Quella volta in cui Francesco fu avvelenato, da Riccardo e da tanti altri

di Piero Murineddu

D’inciderla su disco non aveva proprio intenzione, ma poi, dopo averla cantata in un primo, secondo, terzo concerto e divenuto in seguito perché richiesto uno di quei brani conclusivi che invitano quasi ad alzarsi tutti in piedi per cantare insieme ma sopratutto per sgranchirsi le gambe dopo esser state costrette, se trovato posto in prossimitá del palco, a tenerle  due ore e più incrociate all’indiana, la canzone divenne una traccia di “Via Paolo Fabbri 43“, che oltre ad indicare il nome di un partigiano, sindacalista e naturalmente antifascista perito nel febbraio del ’45, il titolo del 33 giri uscito nel ’76 indica la via e il numero civico di Bologna dove Guccini ha vissuto per tanti anni, la cui facciata é attualmente abbellita, lo giuro perché vista coi miei malmessi occhi non molto tempo fa, da una vite che, maledizione, io non son mai riuscito a fare altrettanto a casa mia.

sketch1598640361703

L’avvelenata“, scritta durante un viaggio in treno e incazzatissimo sfogo di un periodo, quello dei “Movimenti” e dell’espropriazione proletaria, nello specifico pretesa di non pagare il biglietto, in cui ai cantautori si richiedeva ( leggi pre-ten-de-va) un impegno esplicitamente “politico”. Diversamente, si rischiava di esser giudicati dai Tribunali di piazza, come avvenuto a De Gregori durante un concerto a Milano, oppure etichettati come “fascisti” se non facevi canzoni “impegnate” che contribuissero alla Rivoluzione in atto, com’é successo per Lucio Battisti.

Dietro sua ammissione, Francesco si sentiva costretto ad inserire il brano –  considerato da lui poco più di una canzoncina di scarso valore –  in scaletta, cedendo unicamente all’insistente pressione del pubblico che voleva squarciagolare “…e un c…. in culo”  e “..comprate il mio didietro”, offerto a prezzo di svendita. Metaforicamente, si capisce…..

Nel brano, che propongo al termine per gli ignari, viene nominato un certo Bertoncelli che, sinceramente, fino all’altro giorno non ho mai saputo chi fosse. Capitatomi un articolo in proposito, vengo a sapere che trattasi di un critico musicale un lustro più vecchio di me, Riccardo di nome, che in occasione del precedente  “Stanze di vita quotidiana“, sfornato nel ’75 e che a suo giudizio metteva in risalto l’insulsaggine dei testi, criticò negativamente  anche Vince Tempera i cui arrangiamenti non migliorarono la pochezza musicale. In definitiva, con parole ben scritte in italiano, invitava Guccini a ritirarsi perché intanto diceva sempre le stesse cose. Su altri passaggi del pesante articolo sorvoliamo.

Francescone non reagì bene, e sfogandosi con qualcuno disse che il suddetto giornalista non capiva un c…. ( per rimanere in tema).

Venutolo a sapere, il Riccardo contatta Guccini e combinano un appuntamento. Dopo la conoscenza diretta e il reciproco chiarimento, agevolato sicuramente da qualche bicchiere e la dovuta strimpellata proprio del brano in questione, tra i due si sviluppó un’amicizia e Bertoncelli insistette perché nei concerti il suo nome non fosse sostituito, come solitamente veniva fatto, da quel loscone del Berlu, quadrisillabe anch’esso.

Se qualcuno ha curiosità di conoscere i particolari di questa favola a lieto fine, faccia la fatica di frugare in Rete come ho fatto io.

Pensandoci, la vicenda richiama l’importanza, quando é possibile, di parlarsi faccia a faccia, e se uno dei due non ce l’ha da culo (eia,per rimanere in tema), é possibile si arrivi a dei punti comuni su cui ci si può incontrare. Insomma, tutt’altra cosa di come avviene per esempio nei moderni e già invecchiati social dove sempre più spesso prevale quel che si sa, oppure quando all’eventuale contrapposizione assiste un qualsiasi pubblico a cui ” doverosamente” occorre dimostrare che la ragione é senz’ombra di dubbio ( eggià!) dalla propria parte. Nel confronto diretto a due, oltre la possibilitá che il dialogo voluto porti ad un accordo, possono cadere anche certi pregiudizi, quelli che fanno scadere la vita ad una lotta continua.

