Bielorussia: “Quando una donna che ama scende in piazza…”

Si danno appuntamento ogni giorno per chiedere al regime di Lukashenko stop alle violenze

Le “Donne in Bianco” è un movimento spontaneo nato per protestare contro le violenze subite nelle carceri dai dimostranti arrestati, chiedere il rilascio dei detenuti ancora in prigione e notizie dei manifestanti scomparsi. Organizzano quotidiane catene umane. Vestono di bianco e portano dei fiori per simboleggiare che alla violenza e agli abusi delle forze di sicurezza rispondono pacificamente.

di Rosalba Castelletti
(“La Repubbblica” del  25 agosto 2020)

 

Mappa-Bielorussia

 

Sono apparse la prima volta la mattina del 12 agosto davanti al mercato Khamarovskij. Un centinaio di donne coraggiose in abito bianco e con un mazzo di fiori in mano. Una protesta silenziosa e pacifica per condannare la violenta repressione delle forze dell’ordine che nei giorni precedenti aveva traumatizzato il popolo bielorusso sceso in piazza contro le contestate presidenziali. Il pomeriggio un’altra catena umana di sole donne sventolava nastri bianchi e intonava la ninna nanna Kalyhanka sotto l’Obelisco della Vittoria.

Da allora, migliaia di donne si danno appuntamento ogni giorno lungo gli ampi viali del centro di Minsk per chiedere il rilascio di tutti i detenuti politici, la verità sui dimostranti scomparsi e che, dopo 26 anni al potere, Aleksandr Lukashenko lasci il posto a Svetlana Tikhanovskaja. “Donne in Bianco”, le chiamano, come il gruppo delle “Damas de Blanco” cubane.

Dietro quelle due azioni che hanno ispirato il Paese da nove milioni e mezzo di abitanti e ispirato il mondo intero ci sono due giovani di nome Marina e una manciata di loro amiche.

«Abbiamo avuto la stessa idea contemporaneamente », spiega Marina P., una trentenne ancora troppo traumatizzata per divulgare il suo cognome quando la incontriamo in un bar del centro dopo l’ennesimo corteo. La sera del 9 agosto, come migliaia di bielorussi, era andata davanti al suo seggio per conoscere i risultati elettorale, ma gli scrutatori si sono defilati e sono arrivati gli Omon, gli agenti anti-sommossa. Marina ha provato a fuggire, ma non ha avuto scampo. È così che sono iniziate le sue 36 ore di umiliazioni e violenze.

«Ti gettavano dentro al blindato e ti bastonavano, ti tiravano fuori e ti bastonavano, camminavi nel cortile del carcere e ti bastonavano. Ci hanno tenuto tutta la notte in piedi faccia al muro, fatto bere l’acqua nello stesso secchio che ci avevano dato per i nostri bisogni. Ho ancora nelle orecchie le grida, i lamenti, i pianti di noi detenuti e le risa isteriche delle guardie che ci massacravano».

Rilasciata il 10 agosto, il giorno dopo Marina ha meditato quella che definisce la sua «vendetta senza armi».

«Insieme ad altre due amiche ci siamo chieste fino a che punto si sarebbe spinto questo sistema patriarcale e autoritario davanti a una cordata di sole donne. Abbiamo aperto un canale Telegram chiamato “Girl Power” e invitato altre conoscenti. Da tre siamo diventate 8mila in poche ore».

Per tutta la notte hanno discusso su dove incontrarsi, che cosa indossare, quali simboli usare. E infine hanno deciso di radunarsi davanti al mercato Khamarovskij perché lì le avrebbero viste anche le persone meno coinvolte nelle proteste: “babushke”, pensionati, casalinghe, per «dimostrare che i manifestanti non sono né drogati né alcolisti come li dipinge la propaganda statale». E hanno scelto di indossare abiti bianchi e di portare fiori per «simboleggiare al massimo il concetto di pace».

Il raduno davanti all’Obelisco della vittoria è nato parallelamente.

«Volevamo dimostrare che le donne non sono meno forti degli uomini», racconta Mentusova, l’altra Marina. Dopo aver trascorso diverse notti insonni vedendo i corpi martoriati delle vittime della repressione, ha lasciato la figlia Vera di sei mesi con il marito a Mosca dove vive da diversi anni per tornare in Bielorussia.

«Avevo lasciato il Paese perché non potevo cambiarlo e non so stare in un angolo. Ma quando la gente della mia città natale, Gomel, è scesa in piazza, ho visto che per la prima volta c’era la possibilità di lottare per la libertà. Una possibilità di cambiamento. Non potevo restare indifferente».

Insieme ad Anastasja Kostjugova ha coinvolto un gruppo ristretto di amiche e tenuto l’appuntamento in piazza della Vittoria segreto fino all’ultimo per timore di rappresaglie.

Fino a quel mercoledì chiunque era un bersaglio della brutale violenza degli Omon, il pensionato uscito a fare la spesa, l’automobilista che tornava a casa, il giornalista con l’accredito al collo e persino l’uomo che gridava: “Ho votato Lukashenko”.

Ciononostante si sono presentate «vulnerabili » a piedi nudi, con abiti bianchi, «il colore della purezza e dell’innocenza », e i nastri col disegno tradizionale biancorosso bielorusso e hanno intonato la ninna nanna Kalyhanka «perché la violenza — spiega Anastasja — cadesse in letargo e la gente si svegliasse».

In piazza, come al mercato, c’è stato chi ha avuto parole di gratitudine, chi ha applaudito e regalato fiori e chi invece ha fatto commenti sprezzanti. Tante donne si sono unite anche se non c’entravano nulla o sono arrivate alla spicciolata perché avevano visto le immagini sui social.

«Abbiamo capito che non potevamo più fermare questo movimento », dice Marina P.. «Siamo confluite in un unico canale “Donne della Bielorussia” che oggi conta quasi 14mila partecipanti. Non riesco ancora a credere che si sia allargato così tanto ».Non sarebbe mai successo, ammettono le giovani organizzatrici, senza l’esempio del cosiddetto “triumvirato”. Dopo che i “tre grandi” oppositori candidati alle presidenziali sono stati arrestati o sono fuggiti, le loro mogli o strette collaboratrici hanno proseguito la loro campagna elettorale. Svetlana Tikhanovskaja si è candidata al posto del marito e Maria Kolesnikova e Veronika Tsepkalo l’hanno affiancata ai comizi. «Lukhashenko ha lasciato che Tikhanovskaja partecipasse alle elezioni solo perché la sottovalutava in quanto donna. Ha detto che la nostra Costituzione non è fatta per le donne e che una donna dovrebbe fare le polpette», racconta la 28enne Aleksandra Kostenko, che ha preso parte sin dall’inizio a tutti i raduni delle “Donne in bianco”.

«Oggi invece tutti vogliono Svetlana come presidente. In questa casalinga che chiudeva i comizi dicendo “Vado a fare le polpette” per ribattere a Lukashenko, hanno visto le loro madri e le loro mogli».

La paura, ammette Marina Mentusova, c’è:

«Abbiamo paura di essere picchiate, ma abbiamo ancora più paura di dover vivere in uno Stato dove saremo sempre picchiate. Scendiamo in piazza per i nostri mariti, figli e fratelli. C’è molta rabbia in questo, ma anche amore. E quando una donna che ama scende in piazza, può resistere a tutto»

 

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Bielorussia: “Quando una donna che ama scende in piazza…”ultima modifica: 2020-08-28T06:19:45+02:00da piero-murineddu
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