La Sorso del 1833/1856 secondo Angius – Casalis

 

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di Piero Murineddu

Ancora in vita la carissima Gavina Demurtas, nel mio curiosare periodico, s’intende fatto sempre col massimo rispetto, nella stanzetta della sua casa dove il preziosissimo e compianto PETRONIO PANI aveva creato una sorta di Archivio delle sue innumerevoli ricerche sugli svariatissimi interessi, avevo scoperto il 17esimo volume del Dizionario “La Sardegna paese per paese“, in cui gli autori, i religiosi Angius e Casalis, informano sulla SORSO degli anni 1833 – 1856 (*)

Vi si parla dei luoghi, persone, economia di allora. Della pescosità nello stagno, meno abbondante dopo la universale mortalità di pesci nel 1795 per avvelenamento; di passeri in numerosi sciami che recavano non poco danno alle biade in maturazione;  dei palmizi, da cui i poveri ricavavano i germi che si vendevano per cibo e delle foglie con le quali si fabbricavano corde e spazze; del midollo della radice e del tronco (sempre della palma nana) che ha un sapore che stuzzica l’appetito e porta a bevazzare possibilmente di quello rosso;  della tùvera, specie di tartufo che dava delicatezza alle pietanze; della tanca del signor Francesco Luigi Marogna in cui si erano scoperti indizi di un’antica fabbrica di vasellame.

I sorsinchi erano laboriosi e industriosi, e raramente qualcuno era costretto a mendicare il pane. Le donne lavoravano sempre. La scimmietta cieca, sorda e muta era la regola anche allora, e infatti se capitava qualche delitto, nessuno vedeva, sentiva e tanto meno parlava. Insomma: fatti gli affaracci tuoi e non rischi, anzi, puoi addirittura sperare di toccare i cent’ anni e andare anche oltre. Al tempo, si legge che tra i poco meno di 4 mila sussinchi, ad arrivare ai cent’anni potevano essere appena un masciu e una fémmina. Segno che i più non se li facevano i cazzacci propri? Ma no, dai. Comunque sia, a ciascuno il giudizio se le cose oggidì siano cambiate o meno.

In occasione della festa della Vergine, che si distingue con lo strano titolo di “No mi ni caba’ “, i seguaci del Poverello d’ Assisi ricevevano abbondanza in vari et eventuali. A tal proposito, in quegli anni nel convento erano presenti addirittura 29 frati, per cui le offerte in alimenti da parte della popolazione non potevano che essere  molto gradite. I preti presenti  erano invece 11. Si può così dedurre che il gregge sorsinco fosse adeguatamente curato?

Interessante questo testo che consiglio di leggere senza fretta e con l’ attenzione che merita. Si noterà che molti termini sono scritti diversamente da come facciamo noi oggi. Dal momento che si tratta di religiosi, i due erano sicuramente “studiati”, per cui non si tratta di errori da attribuire ne a loro ne tantomeno a me, per cui, tranquilli: come ci trasformiamo noi, si trasforma anche la lingua.

Buona lettura

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SORSO, volgarmente Sosso, villaggio della Sardegna nella divisione e provincia di Sassari, capoluogo di mandamento sotto il tribunale di prima istanza della predetta città, già compreso nella Romandia, come fu detto il contado dell’antica colonia romana, Torre, che fu una delle due capitali del regno di Logudoro.

La sua posizione geografica è nella latitudine 40° 47′ 40″, e nella longitudine occidentale dal meridiano di Cagliari 0° 32′ 30″.

Siede a piè delle colline in cui termina verso maestro-tramontana il gruppo di Osilo, e comincia la maremma sabbiosa di Romandia. Per la qual situazione resta difeso da’ venti di mezzodì-scirocco, ed esposto alla tramontana, al maestrale e al ponente. Gli altri venti sono men liberi per maggiori o minori ostacoli. Dista dal mare poco più di due miglia con inclinazione quasi insensibile del piano.

