Fascismo Criminale, ieri come sempre

Premessa

di Piero Murineddu

Dopo che lo scorso anno di questi giorni il Consiglio Comunale di Bologna, a esclusione dell’ opposizione di Destra ( ma guarda!), ha deciso che d’ ora in poi il 19 febbraio sarà la Giornata del Ricordo di tutte le vittime del colonialismo in Africa da parte del regime fascista, sarebbe opportuno che tale Memoria si estendesse a tutto il Paese. In attesa che si compia questo dovuto atto di giustizia, riporto una lunga pagina in cui si elencano nomi e cifre di quello che è stato realmente il Fascismo. In questo caso, oltre i confini dello Stivalone bagnato dal Mediterraneo. Per le criminali nefandezze provocate in terra italica, specialmente nei cervelli dei suoi abitanti, non basterebbero pagine su pagine.

Diversificata e utilissima documentazione, quella che segue, per confermare, ammesso ce ne fosse ancora bisogno, che il pensare e l’agire fascista, spesso mascherato con altre sigle, impedisce in sé la realizzazione della nostra umanitá. La lunga pagina che presento, arricchita sul finale da un contributo di un amico poeta bolognese, si aggiunge a quest’ altra pubblicata qualche tempo fa di cui riporto il link.

Gli orribili crimini a lungo nascosti del GENERALE ROATTA

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19 febbraio 1937. Nella foto, il feroce assassino Rodolfo Giuliani poco prima di ordinare la strage

Italiani brava gente?

 di Mauro Albanesi

19 febbraio 1937. Durante una cerimonia per festeggiare la nascita del primogenito di Umberto di Savoia scoppiò un ordigno, preparato da due eritrei della resistenza contro l’opposizione straniera, destinato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani, reo fra le molte nefandezze anche di aver autorizzato l’utilizzo di gas lanciato dagli aerei per far strage di truppe e popolazione etiopi. Le vittime dell’attentato furono otto e lo stesso Graziani venne gravemente ferito. La rappresaglia iniziò immediatamente: in tre giorni vennero messi a ferro e fuoco Addis Abeba. I morti furono alcune migliaia, trentamila secondo le stime etiopiche: il regime fascista consumò in Etiopia un gravissimo crimine di guerra. I morti saranno centinaia di migliaia alla fine dell’occupazione italiana ed oltre ai militari furono gli italiani residenti a rendersi a loro volta complici del massacro.

“L’Italia ripudia la guerra, e nell’impresa etiopica, in mezzo a tanta violenza, ci fu un fatto terribile, una strage, di monaci, ragazzi, di famiglie di pellegrini nel 1937”, ha affermato lo storico Andrea Riccardi, in occasione della presentazione del libro di Paolo Borruso “Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia”. Nell’occasione il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha chiesto perdono “ai fratelli cristiani d’Etiopia” per il disprezzo con cui furono trattati all’epoca della guerra dagli italiani cattolici (per modo di dire). E c’è stato anche un riconoscimento di responsabilità e una domanda di riconciliazione, dopo piu di 80 anni, dal governo italiano attraverso il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

L’Etiopia, dunque, come la ex Jugoslavia, dove in due anni di occupazione (1941-1943) le truppe italiane si macchiarono di crimini gravissimi che causarono migliaia di morti e almeno 30mila sloveni finiti nei campi di concentramento: dal movimento di resistenza jugoslavo scaturì la replica degli anni seguenti che portarono a una nuova tragedia, quella delle foibe e dell’esodo forzato di tanti connazionali che in Istria e Dalmazia si erano nel frattempo stanziati.

Quelle etiopi e jugoslave furono reazioni ad un’occupazione italiana forzata, violenta e plasmata sugli esempi messi in atto dalla Germania nazista. Gioverebbe a un dibattito forse più sereno sul tema, non raccontare sempre e comunque una parte della storia. Altrimenti il nostro paese sarà destinato ancora una volta a non fare i conti a fondo con il proprio passato. Con il rischio di perpetuare ancora l’idea degli “italiani brava gente”, che migliaia e migliaia di pagine di inchieste hanno smentito fin da subito, addirittura già dal 1946-47 quando ad esempio venne istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto, ministro della difesa nel III° Governo De Gasperi dedicata proprio a raccogliere informazioni e testimonianze sui crimini italiani in Jugoslavia.

