Quel “dolore” che produce perle preziose

Dedicata a mia figlia Marta, splendida perla che impreziosisce la nostra vita, nel giorno del suo compleanno,  (Piero Murineddu)

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di Rubem Alves

Le ostriche sono molluschi, animali senza scheletro, morbidi, che rappresentano le delizie dei gastronomi. Possono essere mangiate crude, con alcune gocce di limone, assieme a riso, paella, minestre. Senza alcuna difesa – sono animali docili -, potrebbero essere una cattura facile per i predatori. Perché questo non avvenga, la loro saggezza ha insegnato loro a fare delle case, conchiglie dure, dentro le quali vivono.

Così, c’era sul fondo del mare una colonia di ostriche, molte ostriche. Erano ostriche felici. Si sapeva che erano ostriche felici perché da dentro le loro conchiglie usciva una delicata melodia, musica acquatica, come se fosse un canto gregoriano, cantando tutte la stessa musica. Con un’eccezione: quella di un’ostrica solitaria che riposava in un luogo solitario.

Diversamente dall’allegra musica acquatica, essa cantava una melodia assai triste. Le ostriche felici ridevano di lei e dicevano: “Non esce dalla sua depressione…”. Non era depressione. Era dolore. Infatti, un grano di sabbia era entrato dentro la sua carne e faceva male, male, male. Ed essa non sapeva come liberarsi di esso, del grano di sabbia. Ma era impossibile liberarsi dal dolore. Il suo corpo sapeva che, per liberarsi dal dolore che il grano di sabbia le provocava, grazie alla sua asperità, ai bordi e alle punte, bastava avvolgerlo con una sostanza liscia, brillante e rotonda.

Così, mentre cantava il suo triste canto, il suo corpo faceva questo lavoro a motivo del dolore che il grano di sabbia le stava provocando. Un giorno passò di lì un pescatore con la sua barca. Lanciò la rete e tutta la colonia di ostriche, inclusa la sofferente, finì pescata. Il pescatore era felice, le portò quindi a casa e sua moglie fece una deliziosa minestra di ostriche.

Mentre si godeva le ostriche, all’improvviso i suoi denti sbatterono contro un oggetto duro che era dentro un’ostrica. Egli allora lo prese tra le dita e sorrise di felicità: era una perla, una bella perla. Solo l’ostrica sofferente aveva fatto una perla. Egli la prese e la diede in regalo a sua moglie.

Questo è vero per le ostriche. Ed è vero anche per gli esseri umani. Nel suo saggio La nascita della tragedia Nietzsche ha osservato che i greci, contrariamente ai cristiani, prendevano la tragedia sul serio. Tragedia era tragedia. Per loro non esisteva, come esisteva invece per i cristiani, un cielo dove la tragedia si sarebbe trasformata in commedia.

Egli allora si è chiesto circa le ragioni per cui i greci, dal momento che erano dominati da questo sentimento tragico della vita, non si siano lasciati soccombere dal pessimismo.

La risposta che ha trovato è la stessa dell’ostrica che ha fatto la perla: essi non si lasciarono soccombere dal pessimismo perché furono capaci di trasformare la tragedia in bellezza. La bellezza non elimina la tragedia, ma la rende sopportabile. La felicità è un dono che deve essere semplicemente goduto. Essa si basta. Ma essa non crea. Non produce perle.

Sono coloro che soffrono che producono la bellezza, per smettere di soffrire. Questi sono gli artisti. Beethoven: come è possibile che un uomo completamente sordo, alla fine della vita, abbia prodotto un’opera che canta l’allegria? Van Gogh, Cecilia Meireles, Fernando Pessoa…

Quel “dolore” che produce perle prezioseultima modifica: 2018-12-23T10:19:22+01:00da piero-murineddu
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