Ricordi indelebili di una drammatica esperienza nel Cile del golpe militare

Premessa

Riporto quanto scrivevo nel maggio 2014 sulla pagina FB che tempo fa decisi di aprire e curare per tentare di dare un piccolo contributo al recupero della Memoria storica del posto dove vivo, al nord ovest della Sardegna:

Lettere dal Cile”, pubblicato nel 1977, raccoglie la fitta corrispondenza che Tore Ruzzu e Giuseppe Murineddu tennero con le loro rispettive comunità, Ittiri e Sennori, durante la loro permanenza di due anni in Cile, Paese dove decisero di andare per fare un’esperienza di Missione come preti e coincisa col colpo di stato dell’esercito, guidato da Augusto Pinochet. L’evento causò la morte e la sparizione d’innumerevoli innocenti.La stretta vicinanza alle problematiche della gente fu la causa dell’arresto e del conseguente imprigionamento dei due sacerdoti sardi, accusati falsamente di essere fiancheggiatori dei “terroristi”. Grazie all’intervento della diplomazia vaticana, furono in seguito liberati e fatti rimpatriare. Inevitabilmente, la particolare esperienza fatta era destinata a segnare profondamente e per sempre i due. Tore continua a “fare” il prete, mentre il mio amico Giuseppe diversi anni fa scelse di portare avanti da laico il suo impegno civile, fortemente coinvolto per la costruzione di una società Pacifica e Giusta.

Di seguito, riprendendo in parte alcuni passaggi, approfondisco l’ argomento, ripensando anche a un incontro pubblico che Giuseppe e Tore ebbero qualche anno prima di quanto vado a scrivere, in occasione della visita di alcuni loro amici venuti dal Cile.

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Segni indelebili

di Piero Murineddu

Non vi preoccupate se piangiamo”

È con questa raccomandazione che l’amico Giuseppe aveva avviato l’incontro quella sera di maggio di alcuni anni fa nella sala consiliare di Sennori per riportare a galla fatti drammatici di cui vado a raccontare e avvenuti nel lontano 1973, quando il feroce golpe di Augusto Pinochet aveva spaccato in tutti i sensi il Paese sudamericano.

Tore, attualmente parroco nonostante l’ età avanzata, diceva che vi erano arrivati quasi casualmente, ma che erano stati ben accolti dalla gente del posto, compresi i tanti italiani che lí erano emigrati.

Da subito la collaborazione stretta col vescovo – che viveva in una casetta poverissima in mezzo alla sua gente e sicuramente non in un quartiere “alto” – non mancò, ed è proprio tramite lui che i due preti sardi avevano imparato  a vivere realmente col popolo, amandolo e condividendone il quotidiano.

Dopo tanto tempo, qualche anno fa i due amici preti hanno fatto visita a quei luoghi da cui son stati segnati per sempre.

Donna Rachele, madre delle due sorelle ospiti per qualche giorno a Sennori, era ancora viva, seppur gravemente inferma. Non aveva avuto difficoltà a riconoscere immediatamente quelli che al tempo erano due giovanotti mossi dallo spirito del Concilio, quel significativo evento che aveva tentato di liberare la Chiesa dal troppo vecchiume che l’appesantiva e che, purtroppo, continua ad appesantire anche oggi, nonostante l’amorosa fatica di Francesco.

La proiezione d’immagini accompagnate dalla malinconica voce di Violeta Parra aveva aiutato i cinque, compreso il marito di una delle sorelle, a ripercorrere momenti salienti del tempo, collegandoli al Cile di oggi.

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Particolare commozione nel ricordare don Lucio, prete operaio fatto fuori dalla ferocia del regime.

La foto del fiume che bagna Santiago da’ lo spunto per ricordare i tanti oppositori – prelevati vigliaccamente (atteggiamento tipico dei regimi fascisti) durante i coprifuoco notturni – che in quelle acque son stati buttati dopo essere stati brutalmente torturati ed assassinati.

Tore trascorreva mattinate raccogliendo dati, per poi recarsi col vescovo nelle caserme per denunciare le continue e numerose scomparse di persone inermi ed innocenti.

Per Giuseppe la macchina fotografica, usata di nascosto, era il modo per documentare quanto avveniva e poterlo in seguito raccontare. Aveva ricordato ai presenti che per poter partire subì un processo, dove fu difeso dall’avvocato più in vista di Sennori, Giorgio Spanu. Nell’ attività svolta nel paesino sardo, aveva contribuito ad organizzare uno sciopero, e l’iniziativa – “fuori schema” in quanto un prete “si deve” occupare esclusivamente di cose spirituali – gli aveva procurato non poche difficoltà per ottenere l’autorizzazione alla partenza.

Alcune foto, montate egregiamente e presentate all’attenzione dei convenuti, ricordarono quella sera la venuta a Sennori tra il ’76 e’ 77 di don Fernando, amico fraterno dei due, preoccupato di far sapere che Giuseppe e Tore erano stati imprigionati ingiustamente ed espulsi prima che anche loro seguissero la triste sorte di tantissimi cileni.

