Gianuario Fara e la sua normalissima famiglia nella Sennori degli anni 50 – 60

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di Piero Murineddu

In molti pomeriggi, per le strade del paese si sentiva il richiamo del fotografo ambulante con bretelle, bordino e l’ indispensabile  strumento di lavoro a soffietto. Chi da dentro casa sentiva il grido Fotografiasgièèèè…! ed era interessato, indossava il vestito più bello e si preparava con la miglior posa possibile vicino al suo iannile. Molti altri si facevano immortalare in punti suggestivi di Sennori, sforzandosi d’imitare posizioni che s’iniziavano a vedere nelle copertine dei rotocalchi e, specialmente le giovinette, le espressioni facciali delle dive viste nei fotoromanzi. La volta successiva, se l’immagine era soddisfacente per il cliente, veniva dato al fotografo quanto dovuto. Sono in molti che ricordano ancora quel sorridente anziano che immortalava i momenti belli delle persone. 

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Nella foto, Gianuario Fara, la moglie Nicolina Piana, il primogenito Giorgio, Franco e VannucciaTonio non era ancora venuto al mondo.

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Gianuario venditore di olio in Gallura

Oltre che dedicare tempo alla coltivazione del grano e altri prodotti della terra in località Su Anzu, campagna ricevuta in eredità dal padre Antonio e mamma Pazzola, Gianuario faceva il venditore ambulante di olio, specialmente in Gallura, da dove rientrava ogni fine settimana. Partiva il lunedì di buon mattino con la Sita ( Società Italiana Trasporti Automobilistici), nata dalla FIAT. Il bigliettaio apriva so cascionese e i vari ambulanti vi caricavano dentro la loro mercanzia. Quando la partenza avveniva di pomeriggio, il figlio più grande Giorgio lo aiutava a portare i vari bidoni alla fermata giù in piazza, dove rimaneva fin quando suo babbo, scendendo e salendo su per il Corso, non completava il trasporto di tutto ciò di cui necessitava per i giorni che doveva rimanere fuori paese. Curridicche a domo ! , diceva poi al figlio e il bacio o l’abbraccio era sostituito da una ischabizzada a cabita  o un’affettuosa pedatina nel didietro. Baci e abbracci non erano usuali in quei tempi. Mi dice Giorgio che nei pochi momenti in cui veniva preso sottobraccio, sentiva il grande affetto che forse il genitore non riusciva a manifestare in altri modi, e per lui era più che sufficiente.

Galline viaggianti e starnazzanti

Gianuario pernottava in una cameretta presa in affitto, e durante il giorno, cun sa besthula in coddhu, faceva il giro degli stazzi per vendere il rinomato prodotto degli oliveti romangini. Spesso i clienti pagavano con uova, formaggi e altri prodotti della terra che il venerdì seguente veniva riportato sempre in pullman, all’interno di sacchi di iuta o dentro quei bidoni di alluminio con la larga imboccatura usate dai pastori per il latte, dentro cui a volte metteva anche galline vive che non smettevano un attimo di starnazzare per tutta la durata del viaggio. Quando dalla piazzetta del Comune, all’ ora stabilità Giorgio vedeva il genitore arrivare, gli andava felice incontro per aiutarlo. I sennoresi che facevano tale mestiere erano in tanti. Acquistavano dai frantoi di Bainzu Maronzu e de frade Secchese che operavano in paese e se ne andavano in giro per la Sardegna a commerciare.

La moto Guzzi con “su cascione”

Gianuario aveva sposato Nicolina, da sempre santica, poco prima che partisse per diventare suora e grazie all’intercessione di una conoscenza comune. In eredità dal padre, Gianuario aveva ricevuto anche un piccolo gregge, ma non potendosene occupare, l’aveva affidato ad un pastore che lo ripagava ogni tanto con qualche agnello o capretto.

