Sugli abusi delle forze dell’ordine

Consapevolezza o non consapevolezza, questo é il problema…

di Piero Murineddu

La tentazione di mangiare la marmellata di nascosto, come ben sappiamo, ha radici profonde nel cervellino umano, in qualsiasi àmbito si operi. Personalmente considero la vita una successione ininterrotta di decisioni e ciascuna di esse é la misura della personale maturitá raggiunta, se non addirittura della visione che si ha della stessa vita. Lo specchio insomma della libertá interiore, quel preziosissimo stato guadagnato il più delle volte con molta, moltissima fatica.

A partire dal primo momento in cui la mattina apro gli occhi alla nuova giornata che si ha davanti e fino a quando alla sera li richiuderò, é mia responsabilitá decidere se fare un qualsiasi passettino verso questa o quell’altra direzione, e non posso negare di avere la consapevolezza, almeno il più delle volte, delle conseguenze per la scelta fatta.

Questo per quanto riguarda la strettissima sfera privata. Se poi la mia decisione coinvolge anche altri, ricoprendo per esempio un ruolo pubblico, embé, allora  il tutto viene inevitabilmente moltiplicato, e non per cento ma per un miliardo e più. Chi decide nella sua vita d’indossare una qualsiasi divisa, che fino a prova contraria dovrebbe rappresentare l’intero stato sociale, e non ha pienamente consapevolezza su ciò che comporta, beh, allora sarebbe meglio che si procurasse tre o quattro caprettine e se ne andasse a canticchiarsela allegramente su pei ponti. Che poi anche far questo abbisogna di senso di responsabilità!

Ci siamo? Bene. Leggiamo bene quanto scrive Lorenzo e facciamo una buona giornata. Io intanto mi alzo per andare a far pascolare allegramente le mie caprettine….

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Sugli abusi delle forze dell’ordine

di Lorenzo Guadagnucci

Agenti penitenziari indagati a Torino per tortura, carabinieri arrestati a Piacenza per aver costituito in caserma una banda “gomorrista”, com’è stata definita.

Scioccano, queste notizie, perché campeggiano nelle cronache negli stessi giorni e quindi si
sovrappongono, ma non possono sorprendere. Troppi sono i precedenti, recenti e remoti.

Qualcuno ha forse dimenticato le torture nel carcere di Asti e in quello di Sassari, passati per i tribunali e finiti alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo?

O il caso della caserma di Aulla in Lunigiana,
con i carabinieri sotto inchiesta per una lunga serie di abusi denunciati da numerose vittime?

O i falsi e i depistaggi che hanno accompagnato la vicenda dell’omicidio di Stefano Cucchi?

E vogliamo parlare del G8 di Genova? Delle torture nella caserma di Bolzaneto, di quelle alla scuola Diaz, dei falsi, delle menzogne, delle protezioni assicurate ai responsabili?

No, non possiamo sorprenderci se le forze dell’ordine finiscono sotto la lente della magistratura, per il semplice motivo che l’abuso di potere, la tortura, la tentazione di arricchirsi abusando del ruolo conferito dalla divisa sono una minaccia incombente per simili istituzioni.

È così in tutto il mondo. E in tutto il mondo, almeno nei regimi democratici, lo sforzo è teso a contenere i rischi, a mantenere alta la vigilanza, a individuare i migliori strumenti di prevenzione e quelli più efficaci di repressione.

L’Italia, sotto questo profilo, ha uno specifico problema: il tema è considerato un tabù. Non esiste una discussione pubblica, aperta, informata, libera sull’operato delle forze dell’ordine. C’è chi parla di mele marce, chi si premura di mettere in luce la lealtà della grande maggioranza degli agenti, chi interviene per ribadire la fiducia dei cittadini negli apparati.

Dovremmo invece parlare soprattutto delle mancanze strutturali evidenziate in questi anni.

Le nostre forze dell’ordine hanno una tradizione autoreferenziale: teorizzano e praticano la prassi di
lavare i panni sporchi in casa, sono insofferenti verso i controlli esterni, hanno spesso mostrato
un’inquietante tendenza a mentire e a non collaborare con la magistratura. La vicenda Cucchi
insegna ma non è sola ed è impossibile ignorare la lezione del G8 di Genova, con i suoi clamorosi
abusi e l’altrettanto plateale negazione delle proprie responsabilità da parte di tutte le persone in divisa coinvolte, dagli autori materiali ai testimoni alle catene di comando. La consegna dell’omertà è stata osservata quasi senza eccezioni. Basti citare un passaggio della sentenza della Corte europea per i diritti umani sul caso Diaz, laddove si stigmatizza la condotta dei vertici di polizia per avere «ostacolato impunemente» l’azione della magistratura. Non solo si è ostacolato la magistratura, ma una volta scoperti non c’è stata punizione.

