di Piero Murineddu
Anche in occasione delle ultime alluvioni catastrofiche che hanno colpito la Sardegna, in mezzo alla mobilitazione per aiutare le popolazioni colpite, anche i pastori hanno fatto rivivere l’antica usanza de “Sa Paradura”, donare cioè una pecora per cercare di rimediare alla perdita di un gregge per furto subìto, per incendio, per eventi naturali, per uccisione del bestiame oppure per la scarcerazione del pastore che voleva riprendere la sua attività. Negli ultimi tempi, questo nobile codice millenario non scritto, è uscito dagli stretti confini barbaricini dov’è nato, fino ad espandersi oltre Tirreno, in occasione del terremoto che colpì l’Abruzzo nel 2009. In qualche occasione,questo gesto di solidarietà ha abbracciato altri settori, come per fronteggiare la perdita di foraggio negli ultimi devastanti incendi a Laconi e in altre località sarde. Ancora una volta è la riprova che l’attenzione più concreta e meno parolaia per le necessità altrui, proviene da chi capisce e sperimenta la fatica del vivere quotidiano. E certamente non lo si fa per mettere in mostra la propria generosità, come facilmente può capitare, sbandierando in tutti i modi possibili l’azione compiuta e risentendosi non poco se non si ha il riconoscimento mediatico. Si fa per giusto debito di fratellanza e consapevoli che la “mala sorte” può colpire chiunque.
Dobbiamo constatare che oggi questo linguaggio risulta lontanissimo dal sentire comune. E’ quasi inimmaginabile che uno si senta in dovere di aiutare gli altri, e ancora meno per “debito di fratellanza”. Certo, l’argomento è vasto e richiederebbe tempo per affrontarlo.
Nel mio piccolo, davanti alla triste vicenda raccontata nell’articolo precedente, anch’io ho assaporato il gradevole gusto di questa “paradura”, nel momento che alcuni amici si sono proposti per rimediare all’imbecille danno provocato a innocue e nello stesso tempo preziosissime piantine che faticosamente cercavano di crescere per farci gioire dei loro frutti.
Legato a quanto detto, mi ha colpito il titolo che “La Nuova” di oggi ha dato ad un bellissimo articolo: “Condominio sociale per rilanciare l’aiuto tra i vicini”. Argomento bello tosto,insomma. All’interno, una referente del semplice e proprio per questo ambizioso Progetto, che in pillole vorrebbe “provocare la reazione che alimenta il meccanismo della solidarietà”, chiede provocatoriamente: “Quante volte ci siamo trovati in difficoltà e siamo stati tentati di bussare alla porta del vicino, ma non l’abbiamo fatto per discrezione o vergogna?” Quello dei rapporti tra vicini sarebbe un tema tutto da analizzare.
Pensiamo alle frasi che spesso si sentono:
“giusto buongiorno e buonasera e ognuno a casa sua”,
oppure
“meglio non darle troppa confidenza, altrimenti te la ritrovi ogni momento in mezzo ai piedi”,
e ancora
“Chiììììssa?! Pa cariddaaaai! Ciaramiddhòsa, puntigliòsa e puru pinghinòòòòsa! Propriu vizzin’a eddha dubìu capità!!”
E allora?
In definitiva, è necessario porsi la domanda su che tipo di relazione vogliamo instaurare con gli altri, che sono simpatici e antipatici….come noi, rispettosi e menefreghisti….come noi, allegri e ombrosi. Come noi !