Io sto con Mimmo 25

IL CORAGGIO DI NON AVERE PAURA DI
M I M M O   L U C A N O

Intervista di Gianfranco Falcone per “mentinfuga.com”,Aprile 2023

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D
Chi è Mimmo Lucano?

R
Non lo so come mi devo definire, per me stesso non riesco. Forse la definizioni che potrei dare è quella che esce da quello che ho fatto, da cui poi esce qual è l’indole. Sono abituato a rispondere agli impulsi così che mi vengono, anche assecondando un livello emozionale. Così mi sono regolato in tutte le cose, più o meno. Sbagliando, facendo cose giuste. Questo non lo so. Non mi piace avere presunzione in nessun modo. Sono convinto che agire significa avere anche tantissimi dubbi, credere di poter sbagliare anche quando c’è il massimo della convinzione che magari stai facendo una cosa giusta. Sicuramente non ho guardato a me stesso, penso di tenere molto in considerazione la collettività, il noi più che ciò che riguarda la singola persona. Tutto questo alla fine forma il carattere, forma il bagaglio delle esperienze. Ci tengo a parlare un linguaggio che permetta all’interlocutore di farsi un’idea più puntuale di quella che potrebbe essere la mia indole politica. Sicuramente non appartiene a categorie privilegiate, a dimensioni private rispetto al collettivo, rispetto al pubblico. Non ho scelto di andare dove sono allocati i poteri forti. Io ho scelto anche da sindaco di stare istintivamente dalla parte del popolo, di stare dalla parte collettiva, di non sentire per nulla il fatto che mi sono trovato a rappresentare la cosiddetta autorità istituzionale. Anzi l’ho vissuta con molta conflittualità.

D
Quando e perché ha iniziato a occuparsi di migranti?

R
Sono contento che lei mi faccia questa domanda. Questa stessa domanda dovrebbe essere posta ai tanti che si occupano di immigrazione. Con una domanda come questa lei e tanti altri potrebbero capire tutto della mia vicenda. Ho avuto a che fare con tanti avvocati che mi volevano difendere, che volevano occuparsi della mia vicenda giudiziaria. Ma solo Giuliano Pisapia mi ha detto: «ma tu perché ti sei occupato di migranti?». E lì ho cominciato a rispondere «ma io neanche me lo ricordo. Ho avuto sempre interessi di impegno sociale e politico nel mio territorio, fin da quando ho frequentato le scuole superiori a Roccella Jonica. Facevo parte dei collettivi studenteschi, facevo parte del Circolo popolare “Salvador Allende”. Poi ho focalizzato bene anche il senso della domanda. Allora posso dire che io mi sono occupato di migranti perché c’è stato uno sbarco tanti anni fa sulle spiagge di Riace, di profughi provenienti dal Kurdistan iracheno, turco, siriano e iraniano. Questo è stato per me l’inizio di un interesse che si è trasformato in una passione, in una missione. Mi ha catturato tutto il tempo, mi ha fatto entrare in una dimensione che mi ha portato a conoscere meglio il mondo, le relazioni, a riconsiderare anche l’impegno politico. Mi hanno dato una spinta sul piano emotivo i Curdi. Erano fortemente motivati dal sogno di un Kurdistan libero, ed erano sostenuti da un’analisi storico politica molto puntuale e dall’impegno, soprattutto quelli del Kurdistan turco, legati anche ad una dimensione di anticapitalismo, di anti liberismo. Ho proprio avuto un’empatia politica. Poi a Badolato ho conosciuto Dino Frisullo,attivista, politico e giornalista italiano. Badolato è un piccolo comune della provincia di Catanzaro, più o meno come Riace, dove era avvenuto un grande sbarco, quasi mille persone sulla nave Ararat. Due anni dopo a Riace abbiamo vissuto lo stesso sbarco. Io mi ero interessato, mi affascinava il fatto di ripartire dal riscatto dei luoghi abbandonati, dalle periferie, da quelle che nessuno più vuole considerare come importanti per i processi di sviluppo locale. Questo si collegava bene con l’idea di tentare di rigenerare i luoghi. E questo non può avvenire se non c’è presenza di persone. Non ci può essere un asilo senza bambini, non ci può essere una scuola senza bambini, non ci può essere nulla, nessun servizio. Alla fine diventa fine a se stesso. Per cui bisognava costruire quella comunità. Lo sbarco è sempre un evento tragico per le persone che lo subiscono. La loro vita è sempre appesa ad un filo. Quello sbarco è stato per me la svolta della mia vita. Ecco perché mi sono interessato di immigrazione.
In quel periodo ho conosciuto un’altra persona per me straordinaria, monsignor Bregantini, il vescovo di Locri, l’attuale arcivescovo di Campobasso. Riace è parrocchia della diocesi di Locri. Ci sono state delle combinazioni. Sembra che doveva andare in quel modo. Lo sbarco è avvenuto all’alba di un mattino d’estate e monsignor Bregantini disse una frase, che tanti anni dopo ha detto Papa Francesco «aprite un convento». Quello sbarco è stato gestito in maniera emergenziale dalla Croce Rossa ma nella Casa del Pellegrino, che è distante due chilometri dal centro abitato di Riace. La mattina avevo visto tutte quelle persone che risalivano dal mare. Al pomeriggio ero andato là, ho conosciuto il vescovo e sono diventato un assiduo frequentatore della Casa del Pellegrino. Ho fatto il volontario per quasi tutta l’estate. Ho conosciuto tutti i curdi e con loro ho immaginato un’idea di riscatto che rivendicasse giustizia, rivendicasse opportunità per i nostri territori, che rivendicasse il senso della giustizia per le persone che sono obbligate a subire le decisioni di guerra, le ingiustizie, ad andare via dalla loro terra con un biglietto di sola andata. Ecco il mio interesse per l’immigrazione. Poi ho capito che in luoghi come Riace, che appartengono alle cosiddette aree fragili, non ci vuole molto per fare un’analisi sociologica, per capire che le comunità senza bambini hanno un destino segnato. Quello sbarco è stata una grande speranza per Riace. È così che è nato il Paese dell’accoglienza.

