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“Il pennello morente” di Giuliano Leonardi

di Piero Murineddu

Inaspettatamente, capita che una sera ci si dà appuntamento con Fabio Melis, il musicista sussincu che continua a stupire le platee col suono dei suoi strumenti musicali, arcaici e moderni.

Col baldo e non più giovanissimo concittadino, eternamente con la barba incolta per scelta, la conoscenza non è stata mai allietata dalla frequentazione, probabilmente perché la diversità d’età non ne ha create le opportunità. Ma comunque, è proprio vero che chi stà in “movimento” ha sempre possibilità d’incontrarsi.

Appuntamento quindi nella casa della quasi 80enne Nuccia, nipote di quel grande artista Giuliano Leonardi ancora troppo sconosciuto ai più, nonostante siano trascorsi oltre vent’anni dalla sua morte. In effetti, il riservato Giuliano non faceva molto per far conoscere in giro la sua capacità di pittore e di scultore: mai organizzata di sua iniziativa una Mostra nei lunghi anni trascorsi a Roma, dove nella sua abitazione-laboratorio in affitto sulla Via Appia conduceva una vita semplice e molto ritirata.

Aveva si realizzato opere importanti, come “La Cavallerizza”, il Monumento a Salvo D’Acquisto, la “Virgo Fidelis”, patrona dell’Arma dei Carabinieri, e tante altre meno note, ma su di lui si è parlato sempre poco. Ed è proprio questo il motivo che ha portato Fabio a chiedermi di vederci in questa casa – museo: conoscerne l’Opera, con l’intento di divulgarla nelle continue e numerose tappe dove porta la sua musica.

Durante il tempo in cui siamo stati insieme a Nuccia in questa antica casa impreziosita dalla presenza artistica dello zio, si è abbozzata la possibilità e il desiderio di fare qualcosa di “concreto”, anche per non correre il rischio che prima o poi tutto questo tesoro artistico vada disperso. 

La gentile e cordiale signora non ha mancato di far vedere all’interessato musicista tutte le opere presenti: busti, quadri di diverse dimensioni, bassorilievi. Gli attestati ricevuti e i ritagli di giornale che parlano degli incontri avuti dal Giuliani con personalità civili e religiose sono ben conservati con meticolosa cura. Da sotto un largo panno colorato, Nuccia sfila qualcuna delle numerose incompiute, non facendo mancare le sue continue spiegazioni. Ben accatastate, vi sono anche centinaia di schizzi delle opere realizzate in un secondo momento dallo zio. Più timidamente, l’ospitale signora accenna anche alle cose da lei fatte dietro stimolo del Leonardi, quando ormai vecchio e ammalato, trascorse in questa casa gli ultimi tre anni della sua vita, usando le residue energie a scrivere e sforzandosi a tenere ancora il pennello in mano. Ecco le sue pitture impresse in quadretti, mattonelle, barattoli e bottiglie. Una festa di colori sgargianti.

Dicevo degli scritti. Prevalentemente a carattere religioso, perchè Giuliano Leonardi aveva una marcata vita interiore, espressa in molte delle sue opere. La pittura e specialmente la scultura sono stati per l’Artista sicuramente i modi a lui più congeniali per esprimersi, ma anche attraverso la penna, pur non ritenendosi  “scrittore” nel senso pieno del termine, ha tentato di comunicare il suo sentire e la sua visione del mondo.

Senza intenzione da parte mia di volerne esaltare  capacità in questo campo, voglio tuttavia porre all’ attenzione un testo che, durante la breve visita nel Museo Leonardi, ha colpito la mia attenzione.

Gli ultimi palpiti di un pennello morente

di Giuliano Leonardi

Preoccupato e con un dolore senza conforto, sento vicina la mia fine.

Da giorni mi vedo abbandonato nella parte confusa nel cassetto pieno di bellissimi colori.

Vedo l’artefice al lavoro, ultimando una Madonnina di soave e gentile espressione.

E’ una delle tante composizioni che giacciono in attesa nello studio.

L’artista le ha create in obbedienza alla fede, trascinato da voleri ignoti come in preghiera.

Tutta la vita è stata consacrata a tale pensiero e nessun ostacolo l’ha fermato.

Nella mia vita a servizio delle sue mani ho potuto sentire il grande spirito dedicato al culto delle sacre rappresentazioni.

Molte volte ho sentito il lamento di una vita avversa trasformato in preghiera.

Io ero felice della sua fede e partecipavo anche al dolore che ne fortificava l’animo.

Per me non mancavano affettuosità, espresse spesso senza parole. Benchè breve, quel tempo fu per me gioioso.

Sempre obbediente al suo pensiero e al movimento delle mani spesso tremanti per la stanchezza.

Il passaggio continuo dei colori per spalmarli sulla tela descriveva l’armonia della bellezza e sentivo grande gioia in me.

Nel riposo della sera sognavo sempre. La Madonnina mi sorrideva e il piccolo Divino Figlio mi prendeva, giocando quasi col pensiero di dipingere sé stesso.

Vedevo il mio artefice lavorare in una grande Chiesa.Era stato sempre il suo sogno consacrare sé stesso in un lavoro gigante che esprimesse la sua fede.

La mattina si sentiva la felice armonia dell’organo, le preghiere dei fedeli, le campane che invadevano l’aria della Voce di Dio.

Ancora visioni, ma tristi. Mi trovavo al lavoro di un altro artefice, terribile confusione di vita, nervosa inquietudine in tutte le manifestazioni di lavoro e di sentimenti privi di fede, alla sola ricerca dell’ignoto pazzesco.

