I protagonisti del diciannove di ogni marzo

di Piero Murineddu

Giuseppe, un nome mai datomi dai miei genitori né tanto meno risultante all’ anagrafe, eppure in diverse epoche della mia vita che ha ormai imboccato – e diciamolo, dai.. –  la strada in discesa, mi son sentito chiamare in questo modo. La mia fisiognomica ricondurrá a tale nominativo? Boh….

Beh, intanto faccio gli auguri a chi realmente questo nome lo ha, maschi e femmine che siano e in tutte le sue varianti e diminutivi, ad iniziare naturalmente dal mio figliolone che la faccia non l’ ha ma così io e mammá decidemmo di chiamarlo….

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Dovere adempiuto, tiriamo innanzi.

A seguire, propongo il pensiero di alcune persone riguardo al Giuseppe santo padre di Gesù e il racconto di un figlio che il babbo l’ ha perso in tenerissima etá e non ha mai potuto festeggiarlo come normalmente fanno i buoni figliolini e figlioline, specialmente col regalino preparato nei primi anni del proprio curriculilum scolastico.e per finire…Anzi no, questo lo dulico al termine.

Buona lettura e complimenti ai pochi coraggiosi che arriveranno sino alla fine….

 

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 Padre che apre la sua Casa

di Luciano Locatelli, presbitero

Oggi nella liturgia si festeggia San Giuseppe, che la classica iconografia ha spesso dipinto come un simpatico vecchierello, preso da Dio per dare una famiglia a Gesù, che fa una brevissima comparsa nei vangeli cosiddetti dell’infanzia, e poi, misteriosamente, scompare nel nulla.

In Mt 1,16.18-21.24a Giuseppe viene presentato come  un “giusto”, cioè uno stretto osservante della Legge e per questo un acceso nazionalista. L’osservanza dei giusti si pensava accelerasse l’arrivo del Messia che avrebbe liberato dall’oppressore romano e ricostituito il Regno d’Israele. Quindi Giuseppe, il Giusto secondo la Legge, sceglie di infrangere la Legge stessa (decise di licenziarla in segreto, al posto di denunciarla come la Legge obbligava) per fare spazio a Dio.

Giuseppe il Giusto, apre la strada al Figlio del Padre che rinnova il suo rapporto con l’umanità: non più un Dio che governa emanando leggi, ma un Padre che apre la sua casa e invita a entrare nella creazione dell’uomo nuovo. Il “Figlio” di Giuseppe il Giusto sbriciolerà la vecchia religione per aprire la via all’esperienza della fede che offre alla vita di chi accoglie tale dono una qualità nuova: la stessa condizione divina.

 

San Giuseppe dimenticato

di Alberto Maggi, frate

L’ebraico Yôsep (Giuseppe), è un nome augurale per chi desidera una famiglia numerosa, infatti significa “il Signore aggiunga” (al bambino nato), tanti altri ancora.

Nome popolare nella Bibbia, è portato da personaggi illustri della storia d’Israele, dal figlio di Giacobbe e Rachele, venduto come schiavo dai suoi fratelli per gelosia, ma divenuto poi governatore d’Egitto (Gen 37-42), al marito di Maria; quel che li accomuna è che entrambi, in situazioni drammatiche, sono stati i salvatori della loro famiglia.

Nel Nuovo Testamento c’è però un’evidente reticenza nel trattare di Giuseppe di Nazaret, marito di Maria e padre di Gesù. Sia nelle lettere di Paolo sia degli altri autori del Nuovo Testamento non si fa alcun accenno a Giuseppe, ma quel che sorprende è il ruolo marginale che sembrano dargli anche gli evangelisti.

Nel vangelo considerato più antico, quello di Marco, non c’è alcun riferimento a lui, e Gesù è ricordato solo come “il figlio di Maria”; vengono nominati i fratelli Giacomo, Ioses, Giuda e Simone, e anche le sue sorelle (Mc 6,3), ma non c’è alcun cenno al padre.

Anche nel vangelo di Giovanni si parla della madre di Gesù (Gv 2,1; 19,25) e dei suoi fratelli (Gv 7,3-10), ma non si trova alcun indizio su Giuseppe. È solo nei vangeli di Luca, e in particolare di Matteo, che gli evangelisti, in modi diversi, trattano questa singolare figura della quale stranamente non riportano neanche una parola, e del cui mestiere si parla solo in relazione a Gesù, conosciuto come “il figlio del falegname” (Mt 13,55).