Nell’estate per la periodica brezza marina o per i venti il caldo è molto temperato, nell’inverno il freddo è sopportabile, se non regni l’aquilone. Come si può supporre spesso imperversano furiosi i venti.

Le pioggie non sono molto frequenti, come nè pure i temporali di grandine e di fulmini. La neve imbianca talvolta il suolo, ma in poche ore o in pochi giorni svanisce.

L’umidità è spesso molesta e non è rara la nebbia, sebbene sia leggera e nulla nociva.

L’aria anche ne’ tempi dello sviluppo de’ miasmi n’è poco contaminata.

Sono in Sorso le strade poco regolari, ma generalmente sufficientemente larghe e selciate, dove potrebbe nell’inverno la terra imbeversi d’acqua e farsi pantano. I fabbricati sono semplici, sì che pochissimi hanno un bell’aspetto. Eravi notevole il palazzo baronale, ma l’ira popolare nella insurrezione del 1795 de’ popoli logudoresi contro i feudatari tanto lo guastò che ormai non restano che le sole mura.

Vi sono molte comodità pubbliche, botteghe di merci e di commestibili, cantine, una beccheria ecc. Vi sono delle città in Italia che in paragone pajono meschini villaggi.

Territorio. La lunghezza del medesimo si può computare di miglia 8, la larghezza media di 3, sì che si può computare una superficie di circa 24 miglia quadrate, o poco meno di giornate 20,000.

La massima parte di questa superficie è piana, la restante rilevata in colline facili, e quasi in ogni parte coltivabili.

Presso al mare a un miglio dalla foce del Silis, volgarmente rio di Sorso, sono tre piccole collinette poste in triangolo che diconsi Tres montes; quindi è notevole il monte di Pietrafuoco, che si prolunga per tre miglia sino al mare, dove è conosciuta la punta dello stesso nome.

Fra le valli noto quella che comprendesi quasi tutta nella circoscrizione di Sorso ed è quella dove scorrono le acque di Sennori in direzione a ponente-maestro per versarsi nello stagno di Platamone, come appellasi.

Questo rivolo ha la prima sorgente nella valle di Buttangari, l’altra presso il monistero distrutto de’ Benedittini, detto di s. Michele di Piana, e poco sotto un’altra detta di lu mattoni. Quando non si semina in questa valletta vi si piantano melloni, cipolle, tabacchi, e la corrente serve all’irrigazione.

La valle del Silis nella maremma non ha una notevole depressione. Anche in questa parte i sorsinchi servendosi dell’acqua vi coltivano i legumi.

Le fonti sono poche comparativamente alla totale superficie del territorio; ma bisogna ritenere che la massima parte di questo è piana con lunghissimi spazi sabbiosi.

Prossimamente al paese sono quattro fonti, le quali raccolte in quattro vasche coperte sono introdotte in un castello, onde si versano all’uso pubblico.

Questo castello è costrutto di pietra ordinaria ed ha in rilievo il sole e la luna, il simbolo delle quattro stagioni ed un serpente attorto ad un’ancora.

Queste acque dando più che serva al bisogno della popolazione bastano ad inaffiare gli orti ed i giardini che si trovano nel suo corso alla distanza d’un miglio.

Presso i confini del territorio di Sassari, nella regione di Gerido, si apre una fonte; quindi un’altra dissotto e ad un miglio, che dicono l’Abbiu; una terza nella stessa valle, che si conosce sotto l’appellazione di Canthru Martini, e inferiore a queste una quarta nel luogo detto Sa Paludedda.

Tutte queste acque raccolte in un canale formano un rivolo che basta ad irrigare gli orti coltivati in essa valle alla distanza di miglia 3.

Nelle dette acque si prendono anguille, e trovasi il muggine presso le foci.

Lo stagno di Platamone è lungo poco meno di miglia 2, e largo circa 2/5. In esso trovasi una peschiera formata da un piccolo canale, nello sbocco del quale mettesi un canniccio, dove, essendo calate le acque, le anguille e l’altro pesce restano in secco. Il prodotto della pesca vendesi a Sorso ed a Sassari.