D
Si è spesso parlato di modello Riace. In che cosa consiste questo modello? È un modello ancora proponibile?

R
Modello Riace perché per quello sbarco aveva trovato alcune persone come il vescovo con un’idea evangelica e come me che provenivo dall’impegno sociale, politico. Il modello Riace perché a un certo punto dopo una fase iniziale in cui c’era molto scetticismo, tutti i comuni vicini guardavano a Riace come a un esempio di comunità che rinasce, dove c’è di nuovo la scuola, dove c’è di nuovo l’asilo, dove ci sono i laboratori, dove le botteghe e le cantine abbandonate diventano laboratori di artigianato e riciclo, dove c’è il turismo solidale, dove c’è la fattoria sociale, e molto altro. Tutto questo in un luogo anche dominato da interessi di mafia. Così prende forma questo modello che non è altro che l’accoglienza diffusa, l’utilizzo delle case dei borghi abbandonati, creando una dimensione sociale in cui non ci sono i luoghi degli immigrati, i luoghi del degrado urbano. Ma c’è una connessione con la comunità locale, un’interazione in cui tutti partecipano ad un senso di resistenza, di riscatto, nell’immaginare un futuro migliore, un futuro fatto anche di pace e di fratellanza. Ecco, questo è il senso più autentico del modello Riace.

D
È ancora proponibile come modello?

