Carlo Molari e il suo Credo

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Non credo nel Dio…

di Carlo Molari

 

NON CREDO nel Dio della “pura ragione”: non merita fiducia e non è sufficiente. Si può credere in Dio attraverso la riflessione filosofica, ma non giungere alla fede in Dio, cioè a considerare Dio come riferimento delle proprie decisioni, per giungere a conoscere e ad amare in un modo nuovo. Se non scopri che c’è un Dio che ti ama e che ti consente di giungere a una forma nuova di vita, a che ti serve?

NON CREDO nel Dio che opera nella creazione e nella storia intervenendo, modificando le situazioni, completando le creature, rimettendo in funzione i meccanismi della creazione e della storia quando si inceppano. L’azione di Dio è un’azione creatrice che offre possibilità, che alimenta il processo, ma che non si sostituisce mai alle creature, proprio perché fa esistere ed operare le creature. Dio è provvidente non nel senso che risolve tutti i problemi, ma nel senso che, ovunque l’uomo si venga a trovare, il suo amore è tale che può condurlo al suo compimento. Dio non può risolvere alcun problema storico se non ci sono creature che, aprendosi alla sua azione, indicano e realizzano la soluzione. Il “dio tappabuchi” non può essere il Dio della fede.

NON CREDO nel Dio che punisce i peccati, che manda le pestilenze per far ravvedere gli uomini. Per moltissimo tempo si è pensato così.

NON CREDO nel Dio che cambia atteggiamento per la preghiera degli uomini. Come se noi pregando sollecitassimo Dio a fare qualcosa di nuovo. È una pretesa insensata, un modello antropomorfico. La preghiera ha un grande valore perché mette in moto in noi dinamiche di novità e di cambiamento, non perché modifica l’atteggiamento di Dio ma perché noi accogliamo la sua azione in modo molto più profondo e ricco.

NON CREDO in un Dio che può fare le cose perfette dall’inizio perché la creatura è tempo e può accogliere il dono solo a frammenti, nella successione. Dio è eterno, è pienezza di vita, è perfezione compiuta, ma la creatura è tempo e non può accogliere l’offerta divina tutta in un solo istante. Non ci può essere una creatura perfetta all’inizio. Nella prospettiva evolutiva si capisce bene che Dio alimenta il processo continuamente, cioè la creazione continua tuttora. Il compimento è il traguardo del cammino, la perfezione piena è solo alla fine.

NON CREDO nel Dio che vuole la riparazione del male attraverso la croce di Cristo o per mezzo di coloro che si uniscono alla sua sofferenza. Dio non vuole che gli uomini siano nel dolore, e quando qualcuno soffre Dio è dalla sua parte per sostenerlo nel suo cammino, perché possa giungere ad amare anche in quella condizione. I santi che hanno attraversato grandi sofferenze si sono santificati per l’amore a cui sono pervenuti. Lo stesso Gesù è giunto ad un amore supremo sulla croce e per questo è risorto. Amando, Gesù ci ha salvato: è redentore non perché ha sofferto, ma perché la sofferenza è stata l’ambito in cui l’amore è fiorito in forme sublimi.

NON CREDO al Dio che parla all’uomo con parole umane. Dio parla nel silenzio perché non pronuncia parole umane, bensì divine, per noi silenziose. La sua Parola però alimenta la nostra vita come forza creatrice. Il contatto con Lui ci rigenera. Ma questo contatto non diventa parola, non diventa idea, non diventa immagine, bensì diventa esperienza vitale, evento di storia. Quando diciamo che la Scrittura è “parola di Dio” dobbiamo intendere la formula in senso analogico cioè di relazione. La Parola è quella forza di vita che ha suscitato gli eventi di salvezza, narrati dagli uomini secondo i modelli con cui li hanno vissuti e interpretati, e trascritta secondo i modelli culturali del tempo. Il processo che ci consente di cogliere il senso della Parola è rivivere le esperienze di fede che hanno caratterizzato l’evento narrato, coglierne la trama divina, e percepire nel silenzio la presenza che le ha rese possibili.

