Autore archivio: piero-murineddu

Artisti nell’ombra – Franco e la sua silenziosa e continua Ricerca

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di Piero Murineddu

Sono diversi anni che con Franco Doro siamo legati da una discreta e per nulla stressata e stressante amicizia. Tempo fa mi aveva regalato una raccolta di versi prodotti dalla sua sensibilità creativa,“Unbluesevent’immagini“, titolo che fa trasparire, oltre la passione per quel particolare genere musicale afroamericano tuttora coltivato, anche l’intenzione di raffigurare attraverso delle metafore la sua percezione della vita. Venni a sapere anche della sua capacità di dipingere a china. Probabilmente forzai la sua volontà quando in occasione del mio matrimonio con Giovanna, dandogli una cartolina del Cristo Risorto gli chiesi di farne un dipinto. Ci accontentò, e il risultato di quel meticoloso e amorevole impegno, a distanza di 25 anni e avendolo collocato sull’uscio di casa, ogni giorno continuiamo ad averlo davanti agli occhi e lo teniamo molto caro.

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Franco, oltre a non essere mai stato particolarmente espansivo, l’ho visto anche sempre restìo a mettersi in mostra e tanto meno ad esibire le particolari capacità creative che indubbiamente possiede. La mia proposta di pubblicare alcuni suoi versi gli ha creato un’iniziale perplessità, non ritenendoli particolarmente degni di essere conosciuti. Dopo che gli ho chiarito che per me e probabilmente per qualcun altro avevano valore in quanto esprimono sinceramente il suo vissuto, ha acconsentito.

Accanito e attento lettore, è anche appassionato di viaggi, alcuni dei quali l’hanno portato a percorrere qualche tappa del Cammino di Santiago di Compostela. Quest’esperianza, come per molti altri, esprime sicuramente il desiderio di superare la quotidianità non raramente banale e ripetitiva di una vita di provincia, aprendosi con spirito di adattamento a nuovi incontri e volendo  ardentemente ricucire la frammentarietà di un’esistenza così spesso spezzetata dalla durezza di questi tempi che viviamo. Alcuni viaggi ci hanno visti insieme. A Parigi ricordo quel bollente the sorseggiato presso la Moschea, servito  a riscaldare le nostre gelide mani e probabilmente i nostri umori, incupiti da una giornata piovosa  e fredda. Una settimana trascorsa in Val d’Aosta, di mattina presto mentre il resto della compagnia era ancora abbracciata al cuscino della notte,  ci vedeva spesso incamminati in stretti sentieri scoscesi, rincorrendo sensazioni che ci avrebbero accompagnati anche al rientro nella normalità quotidiana.

E’ questo “sentire” diverso che penso mi accumuni a Franco ed entrambi cerchiamo di esprimerlo nel modo a noi più congeniale.

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Da  “Unbluesevent’immagini” ,  di Franco Doro

Ciò che rimane


Ho smarrito gli anni

barcollando nel tuo sguardo

in una notte d’inverno.

Ho camminato sino all’alba

guidato dal tuo respiro

per giungere in questa stanza

dove l’amore

inutilmente si nascondeva.

Ho corso come un pazzo

sfondando pareti

di dolore e di realtà.

Ho corso sui tuoi pensieri

su quelli che non hai fatto

sul tuo amore

di un bambino mai nato.

Sono precipitato

nelle tue mani

sulla tua pelle sudata

in questa rete dove

la mia e la tua libertà

sfiorandosi le labbra

inventano un nuovo intreccio.

Rimane la libertà

il legame più grande.

Senza biglietto

Cosmopoliti spiantati

respirano fumo nella biglietteria

Lontani dal proprio paese

e dalla logica

Messaggeri di strada

senza valigia e senza pretese

Farebbero a meno di dormire

per un bicchiere di ricordi veri

Treni sempre svegli

le unghie incollate ai binari

aggrediscono il silenzio

ad ogni partenza

Agenti afferrano la notte per il bavero

decisi a farla cantare

L’Orsa Maggiore senza biglietto

cercava di raggiungere un amore

Ragazzi spiantati

inventano una colletta

per una notte che non può pagare

Notte di fumo e di ricordi veri

  Viaggio

Stiamo correndo

avvolti in proiezioni

correnti

venti e tempeste

i piedi bruciano

700 trombe

per un grido celeste

sono poche

perchè restiamo pazzi

e non ricordiamo più

dove seppelliamo

le nostre coscienze

Stiamo affrontando

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ma non sappiamo che farcene

visto che non crediamo più a niente

Abbiamo sistemato dio nel cruscotto

lo tireremo fuori

quando smetterà di raccontare storie

e farci promesse di eternità

Dentro una macchina

senza la ruota di scorta

(perchè il viaggio si esaurisce

giù sotto le querce-tenebra)

viaggiamo

e ridere e non capirci niente

è una perfetta bussola per noi

Incrociamo treni

aerei e brontosauri

carri di emigrati

pelle e ossa

corpi evasi dagli abiti

eremiti ancora in cerca

di visioni serene

Grattacieli assediati da sanguisughe

sono alle nostre spalle

il COMPUTER

nuovo re

nella sua corona di polvere

si sente già fratello

la nostra mente

è sedotta

da questo fratello – baro

che spiana gli orizzonti

 

 

 

Poeti come

 

Baciando un utero

il giorno di natale

ho aperto gli occhi

deciso a non cedere

alla seduzione dei codici

Perciò

ho un vomito scomposto

di parole da offrire

in mani d’argilla

ad un grappolo di amici

 

Tuoni sulla battigia

Su una spiaggia d’ombra

buste di cellophan

bottiglie infrante

amuleti di ruggine semisommersi

La schiuma li plasma

Una saetta nel cielo

apre un varco

ad una carovana di impressioni

diretti al nord

 

Film

 

Ragazzi senza nome

fanno la coda davanti al cinema

Capelli corti

e giacche di autorità precoce

Sorridono per un attimo

con apparente consapevolezza

poi i colori s’inginocchiano

ad una pellicola in bianco e nero

Astronavi scuotono lo schermo

con fantastica potenza

carri d’acciaio alzano le braccia al cielo

aerei schizofrenici ruotano

sconvolgendo l’assetto delle nuvole

Nella torre di controllo

il computer

ha occhi lucidi di commozione

la platea

ha duemila occhi di ghiaccio

L’immagine di un bambino

emerge nello schermo

una lattina tra le mani

un gemito d’amore

quasi una perla tra le labbra

poi la lattina cade dalle sue mani

e un fungo innaturale esplode

Tornano i colori

grigio e rosso

sul fondo verdazzurro

Una pioggia di frammenti

investe la sala

Mille coscienze

si spingono affannosamente nel buio

alla ricerca dell’uscita

CIVILTA’ DI MICROFONI

Agenti segreti

Investigatori

Truppe speciali

Controllori

Ognuno ha su di sé

cento occhi

Ci guardiamo l’un l’altro

con intuito superiore

Solo quelli

che hanno il coraggio

di stare calmi

non spiano,

non hanno mai pensati

di fare i furbi

e non si sentono affatto inutili

senza microfoni nascosti.

Abbiamo codici dappertutto

siamo un arsenale di notizie

(miniere d’inchiostro

per la prima pagina)

Sporgenze e buchi

del nostro corpo

sono un potenziale

nascondiglio di idee

i cani fiutano ovunque

La macchina sa

prima di noi

dove andremo questo fine settimana

sa quante volte restiamo svegli

a cullare l’insonnia

quante volte diciamo basta

ma non basta mai

Quando tutto sarà

perfettamente in ordine

e nessuno avrà più modo

di porsi domande

perchè anche il pensiero

sarà programmato i nprecedenza

La “libertà”

si aggirerà per le strade

fredde e deserte

finalmente realizzata in un mondo di uomini estinti

Guerriero

Eri un guerriero d’oro e nichel

in una guerra diamante

Ora non semini più panico tra i poveri

ma siedi nell’oscurità

di un rifugio sotterraneo

Ragni corrono lungo le pareti

e tessono ricordi

Una rete senza nodi

intrappola l’attesa

Ma non è ancora il momento

di abbattere la porta

Fuori c’è troppa luce

Piramidi di fuoco e fumo

azzurro di morte

L’ultimo missile

ha colpito il sole

Ora non giungono più segnali

La radio parla

ma nella tua mente

il suono è una linea

perfettamente orizzontale

Le tue mani tremano

Come farai ad accarezzare il futuro?

Maggio

Una ciliegia

senza progetto

pronuncia

il primo rosso

autentico

nell’immenso

incolore

Piste ciclabili in città: puro (e anche ingenuo) desiderio?

biciclette in città

di Piero Murineddu

E’ vero, i troppi  “azza e fara”  di Sassari ” (e di Sossu e Sennari!), non incoraggiano a rinunciare all’inquinante  “scatola di latta arroventata”  e decidere di spostarsi con un’ecologica  due ruote. Ci sarebbero le moderne bici elettriche, ma quanto costano, per la miseria! E dopo, usarle con tutto il traffico a motore che c’è in giro, sarebbe un grave rischio per la propria incolumità, psichica oltre che fisica. Tutti ormai constatiamo l’usanza “malsana” di non uscir di casa senza  metterci dentro la scatola di lamiera, qualsiasi sia la meta. E’ ancora possibile abbandonare questa …..norma? Mah!

Il recente viaggio a Padova per stare qualche giorno con nostro figlio, a me e a mia moglie ha dato la possibilità di muoverci in città sulla due ruote, e gioire di questo. In quei momenti di quasi spensieratezza, mi è venuto quasi da pensare che da quando ci siamo rinchiusi nelle nostre comode auto, ci siamo isolati un po tutti e forse intristiti. Per le strade non ci s’incontra più, e quando capita, sentiamo forse un pò d’imbarazzo, quasi un tantino vergognandoci di “farci scoprire” appiedati. Il supermercato è  divenuto il principale luogo d’incontro e con l’aria condizionata gratis, si va ancora più volentieri. L’argomento richiederebbe più approfondimento di quanto  ne abbia adesso voglia. Fatto stà, in quei giorni padovani, vedendo tutta quella massa di gente che si spostava in tutta sicurezza in bici, con Giovanna abbiamo programmato di rimettere in sesto le nostre due vecchie biciclette alquanto arrugginite, se non altro per potercele ogni tanto caricare in auto e andare a pedalare dove la mancanza di eccessivi  “azza e fara” ce lo possono consentire, con un pò di dispiacere per non risiedervi.

Piste ciclopedonali Padova

padova in bici

pista ciclabile

 

La proposta del lettore Franco Satta mi sembra sensata per incoraggiare a servirsi delle due ruote  a Sassari: pista ciclabile che colleghi Li Punti, viale Porto Torres, Corso Trinità, Centro Storico, via Pascoli, Buddi Buddi.

Anche la prospettiva che la litoranea sussinca sia fornita da una sicura e spaziosa pista ciclabile è ottima, anche perchè non sarò più preoccupato per l’incolumità dei numerosi atleti e ciclisti che vi vedo sempre transitare.

Oltre quello di riacquistare più forma fisica attraverso il moto e inquinare meno l’ambiente in cui viviamo, il problema, che seppur grave non è affrontato opportunamente e con la necessaria determinatezza, è anche quello di decongestionare il traffico cittadino. In questo senso, il capolinea del “Sirio” a Santa Maria di Pisa, quartiere periferico di Sassari,  è gia un’ottima opportunità per non intruffularsi con l’auto nel caos di la ziddai, ed è quello che solitamente faccio quando se ne crea l’occasione. Certo, il desiderio sarebbe arrivare in città con la bici dentro l’auto, parcheggiare in un posto ombreggiato e gratuito, indossare i pantaloncini e….via! Ho paura però che per realizzare questo sogno dovrò aspettare ancora per molto, e temo anche che con gli anni che passano inesorabilmente, saranno altri a gioire perchè finalmente ci si muoverà con buon senso e senza autodistruggerci, nella salute e nell’umore.

BICI

 

 

 

CITTADINI ATTIVI. NEI FATTI.