La prima volta che sentii l’Avvelenata – avevo una ventina d’anni – fu durante un Festival dell’Unitá in cui anch’io occupavo uno spazio sul palco per cantarmi due o tre brani che nel contesto forse c’entravano niente (su questo mi é rimasto peró sempre il dubbio!), ma che furono ugualmente applauditi, sopratutto dalla claque d’amici sistemati sotto il palco. Ad un certo punto e forse fuori programma, imbracciata una chitarra, un giovanotto coi capelli più lunghi dei miei (maledetto!), introducendosi con gli accordi di RE LA SI- FA#- SOL LA RE LA , partì con queste parole che, amplificate dagli altoparlanti e imitando la voce del Guccio, fecero accorrere incuriosite anche le coppiette pomicione opportunamente appartate nei vari angoli della piazza e viuzze limitrofe. Ecco, giá d’allora quello che colpì era il c…. che si trovava dove non doveva trovarsi e il buco racchiuso tra le due focaccine flaccidesode chissà perché messo in vendita. Sempre metaforicamente, si capisce…

A distanza di decenni, persino negli ultimi concerti, i passaggi cantati in coro dal pubblico sono stati specialmente quelli. Immagino il rotolamento irrefrenabile dei cosiddetti dell’invecchiato Francescone. Conclusioni e commenti da fare? Come no: BOH !

Ed ecco la canzone, dove neanche l’autorevolezza del Comunicatore sul palco (altra Cosa dalla Pena provocata da certuni politicanti di questi tristi tempi) riesce a placare certa esuberanza da piazza…

 

Il testo sarebbe tutto da considerare, ma non la smetterei piu. Eccolo…

Ma se io avessi previsto tutto questo,
dati causa e pretesto, le attuali conclusioni,
credete che per questi quattro soldi,
questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?

Vabbè, lo ammetto che mi son sbagliato
e accetto il Crucifige e così sia.
Chiedo tempo, son della razza mia,
per quanto grande sia, il primo che ha studiato.

Mio padre in fondo aveva anche ragione
a dir che la pensione è davvero importante.
Mia madre non aveva poi sbagliato
a dir che un laureato conta più di un cantante.

Giovane ingenuo, io ho perso la testa,
sian stati i libri o il mio provincialismo,
e un cazzo in culo e accuse di arrivismo,
dubbi di qualunquismo son quello che mi resta.

Voi critici, voi personaggi austeri,
militanti severi chiedo scusa a Vossia.
Però non ho mai detto che a canzoni
si fan rivoluzioni, si possa far poesia.

Io canto quando posso, come posso,
quando ne ho voglia, senza applausi o fischi,
vendere o no non passa fra i miei rischi:
non comprate i miei dischi e sputatemi addosso.

Secondo voi ma a me cosa mi frega
di assumermi la bega di star quassù a cantare?
Godo molto di più nell’ubriacarmi
oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare.

Se son d’umore nero allora scrivo
frugando dentro alle nostre miserie;
di solito ho da far cose più serie:
costruir su macerie o mantenermi vivo.

Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone,
io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista,
io ricco, io senza soldi, io radicale,
io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista!

Io frocio, io perché canto so imbarcare,
io falso, io vero, io genio, io cretino,
io solo qui alle quattro del mattino,
l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare.

Secondo voi ma chi me lo fa fare
di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento.
Ovvio, il medico dice: “sei depresso”:
nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento.

Ed io che ho sempre detto che era un gioco
sapere usare o no d’un certo metro,
compagni, il gioco si fa peso e tetro:
comprate il mio didietro, io lo vendo per poco.

Colleghi cantautori, eletta schiera
che si vende alla sera per un po’ di milioni:
voi che siete capaci fate bene
ad aver le tasche piene e non solo i coglioni.

Che cosa posso dirvi? Andate e fate.
Tanto ci sarà sempre, lo sapete,
un musico fallito, un pio, un teorete,
un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate.

Ma se io avessi previsto tutto questo,
dati causa e pretesto, forse farei lo stesso.
Mi piace far canzoni e bere vino,
mi piace far casino e poi sono nato fesso.

E quindi tiro avanti e non mi svesto
dei panni che son solito portare.
Ho tante cose ancora da raccontare,
per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto!

Quella volta in cui Francesco fu avvelenato, da Riccardo e da tanti altriultima modifica: 2020-08-29T05:47:49+02:00da piero-murineddu
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *