Autore archivio: piero-murineddu

Avanti, per una vera scuola di vita

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di Enrico Galiano

Si, io insegnante, in classe faccio POLITICA. Il punto è che la politica che faccio e che farò non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da una qualche parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera politica.

La politica che faccio e che farò è quella nella sua accezione più alta:

come vivere bene in comunità,

come diventare buoni cittadini,

come costruire insieme una polis forte, bella, sicura, luminosa e illuminata.

Ecco perché uscire in giardino e leggere i versi di Giorgio Caproni, di Emily Dickinson, di David Maria Turoldo è fare politica.

Spiegare al ragazzo che non deve urlare più forte e parlare sopra gli altri per farsi sentire è fare politica.

Parlare di stelle cucite sui vestiti, di foibe, di gulag e di tutti gli orrori commessi nel passato perché i nostri ragazzi abbiano sempre gli occhi bene aperti sul presente è fare politica.

Fotocopiare (spesso a spese nostre) le foto di Giovanni Falcone, di Malala Yousafzai, di Stephen Hawking, di Rocco Chinnici e dell’orologio della stazione di Bologna fermo alle 10.25 e poi appiccicarle ai muri delle nostre classi è fare politica.

Buttare via un intero pomeriggio di lezione preparata perché in prima pagina sul giornale c’è l’ennesimo femminicidio, sedersi in cerchio insieme ai ragazzi a cercare di capire com’è che in questo Paese le donne muoiono così spesso per la violenza dei loro compagni e mariti, anche quello, soprattutto quello, è fare politica.

Insegnare a parlare correttamente e con un lessico ricco e preciso, affinché i pensieri dei ragazzi possano farsi più chiari e perché un domani non siano succubi di chi con le parole li vuole fregare, è fare politica.

Lo ripeto: fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te, ma spingerli a pensare.

È così che si costruisce una città migliore, tirando su cittadini che sanno scegliere con la propria testa.

Il senso più profondo, sia della parola scuola che della parola politica, è quello di preparare, insieme, un futuro migliore.

E in questo senso, soprattutto in questo senso, io faccio e farò sempre politica in classe.

Lu riccu passa sempri cu l’ inchinu, a lu pobaru li fazzini li troddhi

di Piero Murineddu

Indubbiamente un personaggio di rilievo Andrea Bonfigli, in paese meglio conosciuto come Andreuccio, per i governanti locali del tempo meritevole della titolazione, dieci anni dopo il decesso avvenuto nel 2002, della piazza dove una volta sorgeva il bar “La Gabbietta”, punto di ritrovo della intellighentzia sussinca o presunta tale.

Dopo un tentativo andato a vuoto nel 1974 di candidarsi alle Regionali nelle file del Psdi, l’anno seguente viene eletto consigliere nel Comune di Sossu. Per probabili medaglie guadagnate sul campo, cinque anni dopo, traghettato al Psi, ne diviene per 15 anni consecutivi primo cittadino.

Evidentemente, come non di rado succede, preso gusto al far politica, dopo aver guidato tre giunte in paese, il consenso ricevuto gli permette di entrare nel Consiglio Provinciale di Sassari per un altro quinquennio, durante il quale tenta, ma inutilmente, di sedere tra gli scranni ben remunerati del Senato a Roma.

Durante gli anni di Commissario Straordinario all’ Asl, numerose e numerosi suoi compaesani iniziarono ad aspettare il 27 del mese per ritirare il sicuro stipendio sborsato dalla collettività. Anche chi scrive è arrivato al pensionamento dopo aver lavorato all’ Asl, ma arrivatoci non perché nelle grazie di Saivadori Andria, ma come altre e altri sussinchi, assunti con una legge regionale per l’ occupazione giovanile, la 285, inizialmente a contratto rinnovabile presso il Comune. Una parte, rimasti dipendenti presso l’ ente locale per graduatoria e per particolare vicinanza a qualche politico, altri andati a finire (contro voglia) in altri Enti, altri ancora, per decisione personale, “emigrati” altrove, mentre alcuni rientrati in paese dopo aver dimostrato le proprie qualità in altro luogo.

Spirito goliardico e appassionato della cultura locale Andreuccio Bonfigli. A questo proposito, assisteva spesso e volentieri ai Premi di poesia Romangia. Racconta Leo Spanu, altro personaggio dalla battuta pronta e acuta, che mentre sedutogli vicino ascoltava la declamazione da parte di un poeta di un testo di particolare malinconia, ad un certo punto si sente dire a voce bassa e confidenziale: “Queste poesie sono così allegre che bisogna ascoltarle tenendosi le mani sui c…….”.

L’ ho detto: uomo di grande spirito il tre volte sindaggu di Sossu. Non so se nella sua vita abbia trovato diletto nello scrivere, siano essi diari, racconti autobiografici o di altro genere, ma per certo ha lasciato ai posteri una raccolta di versi scritti in sussincu, e se come dice Nicola Tanda nell’ introduzione al volumetto, “la parlata di Sorso, nell’ ambito di quelle sassaresi della Romangia, non si è mai esibita nell’ uso letterario, ma unicamente confinata nella tradizione orale”, il risultato dei quindici componimenti a me pare più che apprezzabile. Correttezza nello scrivere e uso di termini caduti purtroppo nell’ oblio di una memoria andandosi sempre più perdendosi.

Vengo a sapere che da poco vi è stata a Sorso la presentazione di un volume che tratta di una vicenda ambientata qui dalle nostre parti, protagonisti due giovani, Marta e Peppino, costretti ad un matrimonio combinato, probabilmente per non disperdere il patrimonio o per rimediare ad una gravidanza non prevista.

Leggendone in Rete, leggo che l’ autore, oltre l’uso dell’ italiano, abbia deciso di scrivere i dialoghi in sussincu non accompagnati dalla traduzione. Impresa assai rischiosa, specialmente se si spera di trovare lettori oltre gli stretti confini territoriali.

Per tornare al defunto Saivadori Andria, il titolo riprende la frase iniziale del testo forse più conosciuto della raccolta a cui accennavo: ” Sossu, chi sei naddu a occi a sori, isthrascinadu sottu a Sennareddu”.

Da qui

NADDI A OCCI A SORI

 

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Per onorare la memoria del concittadino e sicuramente perché affascinato da questi componimenti, un anno prima, credo negli ultimi mesi del 2021, Angelino, o per me da sempre ANGELO DELOGU, aveva a sua volta pubblicato un album di undici tracce, frutto di ben sei anni di lavoro, con lo stesso identico titolo:

NADDI A OCCI A SORI

 

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Non mi è dato di sapere se al primo che ha avuto l’ intuizione del titolo, che a me più che un dato oggettivo sembrerebbe una metafora di noi sussinchi, la cosa abbia fatto piacere o meno, e in realtà non m’ interessa neanche. Ad ogni modo, l’uscita del disco non era passata in sordina, dato più che lo stesso Comune aveva patrocinato una serata prenatalizia dove tutti i brani erano stati eseguiti davanti a un pubblico con la presenza di tutti quelli che avevano partecipato alla sua realizzazione, musicisti, cori e voci recitanti. All’interno di una rassegna organizzata nel vecchio cinema Astra rinato a nuova vita, nel marzo successivo vi era stato un live a beneficio del pubblico sassarese.

Non avendo potuto presenziare ad entrambe le occasioni, supplisco ascoltando spesso e volentieri i vari brani, e il sapere il duro lavoro che c’è stato per portarli alla luce, mi porta a dar loro un valore aggiunto.

Il libro che dicevo, realizzato da ANDREA o Andreuccio TILOCCA, anch’ egli di Sorso, non ho avuto ancora l’ opportunità di leggerlo. Chiesto nella locale Biblioteca Comunale, mi è stato risposto che non l’ hanno a disposizione.

