Mario Serra, la sua pittura ed altro ancora…


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di Piero Murineddu

Era trascorsa da poco l’estate di due anni fa quando andai a trovare Lucia Razzu per sentirmi raccontare qualcosa del padre calzolaio masthru Matteu, di cui ho parlato qui.

Suonato alla porta di casa, si affaccia alla finestra questo “giovanotto” che, a dir la verità, conoscevo solo di vista e non ricordo di aver mai avuto  occasione di scambiare parole. In dialetto stretto mi chiede:

Ma Murineddhu sei…-  con la “ddh sussinca molta ben accentuata

Eia. Soggu zischendi  la figliòra di masthru Matteu, lu cazzuraggiu…..

–  Mamma méa è. Aipétta chi vengu ad aibritti la ianna...

E’ stata questa la primissima volta che ho parlato con Mario Serra. In altri momenti mi era capitato di vederlo, lo ricordo camminare svelto per strada, spesso con qualche cornice sotto braccio. Sapevo che pitturava, ma di lui non conoscevo praticamente niente.

La visita e l’incontro inaspettato mi ha fatto recuperare, perchè da subito Mario si mostra un torrente in piena e non è uno che si fa pregare per raccontare qualcosa. Tutta la nostra conversazione avviene in dialetto. Nessuna alternanza sussincu – italiano, come ormai avviene quasi sempre quando ci si ritrova a  parlare tra compaesani. Tuttu in sussincu con Mario, esclusivamente in sussincu. Io riporterò la nostra conversazione prevalentemente in italiano, anche perchè la scrittura  dialettale continua ad essermi difficile e rischio di non accontentare tutti i miei pochi lettori.

Mentre mi accompagna dietro il cortile per legare il nostro cagnetto Ciuffo, gli chiedo se sta’ ancora usando i pennelli:

O Piè, ti diggu la viriddai…. da gandu è morthu babbu, l’aggiu posthi  a un’ara. N’aggiu sufférthu troppu e mi n’è passadda la gana…

Questa ammissione così spontanea e nello stesso momento il sentirmi fare una simile confidenza, ha di colpo  colmato la normale distanza che può esserci davanti ad una persona fino a quel momento ancora tutto sommato sconosciuta, facendomela sentire vicina in tutta la sua umanità, che di lì a poco andava gradualmente svelandosi.

MARIO-SERRA-70001

Il tempo trascorso in questa casa, è stato un misto di richieste d’informazioni di masthru Matteu, motivo della mia visita, e di curiosità nel voler sapere qualcosa di lui, di Mario, anche perchè le pareti della casa le vedevo tappezzate da diversi suoi quadri, oltre l’aver buttato un veloce sguardo su qualche installazione artistica a cui in passato aveva dedicato del tempo.

Le due orette circa –  con la presenza di mia moglie e di una nipotina che parlavano nello stesso momento anche delle doti musicali del nonno di quest’ultima, Paolino, uno dei figli di masthru Matteu che da lui aveva ereditato sia il mestiere di calzolaio sia la capacità di suonare diversi strumenti – sono state molto movimentate, anzi, diciamo pure “chiassose”. Sicuramente piacevoli, ma non vi erano le condizioni ottimali per un ascolto reciproco  attento e rilassato, per cui le notizie raccolte su Mario sono risultate inevitabilmente frammentarie, ma sicuramente degne di essere conosciute.

La famiglia ha vissuto per un certo periodo nella casa natale dello scrittore Salvatore Farina, ed è lì che all’età di otto anni Mario ha iniziato a creare le prime figure con gesso e carbone su pezzi di masonite procurati nella falegnameria del fratello della nonna, Ignazio Sechi, in via Pace.

Andazìu puru i lu muntinaggiu chi v’èra vizinu a lu Consorzio, p’accuglinni mattonelli e pezzi di taura chi zi gittabani althri masthrellasci chi trabagliabani in chissa zona. Più mannittu, friquintendi  lu CRESS, (un dopo scuola di allora) casche maesthrina m’ha insignaddu a usà megliu li gurori. Pianu pianu aggiu imparaddu…..

