La genitorialità diffusa

 

kahlil-gibran

 

di Rita Clemente

Il dibattito politico degli ultimi mesi è stato molto focalizzato sulla legge detta Cirinnà, dal nome della senatrice di cui porta la firma. Era prevedibile, trattandosi di un “tema caldo”, che non tocca solo la sfera dei diritti, ma anche quella delle concezioni etiche e di costume riguardanti la famiglia. Non sono mancate ovviamente radicalizzazioni polemiche, contrapposizioni ideologiche, persino ridicolizzazioni ironiche degli “avversari”, ma infine la legge è passata, seppure con una visione di compromesso che lascia molti insoddisfatti, quasi la si fosse svuotata di un importante valore intrinseco.

Tutto sommato, si è trattato di un importante passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle cosiddette “coppie di fatto”, del resto non più indifferibile. Quel “passo avanti” che pure non era riuscito di fare ai governi “ulivisti” di Prodi e D’Alema, prima con i PACS, poi con i DICO. Se c’è riuscito il governo Renzi con il fondamentale appoggio del Nuovo Centrodestra, è anche perché è maturata, nonostante le polemiche,  una maggiore percezione sociale favorevole a un urgente riconoscimento di questi diritti. Diversamente, l’Italia, su questo piano, avrebbe rischiato di rimanere isolata nel contesto europeo.

Tuttavia, la legge appare “mutilata” di una sua parte essenziale, quella cioè che riguarda la possibilità delle adozioni, soprattutto da parte di una coppia omosessuale ( la cosiddetta stepchild adoption). Chi ne subisce più pesantemente le conseguenze sono le coppie omosessuali maschili, per cui è impossibile avvalersi di una gestazione se non facendo ricorso a una terza persona, a una donna estranea alla coppia.

Pertanto grande scalpore ha suscitato la decisione dell’ex Presidente della Puglia Nichi Vendola di riconoscere come suo figlio quello del partner avuto da una donna, con la pratica del cosiddetto “utero in affitto”.

Naturalmente, insulti e denigrazioni nei suoi confronti da parte di chi difende la “famiglia tradizionale” non si sono fatti attendere. Non sembrava vero, per le destre, attaccare, finalmente con un argomento di “legalità” un uomo di sinistra. Ma anche da sinistra non si sono lesinate le critiche, anche durissime.

Ora, io non metto in dubbio la sensibilità sociale di Vendola, tuttavia qualche problema morale mi sembra che questa sua scelta lo sollevi, eccome!

Non che la cosiddetta “maternità surrogata” sia una novità, anzi. La sua pratica risale alla notte dei tempi. Ne parla perfino la Bibbia, a proposito di donne sterili che si servivano di loro schiave da concedere al marito per poter avere dei figli. Inoltre, non era così raro, nelle culture nobiliari e borghesi dei secoli passati, indurre qualche contadinotta ad avere rapporti con il padrone perché il figlio nato da quell’unione potesse poi risultare come nato dalla moglie sterile.

Caso mai, la novità scandalosa sta nel fatto che, in questa circostanza, la coppia non sarebbe eterosessuale.

Tuttavia, dovessi essere sincera, neanche a me piace la scelta fatta da Vendola, nonostante tutti i “distinguo” che alcuni commentatori hanno fatto riguardo alla libera scelta o scelta condizionata, rispetto allo stato di bisogno della donna o a un suo atto di generosità, rispetto alla legalità o meno del procedimento. E non mi piace per più motivi. Intanto è proprio la connotazione “di classe” di questa scelta che, in prima istanza, disturba. Anche là dove la pratica dovesse risultare legale, o comunque dove fosse permessa, si fa sempre leva sul bisogno economico di una donna povera che “vende” la sua capacità generativa. Ma anche laddove questo bisogno economico non ci fosse e la donna “facesse dono” generosamente del suo corpo al fine di consentire ad altri di avere dei figli la pratica risulterebbe comunque alienante e disumanizzante.