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A distanza di tempo, ho deciso di riprendere in mano questo volume, probabilmente stimolato da un recente viaggio che Giovanna, la figlia di uno dei due preti che nel frattempo si era sposato, ha fatto proprio nel Paese dove il proprio genitore Giuseppe aveva vissuto quella drammatica vicenda di tanti anni prima.

Man mano, riporterò in questa pagina alcuni passaggi di queste lettere che provocheranno in me particolare interesse e che, sempre dal mio punto di vista, trovo molto attuali.

Anno 1973. Ventotto giorni di navigazione per raggiungere il Cile, dove Giuseppe Murineddu e Salvatore Ruzzu si stavano recando, per desiderio proprio ma anche per mandato vescovile della Diocesi di Sassari, per svolgere una missione pastorale. Durante la lunga attraversata, vari sono stati gli incontri, da coloro che erano in viaggio per motivi turistici ad altri alla ricerca di esistenze migliori di quelle che avevano lasciato.Di seguito uno stralcio di una delle lettere spedite da Giuseppe.

NON TUTTI CAPISCONO, SPECIALMENTE SE NON VOGLIONO

di Giuseppe Murineddu

Carissimi amici e conoscenti di Sennori,
(…..) parlavo, una sera, appoggiato al ponte della nave di fronte all’Oceano, con un sudamericano nero, che viaggiava con la sua famiglia. Mi ha detto che viaggiava in nave italiana perchè gli italiani non sono razzisti. Ho pensato a quanti sardi emigrati a Milano vivono in baracche senza servizi sociali perchè sono sardi, a quanti di voi fanno sempre i manovali perchè non hanno titoli di studio o “impegni”, ad un quasi monsignore italiano trentino (col quale abbiamo vissuto per 20 giorni a tavola in nave) e che tutto pieno di pietà o di Dio (!) diceva: “Poverini questi negri, non sanno far niente, non vogliono lavorare, proprio come voi sardi, che se non vengono i continentali in Sardegna ad aiutarvi con i loro capitali e con le loro tecniche, sareste ancora indietro di 30 anni……“. Io ho cercato di difendere e spiegare, però non tutti capiscono, specialmente se non vogliono (…..)

 

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Allora come credo ancora oggi, i giovani preti che lo desideravano, avevano possibilità di trascorrere qualche anno in terra cosiddetta  “di Missione”, generalmente Africa e Asia. Per i due sacerdoti si era invece creata l’occasione di fare questa esperienza in America Latina, e nel loro specifico proprio in Cile, precisamente a Copiapò, una città situata nella parte settentrionale del Paese, ai bordi del deserto di Atacama.  Giuseppe e Salvatore si sentivano vicini e mandati dalla  Diocesi della quale si sentivano rappresentanti, quella di Sassari.  A leggere queste lettere, credo che quello che dice oggi papa Francesco non  sia dissimile da ciò che state per leggere, tratto da una lettera di Tore, come dagli amici è conosciuto Salvatore, attualmente parroco nel suo paese natìo, Thiesi.. Una fede vera deve necessariamente coinvolgere e cambiare la vita concreta delle persone, altrimenti diventa una “droga” auto consolatoria. (Pi.Mu.)

È ASSOLUTAMENTE NECESSARIO FORMARSI DELLE IDEE

di Tore Ruzzu

Carissimi, (…) è sopratutto qui in Cile che mi sto convincendo sempre di più che certe realtà degli uomini, certe situazioni di miseria, di ingiustizia, di sottosviluppo in cui vive la maggior parte dell’umanità non si cambiano con l’elemosina dell’aiuto materiale, ma soltanto compromettendo completamente se stessi, le proprie cose, la propria vita (……) per cambiare radicalmente – nel nome di Cristo e del suo Vangelo – le strutture della società nella quale viviamo. Se il Cile vive ancora nella povertà e nella miseria è, per esempio, perchè altre nazioni dell’America del Nord e dell’Europa Occidentale si sono ingrassate sfruttando ( leggi “rubando”) le grandi ricchezze minerarie del Cile. Ed ora che questo Paese vuol rivendicare il proprio diritto sulle proprie ricchezze, tutte le suddette nazioni, attraverso le proprie industrie private o multinazionali,hanno ritirato completamente il loro capitale di investimento, la propria assistenza tecnica,il proprio personale (….). E il Cile è solo un esempio. Cosa dire degli altri popoli del Sud America, dell’Africa e dell’Asia? Finchè non riusciremo, lottando ogni giorno, a cambiare le strutture della società, questa situazione durerà chissà fino a quando. Ecco perchè vi scrivo che è assolutamente necessario formarsi delle idee, iniziare a pensare con la propria testa, studiare le situazioni concrete della vita di ogni giorno e riesaminarle attraverso la riflessione della Parola di Dio e della vita di Cristo (…..)

