Sennori – Chiedete ai vostri vecchi chi era Maria Canu, sa muzzère de Iuanne Fois

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di Giovanna Stella

Mia nonna, sempre attiva e con le maniche alzate fino al gomito, una donna di festa. Quando incontrava qualcuno nel bisogno, non esitava ad invitarlo a mangiare e se necessario anche a dormire. In un viaggio per Ozieri, aveva conosciuto una signora il cui figlio si trovava a Sennori per fare il militare. Da quel giorno la casa di nonna era sempre aperta per il giovane.

Del resto la porta d’ingresso rimaneva sempre aperta. All’interno del cortile, era spesso intenta a costruire fantasiosi canisthreddhi (cesti) di ogni misura. La vedo ancora seduta all’interno di uno grandissimo, costruendone alacremente altri quasi a gettito continuo. Intorno al braciere, grazie alla sua forte memoria raccontava a noi nipoti e alle comari fatti accaduti nel passato, con acuta intelligenza e in modo coinvolgente e divertente per tutti. Se qualcuna di queste numerose comari di fede o di fogarone (faló) partoriva, lei l’assisteva fin quando ne aveva bisogno, lavando labiòlo de pannoso (grandi recipienti di panni)

Come la maggior parte delle donne, spesso si recava a San Lorenzo, trasportando in groppa all’asina Adelina il grano da far macinare. Una volta la figlia del mugnaio era li li per partorire. Lei non esitò a prestarsi per dare una mano, restandovi tutto il giorno a facendo rientro a casa a notte fonda.

Amava mettere subito in atto ciò che pensava di fare, quasi il tempo non le sarebbe bastato, e tutto senza esitazione e con una velocità sorprendente per tutti. Soffriva molto di essere analfabeta, ma aveva sviluppato tantissimo il senso pratico delle cose, non sentendosi inferiore a nessuno ed esprimendo sempre con sicurezza ciò che pensava.Nonna Canu aveva patito la perdita prematura della propria mamma e aveva dovuto anche subìre le angherie della matrigna, ma col suo modo di fare era riuscita a conquistarsene persino l’amicizia e la benevolenza.

Dopo che si era preso cura del figlio di un ricco possidente locale, questi le aveva affidato l’incarico di fattora delle sue campagne, funzione passata in seguito a mia madre. Durante questo incarico portato avanti per molti anni, non aveva mai avuto atteggiamento di sottomissione, e con la sua schiettezza, si era conquistata la stima del proprietario.

Il suo compito consisteva nel recuperare personale disposte a lavorare nei campi, e per questo si recava nelle abitazioni. Arrivava prima degli altri sul posto di lavoro. Stimolando la “raglia” (filare) perchè i lavoranti si dessero da fare, non mancava di aiutare chi, per un motivo o per l’altro, il giorno era più debole e lento. Controllava che nessuno si appropriasse dei frutti, anche se era lei stessa che distribuiva i migliori, non mancando di avvisare il proprietario.

A ben vedere un “caporale” di altri tempi, ma vissuto con spirito completamente diverso da come viene praticato ai nostri tempi nei confronti degli immigrati, specialmente nel sud d’ Italia.

Essendo figlia unica, era diventata sorella dei numerosi cugini, avendo sempre un modo di fare che aveva contribuito a compattare l’intera parentela, e la sua scherzosità e autoironia l’aiutava in questo compito così spesso arduo per tutti.

Quando aveva conosciuto Piero Murineddu, il ragazzo diventato in seguito mio marito, riuscendo a superare l’istintiva impressione negativa per l’abbigliamento stravagante, era riuscita però a dire che aveva un “faeddhu bellu” (una parlata gradevole), ed evidentemente per lei era una cosa più importante dell’apparenza del vestito.

Del marito, suo primo e forse unico amore, diceva sempre che era buono e “studiato” e tornato dal lavoro nei campi, non mancava di occuparsi dei figli. Quando il più piccolo piangeva, lo consolava facendogli succhiare, quando c’era, un confetto avvolto nel fazzoletto, oppure dello zucchero mischiato con mollica, quello che nella vicina Sorso chiamavano “lu cabiggiari” (il capezzolo).