La scarsità di notizie riguardo a Giuseppe nei vangeli, ha fatto sì che la Chiesa e la tradizione abbiano attinto abbondantemente dai testi apocrifi, in modo particolare dal Protovangelo di Giacomo, di poco posteriore ai vangeli. È in questo testo che Giuseppe viene presentato già come anziano (“Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza” (9,2), mentre nell’apocrifo “Storia di Giuseppe Falegname” si legge che era vedovo con ben sei figli (quattro maschi e due femmine), quando si sposò con la dodicenne Maria di Nazaret. E quando Giuseppe morì, a ben centoundici anni (15,1), Gesù e Maria erano presenti al suo capezzale insieme a tutti i suoi figli e figlie.

Queste notizie indussero la tradizione cristiana a presentare Giuseppe come una persona molto avanti con gli anni e, in modo particolare dal quindicesimo secolo, il consolidarsi del culto a San Giuseppe, portò a raffigurarlo sempre più come un anziano che sembrava più il nonno che il padre di Gesù, forse per rendere così più sicura la verginità della Madonna, e generazioni di bambini hanno imparato la dolce filastrocca dedicata a “San Giuseppe vecchierello…”

La festa e il babbo mancati

di Giampaolo Cassitta, scrittore e per 25 anni educatore carcerario 

Non ho mai festeggiato la festa del papà e questa assenza, soprattutto negli anni dell’infanzia, mi ha probabilmente pesato. All’asilo si facevano i famosi lavoretti (ho notato che si fanno ancora oggi) ed io che il babbo non l’avevo – perché era morto quando avevo appena tre anni – quei lavoretti li regalavo a mio nonno, che non era la stessa cosa.
Sono appartenuto ad una famiglia piuttosto sobria nei festeggiamenti e sono cresciuto con questa convinzione: i compleanni, gli onomastici e le ricorrenze varie appartenevano ad una condizione di vita che non è mai stata la nostra. Mia madre, per esempio, dimenticava anche il giorno di nascita mio e di mio fratello (ho sempre pensato lo facesse apposta) e solo quando qualcuno glielo ricordava affermava che “si era semplicemente scordata”, ma che era importante voler bene e ricordare i propri figli sempre e non solo una volta l’anno. Così, ritornando alla festa del papà mi trovavo sempre in imbarazzo davanti ai miei amichetti che, invece, non vedevano l’ora di portare il foglietto, il disegno, il lavoretto al proprio padre. Per me quello era, invece, il non giorno della festa del papà che diventava il surrogato della festa del nonno. Quando sono diventato padre e i miei figli sono andati all’asilo ho avuto come un ritorno alla mia infanzia. Anche loro hanno portato i lavoretti e mi hanno scritto le letterine. Per loro la festa del papà è esistita davvero. Io, di mio, continuo a pensarla come la non festa del papà anche perché, come ricorda mia mamma, bisogna ricordarsi tutti i giorni delle persone e mio padre, nel mio piccolo, continua a camminare con me. In silenzio e con incommensurabile leggerezza.

Per finire….

(Piero)

Appunto, per finire, il pensiero del pedagogista, imprenditore sociale e conferenziere Johnny Dotti, un dinamico tipino con la vocazione di provocare il diffuso perbenismo imperante in qualsiasi ambito si porti avanti la propria vitaccia.

Dice nella prima parre del suo intervento ad un convegno vocazionale:

“Il mio amico don Mario mi aveva chiesto di scrivere qualcosa sulla figura biblica di Giuseppe, e la cosa li per lì mi spaventò. Sono lombardo, e dalle mie parti le statue di questo santo sono tutte bruttine, insignificanti e anche tristine. Eppure, aderendo alla proposta, mi son sentito convertito. Cioé, una persona che nei vangeli, almeno quelli canonici non ha mai parlato, mi ha portato a rivedere tante mie convinzioni. Questo a riprova che le Cose che contano, vanno molto aldilà delle parole….”

https://youtu.be/ORu-oJ9tvXs

I protagonisti del diciannove di ogni marzoultima modifica: 2021-03-19T14:44:20+01:00da piero-murineddu
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