È noto, nel mondo, quali sono gli strumenti più adatti per prevenire gli abusi di potere nei corpi di
polizia. Ne citiamo alcuni.

La trasparenza: quanto avviene nelle caserme, gli abusi che vi sono eventualmente commessi, devono essere conosciuti e riconosciuti, perciò può essere utile che vi siano autorità indipendenti -esterne agli apparati- incaricate di raccogliere le denunce e avviare indagini interne, anche a prescindere dall’azione della magistratura.
Gli agenti messi sotto inchiesta dalla magistratura devono essere immediatamente sospesi dal
servizio, a tutela della credibilità del corpo e a garanzia dei cittadini: in Italia non è una prassi, ma
una decisione presa volta per volta, accade per esempio a Piacenza (non solo per gli arrestati), ma non è accaduto in altre pur clamorose vicende, vedi l’inchiesta e il processo Diaz, con i funzionari rimasti sempre al loro posto, in qualche caso addirittura promossi, e infine anche reintegrati in servizio nonostante la giurisprudenza della Corte europea preveda la destituzione in caso di condanna per trattamenti inumani e degradanti e tortura. È bene dirlo chiaramente: sono cattivi esempi venuti dall’alto che hanno un enorme impatto sulla “cultura” e sulle attitudini di chi lavora nei corpi di polizia.

La tentazione dell’omertà e della chiusura corporativa viene combattuta nel mondo – non in Italia – con numerosi altri strumenti, come l’utilizzo di codici di riconoscimento sulle divise, la completa
smilitarizzazione degli apparati (in Italia i carabinieri fanno parte delle forze armate e la polizia ha conosciuto un’involuzione neomilitare nonostante la riforma del 1982, a partire dalle regole di reclutamento), l’apertura alla sindacalizzazione, la creazione di osservatori sulle denunce e le condanne a carico degli agenti in servizio, l’istituzione di canali permanenti di dialogo con la società civile.

Sono misure che vanno tutte nella stessa direzione: apertura alla società, lotta al corporativismo e a quella cultura autoritaria che costituisce il background delle forze di polizia in quei Paesi ‒ in Europa molti, e il nostro è tra questi ‒ arrivati con ritardo alla democrazia.

In Italia è difficile parlare di questi temi. Lo si è visto nel dibattito degli anni scorsi attorno alla legge sulla tortura. Le forze dell’ordine ‒ nella base, nei sindacati, nei vertici istituzionali ‒ hanno vissuto con insofferenza l’avanzare dei progetti di legge, rimasti nei cassetti per decenni e venuti infine alla luce solo per l’enormità delle condanne subite dall’Italia a Strasburgo nei procedimenti Diaz e Bolzaneto. La discussione della legge è stata difficile e a tratti penosa, con un ostruzionismo attivo e palese da parte degli apparati.

Chi chiedeva di introdurre una legge sulla tortura identica alla definizione accettata (anche dall’Italia) in sede di Nazioni Unite, è stato additato come nemico delle forze di polizia. I maggiori partiti politici hanno fatto propria questa distorsione del dibattito e alla fine è stato approvato un testo così contorto e così ambiguo che il Comitato dell’Onu per la prevenzione della tortura ha chiesto al Parlamento di cambiare la legge (appena sei mesi dopo la sua approvazione).

Oggi che le vicende di Torino e Piacenza portano alla ribalta gravissimi abusi di potere e i deficit
strutturali dei nostri apparati, sarebbe il momento di aprire una discussione franca e di mettere all’ordine del giorno qualche serio progetto di riforma.

Negli Stati Uniti, nel pieno delle proteste del
movimento Black Lives Matter qualcuno ha proposto di togliere finanziamenti e addirittura
sciogliere i corpi di polizia inaffidabili.

Senza arrivare a tanto, e nell’enorme differenza delle nostre strutture rispetto agli Stati Uniti, potremmo cominciare a discutere di smilitarizzazione dei carabinieri, di una nuova riforma democratica della polizia, dell’introduzione di un organismo indipendente di controllo sulle denunce di abusi; potremmo insomma cominciare a parlare, liberamente e senza tabù, delle forze dell’ordine come parte della società civile.

Sugli abusi delle forze dell’ordineultima modifica: 2020-08-05T06:08:44+02:00da piero-murineddu
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