In altri tempi era maggior abbondanza in queste acque, e fu dall’anno 1795 in seguito ad una quasi universale mortalità de’ pesci, che la pesca diminuì, in seguito, come pare, all’avvelenamento delle medesime. La pesca è fatta quasi sempre da un uomo solo.

Si trovano in questo stagno infiniti stormi di anitre, di folaghe e d’altre specie acquatiche.

La comunicazione di questo stagno col mare essendo quasi sempre chiusa, ciò è causa che non vi possano entrare dei pesci, e siccome nelle sue sponde vi hanno tratti fangosi onde nell’estate si svolge molta infezione, però sono nell’estate frequenti le terzane doppie nel paese, quando soffiano con troppa frequenza i venti di ponente-maestro.

Il selvaggiume si ristringe alle sole volpi e lepri, che non sono in gran numero, perchè i principali del paese molto spesso vanno alla caccia.

Si prendono pure pernici, quaglie, tordi e merli. I passeri sono in sciami tanto numerosi, che recano non poco danno alle biade quando non sono ancora mature.

Nella regione verso greco trovansi, ma rari, alberi ghiandiferi ed altre piante cedue. In questa parte trovansi sparsi per tutto i palmizi, i quali sono un ramo di lucro ai poveri, perchè sterpano i germi che si vendono per cibo, e delle foglie fabbricano corde e spazze.

Nei terreni ingombri delle macchie dei palmizi trovano i medesimi copiosissime le lumache, dalla vendita delle quali ritraggono molte migliaja di lire. Il palmizio è un arbusto del genere delle palme nane, che, come abbiamo accennato, trovansi in altri littorali dell’isola. Le foglie sono come quelle della palma ma a ventaglio. La radice e tronco ha un midollo biancheggiante e più compatto, ed un sapore dolce-amaro che non dispiace ai forestieri, stuzzica l’appetito, e chiama molto vino. Nei tempi di carestia supplisce, come altrove, i pomi di terra. Questa pianta, sebbene tagliata, se si lascino le maggiori radici, ripullula.

Abbiamo notato le molte sabbie che coprono grandi tratti delle maremme, e le rendono sterili, perchè in quella regione appena vedesi qualche filo d’erba: tuttavolta la sterilità non è assoluta, perchè in quelle arene si produce la tùvera, certa specie di tartufo che pare aver somiglianza alle trifole del Monferrato, ma che sono inodore. Nelle tavole sono una pietanza dilicata, e se ne mangia in quantità senza temer offesa allo stomaco, come accade per lo contrario nelle trifole.

La roccia unicamente dominante in questo territorio è la stessa che trovasi nel territorio di Sassari.

Si fa in varii siti della calce, che però non lega molto forte, e si tagliano delle pietre per edifizi.

Trovasi pure argilla buona per i vasai, e in altro tempo era adoperata. Non sono molti anni che in una tanca del signor Francesco Luigi Marogna si sono scoperti gli indizi d’un’antica fabbrica di vasellame, dove si trovarono molte lucerne di essa terra di colore rosso, ed alcune figure o statuette. Siccome una di esse aveva in rilievo le parole El rey Herodes, però si può da questo congetturare, che nel tempo della dominazione castigliana fosse ancora questa fabbrica in attività.

Popolazione. Nel censimento del 1846 si numerarono in Sorso anime 3984, distribuite in famiglie 1059 e in case 811.

Questo totale d’anime componevasi dalle seguenti parziali secondo le età in uno ed altro sesso: sotto i 5 anni, maschi 253, femmine 271; sotto i 10, mas. 253, fem. 359; sotto i 20, mas. 447, fem. 450; sotto i 30, mas. 343, fem. 347; sotto i 40, mas. 275, fem. 227; sotto i 50, mas. 267, fem. 224; sotto i 60, mas. 87, fem. 97; sotto i 70, mas. 35, fem. 26; sotto gli 80, mas. 14, fem. 4; sotto i 90, mas. 1, fem. 2; sotto i 100, mas. 1.

