Fede vissuta in modo maturo

di Piero Murineddu

Non so se altri abbiano la mia stessa sensazione. Il tempo. Scorre con una velocità impressionante, travolgendo e macinando tutto. Notizie riguardanti fatti accaduti qualche giorno prima, vengono subito archiviati nell’angolo più buio della memoria, o almeno così sembra. Nuove notizie incombono e si accavallano di continuo, privandoci della possibilità di assimilare adeguatamente ciò che ci succede intorno. Travolti da un susseguirsi di eventi che parrebbero scivolaci addosso, e per impedire che ciò avvenga, bisogna che facciamo uno sforzo che richiede parecchia fatica.

Un esempio. Non è trascorso neanche un mese da quando l’attuale vescovo in pensione Joseph Aloisius  Ratzinger aveva divulgato delle sue considerazioni riguardo alle cause che, secondo lui, avrebbero dato avvio a quell’abominevole abuso di potere di molti ecclesiastici nei confronti di minori, a loro affidati o coi quali in qualche modo son venuti in contatto. Abuso sessuale, intendo, provocando in innumerevoli ragazzini e ragazzine delle profonde ferite psicologiche che ne hanno condizionato la loro vita futura. Molti sono ricorsi ai professionisti della mente per cercare di guarirne, ma da infamie subite in tenera età non se ne esce facilmente.

In questo post avevo riportato l’intera analisi del vescovo tedesco ultranovantenne

 

Riguardo alle 18 paginone scritte dal papa “emerito”

Varie testate giornalistiche e molte figure di rilievo avevano preso posizione riguardo a queste analisi pubblicate da Ratzinger, che detta in soldoni vedeva l’origine di questo vigliacco e miserabile andazzo – spesso consumato nel chiuso delle sacrestie – negli anni a cavallo tra il fine ’60 e  inizio ’70, quando tutti i valori (!) finora indiscussi vennero travolti da un immenso ed inarrestabile tsunami etico, giovanile sopratutto. Ancora prima, il Concilio della Chiesa Cattolica aveva contribuito a “destabilizzare” (secondo molti) il modo di tradurre la fede in vita concreta. A seguito di eventi concatenati uno dietro l’altro, la figura stessa di Dio, o del modo in cui lo si era o lo si continua a considerare, sarebbe svanito dall’orizzonte della visuale umana.

Ogni tanto, con un amico ex prete avanti negli anni, mi capita di parlare del tipo di educazione all’affettività che si impartiva nei seminari: praticamente inesistente. Controlli severissimi da parte dei superiori perché assolutamente non avvenissero approcci di nessun genere tra chi si preparava a diventare prete e l’altro sesso. Ma in generale, l’ambito sessuale era assolutamente tabù, quasi che, per operare in ambito religioso, si dovesse vivere “angelicamente” da asessuati. Questo allora e ancora prima. Molto prima del Concilio voluto da papa Roncalli e degli eventi seguiti dal ’68 in poi. Oggi non so, ma nel vedere il comportamento di certi giovani preti, qualcosa è cambiato certamente, ma fino ad un certo punto. No, nessun intento di generalizzare. Molti preti e chiunque abbia intrapreso uno stato di vita che comporta l’astensione dai rapporti sessuali e ancor più profondamente una vita casta, sono sicuramente persone equilibrate e vivono serenamente il rapporto con gli altri e con se stessi. Altri è immaginabile che portino avanti delle relazioni sentimentali, forzatamente in segreto in quanto non ammesse dall’Istituzione in cui sono inseriti. In un numero che le cronache ci portano a conoscenza esser numeroso, veniamo invece a sapere che altri, questo “problema” non risolto con la propria sfera sessuale, lo sfogano con persone sicuramente non consenzienti, abusando del potere datogli dal loro stato di “guide spirituali” e compiendo atti assolutamente e vigliaccamente irrispettosi della dignità altrui.

È di questi giorni l’attacco a Francesco da parte di certa pretaglia, sentinella della Conservazione. Molti ne chiedono le dimissioni perchè il suo comportamento e i suoi insegnamenti non sarebbero in continuità con quanto la Chiesa ha sempre predicato. Nello stesso momento, gli stessi o ad essi vicino, hanno accolto con soddisfazione quanto Ratzinger ha espresso in questi “appunti”, condividendone il contenuto. Verrebbe da pensare che il tutto sia una macchinazione finalizzata a rendere vano tutto lo sforzo fatto da Francesco per riportare il Messaggio Evangelico il più possibile alla sua origine, ripulendolo dalle incrostazioni che nel tempo l’hanno appesantito.

