Ajò Saivado’

di Piero Murineddu

Sempre lietissimo di sfogliare i due volumi degli “Ammenti” (ricordi) dell’indimenticabile Andrea Pilo, persona tutto sommato timida, riservata e, per diretta confessione a chi scrive, alquanto “timidosu” (timoroso). Faceva sempre di tutto per evitare le situazioni che potevano sfociare in “affarratori” (zuffe). Avendo una certa cultura, cosa che gli ha permesso di essere insegnante, articolista di qualche testata giornalistica nazionale e con capacità di critico d’arte, anche lui frequentava l’antica “Gabbietta”, luogo di ritrovo dell’intellighenzia sussinca,l’elite a cui li zappadori erano sicuramente esclusi, o ancora meglio, si autoescludevano, preferendo i più popolari buttighini dove più liberamente potevano “esprimersi”, bevazzando buon vino, schitarrando alla sarda e mangiando faba a la ribisari e piedini d’agnello, le aragoste di li trabagliadori (lavoratori, per lo più zappaterra).

Naturalmente, non è detto che i discorsi degli acculturati, o presunti tali, fossero sempre all’insegna della seriosità. Andrea, da quando ho iniziato a frequentarlo negli anni in cui la salute non è che gli facesse molto compagnia, di fatti divertenti me ne ha raccontato diversi, e certi li ha anche riportati nei suoi scritti, specialmente nel doppio volume dei ricordi, pubblicati dalla casa editrice Edes, di cui direttore era un altro intellettuale e docente universitario  sussincu, Nicola Tanda.

Questo che riporto in realtà è ambientato nella piazza principale del vicino capoluogo. Protagonista un politico, anche lui sussincu “maccu” (matto, ma in realtà una pazzia definita da certuni, quelli non invidiosi, geniale), tal Saidori Cottoni, impegnato in quel periodo in un tour elettorale…

Salvatore_cottoni

Volevo rilevare un passaggio della prima parte di quanto Andrea scriveva: sempri maraddu di puritigga, letteralmente sempre ammalato di politica. A Sorso più che altro è un modo di dire questo di essere “ammalati” di un qualcosa quando una persona concentra tutto il suo interesse, tempo e quant’altro, ad un determinato ambito, che può essere uno sport, un hobby o quello che volete.

In questo caso, dato che siamo in pieno clima elettorale, il termine lo voglio considerare nel normale significato di malattia. No, come droga no, anche se questa porta a stati di dipendenza grave e provocare diverse patologie. Potrei considerare la cosa anche in quest’altro modo, ma voglio rimanere nel senso vario di malattia.  Quindi, il voler operare in politica, specialmente dopo tanto tempo che lo si fa’ e avendo anche ricoperto cariche di rilievo, può diventare una vera e propria patologia?

Come sappiamo, più la patologia è grave e più condiziona le normali attività dell’individuo, siano esse fisiche che mentali. A me, che mi ritrovo abbastanza graciletto di salute, ogni volta che esco fuori da qualche malanno che mi costringe a stare a casa e nei casi più gravi anche a letto, non vedo l’ora di ritornare alle mie solite cosette di ogni dì, che può essere suonacchiare, fare qualcosetta in campagna se il tempo lo permette, trovarmi con qualche amico a fare colazione, fare una passeggiatina, recarmi nel negozietto a far compere……Cose normalissime insomma.

Tornando a bomba, mi chiedo quindi:

perchè, si sente il bisogno di persistere nell’ipotetico stato patologico che, seppur metaforicamente, è il voler fare politica?

Quella “malattia” ti fa’ star bene, anche se accostare bene con malattia diventa un ossimoro?

Non so se qualcuno ha delle risposte a questo  grande dilemma che l’espressione di Andrea – onorato sia sempre il suo nome –  mi ha posto quest’oggi. Spero che prima di domenica prossima, giorno in cui si vota per rinnovare il Consiglio Regionale dell’isola, riesca a chiarirmi le idee….

cottoni 1

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Di seguito, la traduzione….

maggio 1

maggio 2

Ajò Saivado’ultima modifica: 2019-02-21T17:15:07+01:00da piero-murineddu
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