Io trasmettevo sulla tela colori già sporchi dal pensiero, ma esaltati e ben pagati da altrettanti pazzi e sporchi nell’anima corrotta. Mi sentivo umiliato e triste senza colpa.

Nel grande pianto mi svegliai trovandomi nel vecchio cassetto, col vecchio onesto artista che è tutto il mio bene.

Egli, col pensiero di sorridente gratitudine e osservandomi amorevolmente, comprese il mio dolore.

Mi mise da parte affinché morente chiudessi i miei occhi davanti a lui e al suo lavoro sulla Madonnina.

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“SORSO – storia e fede di un borgo di Romangia” – 1858 Regolamento di polizia urbana

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di Piero Murineddu

Ma quarda un pò che bel regalo mi ha fatto Gianmario Urgeghe, che oltre essere un tutore dell’ordine costituito, via e via che lo conosco mi stà dimostrando che in una sua precedente vita è stato  uno di quegli imprendibili e devastanti topini di biblioteca. Topino sui generis, però. Infatti, invece di rosicchiare i numerosi libri, specialmente quelli con grosse e gustose copertine, per distrarsi dalla fame che   non trovava soddisfacimento, un bel dì, preso dalla disperazione,   inizia a leggere il contenuto di questi volumi, e chissà perchè, specialmente quelli che trattavano di Storia passata. La cosa lo prende talmente che si dimentica  dei tremendi crampi allo stomaco provocati dalla mancanza del  profumato e stagionato casgiu sardhu tanto amato e ricercato nel suo ambiente di roditori. Come nell’ambiente umano ci sono quelli che si cibano SOLO di pizza, di Eucaristia, di yogurt, di giasthimà e di vàssi li frazzigghi anzeni (per gli italiani: d’imprecare e di parlare male del prossimo), così TopinoGianmarietto impara a vivere solo di cultura. Con grande soddisfazione di mente, e stranamente, anche di corpo. Per chi crede nelle Reincarnazione, per meritarsi il Nirvana Finale, un’unica anima incarnatasi nel tempo in vari essere viventi, deve diventarne degna e raggiungere la perfezione con l’impegno di ciascuno in cui “alloggia” in vita. Probabilmente, l’anima che attualmente ha preso possesso di Gianmario, prima era in un tamericcio, in seguito poniamo il caso in un pipistrello, dopo in un cagnolino che girava per le stradette dell’antico villaggio di Geridu, in ziu Antonicheddhu che dava il bando con la trombetta per le vie di Sossu, nel cavallo  che trainava  la tumbarella di ziu Bainzu, ecc ecc. Ognuno ha ben operato e man mano, col tempo,  questa benedetta animaccia si sta’ purificando sempre più. Ho detto che attualmente opera nel corpo di Gianmario da Sorso, purizzottu (poliziotto) di professione ma specialmente curioso ricercatore e ricostruttore di ciò che siamo stati, che solo per questo meriterebbe la riconoscenza di tutti noi sussinchi, ora che è in vita e quando defunto sarà.
 
Perchè tutta questa storia? Semplicemente per ringraziarlo del gradito dono che mi ha fatto. Come quale? Ma non l’avete vista la copertina che ho messo all’inizio? Il librone di Gian Paolo Ortu pubblicato nel 2004, che per il costo leggermente e comprensibilmente altino per la faticaccia di ricerca che ha dovuto affrontare, aspettavo sempre qualcuno che me lo regalasse. E così è avvenuto nell’A.D. 2014, di novembre.E così, finalmente sto’ venendo a conoscenza della nostra storia sussinca cronologicamente ben ordinata, e per me, che in vecchiaia mi è venuta questa smania di spulciare quà e là nel nostro passato, è proprio una preziosa fonte d’informazioni. Bravo Gian Paolo (e bravo anche Gianmario!). E’ un utilissimo strumento che dovrebbe essere presente in ogni casa, ma non solo per esibirlo ben ordinato e pulito nello scaffale di salotto agli amici e al del magico “Folletto” rivenditore – che se non è folle al punto giusto non riesce a vendere mai una mazza ! – ma per leggerlo, parlarne e rileggerlo ancora.Un grosso volume ricchissimo di nomi, date, fatti e foto, molte delle quali appartenenti all’archivio del sempre prezioso Petronio Pani   e del ricercatore svizzero Gartmann. Quello che è avvenuto dalle Origini fino ad avanti ieri, per lo meno fino alla pubblicazione. Iniziando a leggerlo, ho scoperto che tornando in auge la figura del Barone, in teoria ne potremmo avere uno bell’e pronto ( anche con la barba d’ordinanza) vivente a Cagliari, tal (don) Vincenzo Amat di Sanfilippo.Un volume ricchissimo anche di utilissime tabelle. Ecco queste che seguono, per esempio,  il “Regolamento di polizia urbana nel 1858 a Sossu”, che l’autore ha trovato nella Biblioteca Comunale di Sassari (MS 1-2).Leggetevelo con attenzione e anche gustatevelo tutto. Vedrete quanto sono divertenti alcuni passaggi. In seguito, non mancherò di pubblicarne altri stralci, e se mi andrà, non farò mancare qualche mio commentino.polizia 1 001

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Comitati di Quartiere oggi, segno di grande coraggio