Dopo una decina d’anni, Gianuario e Nicolina decisero d’avviare una rivendita di frutta e verdura a Sassari, nella parte alta di via Napoli. Ad un certo punto Gianuario viene assunto per la costruzione dell’acquedotto di Sassari, dove non di rado rimaneva anche nei giorni festivi come guardiano. A volte portava con sé il figlio maggiore per godersi la partita di calcio nell’attiguo campo, dall’alto di un albero. Era riuscito a comprare di seconda mano anche una vecchia  moto Guzzi con su cascione, con la quale saltuariamente continuava a vendere l’olio sennorese recandosi a Badesi, Trinità e altri paesi di Gaddhura. Nel tempo libero, babbo Gianuario portava l’intera famiglia in campagna per qualche lavoretto, come immarruzzare, cioè estirpare l’erbe infestanti con su marruzzu, e svolgere altri lavoretti. Quando ancora non possedeva la sua bella e mezzo scassata moto di cui andava fiero, Gianuario si recava in campagna seduto in groppa all’asino che si faceva prestare dal fratello Iuanne. Dopo averlo legato cun sa trobèa, lui curava la vigna e il frutteto.

Recuperare gli uccelli colpiti in cambio di qualche spicciolo

Un carattere tranquillo e poco severo quello che Giorgio ricorda di babbo Gianuario, salvo quella volta  che si stava costruendo un muretto a secco in campagna. Vedendo la mamma che trasportava  pedra minuda cun su canisthreddhu  tenuto in equilibrio sulla testa cun su cabidileil figlio aveva cercato d’imitarla, senonché percorrendo il piccolo sentiero inciampa, facendo cadere una pietra proprio sulla testa del fratellino Tonio ancora in fasce e seduto dentro sa coivuleddhaSentendo le grida, i genitori si precipitano: babbo Gianuario si limita a fulminare con un severissimo sguardo l’incauto ragazzo, cosa ben peggiore di una sonora sussa, alla quale provvedette senza il minimo indugio mamma Nicolina.

Come sappiamo, l’ “educazione” dei figli a quei tempi ricadeva sopratutto sulle mamme, e noi altri figli di allora siamo in tanti a ricordare i fantasiosi e sopratutto dolorosi modi e mezzi a cui ricorrevano per  dimostrarci il loro ….amore. A questo proposito, Giorgio ricorda quando da Genova venivano i cacciatori di tordi. Per i ragazzini della zona era l’occasione per guadagnarsi qualche spicciolo, facendo la parte dei cani e andando a recuperare gli uccelli colpiti là dove cadevano. Quando una sera tornò a casa tardi, mamma Nicolina, rimasta a lungo preoccupata nel non vedere il figlio rientrare alla solita ora, sfogò malamente l’ansia accumulata colpendolo e ricolpendolo sulla schiena con un carciofo. Ah, allora si che i genitori erano amorevoli e presenti!

Giorno di festa

Le giornate feriali erano solitamente scandite dal lavoro dei  genitori, dalla scuola e dal gioco in strada per i figli. In casa Fara, anche la giornata festiva non era dissimile da quella di tante altre famiglie del paesino: la mattina gran lavaggio di indumenti e robbe varie nella larga gavagna, seguito dal bagnetto dei figlioli, prima di essere ben vestiti e mandati a chesgia. Seguiva la colazione con caffellatte o mezzuradu casalingo, per poi stare nella piazzetta attigua ad osservare i più grandi tentare piccole vincite al bighidibighidi, una sorta di gioco d’azzardo coi dadi.Per la Messa delle undici, oltre che trascinare dietro il marito, Nicolina si portava dietro anche la prole, che rimaneva a giocare nel piazzale di San Basilio, anche per non subire la loro comprensibile irrequietezza durante le lunghe e francamente noiose prediche di don Muroni.

Visita dei parenti

Abitando la famiglia Fara in via Margherita, appena dietro il vecchio Comune sostituito oggi dalla stazione dei carabinieri e nello stesso punto dove in seguito è nato il bar di  Pibarone, risultava una strada di passaggio, per cui era immancabile la visita dei parenti all’uscita da Messa. Era questa l’occasione per toglier fuori la bottiglia di rosolio, solitamente ben custodita a chiave dai genitori in sa gridenza, che fungeva anche da dispensa. Nel frattempo veniva preparato il pranzo, che dopo esser andati via gli ospiti, veniva consumato non prima della recita della preghiera, intonata in piedi dalla mamma e a cui gli altri si univano. Al termine era sempre Nicolina che riordinava, mentre il marito si occupava di tenere a bada i figli che non smettevano un attimo di dargli mattana. La loro irrequietezza era irrefrenabile, specialmente nei pomeriggi estivi in cui si cercava di tenerli buoni a letto incutendo loro il timore di esser portati via da sa mama de su sole. Quando non era Gianuario ad andare in visita con appresso la propria rattatuglia, erano i parenti a venire ospitati durante le serate fresche delle domeniche estive.