 

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Partiti da Genova il primo di giugno e arrivati nel Cile il 29 dello stesso mese, proprio all’inizio del terremoto politico ( ma anche da scosse reali della terra) culminato con l’uccisione l’11 settembre del presidente e della presa di potere militare da parte di Pinochet, Giuseppe e Salvatore, José e Tore per gli amici, mentre entrano gradualmente nella concreta vita del popolo, sono ospiti per un certo periodo presso l’episcopio di Copiapò, città in mezzo al deserto nella quale si apprestano a svolgere il loro ministero sacerdotale. Nei passaggi tratti dalla lettera che segue, si inizia ad intravedere il modo in cui i due amici intendano portare avanti la loro missione a stretto contatto coi più poveri del popolo e di come, probabilmente, intendano la loro fede, assolutamente non avulsa dalla realtà di tutti i giorni e strettamente legata al dovere di migliorare il mondo. (Pi.Mu.)

CHI VUOL VIVERE IL VANGELO NON PUÒ ESSERE PADRONE DI ALTRI UOMINI

di Giuseppe Murineddu

Copiapò, 22 ottobre 1972

Carissimi amici di Sennori,

fino ad oggi tutte le domeniche abbiamo aiutato celebrando la Messa nella cattedrale senza fare prediche, ma suggerendo un dialogo e l’intervento diretto. Certo che non è stato un male, considerando che le letture delle domeniche di settembre e ottobre erano abbastanza chiare da vedere riflessa la situazione che viviamo come uomini e come cristiani in questi giorni. (….) Per me leggere il Vangelo non significa prenderlo in mano e poi chiuderlo come se tutto fosse un bel racconto commovente e nient’altro. (…..) Quando ci si trova davanti a persone concrete, anche se è difficile, non si può non tentare almeno di essere coerenti. Oggi è la Giornata Missionaria Mondiale. Non so cosa abbiate organizzato di preciso, ma ora che mi trovo qui sento meno essenziale la quantità degli “operai” nei confronti della qualità del “raccolto”. Ancora di più quando quelli che sono”operai” non hanno l’umiltà di riconoscere che prima devono essere anche loro, e sopratutto loro, terreno che serve per il bene e per la gioia degli altri. (…..) Spero di non essere un pauroso o, peggio, falso portatore di questo Vangelo che voi vivete a casa e nei rapporti coi fratelli, specialmente con chi non si può difendere. Credo che a questo punto non faccia una grinza dirvi che avanti ieri ho ricevuto, come cittadino di Sennori, a venire a votare per le elezioni comunali del 18 novembre. E’ chiaro che come cristiano questo è un fatto in cui sentirei il dovere di pesare, per cambiare tutto quanto rende l’uomo schiavo, macchina che non ragiona. Peggio ancora quando quest’uomo si crede libero perché ogni tanto fa una croce per difendere i suoi interessi, dimenticando che ogni giorno dell’anno, ogni secondo, c’è una grande enorme famiglia di gente schiava, sfruttata. Se non si mette dalla parte di costoro, non so dove sia il posto del cristiano. (….) Ciascuno di noi, per il fatto di vivere il Vangelo, deve togliere da sé la fame di voler essere padrone di altri uomini e lottare contro tutti quelli che si fanno padroni di altri uomini.

Vi abbraccio tutti, uno per uno con affetto                                                                           Josè

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Settembre – Dicembre 1973. Primi mesi del regime totalitario fascista in Cile.II clima è pesante, specialmente per coloro che minimamente sono sospettati di non gradire il nuovo corso intrapreso da Pinochet. Come scrivono i due amici Josè e Tore, il clima è quello di “caccia alle streghe” di medievale memoria. Le spie, convinte magari di agire per il bene comune, sono dappertutto. Particolarmente le persone che per il loro ruolo possono avere una certa influenza in mezzo al popolo, sono i maggiormente controllati, e il clero, o meglio, parte del clero,  è tra questi. Tratto da una lunga lettera fatta avere al vescovo di Sassari tramite un vescovo spagnolo, il testo che segue può dare un’idea di questa situazione di estremo rischio e pericolo per gli eventuali dissidenti o presunti tali. Mi viene da pensare a come avrà reagito l’allora arcivescovo sassarese Paolo Carta nel leggere queste notizie. Chissà se l’avrà tentato il pensiero di aver mandato in missione proprio due preti “comunisti” in cerca di guai, e di questo essersene amaramente pentito. Mi viene da pensarlo considerando la diffusa convinzione,  allora come oggi, che i preti si devono occupare solo delle anime e delle cose “spirituali”, lasciando ad altri le “rogne”….umane. (Pi.Mu.)