Distinguevasi poi il totale secondo la condizione domestica, il totale de’ maschi 1977 in scapoli 1175, ammogliati 731, vedovi 71; il totale delle femmine 2007 in zitelle 988, maritate 721, vedove 298.

I numeri del movimento della popolazione sono, nascite 160, morti 90, matrimoni 42.

Nel 1829 numerava Sorso anime 3414; nell’anno seguente ne mancarono circa 200. Nel 1830-31 32 nacquero 500, morirono 300, si maritarono 130. Nel 1835 si numeravano maggiori d’anni 20, maschi 1087, femmine 1133, minori maschi 969, femmine 962.

Il popolo di Sorso è uno dei più laboriosi e industriosi che abbia la Sardegna, tutti occupandosi in qualche professione, ed intendendo a procacciarsi il necessario, o ad accrescere la fortuna. Chè se non si riconoscano grandi patrimoni, sono però moltissimi che vivono in qualche agiatezza, ed è raro veder alcuno che vada mendicando il pane. Le donne sono attivissime come gli uomini, lavorano sempre, e quelle della bassa classe vanno pedestri a Sassari per una via di quasi 5 miglia portando frutta e tanti altri articoli, spesso per un piccolo profitto.

È passata in proverbio la semplicità dei sorsinchi; ma se gli antenati furono in generale persone scempie, i loro posteri son tutt’altro, così come si avvera dai popolani di altri paesi, che aveano la stessa riputazione di questi. Parve a molti che il clima contribuisse a rendere stupidi ed imbecilli gli abitatori; ma il clima non essendosi alterato quelle condizioni morali, certamente esagerate, ora non sono più riconosciute.

Si accusano i sorsinchi del nessun loro concorso al buon procedimento della giustizia, non trovandosi uno tra una moltitudine spettatrice d’un delitto, che attesti contro il conosciuto delinquente. La causa di questo fatto è nel timore che possa venir loro male da’ parenti del reo.

Notossi pure quasi nullo lo spirito sociale in alcuni casi, perchè nessuno soccorse in favore de’ deboli oppressi da uomini violenti, e quando da banditi fu fatta invasione nel paese e aggredita qualche casa, nessuno osò prender le armi per rispingere gli assalitori e proteggere gli assaliti.

I sorsinchi parlano il dialetto sassarese, ma con una pronunzia lenta, dalla quale pochi si disavvezzano.

I principali del paese, massime i nobili, vestono come nella città, e parimente le loro donne; gli altri hanno le brache sarde sopra i calzoni di lino, usatti di panno forese, giubba di panno e gabbano di detto panno con berretto nero o color di caffè; le loro donne vestonsi per lo più con indiane, lasciato il panno che già usavano, e imitando le donne dei contadini di Sassari.

Le più frequenti malattie nell’inverno e primavera sono le infiammazioni d’ogni genere; nell’estate ed autunno febbri periodiche sovente intermittenti.

Vedesi spesso la clorosi, e nell’estate non sono rarissimi i casi del carbonchio, che si guarisce con facilità, se nel bel principio, levata la cotenna, se gli attacca un pezzo di corno di cervo abbruciato, e si sostituisca un altro simile pezzo distaccato il primo.

Nel carnevale le persone della bassa classe mascherate e non mascherate ballano nelle piazze, le persone di miglior condizione ballano in sale particolari di notte.

Nel primo ed ultimo giorno di carnevale vi è corsa di cavalli nella piazza, cioè nella strada principale, e si vedono correre li 30 e più cavalli in discesa. Fra questi vi sono quei cavalli nobili, che sono nel numero de’ corsieri, e che si mandano in tutte le feste dove corra-si il palio per gareggiare nell’arringo.

I defunti si accompagnano alla chiesa da tutta la parentela. Se uno sia perito per mano nemica le donne vestite di sajo e velate di bruno nell’accompagnarlo levano i lamenti, si offendono nella persona, e non si moderano neppur nella chiesa.