Un legame emotivo e affettivo tra una donna e la creatura che porta in grembo si va formando e va acquisendo spessore e concretezza giorno per giorno, durante il lungo iter dei nove mesi di gravidanza. La donna che, eventualmente, avesse acconsentito a dare via il figlio all’inizio del concepimento non è più, affettivamente parlando, la stessa donna che lo darebbe via alla fine della stessa. Si è creato un legame, direi un sogno, un progetto esistenziale. Derubarla di tutto questo significherebbe alienarla da se stessa. E per tutta la vita. Anche se dovesse continuare ad avere un legame “privilegiato” con questo bambino (cosa peraltro non così scontata), lo stato psicologico di deprivazione potrebbe alla lunga non essere tollerabile.

Ma ammettiamo pure che la donna “conceda” liberamente (e senza contropartita economica) il bambino nato da lei, senza problemi emotivi. Come si fa, all’inizio di una vita, a decidere e a pianificare per un essere umano le scelte e le esigenze affettive? E se quel bambino, una volta cresciuto, volesse conoscere la radice del suo essere, la persona che l’ha messo al mondo, ed avere con lei un rapporto affettivo non di secondaria. mportanza? Come si fa a decidere a priori che può farne a meno?

Si potrebbe obiettare che lo stesso discorso potrebbe valere anche per il padre biologico. Infatti, non lo escludo, e questo mi fa essere anche molto restia nei confronti della cosiddetta “fecondazione eterologa”. Tuttavia, nel caso di una donna è un po’ diverso. Intanto, per quel “legame speciale” che ha tempo e modo di formarsi durante la gestazione, come già detto. Poi perché ho l’impressione che siano davvero un’infima minoranza le donne che acconsentirebbero a questa pratica per pura generosità. Infine, per la ragione che la donna sarebbe sempre e solo considerata nient’altro che un “corpo”, da vendere o, nel migliore dei casi, da “cedere”, alienato da qualsiasi altro elemento di personalità. La stessa espressione “utero in affitto” la dice lunga: è bruttissima per quel suo ridurre a “cosa monetizzabile” la parte del corpo di una persona.

Detto questo, so che in molti Paesi questa pratica è legale. Ma io ho riferito quello che penso in proposito. Con ciò non voglio assolutamente dire che le gioie della paternità e della maternità dovrebbero essere precluse alle coppie omosessuali. E nemmeno che i legami di sangue tra genitori e figli diano necessariamente più garanzie sul piano della crescita armonica di questi ultimi. Anzi, penso che la genitorialità umana sia qualcosa di molto, molto più grande della pura procreazione biologica. Che sia sempre e soprattutto una “genitorialità dello spirito”, anche se i figli derivano dai propri gameti. Quindi penso che caso mai andrebbero incentivate le pratiche delle adozioni e degli affidi, a tutte le persone che risultassero idonee e affidabili, qualunque sia la loro situazione familiare: coppie etero, coppie omo, single. E’ in questo che la legge appare insufficiente. Il governo Renzi ha demandato ad altro momento e a un esame più specifico eventuali riforme legislative su questo tema. Staremo a  vedere.

Per adesso, quello che mi sento di dire è che occorrerebbe una “genitorialità diffusa”, che coinvolga tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dallo stato civile, per favorire con ogni mezzo aiuti e interventi a favore di un’infanzia troppo spesso abbandonata, abusata, sfruttata, carente di mezzi di sopravvivenza, esclusa dall’istruzione e dalle cure mediche, vittima di guerre e di esili non voluti. In diversi modi e con diversi mezzi. Ciascuno secondo le proprie possibilità. I figli – dice Gibran – non sono figli nostri, sono figli della Vita. Ebbene, anche noi tutti, adulti, siamo a nostra volta genitori della Vita. Di ogni vita, vicina e lontana, soprattutto delle vite più fragili, più bisognose di attenzione e di cura. Questa sarebbe una vera rivoluzione. Che una società di persone adulte e responsabili non debba consentire mai ai figli della vita un deficit di formazione, di crescita, di sviluppo autenticamente umano. Operando in ogni modo e con ogni mezzo. Sia all’interno di una famiglia ristretta, comunque si sia costituita, sia all’interno di quella grandissima famiglia allargata che è la famiglia umana.

Articolo tratto da “cdb informa” Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri  – maggio 2016

La genitorialità diffusaultima modifica: 2016-06-16T21:04:53+02:00da piero-murineddu
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *