Ho imparato ad accogliere dopo essere stato accolto

di Tommaso Bogliacino

Da quando ne ho sentito parlare — avevo circa 20 anni ed ero in seminario — mi ha sempre affascinato in Charles de Foucauld, francese doc, la tonalità di esploratore. In tale luce di ricercatore fu facile per me cogliere ed essere attratto dal suo ‘fuori-riga’, sempre notevolmente fuori dagli schemi abituali di buon cattolico, di monaco, di prete, di sottolineatura dell’umano semplice prima che ‘conte’ o ‘soldato’ o addirittura ‘francese’, prima che ‘prete’ o ‘religioso’.

La mia storia inizia con la guerra, la seconda guerra mondiale, in un paese delle Langhe, terra da confine del mondo. Più isolata ancora l’alta Langa, terra d’identità locale difesa a denti stretti, e però così bagnata di povertà in tutti gli aspetti da lasciar campo libero a sogni di vera umanità fraterna, a cammini di esplorazione, di ‘uscire dal seminato’ per conoscere, esplorare e incontrare gli altri.

Nei miei primi cinque anni di vita, le Langhe sono state terra di partigiani in guerra per la libertà. Ho visto, ho sentito, ho respirato e registrato, come si fa da bambini, inutili violenze, morti, sangue versato, lacrime e pianti tra persone che a Natale (il Bambino Gesù… il Gesù di chi?) erano capaci di scambiarsi auguri, di darsi la mano, e il giorno dopo di nuovo pronti ad ammazzarsi.

Per quale dono, per quale grazia, non so esattamente, ma in me da quel periodo è cresciuto il rifiuto totale della guerra e delle armi, perché strumenti di ‘inutili stragi”, di divisioni mortali, mentre si è fatti per la vita, per la gioiosa fraternità.

Inconsciamente, credo, portavo dentro un’esplorazione dell’uomo al di là o prima delle divisioni, delle lotte, una ricerca di fede dentro, ma anche oltre il catechismo insegnato dall’anziana Carolina, oltre i vespri cantati della domenica, obbligatori per tradizione, quando noi bravi giocatori di ‘pallone elastico’ dovevamo interrompere la partita per lasciar spazio al “guadagnarci il Paradiso”.

E poi fu tempo di seminario, tempo di radicalità sognata più che vissuta, di ‘viaggi’ oltre il ridottissimo spazio quotidiano, di sognare un tipo di prete che salva un’infinità di gente, che fa risuonare ‘prediche travolgenti’, ma anche confessioni infinite e facile fraternità con tutti.

Allora mi venne incontro, mediante la visita e la testimonianza di René Voillaume e Carlo Carretto, il nostro personaggio eccezionale nella sua ‘piccolezza’, fr. Charles de Foucauld, affascinante per il tono di ‘radicalità’ nel seguire Gesù di Nazareth, il tono di ‘novità’ in cui avvertivo, anche se molto ancora
nella nebbia, il fascino d’una vita religiosa diversa dai ‘soliti frati’ chiusi nei conventi o dagli affaccendati preti presi nel ‘salvare’ giovani e meno giovani dall’inferno..

Ordinato ad Alba prete diocesano, viceparroco con prevalente attività pastorale fra i giovani, credo che fu proprio questa ricerca — erano gli anni ‘68 — del primato di Dio e della persona umana, a spingermi verso la fraternità di Spello, a fare una settimana di ritiro in modo non tradizionale e con nuove prospettive.

Li ho trovato un clima, dei fratelli, che mi hanno fatto scoprire meglio Charles de Foucauld, mi hanno testimoniato il primato di Gesù Cristo sulla Chiesa, della persona umana sui suoi titoli o ruoli, il primato dell’amore-carità sulla religione. A Spello, nell’incontro con tanti giovani nei vari eremi, nell’ascoltarli e nel dire loro la mia esperienza, stavo imparando quanto vissuto da Charles: “ha fatto della religione un amore” (come Huvelin dice di lui).

Ripercorrendo gli anni passati in varie fraternità e luoghi diversi, posso dire che la nota di fondo è l’accoglienza. Sempre e dovunque sono stato accolto e ho cercato d’imparare l’accoglienza.

In Tanzania, a Chalinze, piccolo villaggio poverissimo, capanne sparse qua e là, di terra, anche il tetto di terra; polenta e ‘mlenda’ (salsa di erbe secche ridotte in polvere che, cotta nell’acqua, diventa ‘collante’) e a volte fagioli (se ce ne sono)… grande povertà.