Sono tra’ sorsinchi applicati all’agricoltura persone 1170 in circa, alla pastorizia 150, ai mestieri e al negozio circa 130. Le donne si occupano nella tessitura del lino e fanno ottime tele e con disegni lodevo

li. Altre intrecciano le foglie de’ palmizi in corde e fanno spazze, che si vendono in tutto il Logudoro. Abitano in Sorso sedici famiglie nobili e il casato di alcune è di alta antichità.

Nelle professioni liberali si numerano notai 10, procuratori 6, medici 2, chirurgi 2, flebotomi 3, farmacisti 3. Ma forse neppur adesso le partorienti non hanno una levatrice che le assista.

Il clero componesi di preti 11 e frati 29.

In tutto il paese sanno leggere e scrivere circa 200 persone; ma non tutte impararono nella scuola primaria.

Questa scuola suole avere inscritti 50 fanciulli; ma non vi concorre con qualche assiduità neppur il terzo di questo numero.

Quando sussisteva il sistema delle milizie Sorso avea con Sennori una schiera di 112 militi; dopo l’instituzione della guardia nazionale, essendosi abolita quella milizia e non organizzata ancora l’altra, non si può notare la forza armata che abbia questo paese.

Agricoltura. Nella sua circoscrizione sono terreni attissimi a tutte le specie di cultura, de’ cereali, delle piante ortensi, della vigna, degli alberi, solo eccettuato il castagno, che non potè mai allignare.

Nel 1835 Sorso avea terreni chiusi giornate 7000, aperti 4500, pascoli pubblici 4500…

La seminagione del grano è di circa 2500 starelli cagliaritani, quella dell’orzo di 1500, quella delle fave di 350, quella del lino di 300.

La fruttificazione ordinaria del grano è del 10, quella dell’orzo al 15 e anche spesso al 30.

Abbiamo indicato i diversi siti e quanto sono essi estesi ove si fa l’orticultura, e basta questo perchè si stimi quanto essa sia estesa. Lo smercio facile di questi articoli che si può fare in Sassari ha incoraggiato alla medesima.

Le più comuni specie di erbaggi sono cavoli di tutte le specie, lattughe, cardi, citriuoli, melloni di ottima qualità ecc. Si fa pure piantagione di tabacco e bisogna dire che le foglie degli orti di Sorso in buona situazione sieno preferite a tutte le altre, perchè macinate danno un tabacco che supera le altre farine. Se si permettesse l’esercizio di questa industria Sorso darebbe tabacchi finissimi da potersi pareggiare a quei di Spagna! e questa asserzione non parrà temeraria se si consideri la bontà di quelli che si fanno di contrabbando, e per conseguenza senza quella diligenza ed attenzione che si darebbe in un lavoro libero.

La vigna prospera mirabilmente e produce uve di vino e mangiabili di ottima qualità. Le varietà delle uve sono più di venti tra bianche e rosse e nere.

La vendemmia è copiosissima di vini neri e bianchi comuni e fini. Tra questi ultimi è da notare la malvasia, la quale non cede a nessun’altra nell’isola, massime se vecchia di alcuni anni.

Sebbene facciasi una prodigiosa consumazione di vino nel paese restane ancora una gran quantità che si compera da’ Genovesi a tal prezzo, che ogni carica di 80 litri vendesi a soldi 50 (lire 2. 50), quando vendesi bene.

Si bruciano molte centinaja di cariche nei lambicchi, e l’acquavite vendesi a Sassari e a Portotorre.

Gli alberi fruttiferi non sono complessivamente meno di 250000, e di tante specie, quante ne abbiamo accennato in Sassari, perchè i sorsinchi imitano in tutto i sassaresi, e quando vedono nel territorio di Sassari riuscire una coltivazione essi tosto la imprendono.

Le specie più comuni sono olivi, peri, pomi, agrumi, susini, noci, mandorli, albicocchi ec., di moltissime varietà, e in totale ceppi 200000.