NON CREDEVAMO DI ESSERE COSI’ PERICOLOSI

(Giuseppe e Salvatore)

27 Dicembre 1973

Carissimi,

(…..) Il 21 settembre cinque carabineros in borghese vengono nel vescovado cercando una radio emittente. Vengono a perquisire noi due perchè, come disse poi il comandante dei carabineros, gli avevano fatto la spiata che c’erano due falsi preti italiani, spie comuniste, che si mettevano in contatto radio con l’estero fino alle quattro di notte. Al ritorno da un giro al Nord della diocesi veniamo a sapere che il Nunzio si era informato di noi, dietro richiesta di Roma. Durante questo giro, come sempre avvenne durante l’assenza dello stesso vescovo, nuova perquisizione nella parrocchia e nel vescovado. Una spia aveva detto che erano state introdotte armi. Era un televisore. Un altro prete francese, Francois,  viene a stare nel vescovado perchè anche lui compromesso con i comitè campesinos, comitato di agricoltori.. (….) Viveva e lavorava con loro, aiutandoli a stare uniti. Anche lui accusato di essere marxista e “coscientizzatore marxista”. Intanto il quotidiano della città, “Atacama”, inizia una campagna contro i preti e le laiche. Calunnie e invenzioni che hanno l’unico scopo di creare una “coscienza popolare” di repulsione e di odio.Rientrerebbero nel reato di qualsiasi legge penale del mondo, per aver almeno anticipato il giudizio di una corte anche militare e per aver creato…rumori falsi.. Ma i rumori falsi che sono puniti sono solo quelli che mettono in crisi il regime che ha vinto. Si dice che sono sfogo di alcune persone, ma vedremo poi che a queste persone gli si è risvegliata la bestia dell’odio e della vendetta. Sono potenti perchè otterranno il loro scopo. Lo slogan di attualità e di “conforto” è: Non ci sono né vinti né vincitori”. Tutta la nazione sarà impegnata nell’essere “Una Libera Sovrana”. Sembrano le parole che furono in bocca a tanti italiani quando siamo nati noi e che anche ora sono presenti in quelli che si arrogano il diritto di essere loro i purificatori della società. E’ strano che vogliano realizzare l’unità di un popolo eliminando i fratelli che la pensano diversamente o rendendoli impotenti. Ilm primo ottobre alcuni preti ci riuniamo per iniziare a studiare i fatti, l’influenza nei cristiani e nelle comunità e il nostro comune atteggiamento. . Siamo più della metà dei sacerdoti e ancora la solita spia spiffera che siamo tutti in incontro nel vescovado. Armati di mitra vengono improvvisamente i soliti carabinieri. Chiudono le porte della sala, impedendoci di uscire. Vogliono i nostri dati e dopo un lungo discorso col parroco della cattedrale, ci lasciano sbigottiti e …liberi. Non credevamo di essere così pericolosi. (….)  Il Cile è diviso in due: le spie, chiamate ufficialmente i patrioti, e gli spiati, chiamati nemici della patria. (…..)

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Nella parte che segue della lunga lettera mandata al vescovo di Sassari, si parla dell’eterna repressione messa in atto dal Potere per eliminare le voci del dissenso, “voci” ma spessissimo anche vite, e questo attuato anche con modi apparentemente “legittimi”, quale l’uso della stampa “pura” e non corrotta da ideologie …..rivoluzionarie. I “puri”, coloro non intaccati dal cancro della “coscientizzazione”, in questo caso marxista – eh si, perchè nei regimi totalitari, tutti coloro che non si vogliono inquadrare e vogliono agire secondo il proprio libero giudizio, sono “coscientizzati” in senso contrario a chi detiene le redini del comando – i puri, dicevo, fanno la loro parte per isolare i dissidenti. Eccome se la fanno, convinti di eliminare le mele marce che impediscono la nascita di una nuova nuova società all’insegna del Be-ne-sse-re! Gius-ti-zia! Li-ber-tà! E’ ciò che in modo più morbido può avvenire, oggi,  anche nelle democrazie che fanno  fatica ad essere realmente tali. E’ ciò che può avvenire persino – se non addirittura specialmente – tra le varie religioni e anche tra confessioni  cristiane, dove storicamente ci si è scannati a vicenda, con la presunzione e convinzione di possedere tutta la verità e volendola imporre agli altri. Brutta bestia l’integralismo.Ma anche all’interno della stessa confessione, poni caso quella Cattolica, chi cerca di fare percorsi alternativi di studio e di ricerca, che tra l’altro è il modo più impegnativo per far propria una fede vissuta nel quotidiano, spesso è guardato con diffidenza, se non addirittura considerato un eretico, singolo o gruppo che sia. Veramente lo zelo può portare all’odio cieco. Nella lettera si parla anche dei vili assassinii perpetrati, dopo aver sottoposto le vittime ad indicibili torture. (Pi.Mu.)