Apro una parentesi.

So che diversi miei concittadini hanno pubblicato i loro lavori letterari. Per nominare quelli a me conosciuti, il già citato

LEO SPANU, che ha romanzato la sua infanzia vissuta in alt’Italia;

FAUSTO PIREDDA, che ultimato il suo lavoro di neurologo, aveva scoperto in età avanzata la passione per la scrittura;

GIAMPAOLO ORTU e VANNA PINA DELOGU, che ci hanno aiutati a conoscere meglio le nostre radici locali;

ANNA DEMURO, originaria gallurese ma sussinca d’ adozione, che oltre a coinvolgerci nel suo faticoso rapportarsi col marito allettato e impossibilitato a comunicare, ci ha raccontato la storia della sua famiglia attraverso la figura della mamma Catalina;

ANTONIO SPANU, primogenito della famiglia “Cittadino”, che ha messo per scritto le sue ricerche storiche sul territorio romangino;

ANTONELLO CONTINI, che ha raccontato le gesta gloriose del calcio locale;

RUGGERO ROGGIO, già responsabile della Biblioteca, che oltre il recente ‘Il re delle api’ e un altro in cui descrive situazioni umane di ordinaria quotidianità, leggo di altri lavori tutti da scoprire;

ANDREA PILO che ci ha ricordato un passato da cui attingere;

ANGELA DE STEFANIS col suo voluminoso diario col quale ha ripercorso i tanti sentimenti che hanno fatto compagnia alla sua lunga vita;

MAURO QUILICHINI, che oltre aver fatto conoscere le vicende legate alla sua famiglia nella Banca della Memoria, pagina di FB,  ha pubblicato un volume ambientato nel Medio Evo che buio come solitamente si dice non lo è se appena si fa lo sforzo di conoscerlo;

PAOLO QUILICHINI, che con piacevole sorpresa ho saputo di recente che il cervello lo usa, oltre che per comporre musica, anche per scrivere racconti brevi…da brivido.

E poi ancora pubblicazioni nate dall’ ingegno dei nostri vicini sennoresi:

ANTONIETTA DENTI, anche lei per le sue ricerche storiche sul territorio;

PAOLA ROSALINDA MARONGIU che con le sue interviste, spesso riportate anch’ esse sulla Banca della Memoria, ha stimolato gli anziani e anziane del paese a raccontare il loro vissuto e altre pubblicazioni;

GIANFRANCO FINE e ENRICO TIROTTO che ci hanno coinvolti nel travagliato amore tra Costantino e Angheledda ambientato negli tempo dell’ “Inutile Strage” qual’è stata la prima guerra mondiale;

TONINO RUBATTU di cui parte dei lunghi studi su “sa limba” son custoditi in ogni famiglia sennorese all’ interno di un dizionario sardo – italiano in due volumi fatti pubblicare a spese dell’ Amministrazione Comunale;

ANTONIO CATTA che insieme alla moglie Maria Agostina ci hanno fatto dono di entrare in punta di piedi nella loro faticosa ma arricchente storia familiare dovuta alla presenza di due figli diversamente abili….

Credo che nell’ elenco possano rientrare altri, che mi possono esser sfuggiti o che ancora non conosco.

Se non tutti, so che parte di essi hanno messo i loro volumi gratuitamente a disposizione degli amanti della lettura – che nonostante l’ avanzare dei mezzi informatici, è auspicabile vadino sempre più aumentando – nelle Biblioteche dei due paesi vicini. Ottimo e lodevole gesto per espandere maggiormente il frutto del loro pensare. Diversamente, sempreché ci sia richiesta, i volumi vengono acquistati attingendo dalle casse comunali, quindi dalle nostre stesse tasche.

Chiusa la parentesi, aspettiamo quindi, in un modo o nell’altro, di poter scorrere le pagine di questo nuovo volume di Tilocca che, chissà perché, ha il titolo identico a quell’egregio prodotto musicale di cui si diceva. Neanche una parolina in meno o in più o un termine collocato prima o dopo un altro. Mah, misteri forse insondabili, motivo per cui metto il punto finale.

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PS
Il titolo che ho deciso di dare a queste mie del tutto personali considerazioni è una frase dello stesso Bonfigli, contenuta in uno dei suoi componimenti. Motivo? Mah, diciamo che potrei allargare il discorso e scriverci su parecchio, ma non voglio tediare ulteriormente i pochi lettori di questa pagina. Di seguito SOSSU messo in musica da Angelino. Per scrivere del volume trattato, non mi rimane che aspettare di poterlo leggere..

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L’ INDISCUTIBILE BUONA FEDE DI

M I M M O L U C A N O

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Ansa, ottobre 2018

Un personaggio che ha sempre diviso il mondo politico: difeso a spada tratta dalla sinistra e da “opinion leaders” come Roberto Saviano e criticato dalla destra, con in testa il ministro dell’Interno S******. Il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, arrestato dalla Guardia di finanza e posto ai domiciliari su disposizione della Procura di Locri, ha fatto dell’impegno in favore dell’accoglienza dei migranti la sua “bandiera” politica, trasformando il borgo di Riace, altrimenti destinato allo spopolamento se non addirittura all’abbandono, una realtà viva e palpitante. E questo grazie alla presenza di centinaia di immigrati che, proprio a Riace, hanno trovato non soltanto accoglienza, ma anche un futuro grazie all’avvio di svariate attività economiche.

Un impegno che nel 2016 ha indotto la rivista americana “Fortune” ad inserire Mimmo Lucano nella classifica dei 50 personaggi più potenti nel mondo. Lucano, però, non ha mai voluto amplificare tanto consenso e la popolarità che gli é derivata dal suo impegno. “Ringrazio tutti – ha detto in un’occasione – ma quello che voglio dire semplicemente é che quello che viene da Riace, con la nostra esperienza di accoglienza realizzata in un paese povero e abbandonato dell’interno della Calabria, é un messaggio di umanità che può essere preso come esempio da tutti e replicato in qualsiasi altra parte del mondo, se solo si ha la volontà di farlo e se si é spinti da un vero senso di altruismo e di solidarietà”.

Il segnale più evidente della polarità raggiunta da Lucano viene dalla decisione della Rai di realizzare una fiction su di lui. Una fiction bell’e pronta, che é stata però riposta in un cassetto, e lì giace ormai da mesi, nel momento in cui si é appreso dell’inchiesta che la Procura della Repubblica ha avviato su presunti illeciti di cui Lucano si sarebbe reso responsabile nella gestione dei finanziamenti governativi per l’accoglienza dei migranti. La sospensione della fiction da parte della Rai ha suscitato a suo tempo l’amarezza dello stesso Lucano. “Sono assolutamente rispettoso delle decisioni che saranno prese dalla magistratura”, ha commentato all’epoca il sindaco. “Quello che posso dire é che così come rispetto le decisioni della Rai in merito alla fiction non riesco però a capire quale sia il collegamento tra il programma e l’esito dell’inchiesta”.

Tra le iniziative “inventate” da Lucano in favore dei migranti anche una “moneta”, sotto forma di banconote fatte stampare dal Comune, per effettuare acquisti di generi di prima necessità nei negozi appositamente convenzionati con l’ente. I titolari dei negozi venivano poi rimborsati dal Comune nel momento in cui arrivavano i fondi europei per l’accoglienza dei migranti. Sulle banconote Lucano fece stampare le foto di personaggi-simbolo, come Che Guevara a Martin Luther King.