PULIZIE DI QUARTIERE

 

“Nessun vittimismo da parte dei cittadini volontari che hanno ripulito piazza e vie adiacenti (…..), per dimostrare a se stessi che unendo le forze si poteva ottenere un decoro migliore della zona (….). Il quartiere satellite a Porto Torres   “(particolarmente) percorso durante le varie campagne elettorali, salvo poi essere poi poco calcolato quando c’è bisogno d’intervenire realmente per risolvere i problemi”
di Piero Murineddu
Dopo la mancata risposta da parte dell’istituzione pubblica, alcuni abitanti del “villaggio satellite” di Porto Torres si sono organizzati per ripulire le strade adiacenti alle loro abitazioni. Ancora una volta, le promesse fatte in campagna elettorale spesso non vengono rispettate. Come non definire  siffatti politici parolai e ciarlatani? Dei cittadini che decidono di darsi da fare nei fatti per migliorare l’ambiente in cui trascorrono le loro giornate, come in questo caso, è un grande segnale che riempie di speranza, e questo al di là del numero degli aderenti. Alle frequenti negligenze da parte degli organi competenti rischiamo di farci l’abitudine. Normalmente la reazione è di rabbia o peggio di rassegnazione. Ma che volontariamente ci si organizzi per porre rimedio, è una grande prova di civiltà, oltre che di coraggio. E’ anche un modo efficace per dare una lezione a chi omette di adempiere al proprio dovere per cui è stato delegato alla gestione della Cosa Pubblica, e la solita “mancanza di finanziamenti” non è sufficiente per giustificarsi. Chi si è proposto di rappresentare gli altri, deve fare di tutto per far vivere meglio i propri concittadini. Di tutto. Specialmente in questi magri tempi. L’amministratore pubblico, assessore o consigliere che sia, dovrebbe avere  il dovere d’infondere fiducia nei propri concittadini, per molti motivi scoraggiati e demotivati. E questo lo si fa specialmente fuori dalle aule istituzionali. Gli eletti sentono questo dovere, morale prima ancora che politico?

 

Sbatti il mostro in homepage. Cosa (non) abbiamo imparato dal caso Yara

BOSSETTI

di Federici Sbandi

Partiamo da un dato di fatto: il caso Yara, in un altro Paese, sarebbe rimasto ai piani alti dell’agenda nazionale per neanche mezz’ora. Nessun dettaglio morboso, nessun criminologo improvvisato, nessun parlamentare in festa. In Italia sta paralizzando l’opinione pubblica.

Apripista del romanzo criminale è stato ovviamente, l’annuncio in diretta interplanetaria di Angelino Alfano, il solerte Ministro dell’Interno che in odore di bandwagon effect ha deciso di mettere la firma su una (presunta) vittoria altrui – come all’epoca della lotta alla mafia di Berlusconi, che a sentire il Cavaliere era sempre merito suo più che delle procure. Poi ad Alfano viene illustrata la follia della sua dichiarazione, e allora prova a rimediare su Twitter, stavolta peccando persino di logica elementare:

La soluzione del caso di Yara Gambirasio è un grande risultato. Ovviamente la presunzione di innocenza vale per tutti” ( Angelino Alfano )

Anche perché se il caso di Yara è stato risolto, vuol dire che si è trovato il colpevole e che Massimo Giuseppe Bossetti non si può dunque presumere innocente. Ma i paradossi non finiscono qui. Dopo aver sbattuto il mostro nella casa di tutti gli italiani, finge di invitare le persone alla calma. Nonostante il suo annuncio abbia, di fatto, indirizzato un manipolo di frustrati fuori dalla stazione dei carabinieri dando ai cani famelici un (presunto) assassino da azzannare.

Qualcuno prova a farlo rinsavire. Gli ricordano che in Italia si sono sempre fatte più leggi contro i giudici che contro le ingiustizie. Oppure che, così come all’epoca del Cavaliere, la torta del merito va spartita tra poliziotti, militari, investigatori, uomini della scientifica. E non tra i politici che attendono l’happy ending per propalare slogan inverosimili e far sembrare il Paese più solido. Lui non ascolta e pontifica: «L’Italia è un Paese dove chi delinque viene arrestato e finisce in galera». Grazie Ministro, ci sentiamo davvero tutti più al sicuro.

