Due cavalli, Dyane 6, R4…..e la giovinezza andata

di Piero Murineddu

“Mi mancano gli spifferi della Dyane e della R4 quando la notte si parcheggiava sulla collina di Calabona a guardare il mare“, dice l’autore del testo che segue. E’ sicuramente un modo romantico per non dire direttamente che più che altro quello che manca, man mano che si va avanti negli anni, è la giovinezza che si allontana sempre più, coi suoi entusiasmi, i sogni, gli amori freschi di giornata, le scoperte continue di sé e degli altri. Il non prendersi ancora troppo sul serio. Anche per me la R4 è stata la mia seconda casa, dopo quella paterna. Prima ancora la Dyane 6. Rossa l’una, arancione l’altra. Entrambe sono arrivate dopo diversi anni che scarrozzavo con un lambrettone acquistato di seconda mano che mi ha creato sempre un non sò che di frustrazione per l’impossibilità di costruirci sopra una sorta di gabbiotto, protettivo per il freddo e le piogge invernali. Ma va bè, non si può soddisfare ogni manìa che da giovani frulla nella “centralina” cerebrale. E’ vero, come dice Giampaolo: la R4 dava un senso in più di sicurezza e di robustezza. L’avevo anche personalizzata mettendoci le tendine, sia per non essere svegliato all’alba quando capitava di trascorrerci la notte, sia anche, all’occorrenza, poter avere dialoghi più intimi con la mia ragazza di allora, che altri non è che la mia moglie di oggi.

Due cavalli, Dyane 6, R4, Maggiolino…..Utilitarie schifate da molti per la loro poca “serietà”, mentre per altri  simboleggiarono quella libertà e molteplicità di possibilità , l’una vissutà più esternamente che interiormente, le altre con qualche rimpianto e diversi treni partiti lasciandoti desolatamente appiedato.

 

FAVOLOSE

Quella nostra piccola grande “R4″

 

di Giampaolo Cassitta

Sono stato prima tondo e poi quadrato e ho miscelato i miei umori (e gli amori) all’interno di quese due auto: la Dyane due cavalli prima e la R4 successivamente. In realtà chi era tondo non poteva essere quadrato. La Dyane era simbolo di avventura folle, di curve nelle quali il parafango toccava quasi l’asfalto, era il simbolo di “Questo piccolo grande amore” era, molta gioia e poca rivoluzione. Avevo una Dyane “cremina” nei miei primi diciotto anni e fu la prima auto che mi accompagnò al lavoro (Alghero Sassari con un volante da “camion” e con la paura di fermarci alla salita della “Landrigga”) fu lei che assistette al primo bacio, fu lei che, in qualche maniera, mi consegnò alla vita, al comprendere il rumore dei motori, il cambio delle marce, al prendere le curve dolcemente e con qualche apprensione. Non aveva autoradio la Dyane. Bastava cantare a squarciagola le canzoni imparate a memoria: ed erano Battisti e Baglioni. Soprattutto. Erano i miei vent’anni che spruzzavano nel palcoscenico dell’esistenza. Se ne andò una mattina d’aprile davanti alla Torre di Sulis. Rimasi con il volante in mano e la consapevolezza che qualcosa si era concluso. Passai dunque alla R4. Rossa. Il cambio a cloche era l’esatto contrario della Dyane e questo provocò, almeno all’inizio, qualche problema. Ma capii da subito che la R4 era essenzialmente diversa dalla Dyane: più forte, più compatta, meno disponibile agli sfronzoli. Nelle curve il parafango non baciava l’asfalto e l’orizzonte era piatto, verso l’alto, mentre quello della Dyane era decisamente ondulato e verso il basso. La mia R4 divenne il luogo dei dibattiti, delle prese di posizione. Fu la mia prima autoradio estraibile e le audio-cassette. La radio ci serviva per ascoltare Teleradio Alghero e comprendere quanto fosse potente nel territorio. Dopo Monte Agnese il segnale spariva e con lui la nostra speranza di essere famosi in tutti il mondo. Insomma nella R4 rossa passarono nuovi amori e nuove canzoni. Girarono Guccini e De Gregori, Led Zepelin, Pink Floyd. Dietro, sul sedile, copie di Lotta Continua, Doppiovù, Eureka, Linus, ma anche Alan Ford e Topolino. In quel mondo quadrato e in movimento il nostro viaggio dipendeva non dalla voglia ma dalla necessità: se avevi tremila lire potevi permettere la strada e per farla ognuno metteva le sue cinquecentolire. Ci lasciammo per una R5 amaranto. Le auto cominciavano a modificarsi, ad essere più sicure e le radio più potenti. Noi diventavamo più adulti e si provava a conciliare le rotondità della vecchia Dyane con le quadrature della R4. Siamo cresciuti così, nell’immaginare cosa ci fosse in quella sua maglietta fina e provare ad immaginarci dentro una cantina buia a respirare piano, dopo aver parcheggiato la Dyane e la R4. Insomma, quel rumore, quelle marce, quegli odori e quel parabrezza verticale e piccolo hanno segnato le nostre piccole esistenze. Guardando le nuove automobili super accessoriata abbiamo scoperto la nostra dolcissima essenzialità:  oggi quelle  auto ci conoscono da lontano e si aprono le portiere al nostro passare. Sarà più comodo ma anche un po’ più freddo. In fondo, mi mancano gli spifferi della Dyane e della R4 quando la notte si parcheggiava sulla collina di Calabona a guardare il mare. A mischiare acqua e sospiri, respirando piano. Molto piano.

Due cavalli, Dyane 6, R4…..e la giovinezza andataultima modifica: 2015-05-14T05:23:46+02:00da piero-murineddu
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