METTERE IL DISSENSO IN CONDIZIONI DI NON NUOCERE

(Giuseppe e Salvatore)

Carissimi,

(…..) attraverso le spie, vorrebbero “unificare” il Cile, eliminando la fogna del marxismo che poi non sono altro che altri uomini e così rimangono i puri.Nel Medio Evo ha preso il nome di caccia alle streghe, quando i più deboli volevano uccidere le loro debolezze nella pobera gente, bruciandola; la caccia all’eretico della Chiesa dell’Inquisizione, che sperava di salvare la fede ammazzando e torturando chi la pensava diversamente; la caccia all’ebreo dei nazisti; la caccia al revisionista e reazionario e all’intellettuale dei sovietici; la caccia al traditore dei fascisti italiani con tutti i conosciuti don Minzoni, Matteotti e centinaia di migliaia di sconosciuti morti per una patria che non era la loro, ma frutto della mente esaltata di persone che una volta diventate così potenti finalmente godono della libertà di imporre agli altri con la forza militare e d economica la solita immagine patriottica del “Benessere, Giustizia e Liberta’ “. Quasi sarebbero i nuovi messia.(…..)

Intanto viene fuori in circolazione una lettera anonima ben scritta, spedita in tutta la diocesi, in cui si intima al vescovo di essere coerente, di non essere ambiguo, di controllare la coscientizzazione marxista che stanno facendo il parroco della cattedrale approfittando del Vangelo della messa e due preti che dicono di essere italiani. Sembra che sia un reato essere preti e cristiani, pregare per i morti e gli uccisi che non siano i militari (….) Lo zelo e l’odio ormai sono ciechi (….) Intanto le uccisioni continuano- Il 19, la notte, radunano tredici detenuti ancora senza giudizio. Li portano in camion fuori città. Dice il giornale che il camion si fermò per disturbi meccanici ed essi ne approfittarono per fuggire. Li massacrarono tutti. . Sono tutte notizie pubblicate sui giornali. E’ strano come questi giornali vadano d’accordo con la libertà di stampa, che sbandierano continuamente.  I cadaveri sono sepolti in una fossa comune e nessuna delle famiglie ha potuto vedere il parente ucciso.

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Dico la verità, pur sapendo le grandi potenzialità offerte oggi dai moderni mezzi di comunicazione, non immaginavo che lo constatassi direttamente così all’improvviso ed inaspettatamente.In questi giorni capita infatti che un vecchio amico di Giuseppe e Tore dai tempi in cui si trovavano in Cile, Luis Roberto, incappato evidentemente nel post su facebook che pubblico parallelamente all’aggiornamento di questa drammatica vicenda che man mano faccio su questo blog, mi scrive un messaggio chiedendo notizie dei due amici preti che praticamente è da oltre quarant’anni che non vede e non sente. Al tempo Luis Roberto suonava la chitarra durante le funzioni liturgiche che si svolgevano nella chiesa frequentata dai due sacerdoti missionari. Anche lui scampato alle torture e alle uccisioni da parte del regime di terrore instaurato da Pinochet e la sua cricca. Ieri sera, un altro messaggio di Luis Roberto m’informa che, grazie al mio tramite,  in queste ore si è sentito per telefono col nostro amico Giuseppe. Mi manda anche l’articolo che tre anni fa la Nuova Sardegna aveva dedicato a quella terribile storia vissuta in quegli anni dal popolo cileno, con un’intervista a Giuseppe Murineddu, nella quale aveva ripercorso tra le lacrime la loro vicenda, cose che, in parte gia conosciute perchè riportate in questa pagina, leggere direttamente acquista un altro valore. Piccola parentesi. Ho detto delle lacrime di Giuseppe, che fanno pensare all’emotività che con gli anni che trascorrono si accentua sempre più, e di questo me ne sto rendendo personalmente, cosa che tutto sommato non mi dispiace, considerando la poco propensione alle lacrime che c’è in giro. Lacrime d’immedesimazione intendo, specialmente nei confronti delle tante sofferenze diffuse,  provocate si dalle tante pesanti malattie, ma spesso dall’indifferenza e dalla solitudine. A maggior ragione capisco le lacrime di Giuseppe, in particolar modo quando il suo pensiero va a quel lontano tempo trascorso in terra cilena, ripensando e avendo ben incisi nella memoria quei momenti di reale rischio della vita  e, forse,  sopratutto per la sofferenza patita da persone inermi e innocenti.  Pensando di fare cosa gradita,  ripropongo alla vostra attenzione.l’articolo di Mario Bonu.  (Pi.Mu.)

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Due preti del Sassarese ancora vivi per miracolo