Ma se Alfano offre l’assist, la stampa nazionale non si tira indietro per la schiacciata vincente. Si scatena immediatamente quel turbinio di morbosità che una volta per tutte ci ricorda che in Italia non è mai esistita e mai esisterà una distinzione ferrea tra giornalismo alto e basso. E cioè che anche le testate nazionali più affermate vendono quotidianamente l’anima al diavolo con l’espediente della cronaca sensazionalistica acchiappa-click.

E allora voi col mostro in homepage, con Il Giornale che decide improvvidamente di orinare sul codice deontologico pubblicando su Facebook la cronaca dell’arresto al grido di: “Ecco l’assassino di Yara, clicca per scoprirlo!”. Come in un qualunque gioco a premi. Al quotidiano di origine montanelliana – se solo sapesse che fine ha fatto la sua creazione! – si affiancano tutti i quotidiani online che hanno pubblicato senza troppi fronzoli le foto della figlia di Bossetti. Dimenticandosi delle indicazioni fondamentali della Carta di Treviso che tutti i giornalisti sono tenuti a rispettare e secondo cui «il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di cronaca». Infatti, abbiamo visto cos’è primario: il click.

Fatto l’annuncio politico, pubblicata la notizia: parte il romanzo. Il crimine efferato, la vittima minorenne, una spruzzatina di adulterio – tanto per rendere la madre innocente ma comunque “sporca”, che fa sempre audience. Alcuni esperti in Tv iniziano a tracciare mirabolanti analisi psichiatriche a partire dallo studio del profilo Facebook del soggetto interessato, dei suoi status, addirittura dei profili degli amici. Elementi di assoluta normalità vengono decontestualizzati da Internet e presi come testimonianza della sua evidente vocazione criminale. Inquirenti che dovrebbero lavorare nel silenzio divengono showman, sempre a favore di telecamera. Nel frattempo l’opinione pubblica si infiamma sulla questione della presunzione di innocenza, sulla validità del test del Dna, sul giustizialismo a targhe alterne dei politicanti. Il tocco finale: offrire a tamburo battente la foto di Bossetti in primo piano, quando non ride, per dare a internauti e telespettatori un’immagine del “male” contro cui inveire. Il romanzo è servito.

social network, essendo per la maggior parte del tempo solo le protesi virtuali del chiacchiericcio da bar – e non quel magico laboratorio di democrazia partecipativa che tanti credono -, hanno la colpa di estendere a macchia d’olio i temi dominanti, con una minuziosità una volta impensabile. È una questione di agenda setting 2.0: semplicemente, non potete non averne sentito parlare. A tratti è inquietante sapere che se qualcuno, dall’alto, ha imposto che si parli di un argomento non c’è alcun modo di sottrarvisi, vero? L’unico potere rimasto nelle mani del cittadino è quello di decidere di dissociarsi da quella folla irrazionale, urlante e assetata di vendetta che ogni 3×2 rilancia l’idea sempreverde della pena di morte o, in alternativa, spera di scoprire che il colpevole sia extracomunitario per dare fondatezza alle proprie convinzioni razziste. Stop, tutto il resto è distrazione di massa da cui non si può scappare.

La sensazione è che in Italia siamo riusciti a desensibilizzarci al crimine e a normalizzare la violenza, da sempre. L’effetto perverso è che per ridar loro linfa vitale siamo dovuti andare a scavare nei retroscena, nelle case delle vittime, nelle famiglie dei colpevoli. E tutto questo solo per scommettere con amici e colleghi sull’identità dell’assassino, per poter dire «te l’avevo detto» a tavola. Tolta la paura, ci è rimasta l’indagine domestica.

Se sia più colpa dei politici, dei giornalisti o dei telespettatori/utenti non ho la presunzione di poterlo certificare. Ma c’è una cosa che so, e di cui sono certo: per ogni caso Yara c’è un Fiscal Compact di cui i cittadini non hanno mai neanche lontanamente sentito parlare. Niente complottismi, niente distopie. Semplicemente, se fossimo meno distratti, forse, saremmo un Paese più critico verso le questioni davvero rilevanti.

