel suo alveo, lasciando però, tra i detriti inutili e nocivi, anche un limo fecondo. Il movimento delle donne crebbe, diventò “di massa” e finalmente fece sentire la sua voce. Anche a livello istituzionale. Furono promulgate nuove leggi che frantumarono la millenaria muraglia patriarcale. La revisione del Diritto di famiglia, con l’introduzione del principio del “comune accordo”. La possibilità di scioglimento del matrimonio. L’introduzione della legge 194, che disciplinava l’interruzione di gravidanza. Passata poi come “la legge dell’aborto”. In realtà, la 194 ha ridotto notevolmente il ricorso all’ interruzione di gravidanza e, se non altro, lo ha posto sotto controllo sanitario.

Poi le leggi più recenti: quella contro lo stalking. E quella che definisce finalmente lo stupro “reato contro la persona” e non “contro la morale”.
La rivoluzione femminista è stata una rivoluzione nonviolenta, che aveva come obiettivo la conquista del rispetto e dell’autodeterminazione e non la presa del potere. Eppure, ci deve essere qualcosa di molto oscuro nascosto nelle profondità della psiche umana, soprattutto maschile e soprattutto di alcuni uomini, se i casi di violenza contro e sulle donne, fino alla loro eliminazione fisica, non sono diminuiti ma anzi impiagano ancora le cronache dei nostri giorni. Su questo fenomeno occorre una ulteriore, profonda riflessione, soprattutto da parte degli uomini che ne hanno preso coscienza e che amano davvero le donne come loro compagne di vita.

E dunque, dopo questo excursus storico sulla evoluzione della famiglia nella nostra tradizione storico – culturale (non entro nel merito delle altre tradizioni perché non le conosco abbastanza), vorrei trarre le mie conclusioni.
“Dall’inizio della storia umana, nelle steppe dell’Asia e nelle pianure africane, nelle città e nei villaggi c’era la famiglia” è stato detto al Congresso di Verona. Sì, ma la famiglia è appunto un’aggregazione che si è formata in epoca storica, non è un dato di natura. E si è formata secondo modelli differenti: il clan, la famiglia allargata, la famiglia poligamica, quella monogamica, quella borghese – nucleare ecc. Quindi non c’è mai stato un unico modello di famiglia valido in tutti i tempi e in tutti i luoghi come “dato naturale”.

Nel recente Congresso di Verona si è parlato di “famiglia tradizionale”. Ci sta, però poi bisogna capire a quale tradizione si fa riferimento. Perché le tradizioni variano a seconda dei tempi e dei luoghi. Le famiglie tibetane, che ammettono la poliandria, sono diverse dalle famiglie britanniche dell’epoca vittoriana.
“Tradizionale” non significa necessariamente “migliore” o “perfetto”. Tutto conosce una evoluzione (o involuzione), soprattutto sul piano dei diritti e delle condizioni di vita degli esseri umani. Spesso la “tradizione” si cristallizza in modelli e comportamenti pesanti e oppressivi.

La “famiglia tradizionale”, così come è stata evocata e auspicata nel Congresso di Verona, mi sa tanto di “famiglia patriarcale”. La famiglia patriarcale si basa su una differenza di ruoli e di compiti, ma anche di posizioni di potere, tra l’uomo e la donna.
La dignità di ogni essere umano poggia, tra l’altro, su due presupposti fondamentali: la crescita del suo potenziale umano (in capacità, talenti e competenze) e la liberazione dal bisogno economico, perché possa godere di autonomia e di autodeterminazione. Senza alcuna distinzione di genere.
Quindi, se tornare alla “famiglia tradizionale” significa riportare le donne alle sole funzioni riproduttive e di servizio ancillare, ma anche no, grazie!

La sicurezza affettiva, che si concretizza in rapporti solidi e duraturi, è senz’altro una importante esigenza dell’essere umano. Ma deve trattarsi di rapporti fondati sul rispetto, sulla collaborazione piena in tutto, sulla solidarietà, sul mutuo aiuto, sulla reciproca comprensione, sulla cura dell’altro/altra. In una parola, su quella cosa che si definisce “amore”. Non certo sulla violenza, sulla prevaricazione, sulla possessività, sulla limitazione della vita altrui! Un rapporto che si traduce in sofferenza continua per uno dei coniugi o per entrambi si deve poter sciogliere. Nessuno, né uomo, né donna, ha l’obbligo di farsi distruggere da un partner (una partner) prepotente e insopportabile.

Il legame di coppia tra due persone (anche del stesso sesso, se così desiderano) nasce (o dovrebbe nascere) sulla base di forti sentimenti reciproci e sicuramente è un bene. E’ il clima ideale in cui possono crescere e formarsi i bambini. Tuttavia, non è detto che i genitori biologici siano sempre i più adatti a crescere i loro figli in maniera armonica e positiva. Meglio allora un genitore non biologico, ma attento alle esigenze della persona in formazione che un genitore biologico violento e prevaricatore.

Compito della politica è quello di assicurare le condizioni ottimali perché vengano anzitutto rispettati i diritti delle singole persone, perché i genitori ricevano i necessari aiuti, anche in termini economici e di servizi, per poter svolgere al meglio il loro compito di cura e di educazione, perché le persone in difficoltà (genitori soli e/o disoccupati, famiglie con anziani o disabili) ricevano i necessari supporti per essere aiutate. Compito della politica NON E’ quello di imporre un modello di famiglia.
L’area di riferimento ideologico dei partecipanti al Congresso di Verona (Dio – Patria – Famiglia), non è di quelli che incoraggiano a sperare in meglio. Film già visto, gran brutto film.

La difesa della vita. Ribadisco che non è stata la 194 a introdurre l’aborto in Italia. Si praticava largamente anche prima, ma era un “affare privato”. Le donne ci rimettevano la vita? Peggio per loro! L’aborto è comunque sempre una violenza, soprattutto sulla donna. Va evitato con tutti i mezzi possibili. Ma in casi estremi è sempre e solo la donna che deve decidere del suo corpo e del suo destino. E non va lasciata sola.
La vita si difende non solo all’inizio o alla fine, ma soprattutto nel lungo iter dell’esistenza. Quindi, non si può essere “pro life” e poi far finta di non vedere la gente che soffre e che muore. In qualsiasi circostanza. Non si può dire di essere “per l’unità della famiglia” e poi brutalmente dividere i bambini dai genitori, le donne dai loro uomini. Queste sono macroscopiche contraddizioni che denunciano la grande ipocrisia di certe posizioni politiche.

Il cammino da fare in avanti è ancora molto lungo. Ma indietro non si torna!

Matrimonio “naturale”? Più che altro lo è l’accoppiamentoultima modifica: 2019-04-07T20:50:27+02:00da piero-murineddu
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Commenti (2)

  1. Rita

    mamma mia, non ti è sfuggito niente! Credo che il tutto verrà pubblicato su CdBinforma. Grazie per avermi fatto l’onore di ospitare la breve ricerca nel tuo blog

    Rispondi
    1. piero-murineddu (Autore Post)

      Breve? mm mm mm mm mm…..Sicuramente accurata.Toccare l’aspetto personale è stato molto opportuno e toglie la pesante imponenza di certe analisi cattedratiche. Chiara e pure godibile. Grazie

      Rispondi

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