Oliveti. In tanto numero di alberi fruttiferi forse la metà e più sono olivi, da’ quali si ottiene un olio, che per la migliore sua qualità è nel commercio pregiato più di quello di Sassari. Esso come quello della Planargia dovrebbe vendersi a un prezzo maggiore, ma ciò non si avvera spesso perchè si confonde con quello di Sassari.

La cultura de’ gelsi sarebbe favorita dal clima, ma non si è ancora introdotta, perchè difficilmente si tentano le novità, e non si crede a’ grandi vantaggi che si promettono.

Pastorizia. Le regioni incolte sono mediocremente fornite di pascoli, e quasi totalmente prive quelle della maremma sabbiosa.

Il bestiame manso, che i sorsinchi tengono a loro servigio, consiste in buoi 1000 per l’agricoltura e il carreggio, cavalli 200 per sella e basto, giumenti 650 per la macinazione del grano e anche per trasporto di carichi.

Si aggiungano majali 150 che si ingrassano per provvista di casa, e un numero immenso di pollame, che le donne allevano per vendere i capi vivi nella piazza di Sassari e le uova.

Il bestiame rude nelle comuni specie ha i seguenti capi, vacche 750, cavalle 230, capre 2600, pecore 5500, porci 1400.

Da questi armenti e dalle greggie si provvede la beccheria del paese, e si ha dal latte il formaggio necessario alla consumazione interna ed un residuo, che vendesi in Sassari o in Portotorre.

La cultura delle api può comprendere 200 alveari.

Commercio. Da’ prodotti agrari e pastorali e da molti diversi articoli, che si sono accennati ottengono i sorsinchi lire nuove 200000 in circa.

Strade. Da Sorso si può difficilmente carreggiare sulla roccia o suolo naturale sino a mezzo l’intervallo da Sassari nella valle di Logulentu, dove si trova la strada fatta dai sassaresi. Meglio si va in tempi asciutti co’ carri sia presso s. Gavino, dove dopo miglia 6 entrasi nella grande strada.

La via a Castelsardo lunga miglia 10 è piuttosto facile per la prima metà.

Nel rio di Silis trovasi un ponte che resta a miglia 5/6 dalla foce.

Religione. Il popolo di Sorso è compreso nella giurisdizione dell’arcivescovo di Sassari ed è servito nelle cose religiose da tre o quattro preti, il capo de’ quali ha il titolo di pievano. Prestano ancora servigio i frati francescani di due conventi.

La chiesa parrocchiale di antica struttura è stata consagrata sotto l’invocazione di s. Pantaleo martire.

Divisa in tre navate di dieci colonne è sufficientemente capace, e fornita di sacri arredi, ma non ha ornamenti di pittura e scultura degni di menzione. Notasi in una pietra ordinaria una iscrizione dove sono poche lettere visibili, le quali certamente non portano nè un piccol cenno, che indichi la sepoltura del giudice Barisone, come pretendesi da alcuni. Vedi il Tola nella sua Biografia degli uomini illustri della Sardegna.

Sono nell’abitato cinque chiese filiali, dedicata, una a s. Anna, l’altra a s. Agostino, la terza alla s. Croce, la quarta e la quinta sono annesse a’ conventi de’ minori osservanti e de’ cappuccini.

La chiesa di s. Croce è uffiziata da una confraternita, è molto frequentata nella settimana santa per i riti del tempo che vi si celebrano, e negli ultimi giorni del carnovale per le quarant’ore.

In quella de’ frati osservanti hanno una cappella i confratelli della Vergine d’Itria.

Le feste principali sono per s. Agostino nella indicata chiesa ne’ cui vespri si corre il palio, per la Vergine d’Itria, e s. Pasquale Baylon nella chiesa de’ francescani suddetti.

Si celebrano con maggiore o minor pompa, con fuochi artificiali e anche con corsa di barberi, secondo la quantità della limosina questuata nelle aje.

È pure festa popolare quella che si celebra col prodotto delle limosine delle aje nella chiesa de’ cappuccini in onore della SS. Vergine che distinguesi col titolo strano di Noli-me-tollere.

