A mamma e papà nel settantesimo anniversario
del loro matrimonio (1944-2014)
di padre Alberto Maggi
Sono nato da due incoscienti.
Non c’erano le condizioni per sposarsi, invece loro l’hanno fatto.
Ancona si stava lentamente risollevando dalle ferite della guerra, la città era distrutta, il lavoro non c’era, in compenso abbondava la fame (mamma pesava appena quarantadue chili). Ma i miei, irresponsabili, decisero di sposarsi ugualmente, il 27 dicembre del 1944.
Non fu possibile celebrare il matrimonio nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano perché questa era lesionata dai bombardamenti, per cui il rito fu frettolosamente celebrato nella sacrestia. Mio padre era riuscito a cucirsi un vestito utilizzando le coperte dei polacchi (il battaglione inviato dalla Polonia di stanza in Ancona). Non riuscendo a trovare il filo per attaccare i bottoni usò uno spago che, con il lucido delle scarpe, tinse di nero. Le scarpe invece gliele prestò, per la cerimonia, un sergente inglese.
Più originale e geniale l’abito di mia madre. Gli inglesi, presso i quali papà non trovando lavoro da sarto lavorava come facchino, gli regalarono alcuni metri di tessuto di un paracadute inutilizzabile, e mio padre, con grande abilità, e soprattutto tanto tenero amore, realizzò l’abito da sposa per mia madre. Non ci sono foto del matrimonio, e forse è meglio, così la fantasia supplisce all’estrema povertà della coperta polacca e del paracadute inglese.
Il viaggio di nozze lo fecero su un sidecar guidato da un soldato inglese, dalla chiesa alla casa di mia madre, dove, con l’aiuto di parenti ed amici, i familiari erano riusciti a procurarsi alcune bottiglie di vermouth e dei pasticcini per fare festa. Per il brindisi augurale agli sposi, l’inesistente spumante fu sostituito da un caldo punch.
No, le condizioni per sposarsi non c’erano. Mio padre lavorava saltuariamente come facchino presso gli inglesi e mia madre, che pur aveva avuto un buon posto come impiegata alle Poste, l’aveva abbandonato per seguire la famiglia sfollata in un paesino vicino Ancona.
Erano senza lavoro, senza soldi, senza casa, ma con tanto amore e tanta fiducia nella vita.
E io li ringrazio per questa loro avventatezza. Afferma la Bibbia che “Chi bada al vento non semina mai, e chi osserva le nuvole non miete” (Qo 11,4). E i miei incuranti dei venti e delle nuvole che si addensavano sulla loro esistenza, si sono sposati.