Le conversazioni sul raccolto e su cose spicciole della vita erano rallegrate e stimolate dal buon vino prodotto a Baddhe Abisi, mentre i cuginetti scatenavano tutta la loro esuberanza infantile giocando per strada a tena tena, a so battoro cantonadoso, cua cua, lunamonta, sa pasa……

E poi la scuola

Come detto, quanto sinora riportato a raccontarmelo qualche tempo fa è stato il primo dei figli di Gianuario e Nicolina, Giorgio, che poi, oltre che essermi cognato, è anche mio compare. Nei suoi ricordi, uno spazio particolare occupa quello legato agli anni della scuola elementare, e in particolare al maestro Nino Armando e alla grande passione che questo uomo metteva nella sua professione.

Sempre in quegli anni le classi iniziavano ad essere miste. Nella scuola di Via Marconi, al piano di sotto vi era la “Refezione”, destinata agli alunni più poveri. Pur essendo un grande aiuto per le famiglie, capitava tuttavia che certune, vergognandosi di essere considerate bisognose, non vi mandavano i propri figli. C’è da dire anche che non sempre potevano andarci tutti, per lo spazio e probabilmente anche per la quantità di cibo disponibile, per cui giornalmente passava la bidella in classe per farne sapere il numero. Lui, il maestro Armando, ne aggiungeva anche il doppio. Nel rapporto con gli alunni, la severità era del tutto assente. Era appassionato del lavoro che svolgeva, e i ragazzi questo lo percepivano eccome, portandoli di conseguenza a prestare la massima attenzione durante le sue lezioni. Maestro Armando, con la calma e la grande premura per ciascun alunno e alunna,  in un certo qual modo suppliva a quello che dovevano essere i padri reali dei suoi alunni, che il più delle volte, rientrando la sera stanchi  per il duro lavoro del giorno, non erano in vena di tenerezze e neanche avevano la pazienza di stare coi propri figli, a giocare e ad ascoltarli.

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In conclusione

Rileggendo parte del vissuto di questa famiglia – che a mio avviso può essere il prototipo di tutte le normalissime famiglie, specialmente di quelle che non hanno santi né in Paradiso né tantomeno sulla terra – mi viene da pensare ai grandi sacrifici affrontati in tempi non facili dai nostri genitori per farci crescere nel miglior modo possibile, e questo nonostante i possibili sbagli che possono aver compiuto. Anzi, più invecchio e guardo a ritroso, meglio riesco a capire che chi ha il compito di sostenere altri, nella crescita e in qualsiasi ambito del vivere umano, è soggetto a fare degli errori, io per primo. Ciò che potrebbe consolare, dopo la messa a fuoco e il riconoscerli, è l’ averli fatti senza averne piena consapevolezza e magari condizionati dai momenti duri che la vita non fa mancare a nessuno. A questo proposito, chi si considera senza “peccato”….. Da qui il grande senso di gratitudine che occorre avere nei loro confronti, sopratutto quando, col passare degli anni e in prossimità della Meta Ultima, li vediamo (e prima o poi noi stessi ci vedremo!) completamente dipendenti dalle premure e attenzioni altrui. Tutto qui, solo una breve e semplicissima riflessione fatta a voce alta che ho pensato di condividere. A ben vedere,  una storia comune a tantissimi di noi non più giovanissimi questa raccontatami da mio cognato Giorgio, nati in tempi in cui le comunissime famiglie tiravano avanti unicamente grazie all’ infaticabile generosità, pazienza e dedizione dei genitori.

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Gianuario Fara e la sua normalissima famiglia nella Sennori degli anni 50 – 60ultima modifica: 2023-11-05T05:44:26+01:00da piero-murineddu
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