Sull’argomento riporto il punto di vista di una persona di cui ho molta stima, aderente ad una delle Comunità di Base nate proprio sull’onda dell’entusiasmo generato dal Vaticano Secondo. Realtà non numerose ma vive e presenti nelle complessità dei nostri tempi. Persone impegnate a leggere insieme i testi sui quali si basa la fede cristiana, cercando il modo più appropriato per applicarla al tempo presente, facendo le doverose scelte di campo per far diventare la nostra società inclusiva e non esclusiva.

Il tema della pedofilia da parte dei consacrati dunque, ma come  detto e ribadito sul finale da quanto andate a leggere, senza nessuna generalizzazione. Un grave reato, e chi lo compie deve risponderne davanti alla legge che gli uomini e le donne si son date.

Ringrazio Rita per il suo contributo

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MIE CONSIDERAZIONI SUL TESTO DI RATZINGER

di Rita Clemente

Ho letto e riletto con attenzione il testo di Ratzinger ed essendo donna, laica e credente ed avendo vissuto in pieno la stagione del ’68, mi permetto di fare qualche mia considerazione.

Mi soffermerei in particolare su tre nodi concettuali del suo discorso.

1) Così scrive l’ex papa: Cerco di mostrare come negli anni 60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata unassenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare.

Collegando in questo modo, in un preciso rapporto causa – effetto, la “rivoluzione” degli anni ’60 (del ’68 in particolare) e l’esplosione di casi di pedofilia tra gli ecclesiastici.

Collegamento che non regge per due motivi almeno:

  1. come già ha spiegato il teologo Vito Mancuso, bisognerebbe allora dimostrare che prima del ’68 non vi siano mai stati casi di pedofilia fra il clero. Tesi non solo indimostrabile, ma facilmente oppugnabile con diversi esempi del contrario.

  2. E’ vero che il ’68 fu anche una “rivoluzione sessuale”, nel senso che sconvolse regole e tabù fino ad allora consolidati e assolutamente indiscutibili, per esempio con l’esperienza delle Comuni. Ma questo nulla ha a che fare con la pedofilia. Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente è scritto testualmente. Ora, a me non risulta vi siano mai stati, nel ’68 o negli anni successivi, dei pronunciamenti a favore della pedofilia. Una cosa è la “libertà sessuale” tra persone adulte e consenzienti, anche se vissuta al di fuori dei dettami della Chiesa, altra cosa è la pedofilia, che è una grave forma di violenza così come lo stupro. Violenza di chi impone il soddisfacimento delle proprie pulsioni sessuali a persone che non possono o non vogliono essere consenzienti, approfittando di una propria posizione di “potere”, di “autorevolezza” o di “forza”. Confondendo le acque, il papa emerito non fa che rigettare sul laicato la responsabilità di questi atti di violenza tutti interni agli ambienti ecclesiastici. E che poi taluni di questi ambienti (pochi o molti non sta a me dirlo) abbiano largamente disatteso le “regole morali” imposte dal Magistero stesso ai suoi prelati è roba vecchia di secoli. Basta leggere numerose testimonianze letterarie, da Dante a Boccaccio a Diderot a Umberto Eco. Tutte fantasie malate di cervelli balzani? Non lo credo. E se non bastasse, io stessa posso ricordare esperienze dirette risalenti alla mia adolescenza, mie personali ma anche di altre mie amiche, che si riferiscono, se non alla pedofilia, almeno a curiosità invadenti e morbose, fuori da ogni intento morale, sul vissuto sessuale di noi adolescenti. E’ che la Chiesa cattolica, secondo me, deve riconoscere di avere avuto un problema forte e mai completamente risolto con la sessualità umana. Ma il vescovo Ratzinger aggiunge il diffuso collasso delle vocazioni sa­cerdotali in quegli anni e lenorme numero di dimissioni dallo stato cle­ricale furono una conseguenza di tutti questi processi. Questo mi sembra veramente strano! Ma i numerosi casi di pedofilia accertati in questi ultimi decenni tra il clero non mi pare riguardino “preti che si siano dimessi dallo stato clericale”, al contrario, preti e anche vescovi ben inseriti e ben integrati nell’istituzione!