Lucano é anche arrivato ad attuare lo sciopero della fame per protestare contro la sospensione dei finanziamenti governativi a sostegno del progetto di accoglienza dei migranti a Riace. Sospensione scaturita anche da un’ispezione effettuata dalla Prefettura di Reggio Calabria. “Ho deciso di fare lo sciopero della fame – ha affermato in quell’occasione – perché stiamo subendo una grave ingiustizia. Vogliono penalizzare Riace. Siamo ad un punto di non ritorno. E’ una grave discriminazione quella che si sta portando avanti ai nostri danni. Se si vuole chiudere con l’esperienza di Riace, bene: lo si dica a chiare lettere senza fare riferimento ad anomalie burocratiche”.

Il suo impegno in favore dei migranti lo ha spinto ad assumere iniziative clamorose anche in occasione di vicende politiche importanti come quella della nave “Aquarius”, senza porti nel Mediterraneo. “Siamo pronti ad accogliere subito, in cambio di nulla – disse in quell’occasione – tutti i minori non accompagnati e le donne in stato di gravidanza che si trovano sull’Aquarius. Sono sicuro che la rete di solidarietà internazionale non ci lascerà da soli”.

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IL CORAGGIO DI NON AVERE PAURA DI
M I M M O   L U C A N O

Intervista di Gianfranco Falcone per “mentinfuga.com”,Aprile 2023

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D
Chi è Mimmo Lucano?

R
Non lo so come mi devo definire, per me stesso non riesco. Forse la definizioni che potrei dare è quella che esce da quello che ho fatto, da cui poi esce qual è l’indole. Sono abituato a rispondere agli impulsi così che mi vengono, anche assecondando un livello emozionale. Così mi sono regolato in tutte le cose, più o meno. Sbagliando, facendo cose giuste. Questo non lo so. Non mi piace avere presunzione in nessun modo. Sono convinto che agire significa avere anche tantissimi dubbi, credere di poter sbagliare anche quando c’è il massimo della convinzione che magari stai facendo una cosa giusta. Sicuramente non ho guardato a me stesso, penso di tenere molto in considerazione la collettività, il noi più che ciò che riguarda la singola persona. Tutto questo alla fine forma il carattere, forma il bagaglio delle esperienze. Ci tengo a parlare un linguaggio che permetta all’interlocutore di farsi un’idea più puntuale di quella che potrebbe essere la mia indole politica. Sicuramente non appartiene a categorie privilegiate, a dimensioni private rispetto al collettivo, rispetto al pubblico. Non ho scelto di andare dove sono allocati i poteri forti. Io ho scelto anche da sindaco di stare istintivamente dalla parte del popolo, di stare dalla parte collettiva, di non sentire per nulla il fatto che mi sono trovato a rappresentare la cosiddetta autorità istituzionale. Anzi l’ho vissuta con molta conflittualità.

D
Quando e perché ha iniziato a occuparsi di migranti?

R
Sono contento che lei mi faccia questa domanda. Questa stessa domanda dovrebbe essere posta ai tanti che si occupano di immigrazione. Con una domanda come questa lei e tanti altri potrebbero capire tutto della mia vicenda. Ho avuto a che fare con tanti avvocati che mi volevano difendere, che volevano occuparsi della mia vicenda giudiziaria. Ma solo Giuliano Pisapia mi ha detto: «ma tu perché ti sei occupato di migranti?». E lì ho cominciato a rispondere «ma io neanche me lo ricordo. Ho avuto sempre interessi di impegno sociale e politico nel mio territorio, fin da quando ho frequentato le scuole superiori a Roccella Jonica. Facevo parte dei collettivi studenteschi, facevo parte del Circolo popolare “Salvador Allende”. Poi ho focalizzato bene anche il senso della domanda. Allora posso dire che io mi sono occupato di migranti perché c’è stato uno sbarco tanti anni fa sulle spiagge di Riace, di profughi provenienti dal Kurdistan iracheno, turco, siriano e iraniano. Questo è stato per me l’inizio di un interesse che si è trasformato in una passione, in una missione. Mi ha catturato tutto il tempo, mi ha fatto entrare in una dimensione che mi ha portato a conoscere meglio il mondo, le relazioni, a riconsiderare anche l’impegno politico. Mi hanno dato una spinta sul piano emotivo i Curdi. Erano fortemente motivati dal sogno di un Kurdistan libero, ed erano sostenuti da un’analisi storico politica molto puntuale e dall’impegno, soprattutto quelli del Kurdistan turco, legati anche ad una dimensione di anticapitalismo, di anti liberismo. Ho proprio avuto un’empatia politica. Poi a Badolato ho conosciuto Dino Frisullo,attivista, politico e giornalista italiano. Badolato è un piccolo comune della provincia di Catanzaro, più o meno come Riace, dove era avvenuto un grande sbarco, quasi mille persone sulla nave Ararat. Due anni dopo a Riace abbiamo vissuto lo stesso sbarco. Io mi ero interessato, mi affascinava il fatto di ripartire dal riscatto dei luoghi abbandonati, dalle periferie, da quelle che nessuno più vuole considerare come importanti per i processi di sviluppo locale. Questo si collegava bene con l’idea di tentare di rigenerare i luoghi. E questo non può avvenire se non c’è presenza di persone. Non ci può essere un asilo senza bambini, non ci può essere una scuola senza bambini, non ci può essere nulla, nessun servizio. Alla fine diventa fine a se stesso. Per cui bisognava costruire quella comunità. Lo sbarco è sempre un evento tragico per le persone che lo subiscono. La loro vita è sempre appesa ad un filo. Quello sbarco è stato per me la svolta della mia vita. Ecco perché mi sono interessato di immigrazione.
In quel periodo ho conosciuto un’altra persona per me straordinaria, monsignor Bregantini, il vescovo di Locri, l’attuale arcivescovo di Campobasso. Riace è parrocchia della diocesi di Locri. Ci sono state delle combinazioni. Sembra che doveva andare in quel modo. Lo sbarco è avvenuto all’alba di un mattino d’estate e monsignor Bregantini disse una frase, che tanti anni dopo ha detto Papa Francesco «aprite un convento». Quello sbarco è stato gestito in maniera emergenziale dalla Croce Rossa ma nella Casa del Pellegrino, che è distante due chilometri dal centro abitato di Riace. La mattina avevo visto tutte quelle persone che risalivano dal mare. Al pomeriggio ero andato là, ho conosciuto il vescovo e sono diventato un assiduo frequentatore della Casa del Pellegrino. Ho fatto il volontario per quasi tutta l’estate. Ho conosciuto tutti i curdi e con loro ho immaginato un’idea di riscatto che rivendicasse giustizia, rivendicasse opportunità per i nostri territori, che rivendicasse il senso della giustizia per le persone che sono obbligate a subire le decisioni di guerra, le ingiustizie, ad andare via dalla loro terra con un biglietto di sola andata. Ecco il mio interesse per l’immigrazione. Poi ho capito che in luoghi come Riace, che appartengono alle cosiddette aree fragili, non ci vuole molto per fare un’analisi sociologica, per capire che le comunità senza bambini hanno un destino segnato. Quello sbarco è stata una grande speranza per Riace. È così che è nato il Paese dell’accoglienza.

D
Si è spesso parlato di modello Riace. In che cosa consiste questo modello? È un modello ancora proponibile?