 

VIA FARINA A SORSO

di Piero Murineddu
Proponetevi di percorrere a piedi via Farina, oggi soffocata dalle auto parcheggiate e da quelle di passaggio, e fate attenzione a quelle case dove son nati gli scrittori Salvatore FARINA e Giovanni BARACA, il procuratore generale della Corte di Cassazione Antonio CICU e suo figlio “don” Ambrogino, il notaio COTTONI (padre di Saivadori), il generale e governatore dell’Albania Pinotto MANNU RICCI,il chirurgo e Rettore dell’università Pietro MAROGNA, il pittore e scultore Giuliano LEONARDI, il poeta Giannetto MASALA. Fatelo dopo aver letto queste pagine del caro e prezioso ultra novantenne Andrea Pilo, tratte dal suo libro “Ancòra ammenti…”

 

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ELOGIO DEI PIEDI di Erri De Luca

 ELOGIO DEI PIEDI di Erri De Luca

Perchè reggono l’intero peso.

Perchè sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perchè sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.

Perchè portano via.

Perchè sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato

e chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo

a camminare in linea retta.

Perchè sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto

nello scheletro non ci sono ali.

Perchè sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli

e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

Perchè sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

Perchè per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perchè quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

Perchè gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità

li lavavano al viandante.

Perchè sanno pregare dondolandosi davanti a un muro

o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

Perchè mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.

Perchè sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango,

il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perchè non sanno accusare e non impugnano armi.


Perchè sono stati crocefissi.


Perchè anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno,

viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.


Perchè, come le capre, amano il sale.


Perchè non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva

il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

Le pubblicazioni su due siti archeologici di Sorso

di Piero Murineddu

Due pubblicazioni realizzate durante il quinquennio amministrativo di Mino Roggio (2000-2005), conclusosi in modo turbolento e per motivi ancora rimasti misteriosi ai più. Oggi lo stesso Roggio siede nei banchi dell’opposizione. Dal momento che è possibile fare buona politica anche non avendo responsabilità diretta di governo, si spera che si adoperi in modo deciso e attivo, se vuole rimanere fedele a quelle parole da lui pronunciate allora: “I beni culturali rappresentano per ogni comunità un fondamentale punto di riferimento dal quale partire per comprendere le ragioni della propria identità culturale. Il patrimonio archeologico  rappresenta una risorsa immensa per la comunità che la possiede”.

Oggi le antiche vestigia sorte nel nostro territorio sono completamente in stato di abbandono, e le solite giustificazioni di mancanza di fondi non reggono più. Non si tratta solo di proseguire i lavori di ricerca per i quali in questo caso si occorrerebbero finanziamenti, ma semplicemente di un minimo di decoro e di custodia, e per realizzare ciò basterebbe solo la volontà, cosa che evidentemente non c’è. Sono persuaso che la Cultura “nutre”, specialmente la consapevolezza delle proprie radici e l’attaccamento alla terra in cui si è nati e in cui si vive. Opportunamente valorizzata, è evidente che la Cultura permette anche di riempire gli stomaci. Sappiamo però che per capire e condividere questo concetto, è necessario averne la capacità, oltre che la predisposizione. Di questo tipo di politici ancora non se ne vede traccia, per cui si spera che almeno cittadini associati inizino a preoccuparsi e  occuparsi di queste particolari ricchezze, che purtroppo non producono lo stesso largo consenso di una  più o meno mantenuta promessa di un posto di lavoro.

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A quando un Centro Studi Artistico – Letterario e un Museo della Civiltà Contadina a Sorso?

MUSEO A STINTINO

 