“Segnale – commenta Riforma.it – che allora la consapevolezza di cosa accaduto era chiara. Poi cadde l’oblio: decine e decine di gerarchi e burocrati fascisti vennero riciclati alla causa repubblicana e occuparono ruoli di primo piano nelle forze armate e nella politica degli anni seguenti, contribuendo a mantenere nascosta la verità. Emblematico da questo punto di vista il caso de “l’armadio della vergogna”, scoperto da un’inchiesta giornalistica de “L’Espresso” soltanto nel 1999, e dai cui fascicoli nascosti emersero le troppe responsabilità italiane in molti dei momenti più tragici del secondo conflitto mondiale. Migliaia di pagine sono destinate solo ai crimini italiani in Grecia, per fare un esempio. Per non strumentalizzare occorre conoscere, anche se la verità è dolorosa. Ma non farne mai i conti non aiuta una nazione a diventare adulta.
E si finisce con il dedicare mausolei a Graziani come ad Affile, 80 km a est di Roma, o a fare monumento della casa del fascio a Predappio che diede i natali a Mussolini”.

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I particolari della strage del 19 e giorni seguenti nel  febbraio 1937

di Michele Strazza

Graziani, volendo imitare un’usanza etiope, decide di distribuire a ciascuno dei poveri di Addis Abeba due talleri d’argento, uno in più rispetto a quanto ha sempre distribuito Hailè Selassiè.

Insieme agli invitati una folla di derelitti confluisce, così, nel cortile del palazzo imperiale (“ghebbì”).

Improvvisamente due intellettuali eritrei (Abraham Debotch e Mogus Asghedom) lanciano contro alcune bombe a mano uccidendo quattro italiani, tre indigeni e ferendo una cinquantina di presenti, tra cui lo stesso Graziani.

Dopo i primi momenti di panico e indecisione vengono chiuse le uscite del vasto cortile per evitare la fuga degli attentatori.

Subito si scatena il fuoco di fucileria dei militari italiani e degli ascari libici sulla folla che cerca di fuggire.

Si spara per tre ore.

Molte persone vengono uccise anche a colpi di scudiscio nei saloni del palazzo.

Fuori partono fulminee le rappresaglie, che proseguiranno per parecchi giorni. Anche le chiese non vengono risparmiate.

Così racconta quei momenti il giornalista Ciro Poggiali, ferito leggermente ad una gamba:

«Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba, in mancanza di una organizzazione militare o poliziesca, hanno assunto il compito della vendetta condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista.

Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada.

Vengon fatti arresti in massa; mandrie di negri sono spinti a tremendi colpi di curbascio come un gregge.

In breve le strade intorno al tucul sono seminate di morti. Vedo un autista che dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta.

Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara ed innocente. (…)

20 febbraio 1937, sabato. (…) Sono stato a visitare l’interno della chiesa di San Giorgio, devastata dal fuoco appiccato con fusti di benzina, per ordine e alla presenza del federale Cortese. (…)

Alla sera cerco invano di ottenere dal colonnello Mazzi di telegrafare al giornale. Gli ordini di Roma sono tassativi: in Italia si deve ignorare. (…)

Il colonnello Mazzi mi smentisce che nel santuario di San Giorgio siano state trovate mitragliatrici; è segno che l’incendio non era giustificato. Per tutta la notte, con un accanimento anche più feroce che nella notte precedente, si continua l’opera di distruzione dei tucul.

Spettacoli da tragedia delle immense fiammate notturne. La popolazione indigena è tutta sulla strada. Impressionante indifferenza dei capannelli di donne e di bambini intorno alla masserizie fumanti. Non un grido, non una lacrima, non una recriminazione.

Gli uomini si tengono nascosti, perché rischiano di essere finiti a randellate dalle orde punitive. Episodi orripilanti di violenze inutili. Mi narrano che un suddito americano, per avere soccorso un ferito abissino, è stato bastonato dalle squadre dei randellatori».