R
La vicenda giudiziaria che si era conclusa in primo grado con una sentenza assurda di tredici anni e due mesi ha generato una forte indignazione. Il senatore Luigi Manconi, con l’associazione A Buon Diritto di cui è presidente, ha acceso una luce. Ed è stata una cosa a cui in quel periodo mi sono aggrappato. Ha promosso una raccolta fondi finalizzata inizialmente al pagamento della mia sanzione pecuniaria, perché oltre agli anni di carcere dovrei pagare una sanzione economica. Ovviamente alla fine dei tre gradi di giudizio. Dopo una fase iniziale, in cui mi ero smarrito un po’ ed ero sconvolto per l’esito dell’esame del primo grado, ho deciso che questa multa non la voglio pagare. Sono andato a Roma, ho incontrato Luigi Manconi, l’ho ringraziato e gli ho detto: «sarò sempre riconoscente, però i soldi per pagare le multe non li voglio, non li posso accettare. Utilizzali per scopi umanitari o sociali, utilizzali con la tua associazione». Lui mi ha risposto che non poteva farlo. Perché nel testo per le donazioni c’era scritto “Una donazione per Mimmo”. Allora ho pensato che Riace ha la mission dell’accoglienza, certo non con i numeri di quando io ero sindaco, tante persone si sono fermate e questo è un indice anche delle capacità di integrazione di quel modello. Perché l’accoglienza non deve essere solo un mordi e fuggi o una fase emergenziale, in cui si spendono le risorse solo prevalentemente per consulenze e per aspetti burocratici. Questa è stata la differenza, il motivo per cui il modello Riace è stato così eclatante. Perché le persone che arrivavano vedevano un protagonismo da parte dei rifugiati, che poi non se ne sono andati. Tanti sono rimasti soprattutto nel borgo che noi abbiamo chiamato Il Villaggio Globale, dove abbiamo trasferito in accordo con il vescovo i migranti che erano sbarcati e che erano stati temporaneamente ospitati nella Casa del Pellegrino. Li abbiamo trasferiti nella comunità locale utilizzando le case, dopo averne censite tantissime e chiedendone l’utilizzo ai proprietari in Argentina o in America e così via. Pensando a tutto questo ho chiesto a Luigi Manconi di utilizzare i soldi raccolti per riorganizzare l’accoglienza. In parte questa richiesta è stata accolta. A Riace oggi ci sono almeno cinquanta, sessanta persone nel Villaggio Globale con tutti i servizi, la mensa sociale, la scuola, l’asilo per i bambini rifugiati, la fattoria sociale dove ai rifugiati vengono assegnati dei ricoveri per gli animali domestici. Ci sono tante cose, e quando uno arriva anche oggi a visitare Riace rimane un po’ meravigliato. Perché tutti pensano che la vicenda giudiziaria sia stata un terremoto che abbia raso al suolo ogni cosa. Ma io la vedo così: la vicenda giudiziaria vuole affermare “Ma tu come ti sei permesso? Come ti sei permesso di fare circolare l’idea che è possibile un atteggiamento di umanità per i rifugiati o per altre categorie? Questo non può essere consentito. Come ti sei permesso? Questa è una cosa molto pericolosa”. Tutti pensano, sotto la spinta mediatica, che giorno dopo giorno tanti subiscono in maniera inconsapevole, che una legge sull’immigrazione deve essere per forza punitiva o restrittiva. Ma perché non può essere invece migliorativa?

D
La somma raccolta dall’associazione A Buon Diritto ammonta a 400.000 euro. Per quanto vi servirà?

R
Quella somma è una tantum e ci servirà almeno per tre anni. Ora a Riace ci sono famiglie africane, dall’Eritrea, dalla Nigeria.

D
Se dovesse tornare indietro cosa correggerebbe nel suo approccio alla città, ai migranti, alla comunità? Cambierebbe qualcosa?

R
Dopo tutto quello che è accaduto sarebbe facile dire ho sbagliato qua ho sbagliato là. Però credo che quando stai operando, non te ne accorgi, è quasi fisiologico che vai incontro a delle conseguenze negative. Non sono pentito di aver fatto tutto quello che ho fatto. Sono contento e rifarei esattamente le stesse cose. Per quanto riguarda quello che mi dovrà accadere di una cosa sono certo. Non voglio sconti da nessuno, non voglio commiserazione. Certo ho il sogno di essere assolto, di tornare a non avere quel senso di peso che ogni giorno mi porto dietro. È come se fossi in libertà provvisoria. È atroce. Però se devo subire lo farò. Non sono niente meglio degli altri, di quelli che soffrono anche ingiustamente.

D
Lei adesso è in regime di libertà provvisoria con obbligo di residenza a Riace?