NON CREDO nel Dio del “Progetto intelligente” come lo presentano i gruppi statunitensi che si battono per introdurre nelle scuole l’insegnamento alternativo all’evoluzionismo neo-darwinista. Il Dio della fede non è semplicemente il Dio delle origini ma del processo nella sua interezza. Le cause dei processi cosmici sono imperfette e il male accompagna sempre lo sviluppo della vita sulla terra. Il caos e la complessità caratterizzano molti eventi, perché Dio non interviene con azioni puntuali nelle situazioni della storia. L’azione divina in ogni circostanza offre molte possibilità per cui la casualità ha una parte importante nel divenire cosmico e negli eventi della storia. Il progetto salvifico si può realizzare anche attraverso fallimenti, vicoli ciechi, eventi casuali e imprevedibili che costellano il cammino evolutivo.

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Questa sopra, a cui ho affiancato un ancora energico Carlo Molari appassionato delle lunghe camminate fin quando le forze gliel’hanno consentito, è la copertina del volume curato da Paolo Scquizzato, prete  conosciuto e frequentato sulla Rete da chi non si accontenta di una lettura del Messaggio come solitamente viene passato dal ‘convento’ delle prediche domenicali. Una iniziativa pensata nel pieno della pandemia da covid che ha stravolto la vita di tutti e durante la quale si chiedeva in vario modo l’intervento divino, rimanendo poi delusi per l’ indifferenza di Chi è rimasto a farsi i suoi divini affari. Queste suppliche, con naturalmente previa conversione, avveniva sia attraverso certe radio “mariane”, sia in non poche parrocchie dove il prete saliva sul campanile per invocare l’ aiuto divino sul popolo disperato e sia anche facendo sorvolare con elicottero (militare) la statua del santo perché si decidesse a fare il tanto atteso miracolo di scacciare la peste iniziata all’ inizio del 2020 o chissà quando.

Tra le 17 persone invitate a scrivere sul significato della preghiera, e di conseguenza sul senso che si ha della presenza di Dio nel mondo, figura anche Molari. Quello che segue è un suo approfondimento sul tema, pubblicato nel febbraio 2021 sul periodico “Rocca”. Per completare e per avere ulteriori elementi per conoscere meglio il pensiero di Carlo Molari, un’intervista a lui fatta da Paolo Rodari, giornalista di professione e molto attento ai temi riguardanti la Fede. (Piero)

Pregare? In che senso?

di Carlo Molari

In questi tempi si discute da più parti sul senso della preghiera per vivere la stagione difficile che stiamo attraversando. Ogni uomo che voglia vivere intensamente deve avere momenti di raccoglimento, di interiorità, di concentrazione, di sguardo profondo.

Questi Momenti sono quelli che in ambiti religiosi viene chiamata preghiera. La ragione delle molte ambiguità che la caratterizzano penso stia nella nozione di preghiera che molti si trascinano nell’età adulta.La preghiera di domanda come viene abitualmente formulata suppone tre convinzioni da parte del credente.

La prima è che la preghiera di domanda serva per far conoscere a Dio i nostri bisogni.

La Seconda è che Dio non sia già in azione come creatore e debba essere sollecitato a farlo.

La terza è che Dio nel cosmo possa operare indipendentemente dal diventare delle creature.

Queste tre convinzioni non sono esatte.

La preghiera è il modo concreto per mantenere i canali aperti con la Vita, con il Bene, con la Verità, per non rifiutare nulla del dono che ogni giorno Dio continua ad offrirci. Qualsiasi interpretazione si dia della vita e della sua fonte, ogni persona deve quotidianamente aprirsi ai suoi doni e sviluppare un rapporto profondo con le sue sorgenti. Chiunque si illuda di essere autosufficiente e non si eserciti all’accoglienza dei doni vitali che gli vengono continuamente offerti, prima o poi si isterilisce. Così chi non si esercita a rinnovare continuamente la propria offerta perde progressivamente l’atteggiamento di accoglienza.

La preghiera è l’esercizio quotidiano per non rifiutare nulla di ciò che la vita è disposta ad offrirci. Nello stesso tempo è l’allenamento a donare la propria presenza a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ogni giorno possiamo fare una esperienza, anche se breve, di interiorità profonda per attingere energie nuove per la nostra vita.

Dio “non fa” le cose della creazione né modifica le situazioni storiche, ma offre alle creature di
operare. Non fa le cose al posto nostro ma ci offre di farle. Pregando siamo noi che cambiamo e diventiamo capaci di accogliere l’energia che ci avvolge e che ci attraversa. Diventiamo così capaci di aiutare le persone, di camminare insieme a loro e anche di guarirle. È un cambiamento profondo dell’interiorità della persona. Pregare è sviluppare la dimensione interiore.