R
Modello Riace perché per quello sbarco aveva trovato alcune persone come il vescovo con un’idea evangelica e come me che provenivo dall’impegno sociale, politico. Il modello Riace perché a un certo punto dopo una fase iniziale in cui c’era molto scetticismo, tutti i comuni vicini guardavano a Riace come a un esempio di comunità che rinasce, dove c’è di nuovo la scuola, dove c’è di nuovo l’asilo, dove ci sono i laboratori, dove le botteghe e le cantine abbandonate diventano laboratori di artigianato e riciclo, dove c’è il turismo solidale, dove c’è la fattoria sociale, e molto altro. Tutto questo in un luogo anche dominato da interessi di mafia. Così prende forma questo modello che non è altro che l’accoglienza diffusa, l’utilizzo delle case dei borghi abbandonati, creando una dimensione sociale in cui non ci sono i luoghi degli immigrati, i luoghi del degrado urbano. Ma c’è una connessione con la comunità locale, un’interazione in cui tutti partecipano ad un senso di resistenza, di riscatto, nell’immaginare un futuro migliore, un futuro fatto anche di pace e di fratellanza. Ecco, questo è il senso più autentico del modello Riace.

D
È ancora proponibile come modello?

R
La vicenda giudiziaria che si era conclusa in primo grado con una sentenza assurda di tredici anni e due mesi ha generato una forte indignazione. Il senatore Luigi Manconi, con l’associazione A Buon Diritto di cui è presidente, ha acceso una luce. Ed è stata una cosa a cui in quel periodo mi sono aggrappato. Ha promosso una raccolta fondi finalizzata inizialmente al pagamento della mia sanzione pecuniaria, perché oltre agli anni di carcere dovrei pagare una sanzione economica. Ovviamente alla fine dei tre gradi di giudizio. Dopo una fase iniziale, in cui mi ero smarrito un po’ ed ero sconvolto per l’esito dell’esame del primo grado, ho deciso che questa multa non la voglio pagare. Sono andato a Roma, ho incontrato Luigi Manconi, l’ho ringraziato e gli ho detto: «sarò sempre riconoscente, però i soldi per pagare le multe non li voglio, non li posso accettare. Utilizzali per scopi umanitari o sociali, utilizzali con la tua associazione». Lui mi ha risposto che non poteva farlo. Perché nel testo per le donazioni c’era scritto “Una donazione per Mimmo”. Allora ho pensato che Riace ha la mission dell’accoglienza, certo non con i numeri di quando io ero sindaco, tante persone si sono fermate e questo è un indice anche delle capacità di integrazione di quel modello. Perché l’accoglienza non deve essere solo un mordi e fuggi o una fase emergenziale, in cui si spendono le risorse solo prevalentemente per consulenze e per aspetti burocratici. Questa è stata la differenza, il motivo per cui il modello Riace è stato così eclatante. Perché le persone che arrivavano vedevano un protagonismo da parte dei rifugiati, che poi non se ne sono andati. Tanti sono rimasti soprattutto nel borgo che noi abbiamo chiamato Il Villaggio Globale, dove abbiamo trasferito in accordo con il vescovo i migranti che erano sbarcati e che erano stati temporaneamente ospitati nella Casa del Pellegrino. Li abbiamo trasferiti nella comunità locale utilizzando le case, dopo averne censite tantissime e chiedendone l’utilizzo ai proprietari in Argentina o in America e così via. Pensando a tutto questo ho chiesto a Luigi Manconi di utilizzare i soldi raccolti per riorganizzare l’accoglienza. In parte questa richiesta è stata accolta. A Riace oggi ci sono almeno cinquanta, sessanta persone nel Villaggio Globale con tutti i servizi, la mensa sociale, la scuola, l’asilo per i bambini rifugiati, la fattoria sociale dove ai rifugiati vengono assegnati dei ricoveri per gli animali domestici. Ci sono tante cose, e quando uno arriva anche oggi a visitare Riace rimane un po’ meravigliato. Perché tutti pensano che la vicenda giudiziaria sia stata un terremoto che abbia raso al suolo ogni cosa. Ma io la vedo così: la vicenda giudiziaria vuole affermare “Ma tu come ti sei permesso? Come ti sei permesso di fare circolare l’idea che è possibile un atteggiamento di umanità per i rifugiati o per altre categorie? Questo non può essere consentito. Come ti sei permesso? Questa è una cosa molto pericolosa”. Tutti pensano, sotto la spinta mediatica, che giorno dopo giorno tanti subiscono in maniera inconsapevole, che una legge sull’immigrazione deve essere per forza punitiva o restrittiva. Ma perché non può essere invece migliorativa?

D
La somma raccolta dall’associazione A Buon Diritto ammonta a 400.000 euro. Per quanto vi servirà?

R
Quella somma è una tantum e ci servirà almeno per tre anni. Ora a Riace ci sono famiglie africane, dall’Eritrea, dalla Nigeria.

D
Se dovesse tornare indietro cosa correggerebbe nel suo approccio alla città, ai migranti, alla comunità? Cambierebbe qualcosa?

R
Dopo tutto quello che è accaduto sarebbe facile dire ho sbagliato qua ho sbagliato là. Però credo che quando stai operando, non te ne accorgi, è quasi fisiologico che vai incontro a delle conseguenze negative. Non sono pentito di aver fatto tutto quello che ho fatto. Sono contento e rifarei esattamente le stesse cose. Per quanto riguarda quello che mi dovrà accadere di una cosa sono certo. Non voglio sconti da nessuno, non voglio commiserazione. Certo ho il sogno di essere assolto, di tornare a non avere quel senso di peso che ogni giorno mi porto dietro. È come se fossi in libertà provvisoria. È atroce. Però se devo subire lo farò. Non sono niente meglio degli altri, di quelli che soffrono anche ingiustamente.

D
Lei adesso è in regime di libertà provvisoria con obbligo di residenza a Riace?

R
Io sono libero completamente. Dico però che in primo grado sono stato condannato a tredici anni e due mesi. Adesso sono nella fase dell’appello. Poi ci sarebbe la Cassazione.

D
La sentenza di primo grado la dipinge come il re degli impostori e dei truffatori, una sorta di Al Capone. Al contrario, alcuni esponenti delle istituzioni e molti della società civile la considerano un modello di virtù civica. Perché questa disparità di visione?

R
Intanto credo che la sentenza non si può basare su valutazioni personali del giudice, che senza prove dice cose che anche io potrei dire su di lui. Sulla base di che cosa? Per giustificare una condanna e per inserire nell’opinione pubblica una forma di denigrazione che sconvolge quello che uno può rappresentare come speranza. Io avevo detto: «attenzione è possibile una dimensione umana, una risposta dolce dell’accoglienza». Questo è l’aspetto centrale di tutto. È anche accaduto che lo stesso giudice rivolgesse una domanda al colonnello della Guardia di Finanza: «ma Lucano quali interessi economici ha avuto» e il colonnello rispondesse «Lucano non ha avuto nessun interesse economico». E che il giudice replicasse: «ma il suo interesse magari era politico» e il colonnello aggiungesse: «per lui l’accoglienza è una cosa ideale». Il colonnello ha avuto nelle mani tutta la fase di investigazione. Questo lo sta dicendo la persona che ha portato tutta la documentazione, i risultati di tutta la fase di indagine che dura da anni. Sono stato sospeso da sindaco, ho subito le misure cautelari. La Cassazione aveva detto che non era giusto. Comunque l’obiettivo vero non è questo, ne sono convinto e nessuno mi potrà impedire di parlare. Non ho paura per niente. Sono pronto a sfidare qualsiasi cosa. Però il mondo deve sapere il motivo vero per il quale penso di avere subito tutte queste cose. Il vero motivo è a livello mediatico. Vogliono demolire un’immagine o meglio un messaggio, che è possibile la dimensione umana, che è connaturata ad una parte politica anziché ad un’altra. Un’altra che parla solo di chiusura, di misure di sicurezza, di ordine.