I religiosi ricevono in tal giorno un sontuoso regalo dagli operai della festa, consistente in vacche, montoni, porchetti, formaggio, vini prescelti, in 40 o 50 canestri di pane fino, aranci, ciriegie, ecc. La festa chiudesi con la corsa de’ barberi e con fuochi d’artificio.

Porta la tradizione che il simulacro della Vergine venerata nella chiesa de’ cappuccini sia stata trovata nella spiaggia ed è famosa per miracoli.

Sono in Sorso due cimiteri, uno attiguo alla chiesa parrocchiale, l’altro al convento de’ frati osservanti.

Chiese rurali. A un’ora e mezzo dall’abitato trovasi una chiesa dedicata all’apostolo s. Pietro, piuttosto grandetta, la quale però è sotto la giurisdizione ecclesiastica di Castelsardo.

Molto prossime alla medesima vedonsi le mura d’un’altra chiesa già dedicata a s. Paolo, come è tradizione.

Dall’altra parte, cioè verso ponente, a un’ora dal paese sono le rovine d’un monistero di benedittini.

Alla parte del meriggio in distanza di miglia 2 restano le rovine d’una piccola chiesa dedicata a s. Quirico, d’un’altra intitolata da s. Barbara, d’una terza dedicata a s. Biagio, e non sono molti anni che sussisteva ancora quasi intera la chiesa di s. Andrea in sul sentiero a Sassari, ammirata per la sua costruzione.

In vicinanza a’ limiti con Castelsardo sul lido del mare sono ancora chiare le vestigie della chiesa di s. Felicita, della quale restano le fondamenta.

Infine sul colle di Taniga, verso libeccio, sono tre chiesette, una dedicata a s. Giacomo apostolo, l’altra

s. Marta, la terza a s. Cristoforo. Quest’ultima è piccolissima.

Antichità. A mezzo miglio dal paese si riconoscono le vestigie di due nuraghi.

Alla parte meridionale trovansi le rovine di un abitato, intorno alla suaccennata chiesa di s. Andrea, e in altri due punti, ne’ quali erano i villaggi di Geridu e di Gennor. Verso sirocco a distanza di miglia 3 era Oruspe; al settentrione a un miglio e mezzo nel luogo detto Ruinas, altra popolazione, di cui si ignora il nome, e che deve essere caduta da tempo lontanissimo; più in là sono altre rovine, alle quali si dà il nome di Muros de Maria, e verso levante a circa 5 miglia vedonsi altri vestigi nominati di Suidduddu.

Cenni storici. Nel 1527 fu la terra di Sorso invasa da Rencio Orsino dopo l’infelice riuscita dell’assedio e assalto del Castello aragonese, e gli invasori raccolsero tanta copia di vettovaglie, che vuolsi sieno bastate all’armata per tre mesi. Notasi che i sorsinchi fecero strage di molti francesi.

Il famoso corsaro Barbarossa nelle frequenti sue navigazioni nel mare dell’isola, si avvicinava alle spiaggie di Sorso in anno non determinato, ma di poco posteriore all’aggressione di Portotorre, e alla spogliazione della chiesa di s. Gavino, e sbarcava di notte parte della sua gente per saccheggiarla. Erano già in terra circa 800 giannizzeri presso la foce del fiume Foca (il Fara nella corografia nomina il fiume della valle di Cocco), quando Giovanni Maronjo avvertito della invasione, radunati non più di 50 uomini a cavallo, andò incontro a’ barbari, e lanciò i suoi da due parti sopra di questi, i quali sperando di sorprendere la popolazione furono sorpresi tra la via, e per gli alti clamori de’ sorsinchi credendo di esser presi fra due grosse schiere si volsero in fuga precipitosa verso il mare. Ma pochi si salvarono gettandosi in mare. Gabriel Sasso de Vega nel volume de’ suoi romanzi celebrò in versi questa vittoria.

In altre memorie questo nobile Maronju trovasi nominato Lorenzo, sul quale sono conosciuti diversi aneddoti.