Così descrive il massacro il prof. Harold J. Marcus:

«Poco dopo l’incidente, il comando italiano ordinò la chiusura di tutti i negozi, ai cittadini di tornare a casa e sospese le comunicazioni postali e telegrafiche. In un’ora, la capitale fu isolata dal mondo e le strade erano vuote.

Nel pomeriggio il partito fascista di Addis Abeba votò un pogrom contro la popolazione cittadina. Il massacro iniziò quella notte e continuò il giorno dopo.

Gli etiopi furono uccisi indiscriminatamente, bruciati vivi nelle capanne o abbattuti dai fucili mentre cercavano di uscire.

Gli autisti italiani rincorrevano le persone per investirle col camion o le legarono coi piedi al rimorchio trascinandole a morte.

Donne vennero frustate e uomini evirati e bambini schiacciati sotto i piedi; gole vennero tagliate, alcuni vennero squartati e lasciati morire o appesi o bastonati a morte».

Il fallito attentato diventa, dunque, l’occasione per quello che Mussolini definisce, in un telegramma a Graziani del 20 febbraio, «inizio di quel radicale repulisti assolutamente (…) necessario nello Scioà».

Il giorno dopo, sempre il Duce, telegrafa: «Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi».

Le violenze, come già detto, continuano per molti giorni, andando ben al di là dei tre giorni successivi nei quali si scatena la rappresaglia immediata.

Circa 700 indigeni, rifugiatisi nell’ambasciata inglese, vengono fucilati appena usciti da questa.
Non si conosce il numero esatto delle vittime nei primi giorni successivi all’attentato. Fonti etiopi parlano di 30.000 vittime, fra 3.000 e 6.000 secondo la stampa straniera del tempo.

Gli attentatori, intanto, nonostante la taglia di 10.000 talleri messa sulle loro teste, non si trovano. Su ordine di Graziani alla fine di febbraio vengono fucilate decine di notabili e ufficiali etiopi. Tutti muoiono con grande dignità e maledendo l’Italia.

Tra marzo e novembre ben 400 abissini, tra cui importanti personaggi pubblici, vengono imprigionati e deportati in Italia con cinque piroscafi.

Intere famiglie con donne e bambini sono confinate nel campo di concentramento di Danane, sulla costa somala, dopo aver sostenuto un lungo viaggio di 15 giorni con morti per stenti e malattie (vaiolo e dissenteria).

Il primo convoglio per Danane parte da Addis Abeba il 22 marzo, arrivando a destinazione solo il 7 aprile. Comprende 545 uomini, 273 donne e 155 bambini, ma moltissimi muoiono sulle strade battute continuamente dalla pioggia.

Seguiranno altri cinque convogli per un totale, secondo fonti italiane, di 1.800 unità. Per gli etiopi tale cifra va moltiplicata per quattro.

Secondo la testimonianza di Micael Tesemma (riportata da Angelo Del Boca), il quale trascorre nel campo tre anni e mezzo, su 6.500 internati ben 3.175 perdono la vita per scarsa alimentazione, acqua inquinata e malattie. Lo stesso direttore sanitario del campo – riferisce il testimone – avrebbe accelerato la fine di alcuni internati con iniezioni di arsenico e stricnina.

Il 28 febbraio Graziani arriva addirittura a proporre di «radere al suolo» la parte vecchia della città di Addis Abeba «e accampare tutta la popolazione in un campo di concentramento» ma Mussolini si oppone per paura di più decisive reazioni internazionali, pur confermando l’ordine di passare per le armi tutti i sospetti, ordine poi esteso a tutti i governatori dell’Impero.

Le esecuzioni proseguono anche a marzo e Graziani ordina anche la fucilazione di tutti i cantastorie, gli indovini e gli stregoni di Addis Abeba e dintorni, in quanto responsabili di annunciare nei vari mercati la fine prossima del dominio italiano. L’iniziativa è approvata da Mussolini.

Dalle carte di Graziani risulta una costante corrispondenza con Lessona nonché l’elenco dettagliato delle fucilazioni eseguite ad Addis Abeba e nella regione circostante dal 27 marzo al 25 luglio 1937 per un totale di 1.877 esecuzioni.