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In Italia il dibattito sulla sua persona è viziato da posizioni ideologiche che sono assenti all’estero? Ricordo alcuni elementi: nel 2010 lei si è posizionato terzo nella World Major, un concorso mondiale che stila la classifica dei migliori sindaci nel mondo. Nello stesso anno è comparso al 40º posto nella lista dei leader più influenti stilata dalla rivista americana Fortune. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha chiesto una condanna a dieci anni e cinque mesi, con una riduzione di soli tre anni rispetto alla condanna di primo grado. I suoi legali, nel ricorso contro la sentenza di primo grado, tra l’altro, lamentavano un approccio teso a trovarla colpevole ad ogni costo. Si sente un perseguitato?

R
Non voglio dire queste parole perché diventano dei luoghi comuni. Quando uno subisce la prima cosa che dice è: io sono innocente. Non voglio dire questo. Se ho sbagliato sono pronto a pagare, a testa alta. Non ho nemmeno rancore per i giudici che mi hanno condannato. Però io sono convinto che non vogliono me, vogliono colpire il messaggio che è venuto fuori. “Io non mi potevo permettere”. Allora l’unico modo non è la condanna perché l’opinione pubblica è schierata apertamente verso la mia parte. Tutti hanno capito che le cose che hanno scritto sono distanti anni luce dalle realtà. C’è una distanza abissale da come vengono dipinte le cose, dalle motivazioni della sentenza. Perché poi quelle motivazioni? Che senso ha? Tu mi devi condannare sulla base dei reati che ho commesso, non sulle supposizioni. È una cosa impari, non giochiamo ad armi non pari. Tu mi accusi e te lo puoi permettere perché tanto io sono il reo. Non va bene questo. Quando mi hanno revocato le misure cautelari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono tornato nel mio comune, istintivamente ho continuato a fare, anche grazie ai premi che ho ricevuto. Comunque la cosa che vorrei che si evitasse è il più possibile un aggiustamento delle cose per darmi pochi anni. No. Questa non è la giustizia che voglio. Io preferisco fare venti anni e anche di più ma con orgoglio, a testa alta. Non hanno dimostrato nulla, non ho ammazzato nessuno, non ho rubato, non faccio parte di circuiti della criminalità organizzata, non ho fatto parte di nessun altra organizzazione. Ho dato la vita per il riscatto della mia terra, ho immaginato un’umanità altra. Anche l’impegno politico è stato in questa direzione.
A un certo punto una mattina ad un’udienza in tribunale il pubblico ministero ha detto che aveva trovato il movente, dopo che il colonnello si era espresso dicendo che io non avevo interessi economici. Il pm ha voluto dire che il mio interesse era politico. «Avete visto Lucano si è candidato», e a tale proposito voleva depositare agli atti del processo un articolo di giornale che il giudice non ha accettato. C’è un’altra cosa. Nel corso del dibattito processuale. Il 19 dicembre del 2019, mi è stato notificato che il pm voleva processarmi in un processo altro, non nello stesso processo per il quale sono stato condannato e per il quale siamo nella fase di appello. Mi voleva processare per falso in atto pubblico perché avevo rilasciato una carta di identità in qualità di sindaco, ma anche di responsabile dell’ufficio amministrativo del mio Comune. Nei comuni sotto i tremila abitanti il sindaco può avere questa funzione. Tra l’altro era andato anche in pensione il responsabile dell’ufficio. Mi voleva condannare per falso in atto pubblico perché ho rilasciato la carta d’identità a un bambino di quattro mesi, portato quella mattina dalla madre e dalla coordinatrice di un progetto Sprar, perché avevano bisogno della tessera sanitaria. Era arrivato alla prefettura di Reggio Calabria e aveva un piccolo problema, un deficit enzimatico. Bisognava scegliere il medico specialista, un pediatra, ma senza il documento di identità questo non poteva avvenire. Si doveva accontentare dell’Stp, tessera per l’emergenza sanitaria. E gliel’ho fatta, però il bambino non aveva il permesso di soggiorno. E mi voleva processare. Il giudice non ha accettato, ma poi mi ha condannato anche sulle carte di identità. Perché il pm vuole fare un altro processo? Perché probabilmente il processo ordinario in corso non era soddisfacente per la Procura. Un’altra cosa. C’è un elemento di moralità, se questa parola vale per la giustizia. Come mai non è stato mai aperto un procedimento giudiziario per Becky Moses, una ragazza nigeriana di 26 anni che era in accoglienza a Riace in un progetto Cas convenzionato con la Prefettura di Reggio Calabria e poi interrotto? Becky Moses è dovuta andare nella baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno, dove ha trovato la morte in un incendio, nelle condizioni di assoluto degrado ambientale di quelle baraccopoli, in una sera d’inverno del gennaio 2018. Mai nessuno ha aperto un procedimento giudiziario. Perché? Come mai volevano farmi un altro processo? Semplicemente perché ho fatto una carta d’identità a un bambino di quattro mesi che lo necessitava per la tessera sanitaria? È facile prendersela con me. Lo sa perché non hanno mai aperto un procedimento giudiziario?

D
Perché non è stato mai aperto?

R
Ero responsabile legale del comune di Riace in quanto sindaco. Nella baraccopoli di San Ferdinando, dove vivono più di tremila persone in uno spazio ristretto, in condizioni di assoluto degrado ambientale, di disagio abitativo da baraccopoli, d’inverno, senza luce, senza acqua, senza gas, senza servizi igienico sanitari, lei pensa che c’era qualcuno che formalmente era responsabile o no? Io dico che c’era questo qualcuno.Siccome Becky Moses è morta bruciata viva come mai non è stato aperto nessun procedimento giudiziario? Addirittura è rimasta sei mesi nell’obitorio di Palmi, quello che rimaneva delle sue ossa in una cassettina di legno. Poi l’hanno portata a Riace. Nessuno la voleva nemmeno dopo dopo la morte. Io penso che era per proteggere i responsabili altolocati. Chi era in quel periodo responsabile della baraccopoli di San Ferdinando? Soprattutto era l’ex prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari, che poi S****** ha nominato come capo dipartimento alle libertà civili e all’immigrazione. Michele Di Bari era arrivato il primo settembre 2016 a Reggio Calabria come prefetto e anche, come dice formalmente il dispositivo di nomina, come commissario straordinario per l’emergenza San Ferdinando.

D
Mentre le sue vicende giudiziarie continuano, a Cutro sono morte circa cento persone, uomini, donne e bambini in un naufragio dai contorni poco chiari. Che cosa ne pensa di questa vicenda e quali sono le responsabilità dell’Europa. Sempre ammesso che ne abbia?

R
Intanto mi sono molto rattristato e molto amareggiato perché in questi anni la vicinanza mi ha portato a vivere queste cose in maniera diretta. Può immaginare che cosa significa cento persone morte, tra cui tanti bambini. È come un bollettino di guerra. Persone che cercavano, come quelle che sono venute a Riace, di vivere, di ricostruirsi un’altra vita possibile, lontano dalle persecuzioni. Sarebbe fin troppo facile infierire in circostanze così su quelle che potrebbero essere le responsabilità. Però siamo arrivati al punto in cui c’è quasi una forma di assuefazione alla morte, al dolore. Penso che anno dopo anno l’egoismo ha occupato centimetro dopo centimetro tutti i nostri spazi. Per anni è imperversata questa cultura dell’odio razziale, è imperversata la cultura di chiudere i porti, l’orgoglio di aver ridotto l’immigrazione, di avere lasciato le persone vagare nel mare, di aver ridotto i numeri. Invece non è vero per niente perché stanno aumentando a dismisura. Non è con la repressione che si risolvono i problemi. Intanto bisogna comprendere che finché il mondo sarà attraversato da queste evidenti ingiustizie, da queste fortissime disuguaglianze il fenomeno delle immigrazioni sarà un fenomeno globale inarrestabile. Provocato soprattutto dai Paesi occidentali, che anche nella storia con le loro politiche coloniali e neo coloniali hanno imposto regimi. Abbiamo venduto armi, abbiamo venduto guerre, abbiamo venduto morte. Le persone che arrivano sono il prodotto delle nostre nostre azioni che inevitabilmente producono quello che producono. Le persone che arrivano sono solo le vittime predestinate di un massacro che si verifica anno dopo anno, che ci sorprende solo quando si verificano queste cose. Poi l’atteggiamento di questo governo ci ha lasciato senza parole. Mentre il mare riportava a galla i corpi hanno pensato di… non voglio dire niente di più.