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di Piero Murineddu

Vi erano una volta i Comitati di Quartiere, nati in modo autogestito dietro i grandi fermenti sociali seguiti agli anni della “Contestazione”.  Ad un certo punto li si volle “regolarizzare” e furono sostituiti dalle Circoscrizioni, luoghi sicuramente di partecipazione democratica, molti attivisti dei quali si son fatti sedurre dal  fluido (spesso mortale delle buone intenzioni) del blob della politicapoliticata.   Annullati per legge anche questi, è rimasta solo la meschinetta delega all’illuminato politicante che volta per volta ti convince che lui ha la ricetta giusta per tutti i mali del mondo . E questa delega (rigidamente in bianco) la si ottiene spesso con metodi persuasivi che sappiamo, il più delle volte menzogneri e ricattatori. Questo è ciò che è rimasto della vita politica e sociale: da una parte il popolino a guardare e sperare ( e strigendosi continuamente la cinghia), dall’altra la Casta benedicente e rassicurante (allentandosi continuamente la cinghia).

In mezzo a tanta arida steppa sociale, ogni tanto fa capolino qualche coraggiosa e timida piantina che  sembra voglia ridare vigore alla troppa stagnante e diffusa rassegnazione.

 

Veniamo all’articolo pubblicato su La Nuova qualche tempo fa che avete letto prima.

Questa volontaria ricostituzione del  vecchio Comitato del Quartiere sassarese di Monserrato – Rizzeddu fa intravedere in affetti qualche raggio di calda speranza che ancora qualcuno ha voglia di mettersi insieme per migliorare la propria vita e per tentare di uscir fuori dall’esaperante e quasi disperato individualismo in cui ci siamo ficcati.

Nelle città, specialmente nei quartieri dove non ci si conosce e dove vi sono persone mosse da motivazioni forti, la cosa sembra in un certo modo agevolata, da una parte grazie al desiderio appunto di creare nuove relazioni, dall’altra  dal fatto che, non conoscendosi, c’è la prospettiva di collaborare con persone in gamba e immuni da certi difetti, tipo il voler prevalere e primeggiare sugli altri, il voler esibire la propria cultura e via dicendo.

Comunque, nonostante un pizzichetto di scetticismo, a me la cosa fa piacere e mi auguro riescano a superare le inevitabili divergenze e che ciascuno voglia sinceramente dare il proprio libero e generoso apporto per il bene comune. Amen

Certo, che immaginandomi di poter realizzare una cosa simile in un paese,  a Sorso come tanti altri piccoli e medi centri, lo scetticismo aumenta oioia. Perchè? Non so, per il fatto ad esempio che più o meno ci si conosce, la qual cosa porta spesso ad etichettare gli altri tipo   ” Con Cuddàra? Pa cariddai! Con quella non è possibile fare niente”  e ancora “Con quella famiglia? Ma scherzando stai?! Ma lo sai cosa mi ha  combinato suo marito quella volta là?” e ancoraancora   “Oia…gia l’hai bona ià! Cun chissu ti lu sogni di pudè fà casche cosa!!”.

E questa è una cosa.Si aggiungono poi le “marchiature” ideologiche – politiche, che negli ultimi anni hanno scavato profondi solchi di separazione: per i nostri arroccamenti, certo,  ma anche perchè politici “operatori di pace” e di concordia non è che abbondino. Anzi, si può dire che lo sforzo principale delle ultime generazioni di politici locali è semplicemente quello di foraggiare la propria mandria, con la raccomandazione di tenersi a debita distanza dagli “altri”. Qual’è il fermento sociale che c’è dalle nostre parti, che possa in qualche modo incoraggiare qualcuno a prendere l’iniziativa? Ditemelo voi, perchè a me proprio sfugge. Ma comunque, non è detta l’ultima parola.

Propongo alla vostra lettura anche quest’altro articolo recuperato su quel non male giornale “Acqua e Sapone” distribuito gratuitamente e dove spesso trovo articoli interessanti. Parla di queste iniziative di Condomini Solidali che stanno nascendo un pò ovunque,  spesso veicolati dala Rete, a riprova che non è solo un immondezzaio dove ognuno butta il peggio di sè.

Buona lettura e …..coraggio ( se ne avete in più, datene un pò anche agli altri)

 

Come continuo a ripetervi, per rendere leggibili i caratteri, cliccateci sopra.

 

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Vaccino, risotto, costole rotte, pista ciclabile,campanelli………..

 

 

 

di Piero Murineddu

Ma guarda un pò: che mi combina il vaccino per evitarmi l’influenza? Me la provoca! E non con prevedibili e blandi sintomelli. E no, cazzucazzu: con tutta la devastante conseguenza di una vera e propria influenza e anche di più. Costretto a casa, al calduccio, col termometro ogni tanto segnalante e con la tachipirinetta sempre pronta ad infilarsi nel buio e misterioso tunnel. Compresi quegli starnutoni che fanno vibrare tutto il circondario, compreso quel nuovo negozione di giovani cinesi chenonbastavaquellocheceragia (il povero proprietario non ha potuto donarlo gratuitamente per farne un teatro pubblico:doveva pur mangiare, perbacchino!)

Se penso al mio povero e mortificato medico che mi ha inoculato la maraddia, mi viene quasi da piangere mi viene.