Nel tempo della guerra di successione, quando il Vicerè posto da Filippo fuggì da Cagliari in Sassari, accorsero qui le milizie de’ vicini paesi condotte da’ baroni, o da’ loro procuratori. Vi accorse pure D. Pietro Amat barone di Sorso con i suoi vassalli, ma essendo partigiano di Carlo III persuase il Vicerè a ritirarsi per sua maggior sicurezza nel Castello aragonese. Come il Vicerè se ne partì, entrò egli nella città con la cavalleria di Sorso e di Sennori gridando alti evviva all’austriaco, e favoreggiato da’ cittadini della stessa fazione si impadronì del governo. L’Imperatore lo confermava poi nella dignità di governatore di Sassari e del Logudoro.

Questo barone cominciava la lite che durò sino al 1831 contro i suoi vassalli sulla mezza portadia, e fu decisa dopo 144 anni dal supremo consiglio di Sardegna con sentenza de’ 5 maggio 1831 in favore de’ vassalli.

Noteremo qui le altre memorie storiche de’ tempi più antichi.

È tradizione che uno dei giudici del Logudoro sia stato sepolto nella parrocchia di Sorso, come fu indicato.

Comunemente si crede fosse Barisone figlio di Mariano II e di Agnese di Guglielmo di Massa, succeduto al padre nel 1233, e ucciso ancor giovinetto dai sassaresi tra una sedizione dopo 3 anni e 3 mesi di regno: ma il P. Tealdi delle scuole pie nel suo ms. Catalogus Judicum turritanorum sostiene fosse un altro Barisone molto più antico, e indica quello stesso che assalì e vinse i saraceni, i quali sbarcati presso il promontorio Frisano avevano invaso e devastato la terra e il monastero di Tergu. Dicesi che mentre dopo la vittoria ritornava alla sua residenza in Torre, preso da malattia dovette fermarsi in Sorso, dove morì. Egli asseriva esser così dichiarato nel codice di s. Maria Nulvense.

Questo pare a me più probabile, perchè non si saprebbe comprendere come fosse avvenuto che Barisone II ucciso da sassaresi fosse portato in Sorso, se pure non vogliasi dire che la sedizione fu fatta in Sorso da militi sassaresi, il che però si direbbe senza fondamento alcuno.

 

 

(*) Presentazione del Dizionario ANGIUS- CASALIS   “La Sardegna paese per paese”  curata da L’Unione Sarda

Sul finire degli anni 20 di due secoli fa l’abate torinese Goffredo Casalis decise di pubblicare il Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna.

E nel quadro dell’importante e complessa iniziativa fece una scelta certamente indovinata: dare l’incarico di raccogliere tutte le informazioni sulla Sardegna a padre Vittorio Angius, cagliaritano, scolopio, insegnante, uomo politico, scrittore, giornalista, studioso infaticabile e ricercatore scrupoloso.

Angius accettò subito e con grande entusiasmo. E immediatamente inviò un questionario molto dettagliato a intendenti, vescovi, parroci, sindaci e intellettuali.

Dal canto suo riprese lo studio di opere storiche considerate affidabili. In breve raccolse un’enorme quantità di materiale, tanto da essere indotto a questo ragionamento: «difficilmente Goffredo Casalis potrà gestire una tale valanga di informazioni, meglio sarebbe se mi incaricasse di scrivere le “voci” che riguardano la Sardegna».

L’abate torinese non se lo fece dire due volte. E Vittorio Angius, per assolvere al meglio il qualificato e qualificante incarico, iniziò un viaggio che doveva durare oltre nove anni e durante il quale visitò la Sardegna paese per paese studiando con rigore e pazienza gli usi, i costumi e la lingua parlata in ciascun centro, facendo incetta di informazioni e dati sulla popolazione, sulle attività economiche e prendendo appunti precisi, infine, sulle caratteristiche delle abitazioni private e dei pubblici edifici.

La Sorso del 1833/1856 secondo Angius – Casalisultima modifica: 2021-12-10T06:01:42+01:00da piero-murineddu
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