D
La Fortezza Europa. Alcuni studi rilevano il continuo fabbisogno di manodopera straniera. Ad esempio durante il Covid aziende agricole italiane organizzavano voli per andare a prendere in Tunisia e Marocco manodopera specializzata per il lavoro nei campi. Perché l’Europa ha così tanta paura dei migranti e continua a pagare nazioni come la Turchia per tenerli lontani dai propri territori?

R
Che cosa facevo io a Riace? Se le persone di Riace se ne vanno, se c’è l’emigrazione, se si chiude la scuola, se non si può giocare più a calcio perché non ci sono più bambini, se non ci sono più i ragazzi che vanno a scuola, se non c’è quello che vende i libri, che senso ha mantenere una comunità? Ecco perché dicevo venite a Riace. I prefetti del ministero dicevano vai a Riace. Guardate che vi accettano a Riace. Io avevo cominciato così. Il decreto flussi addirittura a un certo punto lo hanno chiuso completamente. Abbiamo creato la Fortezza Europa, ogni Stato ha alzato i muri più alti, c’è stato uno scarica barile, la responsabilità è di Malta, è della Spagna, della Francia, dell’Austria, dell’Ungheria, dell’Italia. Ci sono stati anche aspetti mediatici, che hanno occupato i nostri spazi. L’industria della paura ha sconvolto la nostra psiche fino a un punto di non ritorno. Ognuno pensa di stare bene con sè stesso, non ha la capacità di immedesimazione nel disagio vissuto dagli altri. Quando manca questa empatia, quando manca alle persone che hanno responsabilità di governo o di altro è pericoloso.

D
Che cosa potrebbe aiutare la Calabria ad uscire dall’isolamento socioculturale in cui si trova?

R
Prendiamo ad esempio alcuni dei problemi della regione, la ndrangheta e la questione sanitaria.Io ho fatto il sindaco di un piccolo comune, e ho cercato di recuperare il concetto di comunità, di dare delle risposte anche per quanto riguarda il settore dei rifiuti, dell’acqua, perché c’era stato il referendum sull’acqua bene pubblico. Sin da subito avevo capito che è inutile assumere toni vittimistici o delegare responsabilità, anche rispetto all’impegno e al messaggio che si può trasmettere ai cittadini. È inutile pensare che la responsabilità è del Governo, della Regione, sempre di qualcun altro. Dobbiamo ripartire dall’orgoglio di quello che significa il riscatto della nostra terra. Lei ha detto due argomenti che sono la materia viva. Proprio perché il problema della sanità è drammatico. È diffusa nell’opinione pubblica, ma a giusta ragione, che quando ci sono delle questioni importanti bisogna emigrare, bisogna andare negli ospedali del Centro-Nord. Perché da noi anno dopo anno gli ospedali sono stati chiusi. Se prima c’era la copertura sanitaria adesso si è ridotta. La sanità in Calabria è sempre commissariata. Poi c’è il problema della mafia. La Calabria ha una storia con la ndrangheta come la Sicilia e la Campania. Sono le regioni del Sud dove è più evidente il condizionamento, il fenomeno pervasivo di cosa significa occuparsi anche di aspetti collettivi, di aspetti di comunità. Io come sindaco ho fatto un lavoro forte perché da subito avevo capito che utilizzare mezzi termini o cercare dei privilegi rispetto al ruolo che avevo, diventava un esporsi in maniera pericolosa. Quello le mafie lo sanno fare meglio. Ho avuto sempre la percezione molto alta che bisogna avere il coraggio di non avere paura. Ad esempio i beni confiscati rappresentano una cartina di tornasole molto evidente. Là non ti puoi girare da un’altra parte, dire sto a metà. O partecipi come Comune o praticamente sei ossequioso verso le persone di mafia. I beni confiscati se tu stringi esce sangue, sangue. Andavo da solo come rappresentante del Comune all’agenzia che a Reggio Calabria cura la concessione dei beni confiscate alla mafia. Così a Riace Marina abbiamo avuto la disponibilità di otto appartamenti sul mare più un ristorante. Un giorno un funzionario mi disse “Sindaco, lei si espone troppo. Deve stare più attento. Glielo dico nel suo interesse”. Risposi “Non si preoccupi”. Ma sapevo benissimo che cosa significa fare il Sindaco nei nostri territori.

D
Crede che l’autonomia differenziata sia solo una favoletta inventata per scopi elettorali? Può aiutare a gestire i territori o sarà una secessione dei ricchi?

R
L’ultimo parola che ha detto, è più vero quello. Anche se non mi piace questa lamentela, questa rivendicazione continua. Noi siamo stati sempre dentro questo regime di sudditanza rispetto ai territori del Nord, siamo consapevoli di questo. Anche il ponte di Messina. Come mai c’è questo interesse? Lei dovrebbe ascoltare quello che diceva qualche anno fa S****** quando sosteneva la causa che non si doveva fare per non portare capitali al Sud. Invece adesso è uno dei più accaniti sostenitori del ponte, un’opera che non serve a niente, che sicuramente distruggerà uno dei siti del Mediterraneo più belli, come paesaggi. Opera che è portata avanti perché ci sono investimenti soprattutto dei grandi capitali del Nord, dell’industria dell’acciaio, probabilmente il bacino elettorale più vicino al governo.

D
Nel 2005 aderisce a Recosol, Rete dei Comuni Solidali. Nel 2006 organizza il primo convegno degli oltre 100 amministratori della rete. A quali idee ha guardato con interesse?

R
Sono stato a Polizzi Generosa perché c’era l’assemblea nazionale di Recosol. Siccome a Riace da qualche anno c’era l’accoglienza diffusa con i Curdi, e con altri rifugiati che provenivano dall’Africa subsahariana. Avevo capito che le dinamiche politiche erano molto in connessione con quello che accadeva nel mondo. Nell’insieme Riace è un puntino proprio nascosto, nemmeno evidenziato sulle cartine geografiche. Però mi interessava molto questa connessione con un qualcosa che guardava oltre. La nostra lista nel 2004 l’abbiamo chiamato Un’altra Riace è possible. Si ispirava ad un forum a Porto Alegre che c’era stato qualche anno prima sull’economia sociale e solidale. E poi i temi anche della solidarietà internazionale. Poi la storia di Recosol era cominciata a Carmagnola, dove era stato istituito l’assessorato alle politiche e alla cooperazione internazionale. Mi interessava. Sapevo che era utile, anche per le vicende che stiamo attraversando, per la possibilità di non rimanere esclusivamente dentro un territorio, che può diventare mano a mano un luogo asfissiante. Bisogna conoscere bene anche che cosa significa fare il sindaco in aree dove da una parte ci sono passioni e si può immaginare il riscatto. Ma dall’altra parte bisogna fare i conti con la realtà, con un impegno molto molto forte e con la percezione che tutto si può creare Poi magari può capitare anche quello che mi è accaduto in questura. Ricordo che c’era l’ispettore che mi diceva: «Io non so come fare, più di quasi centosessanta minori non accompagnati in un giorno sono arrivati a Riace. Per me è difficile organizzare. Sindaco, sono tanti giorni che sono nel palazzetto dello sport. Non lo so come devo fare. La Prefettura mi ha detto di collocarli da qualche parte. Le chiedo di aiutarmi». Alla fine io l’ho fatto. Mi sono impegnato per collocare questi ragazzini che venivano dalla Tunisia, dell’Algeria, del Nord Africa prevalentemente, ma anche dell’Africa subsahariana. L’ispettore alla fine mi ha detto: «un giorno invece di ringraziarci ci creeranno anche dei problemi». Non si era sbagliato.