Una mattina, come spesso facevo, passo a visitare, salutare, portare qualche medicina. Arrivo a una capanna, una donna (già ci conoscevamo) è seduta stancamente sulla kigoda; mi saluta, m’invita (Karibu, Karibu sana) a sedermi su un’altra kigoda già pronta. Incominciano i saluti, lunghi, pazienti. A un certo punto dei saluti lei mi dice: Mgeni amekuja (Un ospite è arrivato). Credo di indovinare. In effetti, lei si alza lentamente, va dentro, prende il suo bimbo, partorito durante la notte, ritorna, bimbo in braccio, e dolcemente pone fra le mie braccia l’ospite. Messaggio chiaro, altro che lezione di catechismo! Un bimbo che nasce è ospite anche della mamma, la mamma è ospite nella sua casa, la sua casa è ospite nel cosmo, perché il cosmo non è né mio, né tuo, il cosmo sono io, il cosmo è ogni altro, il cosmo è in Dio. Nel cosmo ciò che più conta è l’accoglienza reciproca.

Accoglienza, ospitalità, fraternità: i tre piedi della kigoda su cui ‘riposa’ ogni vero umano, su cui riposa Dio. Tre piedi da tenere ben saldi, senza orgoglio, senza vantarsi, semplicemente metterli in pratica. È accertato che negli ultimi anni Charles si firmava con il solo nome, senza titoli, neanche quello di fratello. La cosa ha un significato ben profondo: il valore della persona oltre ogni titolo, senza appartenenze, neanche di religione.

Forse è in questa linea che da 4-5 anni ho smesso anch’io di firmarmi fratel Tommaso, bensì semplicemente Tommaso o, in particolare da circa un anno, semplicemente Tom.

Il contrappunto di questa sinfonia di vita: vedere l’altro, sentire ogni altro come ‘terra sacra’ davanti a cui togliersi i sandali e così imparare ad amare. L’altro mi ha sempre fatto capire il mistero del vivere, che è dono di accoglienza reciproca, di ospitalità senza limiti, di fraternità desiderata e cercata in un artigianato di pace.

Un detto antico: «Ho cercato me stesso, non mi sono trovato; ho cercato Dio, non ho potuto riconoscerlo direttamente; ho cercato l’altro, ho riconosciuto la sacralità e mistero del suo volto, della sua vita.. Ho trovato tutti e tre: me stesso, Dio e appunto gli altri». E ciò che cerchiamo di vivere oggi alla Fraternità-Eremo Betania.

Lo so, non c’è prima l’altro e poi io e Dio. So ancora che non c’è prima l’adorazione eucaristica e poi i poveri e poi io…non c’è prima l’altro e poi io. C’è sempre un misterioso legame di unità, di circolazione da uno all’altro, come nella Trinità. So che la preghiera, se non mi porta a vivere l’unico comandamento dell’Amore, non vale niente; se celebrare l’eucarestia non mi manda a vivere l’eucarestia nel quotidiano, consacrato come l’ostia dalla fame d’amore dei sofferenti, dei violentati, di tutti, è carne senza Spirito.

Sono lontano dalla spiritualità, dalle tracce di Charles de Foucauld? Rendo grazie allo Spirito, alle Fraternità di Gesù e del Vangelo e ad altre, ai tanti poveri incontrati nei vari luoghi che mi hanno aiutato e anche ora mi aiutano a chiedermi non cosa farebbe Charles, ma “Cosa farebbe Gesù al mio posto, proprio in questo momento, in questa situazione”?

E allora, come faceva il beato Charles, ritorno a cercare nel Vangelo, che mi fa incontrare Gesù Cristo, ad adorarlo con meraviglia di bambino nell’Eucarestia, a respirarlo nello Spirito che aleggia ovunque, contemplando le stelle nella notte e le prime luci dell’Aurora, e desidero impegnarmi ad accoglierlo e ‘toccarLo’ – Fratello, Amico, Salvatore, Signore – nei poveri, in ogni altro ospite nel Cosmo.

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Testo tratto da ” Il coraggio di esplorare

Per contattare Tommaso:

EREMO BETANIA
Via Pralongo, 60
25080 Pratello di Padenghe sul Garda (Brescia)
030 9900674
info@eremobetania.it

https://www.eremobetania.it/

Ho imparato ad accogliere dopo essere stato accoltoultima modifica: 2023-03-12T18:05:33+01:00da piero-murineddu
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