E come fanno i miei poveri colleghi a portare avanti il pesantissimo lavoro d’uffizio senza il mio pocopiùcheininfluente apporto? E come fanno i miei amici anzianoni a godere della mia sempreattesa visita? E come fanno le mie malandate pianticelle di campagna a respirare meglio grazie alla mia zappona oiachecosafaticosa? E come fanno i toponi a mangiare il formaggetto che metto nella trappola e ad andarsene tranquilli dopo aver fatto la scorreggina di ringraziamento a me indirizzata? E gli automobilisti “dovevadodovevado” che girovagando scendono alla Marina, cosa penseranno che mi sia successo  non vedendomi tra i numerosi “atleti” Scendenti&Salenti, nella bellissima doppia pista pedonale – ciclabile ( avrebbe bisogno solo di manutenzione) che i nostri illuminati Amministratori si stanno preparando a distruggere, per far posto ad un’altra, modernissima e di scalamobile fornita? Che penserà la gelataia della stazione non vedendomi dimattinaapranzoeacena col suo gustosissimo gelatone, ben pagato e dalla mia lingua leccato? Come faranno a sopravvivere le lavoratrici pendolari che viaggiano la mattina presto in autobus per andare a trabaglià, e non sono “allietate” dalla mia silenziosa e sonnacchiosa presenza?

A proposito, oggi mi telefona un’amica, e tra una desiderata intenzione di mettere a disposizione della Scienza il proprio corpo postmortem  per sperimentazioni in favore dell’Umanità, una ricetta di risotto che malasortelhofattoederapropriobuono, mi ha anche detto di una dolorosa disavventura capitatale all’interno di questi malandati trabiccoli che ogni giorno ci portano a Sassari per ….. servire lo Stato.

Ascoltate bene che ve la racconto.

Giovedì 27 novembre. Come sempre,  ogni mattina ha preso autobus. Arrivata a Sassari in prossimità della fermata, preparandosi a scendere e avendo qualche dubbietto sul funzionamento del campanello, imprudentemente si alza. Quello che ne consegue la vede fare un piccolo volo che le procura ammaccature  di non poco conto in tutto il corpo. La povera amica ancora oggi, e credo domani, dopodomani e chissà per quanto, è costretta a starsene a casa, infortunata e sopratutto dolorante. Marasolthiebonamorthi, èu puru àndu in pulman, e spesso questa storia dei campanelli che non funzionano crea disagio continuo ai passeggeri. Durante il tragitto, cu lu puma andendi, persone sedute in fondo sono costrette ad avvicinarsi all’autista per chiedere di voler scendere alla fermata successiva. Altre volte, una timida vocina o un lacerante urlo  improvviso  che scuote noi passeggeri ancora sonnacchiosi, implora autista:  ” per piacere, si potrebbe fermare alla prossima in quanto – sempre per cortesia, s’intende – avrei necessità di scendere?”

Chiedo:costerebbe così tanto rendere funzionanti i preziosi ed indispensabili “dindon” in questi per lo più vecchi autobus di linea nei quali noi pendolari sussinchi siamo spesso costretti a viaggiare?

Che dicevo? Ah, si…la sindrome influenzale che è  peggio dell’influenza ufficiale! E l’inverno è appena iniziato! E l’influenza non è stata ancora segnalata!

E come faranno i miei poveri colleghi a portare avanti il pesantissimo lavoro d’uffizio senza il mio pocopiùcheininfluente apporto ecc ecc ecc…………………?

Buon inverno a tutti

 

Cile, 8 novembre 1975 – 6,20 del mattino

di Piero Murineddu

In attesa di sentire direttamente dai protagonisti il racconto di quella lontana vicenda cilena – cosa che spero si possa attuare quanto prima –  ho recuperato questo articolo pubblicato nel gennaio scorso, in occasione della pubblicazione del libro di Aldo Brigaglia “Intillimanìa”.  Diverso tempo fa, le vicissitudini della vita hanno portato il mio amico  Giuseppe a lasciare il sacerdozio ministeriale, cosa che non gli ha impedito e continua a non impedirgli  di spargere intorno a se il Messaggio Evangelico, specialmente nel suo aspetto di Giustizia, di Comprensione, di Accoglienza, e quindi di Amore.  Se sarà possibile la registrazione video del racconto, sarà tuttavia molto difficile che le parole riusciranno a descrivere le emozioni di quei momenti e di quei fatti  che costrinsero un Paese democratico qual’era il Cile con la guida di Allende, con le armi e con la forza, sotto una delle tante dittature  fasciste  che ha subito il sudamerica. Leggete intanto con molta attenzione queste parole di Giuseppe, raccolte dal corrispondente di Osilo Mario Bonu.

 

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LEO&NAIA

milite ignoto

 

di Leo Spanu

Navigando tra le pagine di Internet mi sono imbattuto in questa fotografia. Rappresenta un momento della sfilata del 2 giugno a Roma per la Festa della Repubblica. Anno 1968, sullo sfondo il Colosseo, in primo piano un reparto sciatori del 5° Reggimento Alpini, Brigata Orobica. Una foto come tante se non fosse per un piccolo particolare: fra quei soldati vestiti di bianco ci sono anch’io. Un ricordo sepolto in fondo alla memoria è tornato vivo grazie a questa immagine scolorita. Un momento di grande emozione; a volte la vecchiaia ti regala anche questo, specie quando si torna indietro nel tempo. Ma pure un’imprevista riflessione sulla mia giovinezza e su quella dei ragazzi d’oggi e una domanda: il servizio militare di leva serviva a qualcosa? Se penso alla mia esperienza la risposta è si ed io non ho mai amato (e non amo) divise ed armi. Quindici mesi di “naia” mi hanno mostrato una realtà che non conoscevo. Partii che ero uno studentello viziato, superficiale e ignorante e tornai a casa profondamente cambiato. Valori mai conosciuti prima, la vita in comune con altri coetanei, le esperienze talvolta negative, le difficoltà da affrontare, le paure e le insicurezze dei ventenni ma anche la consapevolezza di non essere soli, la scoperta dell’amicizia e della solidarietà, la forza dello stare insieme per affrontare con coraggio le avversità. Tutto questo pur  mantenendo la tua identità e riscoprendo la tua umanità.