D
Che progetti ha adesso?

R
Adesso sono impegnato sul piano emotivo per quanto riguarda questo processo, perché mancano pochi mesi. Ovviamente questa è una svolta per la mia vita. Da quello che dicono gli avvocati l’appello e la cosa più importante. Poi c’è la Cassazione, però poi lì si riduce la speranza e aumenta il livello della tensione. Poi sono impegnato perché un regista di Roma vuole fare un film anche inserendo, e questo per me è l’aspetto più interessante, la legge 18 del 2009. È una legge regionale che si ispira al modello Riace. Infatti si chiama legge Riace che aveva ottenuto anche un riconoscimento dell’Alto Commissariato dei Rifugiati, e che è rimasta lettera morta. Attraverso questo film vogliono riaprire il dibattito. Devo andare a Bologna perché ci sono dei giuristi, delle persone anche molto impegnate sul piano politico, che hanno fatto un libro Processo alla solidarietà, ed è il caso Riace. Sono impegnato con i tanti rifugiati che ci sono nel Villaggio Globale. Vorremmo portare avanti un’iniziativa che riguarda la fattoria sociale. Andiamo avanti con questo fondo Manconi ma anche con il Banco Alimentare. Ma il latte il Banco ce l’ha scremato da quando c’è la guerra in Ucraina. Allora abbiamo pensato di comprare due mucche e la sera portare al Villaggio globale il latte per tutti i bambini rifugiati che sono tanti. Sono impegnato in questo adesso.

D
Sua moglie ha il suo stesso coraggio?

R
Con mia moglie dopo 29 anni ci siamo praticamente separati senza un motivo autentico. É andata via da Riace. Questo per me è il rammarico più grande. Perché ho fatto male alla mia famiglia. Sono convinto di questo, e questa consapevolezza mi rattrista quando ci penso.

Io sto con Mimmo 24

di Domenico Lucano

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Sono stato condannato in primo grado e se confermano la condanna in appello sarà una pena molto alta.Non ho mai detto di essere innocente rispetto a quello di cui mi accusano. Voglio mantenere il mio orgoglio.

Il mio auspicio è quello di essere assolto, ma se questo non dovesse accadere, io non preferisco che mi riducano la pena, non voglio commiserazione o pietà.

La mia è una storia che appartiene a tutti. Con orgoglio voglio questa condanna. Questo sarà lo scandalo e non lo sconto per mettere tutto nel silenzio, perché se non ho ammazzato, rubato, non appartengo alle mafie, per cosa mi state condannando?

A proposito di quanto accaduto a Cutro, l’omissione di soccorso è alla base di questo ennesimo dramma, perché in quei casi bisogna intervenire anche mettendo a rischio la propria vita.

Quello che sta accadendo a livello politico, che accade da tempo, è l’atteggiamento della criminalizzazione della solidarietà. Sta avvenendo adesso, ma è successo già in passato. Diventa importante ai fini della propaganda politica.

Quella di respingere i migranti, però, non può essere una visione umana o cristiana. S****** può recitare quanti Pater Noster vuole, il loro modo di fare appartiene ad una dimensione della politica in cui vi è un tentativo di costituire una società dell’odio e della disumanità.

Indovina chi applaude allo sgombero di Valle della Luna?

di Costantino Cossu (ilmanifesto.it)

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Valle della Luna, l’ultima spiaggia. È dai primi anni Sessanta che questa piccola cala di rocce bianche e di mare di smeraldo nel nord della Sardegna è uno dei luoghi di ritrovo della comunità hippye. Continua a esserlo a una distanza di tempo siderale da quando il movimento è nato negli Usa come forma di controcultura, come protesta pacifica contro le convenzioni e le regole di un mondo chiuso in un conformismo che maschera, dietro una facciata di perbenismo, ipocrisia e violenza.

Tutte le estati questa minuscola striscia di sabbia a pochi chilometri da Santa Teresa di Gallura, sul lato est del promontorio di Capo Testa, accoglie alcune decine di ragazze e di ragazzi che nei valori libertari di una stagione lontana ancora si riconoscono.

Piantano tende e costruiscono capanni, in una dimensione comunitaria che con i suoi riti, con le sue regole, marca i confini di una radicale presa distanza dal mondo. Dal mondo così com’è fatto: diserzione dallo stato presente delle cose.

Stanno lì, nel loro rifugio lunare, costruito su un pianeta alieno in un angolo nascosto delle coste sarde al quale si arriva attraverso un piccolo sentiero in mezzo al mirto e all’elicriso. Non chiedono altro che di essere lasciati liberi di vivere la loro dimensione altra. Il mondo così com’è potrebbe ignorarli, lasciarli alla loro scelta. Ma non ce la fa.

Sono decenni, sin dagli inizi, sin dagli anni Sessanta e Settanta, che gli hippie della Valle della Luna fronteggiano l’ostilità delle persone per bene. Si spaventano, le persone per bene, di un modo di passare sulla Terra leggeri, pacifici, non violenti.

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Negli archivi dei giornali locali si trovano persino cronache di spedizioni punitive contro i Figli della Luna, partite dalla vicina cittadina di Santa Teresa di Gallura. Mica fascisti o altro, gente del posto.

E poi gli sgomberi. L’ultimo, l’altro ieri. Carabinieri, polizia e guardia di finanza insieme in un’operazione che neanche contro una banda di narcos uno riuscirebbe a immaginarsi. Un blitz cominciato alle prime luci del giorno e durato sino al pomeriggio.

Una trentina di hippy, arrivati in Sardegna da mezzo mondo, cacciati via dopo essere stati identificati e multati per campeggio abusivo. Sulle pagine dei quotidiani sardi e su alcuni siti web, trovi la storiella che lì c’è il divieto, decretato dal comune di Santa Teresa di Gallura, di piantare tende. E siccome i Figli della Luna su quella spiaggia invece ci vivono, alcuni anche durante l’inverno, alte grida di scandalo. Su Facebook c’è persino un gruppo (si chiama «Noi con S******») che applaude ai carabinieri: «Gli hippie se ne devono andare».

Per capire quanta ipocrisia ci sia dietro lo scandalo e quanta ragione ci sia dalla parte dei Figli della Luna, il modo migliore ci sembra confrontare, come fossero due cartoline, le immagini di Santa Teresa di Gallura e delle sue spiagge negli anni Sessanta-Settanta e ciò che alla vista appare oggi. Un gioco nel quale aiuta la memoria.

La prima volta che vidi Santa Teresa di Gallura avevo diciannove anni, era il 1974. Un autobus malandato di una linea pubblica che partiva da Olbia mi scaricò sulla piazza di quello che allora era un piccolo borgo di pescatori, poche case costruite intorno alla torre che nel 1500 gli spagnoli, allora signori dell’isola, costruirono su un promontorio a guardia delle coste dalle incursioni dei pirati moreschi.

La cosa che mi colpì subito fu il silenzio. Un luogo che sembrava disabitato. Le case erano piccole, basse. Uguali a quelle che avevo conosciuto in un altro borgo marinaro, Stintino: le spiagge e il mare dell’infanzia e della prima adolescenza. C’era allora a Santa Teresa di Gallura un unico albergo, non grande, un tre stelle, costruito negli anni Cinquanta. Nessun residence. Pochi bar. Pochissimi ristoranti, per lo più trattorie.

Era maggio, una giornata chiara. La mole della Corsica, le scogliere candide di Bonifacio, si stagliavano nitide sulla linea dell’orizzonte. La meta del viaggio però non era Santa Teresa di Gallura. Era la Valle della Luna. Volevo vederlo quel posto.

In auto percorsi la strada che porta sino a Capo Testa. Un paesaggio incantato. Rocce di granito in una distesa di macchia mediterranea in piena fioritura.
Incantato, quel paesaggio, perché ancora non aggredito dall’industria delle vacanze: nessuna casa, tanto meno villaggi turistici, nessuna discoteca. Niente. Solo granito, lentischio, mirto.

Al rifugio degli hippy arrivai a piedi per un sentiero appena tracciato. In quel paesaggio, in quella luce che sembrava la prima luce sul mondo, in quel chiarore di mare, di sabbia e di cielo, era come se quelle ragazze e quei ragazzi fossero gli unici abitanti possibili della Terra, gli unici giusti per tutta quella bellezza. Lì non avresti potuto immaginare altra presenza umana. Natura e specie, nessuna distinzione. O forse, più esattamente, una cultura che gli equilibri fragili ma anche potenti di quella bellezza sapeva rispettare.
Incantato, quel paesaggio, perché ancora non aggredito dall’industria delle vacanze: nessuna casa, tanto meno villaggi turistici, nessuna discoteca. Niente. Solo granito, lentischio, mirto.

Provate ad andare adesso a Santa Teresa di Gallura. È un grande parco per turisti. Hanno costruito dappertutto: case che affitti sulle app, hotel di ogni risma, residence da centinaia di posti letto. Un porto turistico per yacht, per barche e per barchette da diporto dove prima c’erano i gozzi dei pescatori. E provate a percorrere adesso la strada che porta a Capo Testa: loculi a schiera per vacanzieri poveri e ville una dietro l’altra per i ricchi, costruite negli stili più disparati. Cemento su cemento che ha invaso ogni angolo di quella meravigliosa distesa di granito e di macchia mediterranea ancora intatta negli anni Settanta.

Confronti le due cartoline e vedi due mondi lontanissimi: quello prima e quello dopo il cosiddetto «sviluppo turistico». Il tempo ha cambiato tutto. Una cosa sola è rimasta uguale e sono i Figli della Luna e la loro valle, il loro sogno di un mondo diverso.

Mandano i carabinieri a cacciarli via. Ma ritorneranno, come sempre in tutti questi anni sono ritornati. Con l’ostinazione mite di chi sa di essere dalla parte giusta.

 

Ecco un altro del già lunghissimo elenco di….

dal F. Q. del 6 Settembre 2023

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“Gesuita che promuove il comunismo”, “rappresentante del Male nella Casa di Dio”, “persona nefasta” e “imbecille” sono solo alcuni degli epiteti rivolti nei confronti di Papa Francesco.
Insulti provenienti da Javier Milei, economista di 52 anni candidato alle presidenziali argentine, previste per il 22 ottobre.

In una inusitata escalation di offese durante la campagna elettorale, Milei ha accusato il Pontefice non solo di portare avanti politiche ecclesiali “di m***a”, ma anche di interferire pesantemente nella politica interna del Paese. Parole grosse, frutto forse di un clima sempre più avvelenato e polarizzato. Proprio questo clima potrebbe essere il motivo per cui il Papa ha declinato ogni invito a visitare la sua patria, dove non mette piede dal 2013, quando partì per Roma per partecipare al conclave che lo avrebbe nominato al vertice della Chiesa cattolica.

Milei, che si presenta come figura antisistema, dai toni in parte libertari e in parte di destra radicale, ha ottenuto il 29,86% dei voti alle primarie del 13 agosto, risultando il più votato tra i candidati.

Secondo un sondaggio condotto dall’istituto Opinaia e pubblicato dal quotidiano Clarín, è inoltre avanti nelle intenzioni di voto per le presidenziali di ottobre: il candidato di La Libertad Avanza è dato al 35%, contro il 25% di Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e candidato peronista, e il 23% della conservatrice Patricia Bullrich.

Una previsione fino a poco tempo fa inaspettata per l’economista di Buenos Aires, che non lesina accuse e offese nei confronti della Banca centrale, dello Stato, della “casta” politica. E, appunto, anche nei confronti del Papa. E se Milei negli ultimi tempi ha in parte smorzato i toni, dichiarando il suo rispetto per Bergoglio come capo della Chiesa cattolica e come capo di Stato, la ferita è rimasta aperta. Nel Pontefice, nel clero argentino e nei fedeli di tutto il Paese.

A sostegno del Papa, infatti, è sceso in campo un gruppo di “curas villeros”, i sacerdoti delle periferie urbane argentine. Il 5 settembre alcuni di loro hanno hanno concelebrato una messa, convocata di fronte alla parrocchia della Vergine indigena di Caacupé, nella bidonville numero 21-24, a sud di Buenos Aires. Obiettivo: “riparare agli oltraggi” al numero uno della Chiesa cattolica arrivati durante la campagna elettorale. Poche – appena un migliaio – le persone che hanno partecipato alla messa. Tra di loro, però, figure di spicco, come alcuni ministri del governo di centrosinistra, svariati sindacalisti e Adolfo Perez Esquivel, amico del Papa e premio Nobel per la pace nel 1980 per l’opposizione alla dittatura civile-militare.

Alla fine della messa è stato letto un documento congiunto firmato dal vescovo ausiliare e vicario generale di Buenos Aires, Gustavo Carrara, e da 71 sacerdoti del movimento dei “curas villeros”. Respingendo le offese nei confronti di Bergoglio, i parroci delle borgate hanno rigettato anche l’intera filosofia politica di Milei. Nella nota, infatti, hanno ribadito la necessità “di una politica a favore del bene comune, con la persona umana al centro”.

Per i “curas villeros”, che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa, un candidato che afferma che “la giustizia sociale è un’aberrazione” rappresenta “un attacco diretto alla radice della fede“. “Crediamo che la divinizzazione del mercato porti alla disumanizzazione, dimenticando i più deboli. Se si suscitano solo leoni, è logico che gli agnelli più indifesi vengano sbranati. Nella legge della giungla, vince solo il più forte. È nella chiave della comunità organizzata che i nostri quartieri si organizzano e lo Stato ne accompagna intelligentemente la crescita e lo sviluppo”, si legge nella nota.

Parole in difesa del Papa anche da parte del sacerdote José ‘Pepè’ Di Paola. Il “cura villero” ha infatti tacciato Milei di insulti “indegni di un candidato”, ricordando la visita del 1997 effettuata dal Pontefice, ex Arcivescovo di Buenos Aires, nella parrocchia di Caacupé: in quella circostanza Bergoglio si presentò “vestito con un poncho e accompagnato dal popolo delle borgate”. Da allora, il Papa “si è trasformato in un leader come Gandhi, Mandela, Marthin Luther King che trasmette valori che possono unire l’umanità“.

Il sacerdote ha poi rivolto un appello alla politica affinché elabori un’agenda sociale per i poveri, che rappresentano quasi il 40% della popolazione del Paese. “La classe dirigente si è dimenticata dell’agenda delle borgate che è né più né meno quella della maggior parte della popolazione: lavoro, educazione, salute e sicurezza”, ha dichiarato Pepè di Paola.