R
Io sono libero completamente. Dico però che in primo grado sono stato condannato a tredici anni e due mesi. Adesso sono nella fase dell’appello. Poi ci sarebbe la Cassazione.

D
La sentenza di primo grado la dipinge come il re degli impostori e dei truffatori, una sorta di Al Capone. Al contrario, alcuni esponenti delle istituzioni e molti della società civile la considerano un modello di virtù civica. Perché questa disparità di visione?

R
Intanto credo che la sentenza non si può basare su valutazioni personali del giudice, che senza prove dice cose che anche io potrei dire su di lui. Sulla base di che cosa? Per giustificare una condanna e per inserire nell’opinione pubblica una forma di denigrazione che sconvolge quello che uno può rappresentare come speranza. Io avevo detto: «attenzione è possibile una dimensione umana, una risposta dolce dell’accoglienza». Questo è l’aspetto centrale di tutto. È anche accaduto che lo stesso giudice rivolgesse una domanda al colonnello della Guardia di Finanza: «ma Lucano quali interessi economici ha avuto» e il colonnello rispondesse «Lucano non ha avuto nessun interesse economico». E che il giudice replicasse: «ma il suo interesse magari era politico» e il colonnello aggiungesse: «per lui l’accoglienza è una cosa ideale». Il colonnello ha avuto nelle mani tutta la fase di investigazione. Questo lo sta dicendo la persona che ha portato tutta la documentazione, i risultati di tutta la fase di indagine che dura da anni. Sono stato sospeso da sindaco, ho subito le misure cautelari. La Cassazione aveva detto che non era giusto. Comunque l’obiettivo vero non è questo, ne sono convinto e nessuno mi potrà impedire di parlare. Non ho paura per niente. Sono pronto a sfidare qualsiasi cosa. Però il mondo deve sapere il motivo vero per il quale penso di avere subito tutte queste cose. Il vero motivo è a livello mediatico. Vogliono demolire un’immagine o meglio un messaggio, che è possibile la dimensione umana, che è connaturata ad una parte politica anziché ad un’altra. Un’altra che parla solo di chiusura, di misure di sicurezza, di ordine.

D
In Italia il dibattito sulla sua persona è viziato da posizioni ideologiche che sono assenti all’estero? Ricordo alcuni elementi: nel 2010 lei si è posizionato terzo nella World Major, un concorso mondiale che stila la classifica dei migliori sindaci nel mondo. Nello stesso anno è comparso al 40º posto nella lista dei leader più influenti stilata dalla rivista americana Fortune. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha chiesto una condanna a dieci anni e cinque mesi, con una riduzione di soli tre anni rispetto alla condanna di primo grado. I suoi legali, nel ricorso contro la sentenza di primo grado, tra l’altro, lamentavano un approccio teso a trovarla colpevole ad ogni costo. Si sente un perseguitato?