Finii il servizio militare giusto in tempo per gettarmi dentro “il famigerato 68” iniziato pochi mesi prima. In America, in Francia, in Germania, in Italia e in tanti altri stati ancora. Studenti e operai stavano buttando all’aria un mondo troppo vecchio, pieno di egoismi e di ingiustizie nella speranza di un mondo migliore. Per un attimo il potere politico ebbe paura di quella rabbia giovanile. Poi il 12 dicembre 1969 tutto finì. Un bomba vigliacca a Milano spense persone, sogni e speranze. Il potere di sempre, si riprese il mondo. Quella che seguì poi è un’altra storia.

In quegli anni e in quelli successivi ci fu un ampio dibattito sul valore del servizio militare di leva fino a cancellarlo (insieme ad altro ciarpame come il latino e il diritto ad una cultura vera). Si diceva: è tempo perso. Guardando la disoccupazione giovanile attuale c’è da sorridere (amaro) di quel ”tempo perso”. Oggi molti giovani il  tempo lo “perdono” aspettando un lavoro che non arriva mai così molti cercano una raccomandazione per potersi arruolare volontari nell’esercito e non sempre ci riescono. Amor di patria o necessità di uno stipendio sicuro? Mi tornano alla mente i primi anni 50 e 60 del secolo scorso quando i ragazzi del sud si arruolavano nella polizia e nei carabinieri per sfuggire alla povertà dei loro paesi. Non mi sembra che sia cambiato molto se non per il fatto che i nuovi disoccupati del nord e del sud hanno spesso in tasca un diploma di scuola superiore quando non una laurea.

Cancellare il servizio di  leva probabilmente è stato un errore. Per molti giovani era una scuola di vita. Certo c’erano anche problemi. Per il mio ruolo di infermiere sono venuto a contatto con molte situazioni difficili. Tentati suicidi per non raccontare la propria omosessualità: all’epoca il tema era tabù e venir congedati per omosessualità era un biglietto per l’inferno. Non solo per l’opinione pubblica che li metteva alla gogna ma anche perché veniva registrato tutto nel congedo e la vittima di turno era esclusa per sempre da tutti i concorsi pubblici. E poi le malattie veneree. Allora erano il pericolo principale per i giovani, oggi sono le droghe (vita dura essere giovani!). La sanità militare fece in quegli anni un lavoro esemplare  debellando una situazione piuttosto grave  anche se le autorità e i media preferivano tenere l’opinione pubblica all’oscuro di tutto. Io lavorai per un paio di mesi, durante il corso di infermiere, all’ospedale militare di Verona e lì vidi cose da film dell’orrore ma anche tanta sofferenza e umiliazione. Giovani che avevano sbagliato, trattati come appestati. Mi sono chiesto in seguito, molte volte, qual’è il senso vero della nostra pietà verso gli altri. Non ho mai trovato la risposta e oggi cerco solo di non essere il giudice di nessuno. Anche perché ho letto di recente che c’è una rinascita delle malattie veneree. Spero di no perché con la stupidità che c’è in giro non vorrei che si inventassero nuove categorie di emarginati. Ne abbiamo già abbastanza nelle periferie delle nostre città tra zingari, extracomunitari e italiani di serie zeta.

Ripristinare il servizio di leva può essere utile ai ragazzi (e ragazze) e alla società. Non per creare altri soldati da mandare a fare guerre lontane ma per imparare di nuovo la differenza tra diritti e doveri. Potrebbe essere il punto di partenza per recuperare il senso civico e, perché no, l’orgoglio di appartenere ad una grande nazione. Diceva Dante qualche secolo fa: Ahi serva Italia di dolore ostello/nave senza nocchiero in gran tempesta/non donna di provincia ma bordello. Sembra l’Italia di oggi.

I soldati potrebbero essere occupati in molte attività utili. Un solo esempio: la difesa e il recupero del territorio massacrato da anni di abusi edilizi e di cattiva politica. Le piogge di questi ultimi tempi stanno aprendo ferite terribili nelle nostre città e nelle nostre campagne; stanno seminando morte e dolore. L’addestramento militare può creare mansioni e specializzazioni oggi dimenticate favorendo, al rientro nella vita civile,  la possibilità di nuove forme di lavoro e darebbe stimoli e motivazioni  a migliaia di giovani troppo spesso considerati (a torto) confusi e indifferenti.

Non voglio andare oltre, non tocca a me salire in cattedra ma sarebbe opportuno che i signori che stanno al potere cominciassero a ragionare in termini diversi se vogliono creare  vere alternative ad un sistema che sta cedendo in tutte le sue componenti.

Sarebbe un bel modo per festeggiare la Repubblica italiana insieme alle sfilate ai Fori Imperiali. Ma dubito che ciò avvenga: il fatto è che io e la Repubblica siamo nati insieme ma, purtroppo, nessuno dei due è riuscito molto bene.

 

 

Se la memoria non mi inganna, nella foto io dovrei essere il primo della seconda fila a sinistra. La sfilata del 1968 è considerata una delle più grandiose e riuscite della storia della Repubblica. Soldati, sottoufficiali, ufficiali avrebbero dato un braccio per essere presenti. Io ci sono capitato dentro per caso ( il famoso capitano Valeri del Gavia!) e m’è costato un mese di duro addestramento marciando sulla costruenda autostrada del Brennero nei dintorni di Vipiteno.