2) Il secondo idolo polemico del papa emerito, dopo il ’68, è quella che lui definisce la “conciliarità”, ovvero lo spirito innovatore del Concilio Vaticano II. Qui però Ratzinger deve spostare un po’ le date e far cominciare “lo spirito dissolutore” della tradizione dagli inizi degli anni ’60. Questo perché lui sa benissimo che il Concilio vaticano II comincia nel ’62, ad opera di quell’uomo mitissimo che fu papa Giovanni XXIII, che chiunque farebbe fatica ad accostare alla pedofilia, e terminò nel ’65, ad opera di Paolo VI. Nemmeno la più ardita fantasia potrebbe farne un portato pernicioso del ’68. Ora, è vero che una delle intenzioni del Concilio fu quella di “aprirsi al mondo”, ma questa apertura Ratzinger la intende (almeno, così fa capire nel documento) come pericoloso cedimento e lassismo morale sul piano sessuale. Infatti scrive:

Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni 60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai cera stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa. In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari…

Ora, che questo “collasso morale” sia da mettere in relazione con lo spirito del concilio, lo precisa quanto segue:

Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi va­leva ora soprattutto la loro «conciliarità»

Anche qui però urge qualche chiarimento e precisazione:

  1. Lo “spirito di rinnovamento” del Concilio, per quanto riguarda l’impalcatura globale della Chiesa cattolica, riguardò in definitiva soltanto alcuni mutamenti di tipo liturgico: l’introduzione della messa “in volgare” (lasciando da parte il latino, lingua sacrale che non capiva più nessuno) e lo spostamento logistico del celebrante che non voltava più le spalle ai fedeli ma parlava stando loro di fronte (e già questo era forse considerato un pericoloso accorciare le distanze).

  2. Nella sostanza della “morale”, nulla cambiò e meno che mai sul piano della morale sessuale. L’ultimo documento che si pronunciò in tal senso fu la Humanae Vitae di Paolo VI, che peraltro ribadiva i cardini della morale sessuale della Chiesa: la sessualità permessa solo all’interno del matrimonio cattolico e solo “a scopi unitivi e procreativi”. Sulla contraccezione, divieto assoluto. L’unica concessione permessa fu “l’astinenza nei giorni considerati fecondi”. Di quel che poi accadeva nei seminari durante gli anni ’60 (ma presumibilmente anche prima, chissà!) ne sono edotti solo i seminaristi e i loro reggitori. Chiamare in causa il ’68, se non altro per scansione temporale degli anni, mi sembra alquanto fuori luogo.

  3. I germi più fecondi nati da quella stagione di rinnovamento furono, caso mai, nell’impegno attento e solidale di uomini e donne, consacrati e non, per denunciare con la testimonianza della loro vita le storture e le ingiustizie politiche, sociali, economiche e anche religiose. Furono (e sono) nelle correnti di pensiero attraverso cui si esprime una nuova teo – logia più centrata sull’amore del prossimo che non sui poteri della Chiesa. Ma forse è proprio questo ciò che da Ratzinger viene definito il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale.

3) C’è poi, nel discorso di Ratzinger un altro nodo concettuale che mi lascia molto perplessa: è quando parla di “garantismo”, cioè dell’impossibilità quasi totale di condannare gli accusati. Così scrive: A questo si aggiunse un problema di fondo che riguardava la concezione del diritto penale. Ormai era considerato «conciliare» solo il così detto «garantismo». Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna. Come contrappeso alla possibilità spesso insufficiente di difendersi da parte di teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero quasi impossibili. Qui francamente non capisco. Cioè, i teologi (ma perché mai i teologi? E accusati di che?) non potevano essere accusati e quindi condannati come contrappeso alla loro impossibilità insufficiente di difendersi. Ma parla dell’accusa di pedofilia o non piuttosto dell’accusa di professare teorie non del tutto in linea con il Magistero della Chiesa? Ratzinger non chiarisce. Però poi specifica che potrebbero essere condannati se a essere messo in discussione fosse il discorso sulla fede. Scrive infatti: Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dellaccusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge. Deve proteg­gere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: protezione giuridica dellaccusato e protezione giuridica del bene che è in gioco. E prosegue: In effetti è importante tener presente che, in simili colpe di chierici, ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti. La gravità della pena presuppone tuttavia anche una chiara prova del delitto commesso: è il contenuto del garantismo che rimane in vigore.

E qui non si parla più di “teologi” ma di “chierici”. E si fa riferimento a un “delitto commesso”, quindi si suppone che ci si riferisca alla pedofilia. Chi commette abusi di tal natural, è perché non ha più fede, e questo basterebbe a condannarlo.