R
Non voglio dire queste parole perché diventano dei luoghi comuni. Quando uno subisce la prima cosa che dice è: io sono innocente. Non voglio dire questo. Se ho sbagliato sono pronto a pagare, a testa alta. Non ho nemmeno rancore per i giudici che mi hanno condannato. Però io sono convinto che non vogliono me, vogliono colpire il messaggio che è venuto fuori. “Io non mi potevo permettere”. Allora l’unico modo non è la condanna perché l’opinione pubblica è schierata apertamente verso la mia parte. Tutti hanno capito che le cose che hanno scritto sono distanti anni luce dalle realtà. C’è una distanza abissale da come vengono dipinte le cose, dalle motivazioni della sentenza. Perché poi quelle motivazioni? Che senso ha? Tu mi devi condannare sulla base dei reati che ho commesso, non sulle supposizioni. È una cosa impari, non giochiamo ad armi non pari. Tu mi accusi e te lo puoi permettere perché tanto io sono il reo. Non va bene questo. Quando mi hanno revocato le misure cautelari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono tornato nel mio comune, istintivamente ho continuato a fare, anche grazie ai premi che ho ricevuto. Comunque la cosa che vorrei che si evitasse è il più possibile un aggiustamento delle cose per darmi pochi anni. No. Questa non è la giustizia che voglio. Io preferisco fare venti anni e anche di più ma con orgoglio, a testa alta. Non hanno dimostrato nulla, non ho ammazzato nessuno, non ho rubato, non faccio parte di circuiti della criminalità organizzata, non ho fatto parte di nessun altra organizzazione. Ho dato la vita per il riscatto della mia terra, ho immaginato un’umanità altra. Anche l’impegno politico è stato in questa direzione.
A un certo punto una mattina ad un’udienza in tribunale il pubblico ministero ha detto che aveva trovato il movente, dopo che il colonnello si era espresso dicendo che io non avevo interessi economici. Il pm ha voluto dire che il mio interesse era politico. «Avete visto Lucano si è candidato», e a tale proposito voleva depositare agli atti del processo un articolo di giornale che il giudice non ha accettato. C’è un’altra cosa. Nel corso del dibattito processuale. Il 19 dicembre del 2019, mi è stato notificato che il pm voleva processarmi in un processo altro, non nello stesso processo per il quale sono stato condannato e per il quale siamo nella fase di appello. Mi voleva processare per falso in atto pubblico perché avevo rilasciato una carta di identità in qualità di sindaco, ma anche di responsabile dell’ufficio amministrativo del mio Comune. Nei comuni sotto i tremila abitanti il sindaco può avere questa funzione. Tra l’altro era andato anche in pensione il responsabile dell’ufficio. Mi voleva condannare per falso in atto pubblico perché ho rilasciato la carta d’identità a un bambino di quattro mesi, portato quella mattina dalla madre e dalla coordinatrice di un progetto Sprar, perché avevano bisogno della tessera sanitaria. Era arrivato alla prefettura di Reggio Calabria e aveva un piccolo problema, un deficit enzimatico. Bisognava scegliere il medico specialista, un pediatra, ma senza il documento di identità questo non poteva avvenire. Si doveva accontentare dell’Stp, tessera per l’emergenza sanitaria. E gliel’ho fatta, però il bambino non aveva il permesso di soggiorno. E mi voleva processare. Il giudice non ha accettato, ma poi mi ha condannato anche sulle carte di identità. Perché il pm vuole fare un altro processo? Perché probabilmente il processo ordinario in corso non era soddisfacente per la Procura. Un’altra cosa. C’è un elemento di moralità, se questa parola vale per la giustizia. Come mai non è stato mai aperto un procedimento giudiziario per Becky Moses, una ragazza nigeriana di 26 anni che era in accoglienza a Riace in un progetto Cas convenzionato con la Prefettura di Reggio Calabria e poi interrotto? Becky Moses è dovuta andare nella baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno, dove ha trovato la morte in un incendio, nelle condizioni di assoluto degrado ambientale di quelle baraccopoli, in una sera d’inverno del gennaio 2018. Mai nessuno ha aperto un procedimento giudiziario. Perché? Come mai volevano farmi un altro processo? Semplicemente perché ho fatto una carta d’identità a un bambino di quattro mesi che lo necessitava per la tessera sanitaria? È facile prendersela con me. Lo sa perché non hanno mai aperto un procedimento giudiziario?

D
Perché non è stato mai aperto?

R
Ero responsabile legale del comune di Riace in quanto sindaco. Nella baraccopoli di San Ferdinando, dove vivono più di tremila persone in uno spazio ristretto, in condizioni di assoluto degrado ambientale, di disagio abitativo da baraccopoli, d’inverno, senza luce, senza acqua, senza gas, senza servizi igienico sanitari, lei pensa che c’era qualcuno che formalmente era responsabile o no? Io dico che c’era questo qualcuno.Siccome Becky Moses è morta bruciata viva come mai non è stato aperto nessun procedimento giudiziario? Addirittura è rimasta sei mesi nell’obitorio di Palmi, quello che rimaneva delle sue ossa in una cassettina di legno. Poi l’hanno portata a Riace. Nessuno la voleva nemmeno dopo dopo la morte. Io penso che era per proteggere i responsabili altolocati. Chi era in quel periodo responsabile della baraccopoli di San Ferdinando? Soprattutto era l’ex prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari, che poi S****** ha nominato come capo dipartimento alle libertà civili e all’immigrazione. Michele Di Bari era arrivato il primo settembre 2016 a Reggio Calabria come prefetto e anche, come dice formalmente il dispositivo di nomina, come commissario straordinario per l’emergenza San Ferdinando.