A volte nelle preghiere e nel linguaggio comune utilizziamo formule che esprimono in modo non
corretto l’azione di Dio in noi. Quando chiediamo qualcosa a Dio dobbiamo sempre intendere “di farci diventare capaci di realizzare noi ciò che chiediamo”. La nostra richiesta deve essere sempre accompagnata da una disposizione di animo di apertura, per diventare noi capaci di realizzare ciò che invochiamo.

La preghiera, quindi, è ordinata a cambiare la persona che prega, perché essa stessa sia in grado di capire ciò che la vita esige e di realizzarlo. Pregare è mettersi in sintonia con l’energia creatrice che alimenta lo sviluppo della creatura e la rende capace di accogliere, esprimere e comunicare forza vitale in modo più profondo. La preghiera per l’esercizio della fede che mette in atto, amplia la capacità di accoglienza della forza vitale della persona, che diventa così capace di agire in modo nuovo.

La preghiera, in conclusione, non cambia Dio, ma l’uomo. Per questo bastano poche parole, ma molta concentrazione. Diceva Gesù “non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”. (Mt. 6,8).

La continuità della preghiera è necessaria sia per la durezza del cuore da cambiare sia per la ricchezza dei doni vitali da interiorizzare. Più infatti la persona cresce interiormente, più la vita si espande e aumenta l’esigenza di aprirsi al flusso dello Spirito per accogliere e far fiorire i suoi doni. Per questo Gesù insegnava a pregare sempre (Lc 18,1) non tanto dicendo formule quanto incontrando Dio.

Nel cosmo e nella storia Dio non fa nulla in più di ciò che operano le creature. La forza creatrice non agisce aggiungendo qualche nuova realtà di quelle realizzate dalle diverse persone, ma le alimenta in modo che esse diventino capaci di operare ciò che esse credono sia necessario. La persona umana sviluppa pienamente la propria dimensione
interiore quando vive secondo questa consapevolezza. La preghiera è il modo per realizzare la piena sintonia con l’attiva presenza di Dio in modo da far fiorire compiutamente tutte le sue diverse dimensioni, anche a volte in modo straordinario.

Anche il miracolo, in questo senso, deve essere interpretato come l’accoglienza dell’energia divina da parte della creatura. Il miracolo accade quando una persona o un’intera comunità, pregando, si apre allo Spirito e accoglie la sua azione in modo più ricco e profondo. In ogni caso è sempre la creatura ad operare il miracolo.

Anche Gesù, quando guariva, a volte diceva come alla emorroissa: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!”. (Mc 5, 34). Siccome opera nel cosmo e nella storia sempre e solo attraverso creature, Dio assume i loro limiti, sia spaziali che temporali. Egli esprime attraverso di loro solo ciò che esse sono in grado di portare. Il dono di Dio perciò si sviluppa nel tempo e non può essere accolto totalmente in un istante. Dio perciò è onnipotente in sé e nel compimento finale, quando tutto sarà in tutti (1Cor: 15,38), ma nella storia umana e nel cosmo può esprimere la sua perfezione solo a piccoli frammenti nel corso degli eventi storici.

Per tutti questi motivi la preghiera richiede almeno tre condizioni da parte della persona per essere significativa ed evitare i rischi della presunzione: la fede in Dio, la consapevolezza di essere creatura e la disponibilità a interiorizzare l’azione divina in modo da rivelarla nella propria vita.

Credere in Dio creatore significa ritenere che il Bene urge per diventare in noi amore, che la Verità cerca di esprimersi in idee umane, che la Giustizia sollecita progetti di condivisione, che la Bellezza vuole assumere inedite forme create e aprire il cuore con fiducia per accogliere la vita. Pregare è appunto registrare le proprie capacità percettive perché la forza creatrice giunta a livello umano possa dispiegarsi in tutta la sua portata.

La vita non diventa mai possesso definitivo della creatura, ma viene sempre offerta e richiede per questo accoglienza continua. Tutto è dono e resta sempre tale. L’uomo non diventa mai il Vivente. La condizione per realizzare una interiorizzazione piena è la consapevolezza che la creatura è un nulla attraversato continuamente da una forza creatrice , un vuoto che risuona sempre di una Parola originaria.