Anche qui riterrei necessaria qualche precisazione. A) le colpe dei teologi non vanno confuse con le colpe dei chierici. Le prime possono essere “reati d’opinione”, le seconde “reati di comportamento”. In ogni caso, il discorso va chiarito. B) In che modo entra in gioco la fede? Nel primo caso, la fede verrebbe meno perché il teologo magari esprime pareri non in sintonia con il Magistero ufficiale. Ciò renderebbe plausibile la sua condanna. Nel secondo caso, basta un comportamento delittuoso a presupporre una “mancanza di fede”? E chi lo decide? Il diretto superiore? Non dimentichiamoci che si sta parlando di “chierici”, ossia di persone consacrate, che hanno scelto di vivere “per la fede”, formate nei seminari dove si insegna, appunto, la fede, autorizzati dai superiori a essere investiti dell’Ordine sacro. Se poi questi delinquono, e in maniera così grave, troppo comodo parlare di “mancanza di fede”! Io parlerei piuttosto, caso mai, di “strumentalizzazione della fede”, che è cosa ben diversa! Ne porta un esempio lui stesso, del resto, quando parla del sacerdote che insidia una ragazza e la convince a un rapporto sessuale utilizzando il linguaggio dell’eucarestia Questo è il mio corpo che è dato per te. Ecco, una cosa del genere è molto peggio che mancanza di fede, è strumentalizzazione della fede ricevuta per soddisfare i propri istinti! C) Ma c’è un’altra questione, ancora più seria. Chi è che decide se l’accusato deve essere punito o meno? Il diritto canonico? Il diritto penale laico? Da quello che mi consta, visto che gli episodi di pedofilia non sono nati dopo gli anni ’80 per colpa di un clero corrotto da un mondo peccaminoso, ma sono venuti alla luce sempre più frequenti e diffusi casi di pedofilia perché le vittime hanno sempre più trovato il coraggio di parlare e di denunciare, le misure inizialmente sono state, in diversi casi, quelle di coprire, di nascondere e, caso mai, di trasferire i responsabili, purché l’immagine della Chiesa non ne venisse intaccata. In seguito però all’intensificarsi di questo fenomeno, è intervenuta la giustizia dello Stato con il suo codice penale, come è giusto che sia. Perché la pedofilia è un delitto e chiunque lo commetta è perseguibile per legge, ma se a farlo è un esponente del clero è ancora più grave. Perché non si violenta solo l’intimità fisica di un/una minorenne, ma si fa abuso del proprio potere e della propria autorevolezza morale. E’ quanto di più squallido si possa immaginare. Se gente così ha o non ha la fede, scusate, che ce ne importa? Deve essere processata dallo Stato laico, certamente con tutte le garanzie di difesa di uno Stato democratico, ma se risulta colpevole, deve pagare secondo la legge.

Il discorso dell’ex papa si chiude con il rivendicare, in ogni caso, l’esistenza di una Chiesa pulita, santa, che esiste insieme alla Chiesa peccatrice, che sbaglia. Gesù stesso ha paragonato la Chiesa a una rete da pesca nella quale stanno pesci buoni e cattivi, essendo Dio stesso colui che alla fine dovrà separare gli uni dagli altri. Accanto c’è la parabola della Chiesa come un campo sul quale cresce il buon grano che Dio stesso ha seminato, ma anche la zizzania che un «nemico» di nascosto ha seminato in mezzo al grano… No, anche oggi la Chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania. La Chiesa di Dio c’è an­che oggi, e proprio anche oggi essa è lo strumento con il quale Dio ci salva.

Certo, sarebbe altrettanto falso sostenere che nella Chiesa cattolica tutti i prelati sono approfittatori e pedofili. Semplicemente così non è. Vi sono molte persone consacrate, presbiteri, frati e suore, che si impegnano con tutte le loro energie e le loro capacità a vivere secondo i dettami del vangelo. Questa è la scelta che hanno fatto e cercano di portarla avanti con equilibrio ed onestà, anche nei confronti della Istituzione cui appartengono. Quello però che Ratzinger dovrebbe accettare è che anche nel laicato succede esattamente la stessa cosa. E che ormai è finito il tempo dei laici che devono farsi guidare per mano da chierici più o meno affidabili. Si può collaborare insieme, certo, ciascuno nel proprio campo e nel proprio ruolo. Ma i laici credenti non sono i minori della Chiesa universale. Sono adulti che sanno capire e sanno vivere una fede e una sequela, una volta che abbiano maturato la scelta che quella fede e quella sequela sono importanti e decisive per la loro vita.

 

Fede vissuta in modo maturoultima modifica: 2019-05-02T18:01:19+02:00da piero-murineddu
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