I “no” che educano e una scuola “aperta” sifaperdire

BRIGAGLIA 4

 

di Piero Murineddu

E come non essere d’accordo che i “no”, spesso molto più dei “si”, aiutano a crescere e a maturare? E’ una “scienza” provata con l’esperienza quotidiana, specialmente da chi si ritrova quotidianamente a portare avanti l’impegno difficilissimo e gravoso del genitore. Basterebbe ripensare a tutti i “no” che noi altri figli del popolo vissuti negli anni in cui i nostri genitori si massacravano di fatica per portare avanti la numerosa prole, per concordare che siamo “dovuti” crescere in fretta. I tanti “no” di allora erano obbligati, e non per una libera e consapevole scelta educativa, quanto perché le privazioni erano la norma. , Per i “figli del popolo”,ripeto,  non per i figli privilegiati che non mancavano, come quelli dei medici e di possidenti vari. Ancora oggi, però, molti di quei figli di allora, per non far mancare ai propri figli le cose che son stati costretti a rinunciare loro, sono pronti ad accontentarli in quasi tutto.

befana

E arriviamo dunque al punto di cui si parla nel botta e risposta tra la signora Alessandra e il vecchio prof Brigaglia. Completamente d’accordo con la signora, meno con alcuni passaggi del caro e saggio prof., specialmente quando considera unicamente “l’imbecillità iperprotettiva dei genitori, per i quali i figli hanno sempre ragione” e più avanti “la famiglia deve finirla di lavarsene le mani dell’educazione dei figli”. Certamente bisogna ammettere che in queste affermazioni c’è molto di vero, ma a mio parere si considera solamente un aspetto del difficile rapporto che ancora oggi continua a persistere tra scuola e famiglie. Ammetto che spesso i genitori,  in toto e quasi a scatola chiusa, delegano l’impegno di far crescere non solo “culturalmente” i ragazzi all’istituzione scolastica, ma spesso gli spazi d’intervento dei genitori all’interno della scuola sono molto ristretti e limitati. Anche se non mancano esempi positivi di partecipazione attiva voluta e incoraggiata dai dirigenti scolastici, in generale però è la concezione che la Scuola italiana ha sempre avuto di se stessa, fino ad arrivare alla realistica distorsione mentale del “qui comando io! Questa è casa mia!” . Che fine hanno fatto i famosi “Decreti Delegati” e che realizzazione hanno avuto nella concretezza quotidiana? L’intenzione era rivoluzionaria e molto positiva, ma nella realtà sono serviti a creare quella sinergia auspicata nelle intenzioni di chi li ha concepiti? In parole povere, fino a che punto un genitore può mettere il nasino nella classe frequentata dal proprio pargoletto o pargolone, dare il proprio apporto creativo per la crescita  di se stesso, del proprio figlio, dei compagni, dell’insegnante, e quindi della “comunità” scolastica? Quanti e quali sono gli esempi realizzati in cui un genitore, la coppia o un gruppo di genitori è stata invitata dal dirigente, dai maestri o dai professori affinché dessero una “mano” per la promozione umana e culturale (questa volta senza virgolette) di tutte le parti coinvolte? Fino a che punto un docente è disposto a sentirsi messo in discussione il suo metodo e addirittura la sua preparazione e le sue capacità? La si vuole veramente un Scuola Aperta e Moderna, oppure questa eterna e persistente “separazione” scuola-famiglia in definitiva fa comodo?

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Su questo ambito così importante della società, potrei continuare ancora per molto, sia a porre domande sia nell’analisi. Proprio per la sua importanza, sarà inevitabile riprendere l’argomento.

I “no” che educano e una scuola “aperta” sifaperdireultima modifica: 2014-03-11T21:15:27+01:00da piero-murineddu
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