di Mario Bonu, Osilo (SS) 7 gennaio 2014

Nonostante siano trascorsi 40 anni da quei tragici avvenimenti, si commuove ancora fino alle lacrime, Giuseppe Murineddu – il prete della diocesi di Sassari che insieme a Tore Ruzzu si trovò, all’epoca del colpo di Stato, in Cile per una azione missionaria. «Arrivammo in Cile il 29 giugno del 1973 – ricorda Giuseppe Murineddu – e da subito il nostro battesimo cileno fu completo: quel giorno ci fu il tentativo di colpo di Stato da parte dei reparti corazzati dell’esercito, chiamato “il giorno del tancazo” (da “tanque”, carro armato)”. I due sacerdoti sardi erano partiti animati dalla volontà di ricerca di una nuova evangelizzazione, così come scaturita dal Concilio Vaticano II, che si intrecciava con i grandi fermenti socio-politici dell’Italia di quegli anni a ridosso del ’68. Avevano allora maturato il desiderio di servire la Chiesa del Terzo Mondo, e nel 1972, l’allora arcivescovo di Sassari, monsignor Paolo Carta, li autorizzò per una esperienza missionaria in America Latina. Così, dopo il corso di formazione a Verona, nel giugno del ’73 si ritrovarono nel pieno della bolgia cilena. “Avevamo scelto per la nostra missione la diocesi di Copiapò – dice Giuseppe Murineddu – una città nel deserto di Atacama, nel Nord del Cile, a circa 800 km da Santiago – e lì, dopo un periodo di “rodaggio”, ci vennero assegnate due parrocchie di periferia. Si trattava di una delle zone minerarie più importanti del Cile – ricorda ancora Murineddu – dove la miseria regnava sovrana». Là si dispiega la catechesi dei due sacerdoti sardi, che si sviluppa sia sul versante religioso che su quello della solidarietà, con il sostegno alle famiglie povere, le visite alle persone sole, le colonie estive per i bambini, la mensa popolare. Ma la loro opera si rivolge anche ai carcerati, alle vittime del regime, alle famiglie degli scomparsi. Tore Ruzzu, in particolare, venne nominato responsabile della diocesi per l’aiuto alla ricerca delle persone scomparse o carcerate. Così i due sacerdoti si trovano in una posizione sempre di più di frontiera, a contatto diretto con le sofferenze e con le atrocità di quei giorni, pienamente coerenti con il messaggio evangelico, ma per ciò stesso percepiti come oppositori di fatto al regime. “Presero a infiltrare le loro spie ai nostri incontri – ricorda Giuseppe Murineddu – e il clima generale divenne sempre più pesante. Noi resistemmo per circa due anni grazie all’appoggio incondizionato di quel grande vescovo che fu don Fernando Ariztìa, ma quando anch’egli divenne un bersaglio dei militari, la situazione non poteva non precipitare. Così – prosegue Murineddu – non fummo granché sorpresi quando l’8 novembre del 1975, alle 6,20 del mattino, gli agenti dei servizi segreti militari si presentano nella nostra casetta alla periferia di Copiapò, e “trovano” un libretto rosso di Mao ed una pistola dentro un tabernacolo della cappella, evidentemente messe là apposta da loro”. I due vengono tenuti prigionieri e interrogati per una settimana a Copiapò, e poi trasferiti su di un camion a Santiago. “Quello fu uno dei momenti in cui pensammo davvero di non uscirne vivi – racconta Giuseppe Murineddu – sapevamo di un altro viaggio di prigionieri sulla stessa tratta, in cui gli arrestati “tentarono di scappare” e furono tutti uccisi. Così ad ogni sosta del camion – il viaggio è lungo più di 800 km e dura oltre 13 ore – pensammo che anche a noi sarebbe toccata la stessa sorte”. Li salvò, quasi sicuramente, il fatto di essere stranieri e il forte interessamento al loro caso del governo italiano e dell’ambasciatore dell’Italia a Santiago.

don carlos camus Larenas

Abbiamo riletto il toccante racconto che Giuseppe fece alla “Nuova” . Torniamo quindi a scorrere il libro dove i due sacerdoti avevano raccolto le loro lettere dopo il  forzato rientro dal Cile, dove svolgevano il loro apostolato a servizio della Diocesi di Copiapò,vasta tre volte la Sardegna, nel nord desertico del Paese sudamericano, passato da una costruenda democrazia socialista guidata dal  presidente eletto Salvador Allende alla feroce dittatura del generale Augusto Pinochet.

Nella foto vi sono i due preti, appena sbarcati a Valparaiso dopo un mese di navigazione, insieme al capo della diocesi dov’erano destinati e ad un immigrato sardo che ospitò molto ben volentieri nella sua casa i  due conterranei.

Don Carlos Camus Larenas rimase ancora un anno alla guida della Diocesi, chiamato poi al ruolo di segretario della Conferenza Episcopale Cilena e in seguito vescovo di Linares. Gia con questo vescovo Giuseppe e Tore erano entrati da subito in un modo di vivere un cristianesimo comunitario molto partecipato dal popolo, sicuramente incoraggiato dalle novità portate dal Concilio Vaticano II voluto da papa Giovanni XXIII. Questo lavoro di coinvolgimento fu ripreso dal successore arrivato dopo un anno di posto vacante, don Fernando Ariztìa. Nel testo che segue, cercheremo di capire  questo “metodo”,  che in Italia probabilmente faticava ancora a prendere piede (forse) per la storica e proverbiale  lentezza dalle gerarchie ad accettare gli inevitabili e necessari segni del tempo che avanza, ma fatte proprie dalle Comunità di Base e da quelle parrocchie dove la guida  non si sente e si comporta da padre – padrone, che svolgevano e continuano a svolgere un’ impegnativa e faticosa “rilettura” delle Scritture per cercare di rendere attuali e vivi gl’insegnamenti evangelici.

