Il SSN vissuto ( leggi: patito) da dentro

trasferimento

 

di Elsa Pascalis

Sono qui, ancora viva e piena di sangue, per raccontarvi cosa è, come respira e come muore, il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Alle 4,30 del mattino arrivano a far le pulizie. Accendono le luci al neon della stanza proprio mentre sono in piena fase rem. Sono più o meno le 6 quando senza neanche accorgermene il laccio emostatico stringe il mio braccio sinistro e attraverso un piccolo aghetto mi succhia via 5 boccette di sangue. Lei mi guarda: ha gli occhi che arrivano dalla Transilvania.

Alle 7 mentre sognavo d’essere nella spiaggia di Ko Samui ad idratarmi cosce e chiappe bevendo il succo cocco con la cannuccia arriva un camice verde che mi ricorda che devo prendere una compressa. Lei mi guarda e ha gli occhi della Signorina Rottermeier.

Alle 7,30 aprono il rubinetto della cannula per la prima flebo. Credo che sia il gastroprottetore. Mi riaddormento e non mi accorgo che la provetta me la son ciucciata tutta senza chiudere il rubinetto: flebite! Arriva l’infermiera, toglie la cannula e si mette alla ricerca di una nuova vena: «che brutte vene che ha, signora», mi sussurra, con gli occhi di Grazia Deledda.

Mah, non saprei se son belle o brutte, in ogni caso non è colpa mia, me le ha date la natura e non credo esistano creme per renderle più gradevoli, toglierle le occhiaie ed eliminare i segni dell’età. Mi trova la vena e se la fa andar bene anche se è bruttina. Buca, e alle 8,15 parte la seconda flebo, questa volta di antibiotico. ‘

Azz…!!! si sta facendo tardi, devo assolutamente “lavarmi e levarmi” il “frago” di Istituzione Totale che mi circonda, prima che arrivi il giro di visite. Carico la borsettina con asciugamani, rossetto, fard, ombretto e cose varie e avariate per la toilette della mattina. Mi dirigo nel bagno che divido con altre 5 signore.

Lavarsi con l’asta e la flebo è operazione più complicata di quanto si possa immaginare. Riemergo da quella che sembra più una lotta che un piacevole momento beauty. Mi rimetto a letto dignitosamente pulita e in ordine: emano profumo di Eden, finalmente. Nell’ordine, arrivano una serie di specializzandi che: 1) misurano la pressione, 2) ascoltano il cuore, 3) tamburellano nella schiena, 4) si vogliono sentir dire 33, 5) verificano dal dito la circolazione sanguigna, 6) vorrebbero altro ma non osano.

Altro infermiere, stacca l’antibiotico e ne piazza un altro.

Arriva il Medico Gran Visir insieme ad una decina di studenti ai quali presenta me come un quadro clinico; insomma, mi illustra. Visita approfondita, a tipo lezione accademica: è un po’ essere animale al circo o modella per ritrattista, dipende dai giorni. Oggi è lunedì: mi spetta essere zebra colorata.

In ogni caso, protagonista, oggetto d’attenzione plurima. Uff!

Altra flebo, altro antibiotico. Dal nulla sorge una signorina culo stretto-tutta pepe. Mi deve accompagnare ad un consulto chirurgico in altro reparto. Mi guarda. Stringe gli occhi in fare doloroso e vomita un: «..ma sei Ucraina?» Trattengo lo sputo. Mi esce solo un «No, non sono Ucraina ma potrei essere tua mamma!»

Mi molla nel nuovo reparto, faccio la visita e mi viene a riprendere al calar del sole, come nei western. In camera mi mettono la 4a flebo. Si son fatte le 2 del pomeriggio.

Alle 3 un’altra Oss mi accompagna a fare un’ecografia. Non parla. Ha parlato con la precedente.

Alle 4 di nuovo in camera. Riparte il giro delle flebo che va avanti sino ad oltre l’orario delle visite. Alle 22 vorrei leggere un libro ma la giornata è stata dura, troppo dura. Decido di chiudere la saracinesca e dormire. Non fa. La mia vicina di letto è in vena di chiacchiera e la lascio fare perché lei si che sta male, ma male male, poretta. La vita non le è stata simpatica.

Si è fatta mezzanotte, Cenerentola già dorme e anche io cerco di calare le palpebre. Ma ecco, proprio quando sogni di poter sognare per qualche ora di fila, ecco che parte il vecchio della stanza a fianco che tutti detestano perché tratta di merda chiunque. Urla, si agita, fa un casino nero, dà della puttana all’infermiera e della “troialla” alla dottoressa del turno di notte.

Non lo sopporto più. Mi alzo, lo sputo e gli mollo un urlo che lo fa sobbalzare nel letto: «E BASTAAAA, DEVE SMETTERE DI DAR FASTIDIO A TUTTI O GIURO CHE LA FACCIO STAR MALE IO!!!». Ops, si calma! L’unico al mondo che si mette paura davanti a me e la cosa mi regala certa notevole e imperitura soddisfazione.

Non faccio in tempo a rimettermi a letto che partono altre urla dalla stanza a destra. «Ohi, sto male, ohiamommia sto male, ohi sto morendo». Tutti sappiamo che no, non è vero. Prossima fermata l’indomani per la signora: destinazione psichiatria.

Sono le tre del mattino, sono stremata e se non sta zitta la zittisco io. Alle tre e mezzo la mia personalità è quella di un killer senza pietà: il mostro di Rostok mi fa un baffo. Mi risparmia il truce lavoro e finalmente chiude la bocca sfinita da se stessa.

Mi resta un’ora di sonno prima che riparta il tran tran: dalle pulizie alle flebo, ai lamenti degli altri pazienti. Stare in ospedale è unu traballu, unu film ‘e guerra, un corso estremo di sopravvivenza. Ma sono qui, ancora viva e piena di sangue, per raccontarvi cosa è, come respira e come muore, il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Il SSN vissuto ( leggi: patito) da dentroultima modifica: 2015-05-01T06:03:47+02:00da piero-murineddu
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