A proposito dei maltrattamenti in una classe sussinca

 

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di Piero Murineddu

 

 

Riassumiamo la vicenda

1. Una maestra accusata di metodi educativi poco ortodossi (botte)  nei confronti di alcuni suoi  alunni   2. La denuncia è partita da un gruppo di genitori, allarmati da mezze frasi dei figli e da qualche segno “inequivocabile”     3. I carabinieri  hanno filmato con minitelecamere nascoste ciò che avveniva all’interno della classe per ben due mesi   4. La maestra si autosospende  5. Interrogata dal GIP, la maestra si rifiuta di rispondere alla domande  6. Arriva il provvedimento d’ interdizione dall’insegnamento per due mesi.Punto

Inevitabilmente, il fatto crea scalpore in paese. Per diversi giorni l’argomento è in bocca di tutti. Oltre che nei supermercati, ambulatori medici, rivendite di pane, bar, incontri casuali al cimitero, uffici pubblici, cene col volume della tivù sempre troppo alto, letti matrimoniali prima e dopo aver……., l’argomento trova spazio nelle piazze virtuali, dove – mi fanno sapere – qualcuno che “si permette” di avanzare attenuanti nei confronti della maestra, viene malamente aggredito e accusato di non avere diritto di parlare “perchè non sa cosa vuol dire essere genitore”. Oltre al  Quotidiano locale che gli dedica pagine intere,la notizia viene ripresa da varie testate giornalistiche, compresa qualche emittente televisiva, che supporta con immagini di repertorio che con la scolaresca in questione non hanno niente a che fare.

L’argomento, toccando un ambito così importante dell’Organizzazione Civile qual’è quello della scuola, è molto delicato. Delicatissimo. Eppoi,in ogni caso,   i figli ……so’ pezzi ‘e core. Certo è che tra genitore e insegnante a cui si affida il proprio figlio, la fiducia deve essere massima. Inutile dire che l’insegnante ha solo il dovere d’impartire un’istruzione “scolastica”. E cosa vuol dire? L’alunno – studente trascorre diverse ore ( e giornate, settimane, mesi, anni….)  della propria vita in questo ambiente, nel quale avviene anche la sua crescita umana e psicologica, per cui, ripeto,  il rapporto di fiducia dev’essere totale, e quando non c’è, iniziano i problemi. Come genitori – “mestiere”  al quale non siamo mai sufficientemente preparati – conosciamo le difficoltà continue  nel dover  aiutare altre persone diverse da noi a crescere. Spesso abbiamo avuto ( e continuiamo ad avere) la tendenza a volerne fare la nostra fotocopia di questi benedetti figli, considerandoli semplici “botti da riempire”. Così non è. Così non deve essere. Nei decenni passati i figli venivano considerati  proprietà dei genitori. Oggi la sensibilità è cambiata, grazieaddio. Nello stesso tempo, le incertezze educative si sono moltiplicate,  insieme alle tante ansie che ci creano malesseri continui. Non è cosa rara che ci ritroviamo a riversare sui nostri figli le tante paure che ci appesantiscono. Molte volte di ciò non si è consapevoli, ma così è, purtroppo. Da qui la perdita di obiettività, seguite da tensioni, incomprensioni, diffidenze. Specialmente verso il mondo esterno a quello familiare. Viviamo in una società “globalizzata” appunto dalla diffidenza verso tutto ciò che sfugge alla nostra immediata comprensione. E di  voglia di capire ne è rimasta ben poca. Un rapportarsi sociale estremamente complesso, dove innumerevoli fili scoperti rischiano in continuazione di provocare corti circuiti. Siamo immersi in un’atmosfera di sospetto reciproco, di ansiosa attenzione per non farcelo infilare dietro da chicchessia. Guai se scopriamo qualcuno che ci fa un torto, consapevole o meno. Peggio ancora se tocca i nostri affetti. Per la paziente tolleranza e  comprensione rimane ormai poco spazio. Ambiti di sereno confronto e di vero ascolto sembra non esistano più, e probabilmente non li si vuole. Allora via, diamo libero sfogo alla violenza e rabbia per tanto tempo malamente contenuta, e tutte le occasioni sono buone.

Tornando al caso in questione, è possibile che l’insegnante abbia ecceduto in atteggiamenti nei quali a volte anche noi genitori cadiamo, ma non si può categoricamente affermare che sia stato, il suo, un voluto e reiterato metodo educativo. Cosa sono poi queste telecamere nascoste per ben due mesi, lasciando che lo “sbaglio” andasse avanti per avere prove sufficienti ad incastrare la “fuorilegge” picchiabambini? Cosa è questo accanimento verbale senza appello, in base a prove schiaccianti che non schiacciano una minchia? Eventualmente, in che forma è stato dato aiuto alla maestra nella comunità scolastica? Quali sono gli spazi di mutuo aiuto tra colleghi nel difficile, impegnativo e usurante mestiere che fanno? C’è ancora qualcuno disposto a fare severa autocritica? Lo so, non è più tempo di fare citazioni evangeliche, per alcuni anche irritanti, ma ci si irriti pure e …….. chi si sente senza peccato, inizi a scagliare la prima pietra.