Ecco le parole di Giuseppe e Tore, tratte dalle pagine riassuntive della loro vicenda riportate nella prima parte del volume. Non lavoro di “coscientizzazione marxista”, come dicevano e accusavano i “guardiani” del regime, in questo messi in allarme dalle bigotte e falsi cristiani che s’intrufolavano malignamente nella vita comunitaria,  ma faticosa immersione nelle problematiche del popolo, con concreta condivisione “per” e “con” esso.Tutto ciò ha dato tremendamente fastidio ai detentori del Potere, che in ogni epoca vogliono tenere tutto sotto la loro stretta sorveglianza. Sul finale, l’epilogo di questa “compromissione” dei due preti col popolo oppresso, evento a quanto pare da loro atteso. (Pi.Mu.)

Non rigettare la gerarchia, ma valorizzarla come reale servizio

(Giuseppe e Tore)

Marzo 1975. Arriva come nuovo vescovo di Copiapò don Fernando Ariztìa. Egli dà un impulso nuovo ed evangelico alla diocesi. Con lui sacerdoti, religiose e laici facciamo un’analisi più profonda delle necessità dell’uomo di Copiapò e della diocesi, ne studiamo le problematiche e le esigenze cercando di dare una dimensione chiara delle scelte che dobbiamo prendere come Chiesa cilena e copiapina in particolare. Notiamo allo stesso tempo l’assenza quasi assoluta di responsabili laici che facciano la Chiesa più popolo e meno gerarchia, non per rigettarla ma per valorizzarla nel vero senso come servizio: proprio quanto scopriamo nella persona del nostro vescovo e come anche noi tentiamo di fare. Corsi di formazione di animatori di comunità cristiane, di guide di gruppi di catechesi adulti che preparino i genitori alla educazione alla fede dei loro figli, animatori di gruppi giovanili che siano non soltanto culturali, ma anche di servizio delle esigenze delle poblaciones (quartieri). Con tutti  questi, dopo un anno di studio e preghiera con le due comunità di religiose delle nostre poblaciones e i responsabili prendono corpo le scelte concrete di una Chiesa che serve: in prevalenza sono gruppi dei aiuto fraterno che hanno direttamente carattere assistenziale, ma allo stesso tempo evangelicamente formativi perchè aprono i cristiani, le religiose e noi preti a un servizio per i fratelli poveri e perseguitati, sono insieme denuncia chiara delle scelte politiche, sociali ed economiche del governo militare. (…..) Nelle nostre poblaciones nascono primi e più numerosi che in tutta la regione e la diocesi i refettori infantili, gruppi di aiuto ai malati, bazar per lavorare e vendere vestiti usati, nelle forme più aperte e servizievoli per evitare ogni possibile e minima umiliazione per chi è obbligato da altri uomini a ricorrervi. Poveri per e con i poveri. (…….)

Inizia la repressione

Il governo non era riuscito a dividere la Chiesa cattolica come aveva potuto con la Chiesa luterana e con la conquista di quasi tutte le sette protestanti. Agli ultimi di settembre del 1975 si verificano gli arresti di alcune religiose e di sacerdoti, specialmente di Santiago. Si fa luce e si porta in atto un piano che già mesi prima avevamo letto in alcune in alcune riviste italiane e cilene, elaborato dalla CIA, dalla polizia, dai ricchi e dai governi di parecchi stato sudamericani come Bolivia, Uruguay, Brasile. Prima le calunnie, i sospetti e il discredito degli elementi cosiddetti “stranieri” di fronte al tentativo di fare una Chiesa nazionalista appoggiando vescovi e sacerdoti favorevoli al regime. Poi la detenzione di alcuni di questi elementi in luoghi e ore isolati, con collocazione nei luoghi da loro frequentati di materiale di propaganda compromettente, possibilmente armi. Nessuna meraviglia, quindi, che tutto questo lo facciano anche con noi quando, alle 6,20 dell’8 novembre del 1975, perquisiscono la nostra casa, ci presentano le accuse preparate a tavolino e ci incarcerano.(….)

bambini mapuche

Guardatela con attenzione questa foto. Osservate gli sguardi perplessi ma aperti dei bambini. Fate attenzione all’espressione e al sorriso dei due giovani preti. Leggo che i “Mapuche” sono un popolo amerindo originario del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina. Gente la cui vita non era, e credo non lo sia ancora, agiata. Probabilmente il ceto più basso della società cilena, gente che per sopravvivere si doveva ( si deve)  massacrare di lavoro, che viveva (vive) in situazioni di grossi disagi e privazioni. Gente che procrea tra loro, come solitamente accade tra i poveri, la cui istruzione – e quindi il livello sociale – era (è) bassissimo. Gente per cui i servizi difficilmente sono accessibili, Diritti? Mah….