Quando la persona opera con tale convinzione, si lascia investire dalla forza creatrice e consente alla Parola di attraversarla, rendendola viva. Anche le sue contraddizioni pian piano si dileguano. La preghiera esercita allora la sua completa funzione. Per questo nel Vangelo il comandamento dell’amore di Dio, che è aprirsi alla sua presenza, è collegato all’amore per gli altri, che è rivelare la sua gloria. Non sono due comandamenti diversi, ma due aspetti della stessa legge di vita, momenti dello stesso processo vitale. Accogliere il dono di Dio per questo è possibile solo quando si è disposti ad soffrirlo.

Chi accoglie l’amore di Dio non può trattenerlo per sé e non rivelarlo. Ogni egoismo in questa luce appare come un male sociale: esso impedisce la rivelazione di Dio, provoca il deterioramento del clima vitale, distrugge le energie necessarie alla crescita di tutti. Gli emarginati, gli oppressi, i poveri sono l’espressione dei peccati di una comunità. Finché i poveri non vengono sollevati dalla loro condizione di emarginazione di oppressione, la comunità che li ha provocati non potrà accogliere salvezza piena. La preghiera, in questa prospettiva, allena il credente a diventare espressione fedele dell’amore di Dio, rivelazione efficace del suo amore.

L’invocazione che non diventa frazione del pane e offerta di misericordia, non è preghiera cristiana perché non è epifania di Dio. Il paradigma principale della preghiera cristiana è il memoriale della fedeltà con cui Gesù ha accolto la Parola nel silenzio della sua preghiera e l’ha fatta fiorire in gesti di misericordia: “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine” (Gv 13, 1)

Carlo Molari teologo intervista libro

Intervista

  di Paolo Rodari

 

Carlo Molari,quindi su Darwin aveva ragione lei?

«Negare l’evoluzione vuole dire non rendersi conti del cammino reale che i viventi stanno facendo sulla terra».

Dio è la fonte dell’evoluzione?

«L’evoluzione è possibile proprio perché Dio ne è la fonte, il principio. Ma se Dio è al principio significa che la sua perfezione non è ancora interamente espressa. Solo l’evoluzione può spiegare la complessità della realtà e il mistero di Dio».

La storia è allora necessaria per l’uomo ma anche per la teologia cioè per la riflessione dell’uomo su Dio?

«L’evoluzione richiede la storia. Gli antichi pensavano che in origine vi fosse un Adamo perfetto, ma non può essere. L’uomo deve diventare e diventa nella storia e così la percezione che noi abbiamo di Dio».

Carlo Molari, quindi il peccato originale è fantasia?

«Non esattamente. La dottrina tradizionale contiene una verità di fondo e cioè l’incidenza negativa di una generazione su quella successiva. La vita viene comunicata spesso con limiti e carenze. L’insufficienza della dottrina tradizionale consisteva nell’immaginare un inizio già perfetto e compiuto che sarebbe stato perduto, mentre era un traguardo da raggiungere. Tutto nella storia è in evoluzione. E, mi spiace, ma anche il pensiero della Chiesa è così. Nella Chiesa ancora oggi c’è chi pensa che l’ortodossia vada salvaguardata e che ogni sua evoluzione sia male. Ma il male è proprio avere questa visione delle cose».

Torniamo al 1978. Lei, Carlo Molari, venne giudicato eretico?

«Non proprio eretico, piuttosto non in sintonia con l’insegnamento tradizionale e sicuro».

Come reagì?

«Provai a difendermi. Chiesi a chi mi accusava di tentare nuove strade e di favorire cammini avventurosi nei paesi di missione: allora per evitare questo rischio dobbiamo sempre restare indietro di vent’anni? Mi risposero chiedendomi di lasciare l’insegnamento. Avevo riscattato gli anni delle due lauree e così, pur cinquantenne, decisi di farmi da parte e chiesi, come avevo diritto, la pensione».

Cosa non accettavano del suo pensiero?

«Insistevo sul fatto che i cambiamenti culturali richiedono un continuo adeguamento anche delle forme dottrinali. E che, sulla scia di Teilhard de Chardin, anche il pensiero che abbiamo di Dio non può che evolversi».

Chi è Dio per Carlo Molari?

«Di lui non sappiamo nulla di assoluto. Possiamo soltanto abbozzare qualcosa, ma sempre adeguando ciò che diciamo alla esperienza che compiamo, al fatto che evolviamo».

Non possiamo dire nulla di definitivo di Dio?

«Se sapessimo qualcosa di definitivo di Dio saremmo alla sua altezza, ma non lo siamo».