Un giorno di forte nevicata, mentre portavo a casa sua un piatto di lenticchie, sono scivolata nella salita del “Rosario”, spargendo tutto per la strada. Per rimediare, lei subito aveva cucinato delle castagne bollite, cosa che entrambi abbiamo preferito ai soliti seppur buoni legumi.

Partito il primogenito Paolo in guerra ed essendosi interrotte notizie che lo riguardavano, l’apprensione l’aveva portata a rinchiudersi un una sorta di lutto anticipato. Venuta però a sapere che il figlio era vivo e prigioniero in Inghilterra, quasi impazzì per la gioia e andò per tutto il paese a spargere la lieta notizia.

Negli ultimi 12 anni di vita veniva ospitata periodicamente a casa dei figli e delle figlie, ed ogni quattro mesi veniva due mesi a stare da noi. Il giorno in cui arrivava,, sentivamo il rumore dei freni del pulmino di zio Paolo, nel quale vi era caricata lei, il suo letto, “sa coivula” (largo cesto) con le sue cose personali, pochi indumenti rigidamente di color nero e l’orinale di latta smaltata. Tutti uscivamo fuori per accoglierla e la trovavamo sempre sorridente. Quel giorno era sempre una festa.

Io dormivo con lei nella stessa stanzetta. Ogni notte mi raccontava del marito, delle amicizie, di quando da piccola andava a Castelsardo a vendere so coivulo (i cesti). Spesso mi diceva che il marito, in cielo,si abbuffava di dolci di cui erano imbandite le lunghe tavolate. Lui mangiava specialmente “so ciocio”, fatti di pasta di mandorle, detti anche “sospiri”.

Mi diceva che quando Gesù era piccolo e giocava coi suoi amichetti, si sedeva su un raggio di sole e rideva perchè, cercando di sedersi anche loro, cadevano inesorabilmente per terra. Giocando a “tena tena”, Gesù si rendeva invisibile e faceva loro “su cori cori” (solletico) provocando in tutti grande ilarità. Mi diceva di essere “comunista”, anche se i preti non volevano. Era convinta che Dio voleva ad esserlo ed era sempre arrabbiato coi suoi preti perchè non si facevano mai mancare da mangiare e da bere, come al contrario succedeva ai poveri, i Suoi preferiti.

La notte, c’era il particolare “rito” della preparazione per andare a letto. Nonostante si spogliasse, mi restava sempre l’impressione di vederla ugualmente vestita. Rimaneva in mutandoni rosa fino alle ginocchia, maglia di lana e “sa camisgia” (sottoveste) in popolina, tessuto povero. Si scioglieva i lunghi capelli bianchi, tenuti insieme durante il giorno dal “mogno”, crocchia o chignon in francese. Sul comodino sistemava con cura “sos aguzzoso”, forcine (“auzzi” in sorsese). A questo punto dava inizio allo show, cosa che provocava in me un’istintiva e irrefrenabile risata. Mi faceva alzare e facevamo insieme la “marcia militare, interrotta ogni tanto dal bisogno di svuotare la vescica che incredibilmente era sempre piena. Lo show comprendeva canzoni a trallallèro in sardo, barzellette, aneddoti su compaesani e imitazioni. Quando mia madre c’imponeva il silenzio e finalmente dovevamo coricarci, m’invitava a ripetere la sua particolare preghiera:

EO MI COSCHO IN SU LETTU MEU
SU LETTU MEU ESTHE A BATTORO CANTONADO
BATTORO ANGHELO L’HO S’APPARADO
DUOSO IN PESE E DUOSO IN CABITA
SA REGINA A COSTHAZZU M’ ISTHADA’ E MI NAREDE:
DROMMI E REPOSA
NO EPIE PAURA DE MALA COSA
CA’ CHE’ DEU, LUCCA E MATTEU
LUCCA E IUANNE
NOSTHRA SIGNORA E DEU CHI C’ACCUMPAGNE

Nella colazione del mattino, se mancavano le sacre due uova sbattute, era un malumore irrimediabile.

Si avviò alla vita eterna nella torrida estate del 1983.

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Sennori – Chiedete ai vostri vecchi chi era Maria Canu, sa muzzère de Iuanne Foisultima modifica: 2014-06-02T19:42:13+02:00da piero-murineddu
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