Giuseppe e Tore, nei loro anni di preparazione al sacerdozio, sicuramente avevano maturato il (doveroso!) desiderio di vivere il loro ministero in mezzo ai derelitti della società, a quelli che facevano e continuano a fare più fatica. Quelli coi quali Gesù stesso preferiva stare nella sua vita terrena. È forse questo il motivo per cui avevano espresso al loro vescovo  il desiderio  di vivere un periodo della loro vita in una parte del mondo, chiamata genericamente “terra di missione”, con l’intento non tanto d’imporre il loro credo – come in particolar modo nel periodo colonialista è purtroppo successo troppe volte, quando la croce si accompagnava con la spada – quanto far conoscere la bontà di un Dio fattoci conoscere da Gesù e, di conseguenza, condividere in tutto e per tutto la vita dei più poveri, materialmente e non solo e forsanche non sopratutto materialmente.

Riporto una porzione di lettera nella quale Giuseppe e Tore cercano di spiegare questa loro volontà di stare a stretto contatto col popolo, specialmente in quegli anni di terrore e di repressione, conoscendolo nei vari aspetti per entrare nel modo più rispettoso possibile nella loro vita quotidiana e nel loro…cuore. (Pi.Mu.)

ENTRARE NEL CUORE DEL POPOLO

di Giuseppe Murineddu e Tore Ruzzu

Non abbiamo scelto il Cile perchè trovassimo un posto più comodo e più facile (….). Noi non vorremmo tradirlo, il vero popolo cileno e il Vangelo, vorremmo essergli fedeli con la nostra debolezza e ci vorremmo rimanere perchè il vero cileno ha enormi valori da comunicare. Ci rimarremo finché non saranno il vescovo o le autorità militari a non volerci più. Stiamo cercando di conoscere e studiare le reazioni dei cileni e dei cristiani in particolare di fronte a questa situazione, a questi fatti della vita sociale ed ecclesiale che assumono il valore di provare la onestà e la sincerità di quanto finora si era costruito. Intanto  apprendiamo come studiare le persone, come reagiscono, come si comportano: se hanno una doppia personalità, adesso che il modo di agire richiesto ufficialmente è tutto il contrario di prima. Stiamo imparando a conoscere la Chiesa ufficiale cilena: i preti cileni e i preti stranieri; le famiglie straniere che sono venute per lavorare e stanno bene con Ditte, Imprese ecc; quelli che possiedono le miniere e quelli che ci mettono i polmoni e, in un segno di fittizia libertà (per loro è l’unica libertà), si bevono tutto quando scendono dalle miniere. In città li chiamano flojos (in italiano sarebbe “pigri” “fiacchi”); la loro età media è ridotta, soffrono di silicosi, chi se ne ammala ha una pensione e le famiglie non sanno come mantenerli, anche se hanno un grandissimo amore per i loro padres e abuelitos (nonni). Stiamo imparando a conoscere quelli che vivono al centro e quelli che vivono in otto o dieci persone in una stanza fatta di tavole e cartone; i carcerati e i condannati al confino; quelli che vivono in libertà aspettando un giorno o l’altro il loro turno quando le indagini arriveranno a loro; quelli che hanno un familiare, sanno che sta bene, che è nascosto e nient’altro; quelli che considerano pecora nera della famiglia, il parente che aveva idee contrarie; le famiglie che ancora guadagnano 4000 escudes, quando il datore di lavoro deve dargliene per legge almeno 12000; quello che possono comprare finalmente(?) le loro scarpe ultima moda 8000 escudes e chi le deve comprare di gomma e tela; quelli che possono comprare il filetto a 1800 escudes  e quelli che devono comprare le ossa che restano per il brodo a 100-150 escudes. Quando c’è una prova, quando la realtà ci obbliga ad un cambio, si manifesta la persona opportunista, la persona coerente, la persona precipitosa, la persona giusta, la persona sciacalla, la persona immatura, la persona vera, la persona che per amare si sacrifica e perde sé stessa.(…..)

Continua….

Ricordi indelebili di una drammatica esperienza nel Cile del golpe militareultima modifica: 2023-05-29T05:32:26+02:00da piero-murineddu
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Commenti (2)

  1. Patricio Jiménez

    Salve!
    Sono Patricio Jiménez. Sto facendo il mio dottorato a Napoli sulla influenza della chiesa cilena nella chiesa italiana degli anni ’60 e inizi degli anni ’70 e volevo sapere se è possibile contattare a Giuseppe e/o Salvatore.
    Ho descuperto i loro nomi leggendo un libro di Soledad del Villar sulle donne della Vicaría de la Solidaridad.
    Grazie mille!

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    1. piero-murineddu (Autore Post)

      Buongiorno Patricio. Tore attualmente é parroco nel suo paese natio, Thiesi, provincia di Sassari. Giuseppe vive a Sennori. Prova a contattarli. So che Giuseppe ha una pagina FB a suo nome. Riconosci il profilo per il gruppo di uccelli vicino ad una nuvola. Se non ti riesce, fammi sapere

      Rispondi

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