Il 7 aprile il Vicerè telegrafa al generale Maletti che il territorio deve «essere assolutamente domato e messo a ferro e fuoco», precisando:

«Più Vostra Signoria distruggerà nello Scioà e più acquisterà benemerenze».

Da una statistica dell’attività dell’Arma dei carabinieri, firmata dal colonnello Hazon e datata 2 giugno, si ricava che i soli carabinieri hanno passato per le armi 2.509 indigeni.

Sempre Ciro Poggiali racconta l’episodio di un capitano italiano che, dopo aver fatto razzia di bestiame a danno di una famiglia indigena, di fronte alle proteste del capofamiglia «uccide tutta la famiglia compresi i bambini». E ancora, sui metodi dei carabinieri:

«Sul piazzale del tribunale assisto al trasporto, dopo la condanna per furto, di un giovinetto moribondo per denutrizione. Un altro non si regge in piedi per le botte. I carabinieri che hanno in custodia i prevenuti da presentare alla così detta giustizia, hanno importato dall’Italia, moltiplicandoli per mille, i sistemi polizieschi più nefandi».

Anche ai reparti militari che operano sul territorio etiope viene dato ordine di passare per le armi gli Amhara trovati, quali presunti responsabili dell’attentato.

Così il capitano degli alpini Sartori è incaricato di eliminare 200 Amhara catturati nei dintorni di Soddu. L’ufficiale li ammassa in una grande fossa scoperta tra i dirupi e ordina ai suoi ascari di sparare. Il ricordo della carneficina turberà il resto della vita del capitano che morirà smemorato, qualche anno dopo, in una prigione del Kenya.

Da maggio in poi avviene la distruzione della chiesa copta sulla base anche di un rapporto dell’avvocato militare Oliveri. La tesi è quella di un complotto cui non è estraneo l’aiuto degli inglesi e della comunità ecclesiale copta.

Il battaglione eritreo, composto in gran parte da copti, viene sostituito con uno somalo mussulmano, più adatto alla repressione dei cristiani.

Le truppe (un battaglione di ascari mussulmani e la banda galla “Mohamed Sultan”), dunque, comandate dal generale Pietro Maletti, partono per la cieca rappresaglia. Lungo i 150 km che da Addis Abeba portano alla città-convento di Debrà Libanòs vengono incendiati 115.422 tucul, tre chiese e un convento, mentre ben 2.523 sono i “ribelli” giustiziati.

Dopo la distruzione del convento di Gulteniè Ghedem Micael, il 13 maggio, e la fucilazione dei monaci, il 18 maggio Debrà Libanòs viene accerchiata per punire i religiosi accusati di aver dato rifugio ai due attentatori di Graziani.

Il 19 arriva un telegramma di Graziani che conferma la complicità dei monaci nell’attentato e ordina di passare «per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vicepriore».

Il 20 mattina tutti i religiosi catturati vengono caricati sui camion. All’una le esecuzioni sono terminate per riprendere poi, il 26 maggio, quando 129 giovani diaconi, risparmiati sei giorni prima, vengono anch’essi trucidati.

Fino al 27 maggio vengono passati per le armi 449 tra monaci e diaconi. Secondo ricerche portate avanti da studiosi dell’Università di Nairobi e di Addis Abeba e comunicate ad Angelo Del Boca il numero delle vittime del massacro si aggirerebbe, invece, addirittura tra 1.423 e 2.033 uomini.

Le vittime, trasportate sul luogo dell’eccidio da una quarantina di camion, vengono incappucciate e fatte accucciare sul bordo di un crepaccio, uno a fianco all’altro. Le mitragliatrici sparano in continuazione per cinque ore. Interrotte solo per buttare i cadaveri nel crepaccio.

Coperto dall’approvazione di Mussolini, Graziani rivendicò «la completa responsabilità» di quella che definì con orgoglio la «tremenda lezione data al clero intero dell’Etiopia», soddisfatto di «aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’abuna all’ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono la necessità di desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo, se non volevano essere radicalmente distrutti».

Nel dopoguerra, nonostante le richieste etiopiche, nessun italiano venne mai punito per questi e per altri massacri, favorendo la rimozione dalla memoria collettiva dei crimini compiuti dagli italiani durante le guerre fasciste.

