E come riparo, il tettuccio d’ingresso della chiesa

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di Piero Murineddu

Emergenza profughi. Si, l’argomento è ancora quello, anche se molti vorrebbero non vedere e far finta che i giorni  filino lisci uno dopo l’altro nella loro poco entusiasmante e normale ripetitività. Almeno coloro che non storcono con fastidio il naso, gesto seguito dai soliti e ripetitivi luoghi comuni (- ci stanno invadendo – ma che se ne stiano a casa loro – bisogna aiutarli nei loro Paesi – non ci bastano i nostri problemi, anche loro ci vogliono…..e così via)  almeno questi, dicevo, avranno saputo o avranno avuto modo di vedere quel gruppo di migranti che a Sassari sono da qualche giorno ( e notte!) stabili davanti alla chiesa di Gesù Buon Pastore, nei pressi della Questura. Qualche giorno fa mi ha chiamato un amico per informarmene e quando avevo già preso la decisione di andarci di persona in compagnia di un giovane amico in grado di tradurre per capire cosa stesse succedendo,proprio ieri su La Nuova ci ha pensato l’ottimo giornalista Luigi Soriga a darne notizie dettagliate. Riassumendo, si tratta di una dozzina di giovanissimi somali, ex ospiti di un palazzo adibito a centro migranti. Tutti hanno avuto lo status di rifugiati politici, che in sé è una cosa positiva, solo che in questo modo hanno perso il diritto di continuare a stare in quel fatiscente palazzo di via Planargia, al Monte. Liberi di muoversi nella Penisola, quindi, ma che di fatto non sanno cosa fare e non hanno alcun mezzo. Come spiega l’articolo citato, a questo punto dovrebbero entrare nei progetti “Sprar” (Sistema di Protezione richiedenti Asilo e rifugiati) gestiti dagli enti locali e finanziato al 95 per cento dallo Stato.Sarebbe la seconda fase, ovvero il passaggio dall’accoglienza all’integrazione, ma Sassari di fatto anche in questo va a rilento. Il Comune non può intervenire, la struttura d’accoglienza della Caritas è al massimo della capienza. Il fatto concreto che rimane è che tu passi, di giorno e di notte, con la pioggia o il gelo, e li vedi ammassati davanti al portone della chiesa, protetti da una piccola tettoia. Tra gli altri, ieri mattina ho telefonato anche al parroco, il quale agitato, mi ha risposto che lui è vecchio è che è tutta una …… vergogna. Io ho cercato di fargli capire che più che un  sentimento di vergogna, dovrebbe suscitare pena e far scattare una reazione “cristiana” di misericordia e di condivisione. Evidentemente, sentendolo ancora agitato, il mio tentativo è andato a vuoto. Uno dei tanti “don Abbondio” moderni che non vogliono seccature e che rimandano tutto alla competenza delle pubbliche istituzioni, lavandosene le mani.  Sempre nell’intera pagina dedicata all’argomento, in fondo vi era una piccola foto, accompagnata da un trafiletto che ricordava l’invito che il Papa ha fatto e continua a fare, in primo luogo alle comunità cristiane: Accoglienza e Misericordia. In pratica, non a parole. Ma lo sappiamo,il più delle volte questo Papa definito “rivoluzionario” viene apprezzato ma spesso snobbato.

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Le Comunità, associazioni, conventi, monasteri…… Ma chi ha seguito le indicazioni del capo della Chiesa? Il vecchio parroco interpellato mi ha dato quella risposta, ma altri farebbero più o meno altrettanto. La vitalità di una parrocchia non dovrebbe essere considerata tale solo se c’è un parroco attivo e dinamico, ma se i parrocchiani si sentono realmente “Chiesa”, mattoni umani che agiscono amando, che seguono la strada tracciata dal Gesù storico. Purtroppo, a volte, troppe volte, chi comanda nella chiesa locale è il prete, e tutto si muove secondo la sua visione. Cosa fanno i parroci per responsabilizzare i propri parrocchiani a questo dramma epocale? Che iniziative concrete son state prese per dimostrare fraternità verso questi fratelli profughi? A Sorso ci sono i frati francescani. Sappiamo quanto sono ascoltati dai fedeli, specialmente nel mese Mariano. Cosa dicono e cosa fanno in proposito, oltre che mettere le videocamere in chiesa per prevenire i furti ….. sacrileghi, davanti ai quali  i devotissimi della Madonna si strappano i capelli e gridano…vendetta, facendo finta d’ignorare che il grave e vero sacrilegio è quando non si rispetta e non si va incontro ai bisogni degli altri, specialmente quelli più sofferenti ed emarginati? A Sorso vi è una numerosa ed entusiasta comunità evangelica. Stesso discorso. Cosa fanno davanti a questa realtà di disperazione e di bisogno?

La vicenda dei profughi che dormono sulla soglia del portone di una chiesa senza potervi accedere, mi ha fatto pensare ad uno degli ultimi film di Ermanno Olmi, “Il Villaggio di cartone“, di cui propongo in fondo uno spezzone recuperato su youtube.

Leggiamo prima la trama e quanto lo stesso Olmi ha detto in proposito

“Una chiesa viene spogliata di tutti i suoi arredi perché non serve più. Ma la chiesa rivive, invasa da un gruppo di clandestini che cercano un rifugio; si forma una specie di presepe contemporaneo, con la natività, la fuga in Egitto, certi re Magi non tutti raccomandabili. «Questo film l’ho molto meditato, nei 70 giorni in cui ho dovuto stare immobile a letto in seguito a una caduta: e ho capito che c’è una sola cosa da fare oggi: cambiare, cambiare il mondo, certo, ma prima di tutto noi stessi. C’è in giro troppo disagio, ci sono troppe differenze, troppa vergogna, troppe cose inutili. Così come stiamo vivendo adesso, anche dentro di noi, si precipita solo in un baratro, a meno che già non sia accaduto».

Il cambiamento può venire da cosa e da chi? «Dal senso di giustizia, dal rispetto dell’altro, dal ritorno necessario all’onestà. Stiamo vivendo in un mondo di cartone. È di cartone il potere, lo sono gli uomini di potere, lo è la finta giustizia, la ricchezza, l’economia: basta un po’ di umidità e il cartone si scioglie, come si sta sciogliendo in questi ultimi tempi tutto ciò che sembrava indistruttibile. Non ne resterà niente se non ce ne spogliamo, come la chiesa del film, se non apriamo gli occhi sugli altri, i meno fortunati. Siamo circondati da uomini che si credevano importanti, e invece oggi sappiamo che sono di cartone, destinati a scomparire. Sono disperati, soli.

Per un cristiano come lei, qual è oggi l’impegno necessario? «La carità, è la storia che lo chiede: se non saremo noi a cambiare la storia, sarà lei a cambiarci». Nel film il prete capisce che quando la carità è un rischio, quello è il suo momento: ed è per questo che accoglie i disperati, contro la legge. I clandestini si disperdono, pagano per raggiungere altri Paesi, c’è chi decide di darsi alla violenza. Chi tra loro si salverà? «Quello che decide di tornare in Africa con il suo bambino: là può esserci un futuro, qui, se non cambiamo, non ci sarà né per loro, né per noi».

E come riparo, il tettuccio d’ingresso della chiesaultima modifica: 2016-11-12T14:37:49+01:00da piero-murineddu
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