D
Mentre le sue vicende giudiziarie continuano, a Cutro sono morte circa cento persone, uomini, donne e bambini in un naufragio dai contorni poco chiari. Che cosa ne pensa di questa vicenda e quali sono le responsabilità dell’Europa. Sempre ammesso che ne abbia?

R
Intanto mi sono molto rattristato e molto amareggiato perché in questi anni la vicinanza mi ha portato a vivere queste cose in maniera diretta. Può immaginare che cosa significa cento persone morte, tra cui tanti bambini. È come un bollettino di guerra. Persone che cercavano, come quelle che sono venute a Riace, di vivere, di ricostruirsi un’altra vita possibile, lontano dalle persecuzioni. Sarebbe fin troppo facile infierire in circostanze così su quelle che potrebbero essere le responsabilità. Però siamo arrivati al punto in cui c’è quasi una forma di assuefazione alla morte, al dolore. Penso che anno dopo anno l’egoismo ha occupato centimetro dopo centimetro tutti i nostri spazi. Per anni è imperversata questa cultura dell’odio razziale, è imperversata la cultura di chiudere i porti, l’orgoglio di aver ridotto l’immigrazione, di avere lasciato le persone vagare nel mare, di aver ridotto i numeri. Invece non è vero per niente perché stanno aumentando a dismisura. Non è con la repressione che si risolvono i problemi. Intanto bisogna comprendere che finché il mondo sarà attraversato da queste evidenti ingiustizie, da queste fortissime disuguaglianze il fenomeno delle immigrazioni sarà un fenomeno globale inarrestabile. Provocato soprattutto dai Paesi occidentali, che anche nella storia con le loro politiche coloniali e neo coloniali hanno imposto regimi. Abbiamo venduto armi, abbiamo venduto guerre, abbiamo venduto morte. Le persone che arrivano sono il prodotto delle nostre nostre azioni che inevitabilmente producono quello che producono. Le persone che arrivano sono solo le vittime predestinate di un massacro che si verifica anno dopo anno, che ci sorprende solo quando si verificano queste cose. Poi l’atteggiamento di questo governo ci ha lasciato senza parole. Mentre il mare riportava a galla i corpi hanno pensato di… non voglio dire niente di più.

D
La Fortezza Europa. Alcuni studi rilevano il continuo fabbisogno di manodopera straniera. Ad esempio durante il Covid aziende agricole italiane organizzavano voli per andare a prendere in Tunisia e Marocco manodopera specializzata per il lavoro nei campi. Perché l’Europa ha così tanta paura dei migranti e continua a pagare nazioni come la Turchia per tenerli lontani dai propri territori?

R
Che cosa facevo io a Riace? Se le persone di Riace se ne vanno, se c’è l’emigrazione, se si chiude la scuola, se non si può giocare più a calcio perché non ci sono più bambini, se non ci sono più i ragazzi che vanno a scuola, se non c’è quello che vende i libri, che senso ha mantenere una comunità? Ecco perché dicevo venite a Riace. I prefetti del ministero dicevano vai a Riace. Guardate che vi accettano a Riace. Io avevo cominciato così. Il decreto flussi addirittura a un certo punto lo hanno chiuso completamente. Abbiamo creato la Fortezza Europa, ogni Stato ha alzato i muri più alti, c’è stato uno scarica barile, la responsabilità è di Malta, è della Spagna, della Francia, dell’Austria, dell’Ungheria, dell’Italia. Ci sono stati anche aspetti mediatici, che hanno occupato i nostri spazi. L’industria della paura ha sconvolto la nostra psiche fino a un punto di non ritorno. Ognuno pensa di stare bene con sè stesso, non ha la capacità di immedesimazione nel disagio vissuto dagli altri. Quando manca questa empatia, quando manca alle persone che hanno responsabilità di governo o di altro è pericoloso.