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Nomi da ricordare e numeri da rabbrividire

(“Magazineitalia.net”)

Siamo in Italia, si rende sempre più doveroso far conoscere la verità sul fascismo, visto che esistono ancora persone, che pensano al fascismo come a un peccato veniale.Però è proprio qui, nel nostro paese che è nato, ed ha fatto da padrino al nazismo.

Essi sono complici in nefandezze e abominio. Hanno mistificato la realtà e continuano ancor oggi attraverso accoliti ignoranti a perpetrare la sopraffazione come principio fondante, la xenofobia come ideale, la ricerca mistica del capo da adorare e risolutore dei propri ed altrui problemi, spesso artatamente creati.

Rammento che il fascismo in Italia, è punito dalla costituzione e le leggi sono molto chiare a riguardo.

É un’ideologia criminale!

Nell’ordinamento italiano, l’apologia del fascismo è un reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione”), anche detta Legge Scelba.

Per tutti quelli che abbiano ancora le idee confuse sul fascismo e il modo di essere rappresentato è necessario ricordare:

1.Eccidio della Benedicta,

2.Eccidio di Monte Sole (Marzabotto, Monzuno, Grizzana),

3.Eccidio di Padule di Fucecchio,

4.Eccidio di Pietransieri,

5.Eccidio di Sant’Anna di Stazzema,

6.Eccidio di Vallucciole,

7.Strage di Acerra,

8.Strage di Bellona,

9.Strage di Boves,

10.Strage di Cavriglia,

11.Strage di Civitella,

12.Strage di Colle del Turchino,

13.Strage delle Fosse Ardeatine,

14. Strage di Godego,

15. Strage di Lippa,

16. Strage di Monchio, Susano e Costrignano…..

e tante altre nefandezze perpetrate, dalla Libia all’Etiopia, alla Grecia, alla Yugoslavia fino alla disfatta dopo 5 anni di guerra che fecero pagare al popolo italiano un enorme prezzo di vite umane .

Sono tutte azioni terroristiche che hanno visto i fascisti in azione con i nazisti. Persone massacrate con inaudita ferocia, civili prima torturati e poi passati per le armi, nessuna pietà per donne e bambini. Chiusi nelle chiese e poi arsi vivi dalle fiamme.

Tolsero i feti con le baionette alle donne agonizzanti e li gettarono in aria per farne bersaglio per i loro fucili.

Diffondere l’antifascismo ritengo sia un dovere, civile e morale.

La pagina più buia della storia italiana è stata scritta da Mussolini. Considerare quindi criminali, tutti quelli che per inerzia, per assoluto disprezzo della storia, per ignoranza o peggio per interesse personale, ancora si rifanno a quella ignominia che è il fascismo non è assolutamente fuori luogo ma doveroso per comprendere ciò che è stato, e che questi revanscismi siano finalmente relegati nella giusta dimensione.

LSe ancora qui in Italia non sono stati puniti come criminali di guerra è perché esistette un’armadio della vergogna, rinvenuto con le porte rivolte al muro solo nel 1994 in un locale di palazzo Cesi-Gaddi (sede di vari organi giudiziari militari) in via degli Acquasparta nella città di Roma.

Vi erano contenuti 695 fascicoli d’inchiesta e un Registro generale riportante 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazi-fascista.

Per chi se ne fosse dimenticato, dopo il gran consiglio del fascismo del 24 luglio del 1943 il governo Mussolini non aveva più alcun potere legale poiché esautorato dagli stessi fascisti e quindi con la successiva proclamazione della repubblica di Salò, fu traditore ed eversivo nei confronti del successivo governo legalmente riconosciuto. Quindi criminale ad ogni effetto.

È da molto tempo che circolano su internet bufale sul fascismo e su Mussolini, spesso strumentalizzate a fini politici o di riabilitazione del fascismo, che vengono condivise da molte persone ignare della loro attendibilità. Qui di seguito verranno riportati alcuni miti su Mussolini.

Per ben inquadrare il periodo storico, ricordiamo che governò l’Italia dal 28 ottobre 1922 alla fine del fascismo con la seconda guerra mondiale, finendo per essere giustiziato dagli italiani il 28 aprile 1945 (data che coincide con la fine di quello che restava del fascismo).