 

Intanto, a Ozieri è nato un Comitato di genitori che vogliono essere più attivi e propositivi anche per quanto riguarda la vita dei propri figli nella scuola. Non sarebbe male prenderlo come esempio anche dalle noste parti. Provate a dare un’occhiata al loro sito internet:

http://comitatocomprensivo2.altervista.org/index.html

 

 

 

 

 

 

 

Lido Iride verso una soluzione?

http://lanuovasardegna.gelocal.it/sassari/cronaca/2014/11/22/news/lido-iride-ultimatum-per-il-rilancio-1.10360287

 

di Piero Murineddu

Da quando ultimamente compro sempre meno “La Nuova”, capita che mi sfuggano alcune notizie riguardanti il nostro territorio. A volte, come in questo caso, me le ritrovo qualche giorno dopo sfogliando il quotidiano arretrato (leggermente sputacchiato) a  casa di qualche amico o mentre sono in  attesa dal dentista ( in questo caso, molto più sputacchiato da far schifo!) . Ed ecco che nel giornale del  22 novembre, lo scorso sabato, scorro la notizia (l’ennesima degli ultimi e dei penultimi anni!) riguardante questo benedetto Lido Iride che, a quanto pare, la sua destinazione dipendeva dalla volontà della Soprintendenza ai Beni Culturali e che un consigliere regionale romangino è riuscito a svincolare “merito ribadito con insistenza” ( e va bè, se tale risultato è conseguente ad insistente e faticosa opera di persuasione, diamolo pure questo riconoscimento!).

L’Amministrazione in carica (e “in carico” a noi…sempre meglio non dimenticarlo), per definire questa lunga e penosa storia, ha indetto una Gara. “Ultima“, sembrerebbe, e in caso di fallimento, i sassaresi, li sussinchi, i turisti (e anche i sennoresi, va…) dopo tanto tempo tornerebbero in quella consistentissima fettona di spiaggia a prendere la tintarella, a prendere la mùtia ( per gli italiani” rincorsa) per uno spettacolare et inglorioso tuffo (presumibilmente) di pancia, a fare la passeggiatina nella battigia per mettere in mostra i di lui muscoloni, il petto villoso e il consistente “paccotto” infragambe, il  di lei  tanghino che più strimenizito non si può, due naticone da infarto (anche per il disgusto), la coppia di poppone (o poppine da far tenerezza) ben in vista e ben tirate in su dai moderni senireggenti, ivi compresa la provocante  andatura studiata ore et ore nell’intimità della propria cameretta che a volte, se è molta accentuata, rischia di “provocare” si, ma un conatino di vomito faticosamente trattenuto.

Che dicevo? Ah si, il Lido Iride. E quindi lu Gomune di Sossu è intenzionato ‘sta volta a far sul serio. Basta con la pena e l’affutta ( per gli italiani: rabbia) che si prova ogni qualvolta capita di vedere quei tristi mucchi di macerie che sembrano le  abitazioni della Striscia di Gaza distrutte dai cacciabombardieri israeliani.

 

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Basta con le irripetibili giasthemmi ( per gli italiani: imprecazioni) lanciate dai sassaresi magna caura  in direzione di Sorso, anche per il pagamento dei parcheggi ( odiato pedaggio estivo)  senza alcun servizio. Basta con quel povero ristorante nell’angolo a cui scadono tutte le derrate alimentari perchè non ci va mai nessuno a consumarle. Basta…………

 

Dicevamo? Ah,  sembra intravedersi all’orizzonte un’imminente soluzione per l’antico e glorioso Lido Iride, uno dei maggiori stabilimenti balneari dell’Isola negli anni sessanta, meta di frotti  di ienti( per gli italiani: numerosissime persone ….? ) desiderose di rilassamento (di giorno) e sfiancante divertimento ( di notte), e dove il commendator Pani faceva esibire cantanti di grido del momento.

 

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Basta con le mute di cani randagi che se ti fidi  ti ni magnani vinze lu currioru (per gli italiani: te ne mangiano persino…….?). Basta con quei baretti attigui in legno, i cui avventori rischiano sempre di farsi evaporare la gazzosa nel cervello nel subire  cotanto indecoroso panorama. Basta….

 

Equindiequindiequindi, lo sconcio starebbe per terminare. Va bè, in altre occasioni son stati fatti annunci di riqualificazione del sito,

http://www.videolina.it/video/servizi/21981/sorso-rinasce-lido-iride.html

ma questa semberebbe la volta buona.

 

Ci sarebbe anche il problema di lu Dimaniu (per gli italiani: Demanio), titolare della Cosa, lu “project financing” (per i non anglofoni: privato che edifica a proprie spese ma se ne garantisce anche la futura gestione: ma perchè non parlate come mangiate, per la miseriaccia zozza?!)), la destinazione d’uso sarebbe da ben definire, “verrà dato un punteggio di premialità a coloro i quali presentino un progetto che realizzi una volumetria maggiore“( cazzucazzu?),  ma, condicio sine qua non, l’impronta archittetonica originaria  dovrà essere mantenuta. Insomma, risolti alcuni problemucci di poco conto, finalmente li sussinchi non saranno più giasthimaddi ( per gli italiani: fatti oggetto  di temende maledizioni……specialmente dai tattaresi) e derisi, almeno per questo benedetto Lido verso cui, in così tanto tempo. non si è trovata ancora una dignitosa soluzione.