di Piero Murineddu

Bellissima iniziativa questa del piccolo paesino posto nell’ultimo lembo di terra nord occidentale della Sardegna e nato da 45 famiglie che lasciarono l’Asinara dopo che nel 1885 vi si costruì il lazzaretto e la colonia penale. “L’obiettivo – dice il sindaco Diana – è costruire un polo culturale, scientifico, storico e museale”.  Lo stesso sindaco è anche presidente dell’associazione  intenzionata a tener viva la memoria del popolo stintinese. Intelligente intuizione e ottimo esempio che molte comunità locali dovrebbero prendere in seria considerazione, sia da parte di amministratori pubblici spesso incapaci di fare scelte che vadano oltre il limitato tempo del loro mandato, sia molte pseudo associazioni “culturali”  occupate prevalentemente ad organizzare eventi ludici e mangerecci e sopratutto preoccupate di rimanere nelle grazie del potente di turno. Stintino, oltre l’obiettivo d’incrementare l’ attrazione turistica, sembra seriamente intenzionato a riconoscersi e a farsi riconoscere come “popolo”, cioè non una massa umana anonima  che occupa un territorio casualmente o per fatalità,ma un insieme d’ individui accomunati da caratteristiche ben precise, quali il modo di comunicare, la sensibilità, le attività lavorative, le arti, il giudizio e la visione della vita. E’ questa consapevolezza che unisce,che  tiene viva e alimenta una Cultura. Fare storia di cio’ che si è stati e di ciò che s’intende essere.

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Come ho detto in precedente occasione, a Sorso è tuttora messa in vendita la casa di famiglia del giornalista e scrittore Salvatore Farina. La palazzina di due piani, oltre che da un terrazzo panoramico, è composta da sette locali. Io me la immagino diventare un Centro Studi per far conoscere le nostre opere letterarie e artistiche e per farne una sorta di Museo della Civiltà Contadina. Sono numerosi i privati che possiedono attrezzi di questo mondo ormai quasi tramontato, materiale il più delle volte riposto negli scantinati e non più utilizzato. Penso che molti sarebbero disposti a metterli a disposizione, non perdendone la proprietà oppure rinunciandovi definitivamente, credendo nella nobiltà del fine. E’ utopistico sperare che le diverse associazioni culturali presenti a Sorso puntino a questo obiettivo, superando eventuali ed immotivati antagonismi e magari rinunciando  all’ansia di volerci mettere per forza il “capello”, come spesso capita a numerosi politicanti arrivisti privi d’intelligente lungimiranza del vero Bene Comune? La realizzazione di un Museo “vivo” aiuterebbe a recuperare quel senso comunitario che sta venendo sempre più a mancare, facendo anche un importante passo identitario e quindi Culturale.

Sorso: una vicenda non secondaria legata all’alluvione

umberto

di Piero Murineddu

Scrive Umberto Destefanis, autore di questa “suggestiva” e drammatica foto:

“Sorso, 18/07/2014, come appariva il mio orto intorno alle ore 17 . Tutte le acque vanno al mare, sempre che le si lasci scorrere secondo i tracciati che la natura, dalla notte dei tempi, ha lentamente e pazientemente costruito. Qui invece una strada provinciale ostruisce il naturale deflusso.”

Si parla del  tratto  della vecchia strada per Sassari, quello sostituito dal nuovo a scorrimento veloce che arriva fin all’antico villaggio di Geridu, lasciato in completo abbandono dai nostri illuminati “Protagonisti” delle recenti consultazioni elettorali e di quelle precedenti.

Da quando è stato realizzato, ci permette di recarci  in città premendo di più sull’acceleratore e fare anche qualche marameo ai pulman e ai numerosi lumaconi che ci riempiono d’ansia dalla discesa di Sant’Andrea in poi, mentre al ritorno a Sorso abbiamo l’impressione di non invidiare nulla alla pista automobilistica di Monza: acceleratore a manetta!

La vecchia strada, in diversi punti  diventata una vera e propria discarica a cielo aperto. Per l’abbandono e la mancanza di pulizia delle vie di deflusso delle acque piovane, l’abbondante e devastante pioggia di mercoledì pomeriggio ha fatto diventare  un lago il suo orto, frutto del suo impegno e di quello della moglie inglese Ruth.

Ancora una volta, alla forza spesso distruttrice del clima impazzito – in parte per colpa dell’uomo – si aggiunge la negligenza degli organi preposti.  L’energica coppia gia in queste ore si stà dando da fare per far rivivere le piantine ottenute con grandi sforzi e continue cure.  Purtuttavia, Umberto  s’intristisce pensando a tutti coloro che, a differenza sua,  dalla  campagna ci vivono e in un pomeriggio hanno visto perduto tutto il raccolto e vanificate tante fatiche e aspettative.