Invece, per inquadrare bene Mussolini ed il fascismo, ecco spiegato in breve i suoi doni all’Italia.

Squadrismo e violenza politica.

Fra le attività “qualificanti” del fascismo del primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari politici, le loro sedi e le loro organizzazioni, da parte di bravacci legati ai ras locali. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate. Non di rado, tuttavia, gli oppositori perdevano la vita a seguito delle violenze.

Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500 i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922. Il parroco di Argenta, don Giovanni Minzoni, fu assassinato in un agguato da due uomini di Balbo, nell’agosto del 1923. Ma anche quando il fenomeno della violenza squadrista sembrò perdere le proprie caratteristiche originarie, e gli uomini legati ai ras locali vennero convogliati in organizzazioni ufficiali come la Milizia volontaria, forme di violenza politica sostanzialmente analoghe allo squadrismo non cessarono di costellare la vicenda del fascismo al potere.

Per tutti, tre casi notissimi:

– nel giugno 1924 Giacomo Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista, e il gesto sarebbe stato esplicitamente rivendicato da Mussolini nel gennaio dell’anno successivo;

– Piero Gobetti, minato dall’aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni dopo, in esilio;

– Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un’aggressione fascista subita nel luglio 1925.

 

Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell’apparato di repressione dello Stato, che venne rafforzato e riorganizzato.

Con la nascita dell’OVRA (l’Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con tutti i mezzi, legali e illegali. Anche l’omicidio politico in paese straniero.

Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi.

Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne dove Carlo Rosselli e il fratello Nello si erano recati per trascorrere il fine settimana, un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione: bloccata l’auto sulla quale viaggiavano i due fratelli, Carlo e Nello furono prima pestati, poi, accoltellati a morte.

Lo strumento ufficiale della repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. L’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l’occasione di una serie di misure repressive.

Tra queste la “legge per la difesa dello Stato”, n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì, tra l’altro, la pena di morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo del governo. A giudicare i reati in essa previsti, la nuova normativa istituì il Tribunale speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito nel gennaio 1944, nella Rsi.

Nel corso della sua attività, emise 5619 sentenze e 4596 condanne. Tra i condannati anche 122 donne e 697 minori. Le condanne a morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni di carcere.

Tra i suoi ‘beneficati’, ci furono Antonio Gramsci, che morì in carcere nel 1938, il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini e Michele Schirru, fucilato nel 1931 solo per avere espresso “l’intenzione di uccidere il capo del governo”.

Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola, fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre 1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso per l’ordine statale o per l’ordine pubblico.

A un mese dall’entrata in vigore della legge le persone confinati erano già 600, a fine 1926, oltre 900, tutti in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell’Italia meridionale. A finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino furono, complessivamente, oltre 15.000. Ben 177 antifascisti morirono durante il soggiorno coatto.

La politica antiebraica del regime fascista culminò nelle leggi razziali del 1938. Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma; degli oltre 1250 ebrei arrestati in quell’occasione, più di 1000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo 17 erano ancora vivi al termine del conflitto.

Il Manifesto programmatico di Verona (14 novembre 1943) sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a “nazionalità nemica”. Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e l’internamento, in attesa della deportazione in Germania.

Nelle spire della “soluzione finale” hitleriana il regime fascista gettò, nel complesso, circa 10.000 ebrei. Oltre alla deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c’è anche la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati che, dopo l’8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di concentramento in Germania piuttosto che aderire alla Rsi.

Nella guerra fuori dai confini i morti contano meno? Allora non si possono proprio considerare tali gli etiopi uccisi con il gas durante la guerra per l’Impero, o i libici torturati e impiccati durante le repressioni degli anni Venti e Trenta, o gli jugoslavi uccisi nei campi di concentramento italiani in Croazia.

Ma la spada di Mussolini provocò tanti morti anche tra i suoi connazionali. Mussolini trascinò in guerra l’Italia il 10 giugno del 1940, per partecipare al banchetto nazista. I risultati, per l’Italia, furono questi.

Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra, oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.

Dopo l’armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana all’estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania, 41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti, 13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della Rsi.

A questi vanno aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l’intero periodo bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.

Ci sarebbe tanto altro da aggiungere, ampiamente documentato: corruzione dilagante, dossier, lettere, minacce, accuse vere e false oscenità, inganni, arresti, ed anche ricatti.

Un ventennio di ricatti! Gerarca contro Gerarca, amante contro amante, e l’accusa di omosessualità come arma politica, e Mussolini su tutto e su tutti fa spiare, controlla, punisce, muove le sue pedine.

La prossima volta che vi imbattete magari sui muri della vostra città in un immagine che inneggia o rievoca il triste ventennio o la saggezza del Duce e di come potrebbe essere la salvezza dell’Italia, fate una ricerca sulla storia del fascismo prima di assentire anche solo leggermente con il capo o esprimere un mezzo sorriso di beneplacito.

FASCISMO, MITO COSTRUITO SULLA PAURA

di Gabriele Via

I miei genitori sono nati in pieno fascismo: papà nel ’27 e mamma nel ’31 del secolo scorso. L’ Italia che ho conosciuto io è un’Italia che non è stata capace di fare una riflessione profonda e matura sulla propria storia.

Ancora, a livello popolare – dove non regni la tabula rasa della “Gazzetta dello sport” – siamo preda dello stereotipo Don Camillo e Peppone. Ma non potrà esserci un consapevole antifascismo se non avviene una comprensione il più meditata e studiata possibile sulla storia.

Abbiamo avuto una generazione di quello che Pasolini chiamava il fascismo naturale (per lui e la sua generazione) che va dalla marcia su Roma al 25 luglio del ’43. Dal settembre di quell’anno c’è poi stato il periodo della Repubblica Sociale e della Resistenza. E nel dopoguerra ancora abbiamo avuto il neofascismo.

Davanti a questi episodi storici ci sono stati almeno tre diversi tipi di antifascismo. Quando Silone scriveva “Vino e pane” l’antifascismo era elitario e clandestino. Davvero di pochi, in Italia. Ma tra la seconda metà del ’43 e la fine della guerra ecco un altro fascismo (nazifascismo) e un’ altra e più diffusa primavera di coscienza antifascista è poi la pagina Repubblicana.

Io credo che si possa e si debba ancora essere sempre antifascisti. Perché il fascismo è un mito costruito sulla paura, che trasforma in psicopatiche le sue prime vittime, subito pronte a trasformarsi in carnefici. Oggi il fascismo andrebbe trattato in sede clinica e ogni stato dovrebbe curarsi di fare la prevenzione necessaria sul piano educativo perché questo problema sanitario non abbia a interessare le generazioni future. Ma queste sono provocazioni idealistiche.

Quelli che 75 anni fa erano i temi al centro delle leggi razziali, di cui oggi la scienza ride e un bambino di dodici anni potrebbe smontare sul piano razionale, sono attualmente i sentimenti oscuri nelle viscere di milioni di italiani analfabeti (l’analfabetismo è un altro tema reale e concreto su cui dovere lavorare senza schemi ideologici) che vengono strumentalizzati da un potere mediatico consumistico che oggi rappresenta il vero occulto dittatore.

Oggi non ci sono più i comunisti che mangiano i bambini: non esiste cioè più la propaganda che nel comunista individua il male assoluto. Già Berlusconi usava i comunisti come una specie di caricatura del male, non proprio il male. Oggi ci sono gli islamici, i diseredati d’Africa, i neri, i gialli, i nomadi, i diversi… Contro costoro si riversano i sentimenti di paura che con poca e dolce clinica potrebbero essere materia di cura personale di sé e miglioramento della nostra vita condominiale e familiare. Alcune mie poesie sono rabbiosamente rivolte al mondo del mass media. Sono infatti sgomento dalla totale dabbenaggine con cui persone anche di studio e riflessione si lascino stuprare l’intelletto da pubblicità e tv di intrattenimento che sono neofascismo puro all’opera.

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Fascismo Criminale, ieri come sempreultima modifica: 2024-02-19T06:53:40+01:00da piero-murineddu
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