Hiroshima,Beirut, 100 mila bambini senza casa

 di Domenico Gallo, magistrato

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Settantacinquesimo anniversario della strage atomica di Hiroshima. Alle 8:16 del 6 agosto 1945 a Hiroshima un lampo accecante vaporizzò in un attimo 140.000 vite umane, condannando i sopravvissuti a sofferenze inenarrabili seguite in molti casi da una morte straziante. L’orrore fu reiterato tre giorni dopo a Nagasaky.

Da allora l’umanità non ha più sperimentato lo strazio di un’esplosione nucleare a cagione dell’atteggiamento dell’opinione pubblica, animata da un sano tabù (quello che Gunther Anders chiamò la coscienza nucleare), che ha costretto le potenze nucleari a non fare uso dell’arma atomica. Col passare del tempo, però, la memoria si sta indebolendo e si sta affievolendo anche la coscienza nucleare che pure in passato aveva dato luogo a una forte mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale.

Tuttavia, proprio in questi giorni abbiamo sperimentato qualcosa di simile a una esplosione nucleare. La terribile esplosione avvenuta il 4 agosto a Beirut è stata di una potenza tale da evocare il disastro che potrebbe provocare una bomba atomica. Si è alzato nel cielo un fungo rossastro simile a quello di Hiroshima e il boato è stato udito persino a Cipro, a oltre duecento chilometri di distanza.

Tutta la zona del porto è stata distrutta e interi quartieri sono stati spazzati via dall’onda d’urto. Centinaia di morti, migliaia di feriti, 300.000 sfollati, tutte le riserve strategiche di grano del Libano andate perdute. La capitale, Beirut, il giorno dopo si è svegliata immersa nel sangue, nel caos e nella disperazione, in un incubo che il governatore, Marwan Abboud ha sintetizzato così: «Sembra quello che è successo a Hiroshima e Nagasaki».

Non si tratta di un paragone peregrino, il disastro di Beirut è stato provocato dall’esplosione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate in un magazzino del porto. Proviamo a convertire questa esplosione in kiloton, misura utilizzata per calcolare la potenza distruttrice di una testata nucleare in quantità equivalente di esplosivo (1 kiloton è equivalente a 1.000 tonnellate di tritolo).

È stato calcolato che 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio sono equivalenti a 0,9 Kiloton, cioè a una testata nucleare di potenza medio bassa. Per essere più concreti, la potenza delle testate nucleari che verranno impiantate su bombe atomiche tattiche a gravità di nuova generazione, le B61-12, varia da 0,5 a 50 kiloton. Queste testate, nel silenzio della politica, verranno dispiegate nella base USA di Aviano e in quella dell’Aeronautica Militare Italiana a Ghedi, in sostituzione delle circa 70 bombe atomiche di vecchia generazione.

Pax Christi international ha diffuso in questa settimana un accorato appello sull’urgenza della messa al bando delle armi nucleari in epoca di Coronavirus: «In questi mesi l’intera famiglia umana è stata messa in ginocchio dal Coronavirus. Il bilancio globale delle vittime continua a crescere quotidianamente; la disperazione dell’umanità aumenta; gli effetti fisici, psicologici ed economici aumentano.

Questa pandemia ha raggiunto praticamente tutti: abbiamo capito che siamo tutti vulnerabili e ci rendiamo conto che la vera sicurezza deve essere, in sostanza, condivisa. Le conseguenze dannose della pandemia Covid-19 impallidiscono rispetto a quelle che sarebbero capitate alla famiglia umana, e alla terra stessa, in caso di guerra nucleare.La cosiddetta “sicurezza” offerta dalle armi nucleari si basa sulla nostra volontà di annientare i nostri nemici e la loro volontà di annientarci. Il Coronavirus ha rappresentato un campanello d’allarme per il mondo.

Stiamo sperimentando in prima persona come investire centinaia di miliardi di dollari per lo sviluppo, la fabbricazione, i test e lo spiegamento di armi nucleari non solo non è riuscito a renderci sicuri, ma ha privato la comunità umana delle risorse necessarie per il raggiungimento della vera sicurezza umana: sufficienza alimentare, alloggio, lavoro, formazione scolastica, accesso all’assistenza sanitaria.

Di fronte al Coronavirus, le speranze di sopravvivenza nelle nostre comunità si sono fondate sul sacrificio in prima linea dei soccorritori. Eppure, come ammonisce la Croce Rossa Internazionale, tali soccorritori non ci sarebbero in caso di un attacco nucleare: i medici, gli infermieri e le infrastrutture sanitarie sarebbero essi stessi cancellati. Né soccorritori esterni, nella misura in cui sopravvivessero, potrebbero accedere in sicurezza nelle zone esposte alle radiazioni». In caso di attacco nucleare, prosegue il documento: «Né la terra, né alcuna delle sue creature, sarebbe risparmiata dall’avvelenamento prodotto dalla radioattività risultante da una guerra nucleare, anche se limitata. Le colture appassirebbero e morirebbero mentre la luce del sole sarebbe bloccata dalle nuvole atmosferiche di polvere prodotta. La vita sulla terra sarebbe messa in grave pericolo.

Stiamo imparando delle dure lezioni sulla nostra sicurezza collettiva durante questa pandemia globale. È giunto il momento di affrontare la sfida e di cogliere l’opportunità per apportare le modifiche necessarie a salvaguardia del nostro futuro.

Ma la finestra temporale che ci resta potrebbe essere troppo breve. Se non riusciamo ad agire adesso e con decisione per eliminare le armi nucleari dalla faccia della terra, giochiamo pericolosamente non solo con la pandemia ma anche con la estinzione totale». La richiesta è che l’Italia aderisca al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari approvato dall’assemblea generale dell’ONU il 7 luglio 2017, destinato a entrare in vigore quando vi avranno aderito almeno cinquanta Stati (attualmente sono una quarantina).

Conoscendo la fiera opposizione della NATO al disarmo nucleare e la tradizionale subalternità dell’Italia, ribadita anche dai nuovi governanti, non ci facciamo molte illusioni, ma non possiamo chinare il capo: che l’iniziativa di Pax Christi ci aiuti a rompere la cappa di silenzio e faccia emergere lo scandalo di una nazione che nei suoi princìpi fondamentali ripudia la guerra e nella condotta politica dei suoi governi accetta la dislocazione di armi di distruzione di massa che mettono in pericolo la vita stessa dell’umanità sulla terra.

Libano, si teme per oltre 100 mila bambini senza casa a Beirut

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Già prima della tragedia, oltre mezzo milione di bambini nella città stava lottando per sopravvivere o soffriva la fame e la situazione ora non può che peggiorare. Necessario agire subito per ricongiungere le famiglie

Secondo quanto riportato dai media, circa 300.000 persone sono rimaste senza casa a Beirut. Save the Children stima che, tra di loro, oltre 100.000 bambini abbiano perso le proprie case e tutto quello che avevano. Allo stesso tempo, è stato detto loro che non potevano uscire a causa del gas tossico scaturito dall’esplosione, mentre coloro che hanno subito lesioni, tagli ed emorragie esterne non vengono curati negli ospedali, perché quasi tutte le istituzioni sanitarie di Beirut sono già al limite della propria capacità.

In queste ore cominciano ad emergere le storie di bambini separati dai loro genitori dopo l’esplosione di ieri e Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e rischio e garantire loro un futuro, chiede che la sicurezza e il benessere dei bambini e il loro ricongiungimento con i parenti siano una parte fondamentale della risposta.

 «L’esplosione non poteva avvenire in un momento peggiore: le stime diffuse dall’organizzazione appena una settimana fa dimostrano che oltre mezzo milione di bambini a Beirut stavano già lottando per sopravvivere o stavano addirittura soffrendo la fame a causa della profonda crisi economica e questa tragedia non potrà far altro che peggiorare la loro situazione. Tra l’altro, tutto è accaduto appena un giorno dopo la chiusura del lockdown causato dal COVID-19 a Beirut, e poco prima dell’entrata in vigore di una nuova chiusura. Molte persone hanno approfittato di questa finestra di opportunità per andare a correre, o semplicemente per socializzare e stare in riva al mare e sfuggire alle loro preoccupazioni – molto vicino al luogo dell’esplosione».

«Non sappiamo ancora quanti bambini abbiano perso la vita, ma temiamo che ce ne possano essere molti tra le vittime o i feriti. Altri avranno perso i genitori o i familiari nell’esplosione o si sono separeranno da loro nel caos che è seguito. Tutto ciò può essere estremamente traumatico per un bambino ed è vitale in questi momenti che siano tenuti al sicuro e si sentano protetti, che abbiano persone di fiducia con cui parlare. È fondamentale che venga istituito un sistema per riunire i bambini con i loro genitori o altri membri della famiglia, una sfida molto difficile da gestire e a cui la nostra Organizzazione è pronta a dare il proprio contributo, se necessario», ha affermato Jad Sakr, Direttore di Save the Children a Beirut. “La gente ha iniziato a offrire le proprie case agli sfollati e Save the Children è stata in contatto con le famiglie vulnerabili con cui lavora per vedere se sono state danneggiate, ed è pronta ad intervenire per tenere i bambini al sicuro, protetti e nutriti».

Hiroshima,Beirut, 100 mila bambini senza casaultima modifica: 2020-08-08T22:17:19+02:00da piero-murineddu
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