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Di una spontaneità e semplicità disarmante Mario. Un vero piacere ascoltarlo. Mi dice che durante la scuola, lui e un altro ragazzino di Cagliari erano stati scelti per far studiare loro arte a Firenze. Purtroppo, pur potendo essere ospitato nel Convitto fiorentino riservato agli studenti fuori sede, occorreva affrontare delle spese che la famiglia non poteva permettersi, per cui il padre a malincuore ha dovuto rinunciare a mandare il figlio affinchè apprendesse  con studio metodico tutti i segreti della pittura. Praticamene è come autodidatta che Mario porta avanti la sua passione, con tutti i comprensibili e inevitabili limiti.

Mario ha sempre lavorato. Pressochè quotidianamente, fino a tardi, due o tre ore le trascorreva in casa a pitturare, provando e riprovando pazientemente la giusta miscelazione dei colori e cercando di far scorrere al meglio il pennello. Con passione ma anche con molta fatica mentale.

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Il quadro centrale del trittico, vorrebbe raffigurare quella che è stata l’antica Casa del Fascio  nella periferia di Sorso, andando verso il mare, prima che venisse abbattuta. La presenza di libri svela l’intenzione del pittore di dedicarlo al Farina. Mario mi racconta il particolare giorno di settembre in cui si era trovato davanti all’edificio ormai scomparso, accompagnato dal cognato che lo aveva lasciato per fare il suo lavoro pittorico ed era andato via:

– Tutt’a un’òra, l’aria s’è annuadda e ha ischuminzaddu un ventu forthi chi z’èra vurendi tuttu. In ghissu mattessi mamentu si sò azzaddi un muntoni di curracciuri. Mi soggu cussì assusthaddu chi soggu fuggiddu, laghendi inghibi cabaddhetti e gant’isisthi .

Nella sua serietà, vedo divertentissimo Mario raccontare di questo e di altri episodi capitatigli. Tra gli altri, mi fa vedere un dipinto di grandi dimensioni riproducente uno scorcio di Stintino realizzato nell’89. Un amico compaesano, Antonio, col furgoncino col quale trasportava frutta e verdura, gliel’aveva portato a Sorso. Mario ci tiene a puntualizzarmene il nome, segno del grande senso di gratitudine verso coloro che in modo o nell’altro e in diversi momenti della sua vita, gli hanno dato una mano ed hanno creduto in lui.

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In seguito, entrando a lavorare nel settore alberghiero e ristorazione, ha girato varie località dell’isola e diverse città italiane. A Milano, durante uno dei suoi giri nelle ore libere dal lavoro e recatosi nel cimitero monumentale dove sapeva vi era sepolto Salvatore Farina, trova la tomba del suo illustre concittadino  in uno stato penosamente di semi abbandono, poichè gli eredi abitavano altrove. Il busto bronzeo dello scrittore completamente annerito. Mario non esita a prendere la decisione d’intervenire direttamente, dopo essersi accordato col direttore del cimitero. Da quel momento, pur trovandosi in un luogo che lui aveva sempre evitato perchè i cimiteri sin da piccolo gli avevano provocato un senso di timore,  il suo tempo libero lo dedica  per restituire al busto e ad altre parti della tomba l’antico decoro, cosa che è riuscito ad ottenere, con  grandi ringraziamenti da parte dei parenti del defunto scrittore che, chiamatolo per telefono, si erano offerti per compensarlo in modo adeguato. Mario ha  rifiutato qualsiasi ricompensa. Era stato  un dovere morale a spingerlo ad affrontare tale fatica. L’impegno messoci era stato il massimo, ma certe motivazioni interiori non possono essere ripagate dal denaro.

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Oltre ad aver fatto piccoli ritocchi a diverse statue della chiesa di “Convento”, a Sorso, dietro richiesta di don Giuseppe Chelo, un particolare capitolo della vita di Mario Serra è legato alla chiesetta campestre locale dedicata al culto della Madonna di “Noli  me Tollere“.