 

 

Intanto che state in fiduciosa  attesa, se ne avete voglia, guardatevi ( e ascoltate, naturalmente) questo video  realizzato tre anni fa circa. Chissà che ne troviate elementi d’attualità. Saruddu a tutti

 

 

 

GAVINO PIRAS (1939 – 2006) fabèddha di li duttori chi v’èrani una vòltha in Sossu

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Quei vecchi e cari medici (*)

di Gavino Piras

Queste righe vogliono essere un doveroso riconoscimento ai vecchi e cari medici di famiglia che hanno operato a Sorso con abnegazione ed eccezionale senso del dovere.

Durante e dopo la seconda guerra mondiale, i dottori Pietro Masala ed Edmondo Lumbau esercitavano in una Sorso colpita dalla guerra e soprattutto dalla fame, che interessava gran parte della popolazione. Momenti difficili che i due medici cercavano di alleviare con grande senso del dovere, lottando giorno dopo giorno contro la disperazione e la mancanza di sicure prospettive.

Gli ambulatori di via Farina e di Corso Vittorio Emanuele diventarono un punto di riferimento per i più bisognosi.

Il dottor Angelo Fois, simpatica persona dedita al lavoro e alla famiglia, considerava il contatto umano punto indispensabile per attivare nel paziente fiducia e sicurezza. Esercitava nella parte alta del corso, angolo piazza Marginesu, nei locali oggi adibiti ad esercizio commerciale.

Diceva il dottor Michele Pais: “Più che di bisturi, c’è bisogno di capire la personalità del paziente”. Il dottor Pais soleva enunciare simpatiche conversazioni dettate dall’esperienza di una vita dedicata alla professione medica. Riceveva nel suo studio di piazza Sant’Agostino, nel centro di Sorso.

Il dottor Antonio Oggiano, a volte burbero e serioso, ma capace di dare tutto se stesso nell’espletamento della sua professione. Esercitava in via Barisone. Non ci si dimentichi che il dottor Oggiano comandava, durante l’ultimo conflitto mondiale, gli ospedali militari della Sardegna. Smise alla veneranda età di ottanta anni.

Non sono più i tempi del dottor Francesco Dessole, studio in via Cappuccini, che capiva di cosa soffriva il paziente da come scampanellava al suo portone. Tanto era simpatico incontrarlo che l’ammalato dimenticava spesso i motivi che lo avevano condotto allo studio; o come il dottor Gesumino Cattari, che riceveva in Corso Vittorio Emanuele, dal carattere allegro e gioviale, sempre disponibile verso il prossimo. Si dilettava nella pittura e amava la conversazione arguta, come solo i sorsensi sanno fare. Attualmente, a ottant’anni, vive serenamente con la sua famiglia.

Certo è che le belle chiacchierate col medico di famiglia non esistono più. Forse perché a forza di specializzarsi ad ogni costo, i laureati in medicina sono tutti dei luminari: li becchiamo al volo tra un convegno a Miami e una tavola rotonda a Londra (mai un congresso a Villanova Monteleone!), e se abbiamo una colica renale, l’unica è correre alla guardia medica, dove fanno ciò che possono per alleviarti il dolore.

Il dottor Augusto Marongiu, ambulatorio in Corso Vittorio Emanuele, dedicava molto tempo alla conversazione con gli ammalati. Confidava che era importante conoscere gli assistiti dal lato umano, appunto la psicologia al servizio della medicina, indagando nei malesseri più sottili dell’animo umano.

A Sorso, un tempo non molto lontano, esercitava il dottor Piero Quilichini, gabinetto medico in via Marogna, che ha cresciuto generazioni di sorsensi e insegnato a tante donne a fare le mamme. Intanto, come tutti i colleghi, andava a visitare i suoi assistiti a casa, voleva vedere come vivevano, ascoltava ed interpretava.

Adesso esistono i bravi dottorini, ma quanti sono quelli che oltre alle tonsille sanno guardare più a fondo, sforzandosi di comprendere le sfumature del malessere?

Però sarebbe stupido, oltre che banale, generalizzare. Negli ambulatori non incrociamo disonesti o impreparati, ma medici che fanno con serietà il loro lavoro, e non saranno, certo, alcune “esagerazioni” ad incrinare l’immagine del loro impegno quotidiano. Il fatto è che, tanto per cambiare, un sistema pachidermico ha tolto ogni personalizzazione al mestiere più difficile e bello del mondo. A questo ha provveduto la classe politica che invece di garantire ad ogni cittadino di essere curato come si deve, lo ha privato di un diritto fondamentale, quello del rispetto della dignità del malato. Non prendiamocela dunque con i dottori della mutua, ma con chi ha inguaiato loro e noi.

(*)

articolo realizzato in data imprecisata, ma posteriore al 1998

Trascrizione di GIANMARIO URGEGHE

NOSTALGIA

  

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                             NOSTALGIA

di Rita Clemente

 

 
Come nascono le conchiglie
Iridate
sulla sabbia?
La nave in lontananza
mi lasciava il suo saluto
di sbuffo bianco.
Strida di gabbiani
s’impigliavano alle violette
striature dell’ultimo sole.
E più distante, un casolare
affogava lentamente nell’ombra.
Pensavo che un braccio di mare
separava la mia voglia di vita
dalla terra del sogno.

Ora, all’orizzonte sogguardo
un’isola di palme e baobab
che non rivedrò mai più.
Sulla sabbia disegno in silenzio
le tracce del mio passo
fuggevole, straniero
E ancora mi chiedo:
da dove possono nascere
le conchiglie iridate
le stesse con cui giocavo da bambino?

Un barcone svanisce all’orizzonte
inghiottito dall’ombra:
io non ho più sogni.