Per il cristianesimo però Dio si è incarnato in Gesù.

«Gesù è il nome della realtà umana che “cresceva in sapienza età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Gesù è uomo come tutti noi. Il Verbo è il nome che noi diamo alla dimensione divina che si è manifestata come Parola. Spirito è il nome che noi diamo alla dimensione divina che irrompe dal futuro e ci fa diventare figli nel Figlio. Le formule trinitarie traducono i nostri rapporti con Dio nel tempo».

Ma Gesù non ha svelato Dio?

«Lo ha svelato in modo umano, in modo progressivo e sempre inadeguato. Egli ci ha parlato di Dio secondo il livello umano attraverso cui poteva esprimersi, secondo la cultura del suo tempo».

A cosa serve allora Gesù?

«Egli ha tracciato una strada, noi la continuiamo. Diveniamo figli di Dio nel Figlio che egli è, ma Dio in quanto tale rimane inconoscibile».

Chi credeva di essere Gesù?

«Pensava di essere un inviato di Dio, l’unto, il Cristo. Il salvatore. E questo è stato».

Teilhard De Chardin esaltava l’aspetto cosmico di Cristo, Gesù salvatore di tutti gli esseri viventi esistenti nel cosmo. Condivide?

«Questo aspetto è discutibile. Credo che Cristo sia salvezza dell’umanità, ma oggi non possiamo dire che l’umanità sia il centro del cosmo e quindi che Cristo abbia una funzione cosmica perché l’umanità è un piccolo frammento dell’universo. Non è escluso che vi siano altre forme di vita intelligenti e non credo che per loro Cristo sia la salvezza. Non siamo autorizzati ad affermarlo».

Delle altre religioni cosa pensa?

«Con ognuna dobbiamo dialogare per accogliere il loro dono e dare loro il nostro dono».

Come si immagina l’aldilà?

«Dell’aldilà non possiamo dire niente. Non abbiamo elementi. I primi discepoli si aspettavano la fine del mondo da un momento all’altro, ma questa non è arrivata. Non possiamo sapere».

Ci potrebbe essere il nulla?

«Al tempo di Gesù molti ebrei pensavano così e credevano che soltanto alla fine dei tempi ci sarebbe stata la risurrezione. Il modello greco, invece, sosteneva la presenza dell’anima immortale. Questo modello, che appare nel libro della Sapienza, è prevalso anche nel cristianesimo».

Teme la morte?

«Non direi, temo di più la sofferenza della malattia che potrebbe portare alla morte. L’ideale sarebbe morire in un istante. In ogni caso cerco di essere preparato. Alla mia età spesso penso: e se morissi ora?».

Cosa avverrebbe?

«Non so rispondere. Ciò che accadrà nessuno lo può sapere con sicurezza».

Ma ci sarà qualcosa?

«Io ho fiducia. È anche possibile che per alcuni vi sia una continuità mentre per altri no. In questo senso saremmo responsabili del nostro futuro. Saremo quindi ciò che abbiamo creduto di poter diventare».

Ho letto che per lei è nel silenzio che si può scoprire ciò che si vuole essere.

«Il silenzio è creare un ambiente di ascolto delle realtà che non possiamo ancora vivere. È creare la possibilità di ascolto delle parole che non possiamo pronunciare ma che riguardano il nostro futuro».

Cosa significa allora avere fede in Dio?

«La modalità concreta di avere fede in Dio è avere fede in sé stessi, perché Dio è dentro di noi e ci fa essere. Se crediamo in noi come figli di Dio crediamo in lui come principio e fondamento del nostro divenire».

Perché però il male?

«Non può non esserci perché è la condizione per crescere, per evolvere. La creazione è possibile precisamente perché è divenire, il divenire implica l’imperfezione, passare dall’imperfezione al compimento. Se Dio crea non può evitare il male perché deve iniziare dal nulla, dall’imperfezione. Anche noi quando operiamo dobbiamo correre il rischio dell’imperfezione, la fatica di superare il male».

Nel silenzio possiamo desiderare cosa essere?

«Sì, ma dobbiamo essere disponibili ad accogliere che si realizzi ciò che non potevamo sospettare, che la forza creatrice di Dio ci porti dove non possiamo immaginare».

Carlo Molari e il suo Credoultima modifica: 2024-02-19T05:38:10+01:00da piero-murineddu
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