D
Che cosa potrebbe aiutare la Calabria ad uscire dall’isolamento socioculturale in cui si trova?

R
Prendiamo ad esempio alcuni dei problemi della regione, la ndrangheta e la questione sanitaria.Io ho fatto il sindaco di un piccolo comune, e ho cercato di recuperare il concetto di comunità, di dare delle risposte anche per quanto riguarda il settore dei rifiuti, dell’acqua, perché c’era stato il referendum sull’acqua bene pubblico. Sin da subito avevo capito che è inutile assumere toni vittimistici o delegare responsabilità, anche rispetto all’impegno e al messaggio che si può trasmettere ai cittadini. È inutile pensare che la responsabilità è del Governo, della Regione, sempre di qualcun altro. Dobbiamo ripartire dall’orgoglio di quello che significa il riscatto della nostra terra. Lei ha detto due argomenti che sono la materia viva. Proprio perché il problema della sanità è drammatico. È diffusa nell’opinione pubblica, ma a giusta ragione, che quando ci sono delle questioni importanti bisogna emigrare, bisogna andare negli ospedali del Centro-Nord. Perché da noi anno dopo anno gli ospedali sono stati chiusi. Se prima c’era la copertura sanitaria adesso si è ridotta. La sanità in Calabria è sempre commissariata. Poi c’è il problema della mafia. La Calabria ha una storia con la ndrangheta come la Sicilia e la Campania. Sono le regioni del Sud dove è più evidente il condizionamento, il fenomeno pervasivo di cosa significa occuparsi anche di aspetti collettivi, di aspetti di comunità. Io come sindaco ho fatto un lavoro forte perché da subito avevo capito che utilizzare mezzi termini o cercare dei privilegi rispetto al ruolo che avevo, diventava un esporsi in maniera pericolosa. Quello le mafie lo sanno fare meglio. Ho avuto sempre la percezione molto alta che bisogna avere il coraggio di non avere paura. Ad esempio i beni confiscati rappresentano una cartina di tornasole molto evidente. Là non ti puoi girare da un’altra parte, dire sto a metà. O partecipi come Comune o praticamente sei ossequioso verso le persone di mafia. I beni confiscati se tu stringi esce sangue, sangue. Andavo da solo come rappresentante del Comune all’agenzia che a Reggio Calabria cura la concessione dei beni confiscate alla mafia. Così a Riace Marina abbiamo avuto la disponibilità di otto appartamenti sul mare più un ristorante. Un giorno un funzionario mi disse “Sindaco, lei si espone troppo. Deve stare più attento. Glielo dico nel suo interesse”. Risposi “Non si preoccupi”. Ma sapevo benissimo che cosa significa fare il Sindaco nei nostri territori.

D
Crede che l’autonomia differenziata sia solo una favoletta inventata per scopi elettorali? Può aiutare a gestire i territori o sarà una secessione dei ricchi?

R
L’ultimo parola che ha detto, è più vero quello. Anche se non mi piace questa lamentela, questa rivendicazione continua. Noi siamo stati sempre dentro questo regime di sudditanza rispetto ai territori del Nord, siamo consapevoli di questo. Anche il ponte di Messina. Come mai c’è questo interesse? Lei dovrebbe ascoltare quello che diceva qualche anno fa S****** quando sosteneva la causa che non si doveva fare per non portare capitali al Sud. Invece adesso è uno dei più accaniti sostenitori del ponte, un’opera che non serve a niente, che sicuramente distruggerà uno dei siti del Mediterraneo più belli, come paesaggi. Opera che è portata avanti perché ci sono investimenti soprattutto dei grandi capitali del Nord, dell’industria dell’acciaio, probabilmente il bacino elettorale più vicino al governo.

D
Nel 2005 aderisce a Recosol, Rete dei Comuni Solidali. Nel 2006 organizza il primo convegno degli oltre 100 amministratori della rete. A quali idee ha guardato con interesse?