Gli era stato affidato il compito di affrescarne la volta, in seguito – mi dice – alla guarigione di un bambino. Diversi muratori del paese avevano collaborato in vario modo per rimettere a nuovo il piccolo edificio da tempo fatiscente. Un decennio dopo Mario fu coinvolto ancora per il restauro del dipinto da lui realizzato. I ritagli di giornale che ne riportano la notizia, seppur stropicciati e in parte sbiaditi, riesco a fotografarli e le offro alla lettura di chi può essere interessato a conoscerne i particolari. Uno è a firma di Bruno Giordo e due di A.S., iniziali che dovrebbero corrispondere ad Antonio Sarais. Nel primo articolo si fa riferimento ad una poesia dedicata all’evento dal sennorese Pietro Sechi, pubblicata nella stessa pagina. L’eccessiva illeggibilità mi ha fatto desistere dal fotografarla. Il terzo articolo credo sia tratto da “Il Sassarese”.

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Andando a ritroso. Mario torna ai suoi diciott’anni, quando, lavorando presso l’Hotel Jolly Grazia Deledda di Sassari, conosce la cantante lirica Maria Callas qualche anno prima della sua morte, tramite la moglie dl pittore Aligi Sassu, anche lei cantante lirica.  Mario rimane a servizio della “Divina” per ben quindici giorni, servendole i pasti nella suite a lei riservata. Il direttore dell’albergo  aveva assegnato al cameriere di Sorso una camera attigua, per essere a completa disposizione.  Informata dal grande pittore thiesino Sassu della passione artistica del giovane cameriere, Maria Callas era disposta a fargli studiare pittura a Parigi a sue spese, ma ancora una volta, la diffidenza del genitore ad “affidare” il proprio figliolo ad una donna che si sapeva avesse un carattere difficile e volubile, provata da tristi vicende familiari e sentimentali, fece perdere a  Mario un’altra possibilità, dopo quella di Firenze, di studiare seriamente e in modo approfondito l’arte pittorica.

Con mal celato orgoglio il simpatico Mario mi racconta della volta che insieme all’artista cantante di fama mondiale, passeggiando nel centro di Sassari, erano entrati nella profumeria di Bonino, dove oltre ad acquistare prodotti vari per lei, aveva regalato a quello che la gente che nel mentre si era assiepata fuori pensava fosse suo figlio o uno stretto parente, una “ventiquattrore” piena di costose lozioni di dopobarba e chissà cos’altro. Entrando insieme da Dessì lì vicino, Mario ne esce con un’altra valigetta, questa volta piena di colori.In un’altra occasione voleva comprargli un abito nuovo. La Callas si era affezionata al giovane cameriere, forse per compensare la mancanza del figlio Omero, avuto dalla relazione con Aristotele Onassis e deceduto subito dopo la nascita per insufficienza respiratoria.Tante foto fatte insieme, che purtroppo, dopo la partenza, qualcuno fra lo stesso personale dell’albergo aveva fatto sparire, rubandogliele.

A questo punto è proprio Lucia che interviene per confermare il racconto del figlio, aggiungendo che dalla cantante aveva ricevuto anche lei come dono una camicetta di pregio, andata purtroppo dispersa nel tempo.

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Un bell’incontro quello con Mario e sua madre, anche se un tantino “movimentato”.

Spero di poterlo rivedere quanto prima di nuovo come capitava tempo fa, quando con passo spedito, percorreva le strade di Sorso, ritornando da Sassari in treno, con qualche cornice sotto braccio. Sarà segno che avrà ripreso in mano i pennelli e rimesso in moto la sua creatività.

Questa volta  saluterò con molto piacere una persona che merita il rispetto e l’apprezzamento di tutti.Come uomo ancor prima che come pittore.

 

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Mario Serra, la sua pittura ed altro ancora…ultima modifica: 2019-11-09T10:11:35+01:00da piero-murineddu
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