R
Sono stato a Polizzi Generosa perché c’era l’assemblea nazionale di Recosol. Siccome a Riace da qualche anno c’era l’accoglienza diffusa con i Curdi, e con altri rifugiati che provenivano dall’Africa subsahariana. Avevo capito che le dinamiche politiche erano molto in connessione con quello che accadeva nel mondo. Nell’insieme Riace è un puntino proprio nascosto, nemmeno evidenziato sulle cartine geografiche. Però mi interessava molto questa connessione con un qualcosa che guardava oltre. La nostra lista nel 2004 l’abbiamo chiamato Un’altra Riace è possible. Si ispirava ad un forum a Porto Alegre che c’era stato qualche anno prima sull’economia sociale e solidale. E poi i temi anche della solidarietà internazionale. Poi la storia di Recosol era cominciata a Carmagnola, dove era stato istituito l’assessorato alle politiche e alla cooperazione internazionale. Mi interessava. Sapevo che era utile, anche per le vicende che stiamo attraversando, per la possibilità di non rimanere esclusivamente dentro un territorio, che può diventare mano a mano un luogo asfissiante. Bisogna conoscere bene anche che cosa significa fare il sindaco in aree dove da una parte ci sono passioni e si può immaginare il riscatto. Ma dall’altra parte bisogna fare i conti con la realtà, con un impegno molto molto forte e con la percezione che tutto si può creare Poi magari può capitare anche quello che mi è accaduto in questura. Ricordo che c’era l’ispettore che mi diceva: «Io non so come fare, più di quasi centosessanta minori non accompagnati in un giorno sono arrivati a Riace. Per me è difficile organizzare. Sindaco, sono tanti giorni che sono nel palazzetto dello sport. Non lo so come devo fare. La Prefettura mi ha detto di collocarli da qualche parte. Le chiedo di aiutarmi». Alla fine io l’ho fatto. Mi sono impegnato per collocare questi ragazzini che venivano dalla Tunisia, dell’Algeria, del Nord Africa prevalentemente, ma anche dell’Africa subsahariana. L’ispettore alla fine mi ha detto: «un giorno invece di ringraziarci ci creeranno anche dei problemi». Non si era sbagliato.

D
Che progetti ha adesso?

R
Adesso sono impegnato sul piano emotivo per quanto riguarda questo processo, perché mancano pochi mesi. Ovviamente questa è una svolta per la mia vita. Da quello che dicono gli avvocati l’appello e la cosa più importante. Poi c’è la Cassazione, però poi lì si riduce la speranza e aumenta il livello della tensione. Poi sono impegnato perché un regista di Roma vuole fare un film anche inserendo, e questo per me è l’aspetto più interessante, la legge 18 del 2009. È una legge regionale che si ispira al modello Riace. Infatti si chiama legge Riace che aveva ottenuto anche un riconoscimento dell’Alto Commissariato dei Rifugiati, e che è rimasta lettera morta. Attraverso questo film vogliono riaprire il dibattito. Devo andare a Bologna perché ci sono dei giuristi, delle persone anche molto impegnate sul piano politico, che hanno fatto un libro Processo alla solidarietà, ed è il caso Riace. Sono impegnato con i tanti rifugiati che ci sono nel Villaggio Globale. Vorremmo portare avanti un’iniziativa che riguarda la fattoria sociale. Andiamo avanti con questo fondo Manconi ma anche con il Banco Alimentare. Ma il latte il Banco ce l’ha scremato da quando c’è la guerra in Ucraina. Allora abbiamo pensato di comprare due mucche e la sera portare al Villaggio globale il latte per tutti i bambini rifugiati che sono tanti. Sono impegnato in questo adesso.

D
Sua moglie ha il suo stesso coraggio?

R
Con mia moglie dopo 29 anni ci siamo praticamente separati senza un motivo autentico. É andata via da Riace. Questo per me è il rammarico più grande. Perché ho fatto male alla mia famiglia. Sono convinto di questo, e questa consapevolezza mi rattrista quando ci penso.

Io sto con Mimmo 25ultima modifica: 2023-09-10T08:01:51+02:00da piero-murineddu
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