Qual’è l’utilità della cultura a Sorso, dove prevale spesso la vana “boria”?

 

BIBLIOTECA

 

di Piero Murineddu

Mie considerazioni provocate dopo la lettura del testo di Leo Spanu riportato in fondo alla pagina.

Nel suo argomentare, Leo ha l’ardire di sostenere che la ricchezza culturale della famiglia Tanda  ” è stata dimenticata dai nostri compaesani impegnati in attività più serie come il pettegolezzo politico, “lu ciarameddhu”  su FB,  le discussioni sul peso dell’aria fritta, l’elogio e l’esaltazione del proprio ego e della propria ignoranza”.  Affermazioni severissime, evidentemente. Provo a ragionarci su.

In effetti, dal momento che è innegabile che la comunità di Sorso, amministratori e amministrati, non riconosce l’eccellenze artistiche, letterarie e scientifiche di molti che qui vivono e sono nati (anche perchè spesso non conosciute in modo appropriato, sia ben chiaro!), verrebbe da dedurre che a Sorso, considerata anche la durezza dei tempi, la preoccupazione principale sia “riempire la panza” e tutte le altre cose sono secondarie. Come si dice in gergo, isgiabidduri. La mia povera mamma rimaneva stupita dei giornali e dei libri che compravo da giovane. “Ma cosa ni fai di tuttu chisthu pabiru!?”, mi diceva, pensando seriamente che i soldi spesi fossero sprecati.  La necessità di lavorare duramente nei campi da piccola e di darsi da fare per garantire la sopravvivenza alla numerosa famiglia era la cosa più importante e più urgente, per cui l’analfabetismo era un dato di fatto per i più. Donna di popolo mia madre, e dunque spesso diffidente verso le cose poco comprensibili. Temo che il giudizio di mia madre fosse e continua ad essere molto diffuso: ma a cosa “serve” questa benedetta cultura? L’importante è avere un sicuro e buon posto di lavoro, ben retribuito specialmente.

E pensare che qualcuno si azzarda ancora ad affermare che “la cultura è la condizione necessaria per autodeterminare la propria vita e per liberarla“. Altre altitudini e altra mentalità.

Continuo nel mio pseudo ragionamento, per qualcuno forse fastidioso e inopportuno.

A cavallo delle due guerre e per diversi anni nel periodo post bellico, la possibilità di studiare era riservata a pochi, e generalmente erano i figli delle famiglie benestanti che arrivavano a farsi una “posizione”. E’ azzardato affermare che nei confronti di queste famiglie privilegiate, nella “gente del popolo” si sia creata una sorta di risentimento, forse invidia o chiamatelacomevolete? E’ plausibile pensare che nella vita concreta e quotidiana ci sia stata una spaccatura  “noi-loro”? Ripeto, l’argomento è difficile e forse anche antipatico. Probabilmente il benessere di certe famiglie era comunemente giudicato conseguente a situazioni d’ingiustizia e di prevaricazione, per cui nei confronti di chi stava bene e non era costretto a stringere la cinghia, nel tempo è stata covata della rabbia, raramente espressa, per paura forse di inimicarsele queste famiglie “in vista”. Quest’ultime, nel tempo avevano  stretto una sorta di alleanza (di comodo)  tra loro, frequentandosi e creando un mondo  “separato”. E’ abbastanza corrispondente al vero che chi andava avanti erano i loro figli, mentre gli altri, la maggior parte, interrompendo gli studi per necessità, perchè non incoraggiati dalla famiglia e forse riuscendo ad ottenere a malapena la licenza elementare o media, hanno dovuto accontentarsi dei lavori di manovalanza, scarsamente retribuiti.

Provo ad essere provocatorio. Spesso, non sempre ma spe-sso, le  persone che si sono distinte nell’arte, nelle lettere, nella scienza, o anche che hanno raggiunto alti gradi militari o ruoli di rilievo nella società, hanno per lo più avuto l’appoggio di famiglie con improbabili problemi economici.  Senza negare l’estro, l’impegno, le rinunce e le capacità personali,  nell’immaginario comune ho paura che persista l’idea che siano stati dei privilegiati e sicuramente agevolati per la loro condizione economica e sociale. Non tutti, ma buona parte.

Pur tuttavia, ammesso (e probabilmente da molti non concesso) che il mio ragionamento sia in qualche modo fondato, questo “risentimento”, questa “ferita” difficile da rimarginare non può giustificare questo non dar importanza ai nostri concittadini che si sono distinti. Con questa eventuale  “ferita”  bisognerebbe fare i conti.

Mi chiedo:  la possibile  “invidia”  che si scatena nei confronti di chiunque “emerga”  in un qualsiasi settore, può avere questa radice?

Torniamo alla decisione del prof  Tanda:

ha fatto bene a non lasciare i suoi beni librari a Sossu?

La sua è stata una scelta per “vendicarsi” del mancato riconoscimento da parte dei suoi compaesani?

Gli “invidiosoni” sussinchi non si meritano niente?

Sono giustificati tutti i “cervelli”  che cercano fuori da Sorso la loro realizzazione come, per fare un solo esempio, aveva deciso il pittore Giuliano Roggio che nel 1976 si era trasferito con la propria famiglia in Piemonte, “deluso dall’incomprensione e dalla speculazione che ruotava intorno ai pittori” (tornò a Sorso sei anni dopo), ma come continuano a fare i tanti che giudicano ristagnante e frustrante la vita a Sossu?

Se ci pensiamo, il non dare evidenza e riconoscimento alle nostre “eccellenze” umane, è culturalmente ed economicamente autolesionistico, e questa è responsabilità si degli amministratori che si susseguono, ma anche dei cittadini, che singolarmente o associati, non si attivano in questo senso.

A proposito,

finirà finalmente il tempo di delegare tutto alla politica, di pensare che sia la politica preposta ad affrontare ogni minimo aspetto della vita? E se il politico è un imbecillotto incompetente come spesso capita, che facciamo, continuiamo inerti ad aspettare e a sperare nel messianico uomo della provvidenza? Dobbiamo ancora illuderci che il politico sia ancora capace di agire senza obiettivi che non siano quelli di perpetuare il suo potere?

Ma nel caso che Nicola Tanda avesse donato il suo patrimonio librario a Sossu, è verosimile pensare al rischio che sarebbe andato a finire nelle “oscure e umide cantine”,  disperso o addirittura trafugato nelle private casseforti o salotti casalinghi?

Ripeto:  è possibile che noi sussinchi siamo invidiosi dei nostri “profeti”, frustrati come siamo e presi spesso dalla vana “boria”, e non sopportiamo che qualcuno si metta in evidenza per dei motivi positivi, fatta eccezione per qualcuno che si distingue al massimo nello sport? Se fosse vero, come dice Leo,  che “i sorsesi s’impegnano molto a cancellare ogni traccia della loro memoria”, l’ultra 80enne Professore finirà con lo stancarsi facendo inutilmente il numero del Comune di Sorso per avere udienza presso i gestori pubblici della….Cultura.

Ma poi, a differenza di Ozieri dove  ha trovato un’Associazione come interlocutrice affidabile,chi c’è a Sossu  intenzionato seriamente (e coraggiosamente) a recuperare  la Memoria Collettiva, non per forza mosso da obiettivi turistici e di cassa?

Chi, individualmente ed in associazione, è disposto a prendersi la responsabilità di elevarci “culturalmente”?

A Sorso abbiamo una Biblioteca pubblica, “tempio laico” della cultura, ed è in questo luogo che si dovrebbero trovare i segni concreti dei personaggi che hanno dato e continuano a darci lustro, e se ancora non ci sono, dovrebbe essere impegno comune farveli ritrovare.   Ma mi chiedo, i sorsesi sono interessati alla loro conoscenza? Li ritengono realmente un valore insostituibile?

Leo Spanu capisce e condivide la “sofferta” decisione di Tanda, ma pensandoci bene, non dovrebbe essere l’eventuale “vicinanza politica,  l’intelligenza artistica e letteraria e quindi il livello culturale di chi momentaneamente governa a motivare eventuali donazioni di Opere artistiche e letterarie, ma la consapevolezza di beneficare le attuali e future generazioni (con la speranza che siano migliori e più “intelligenti” delle passate), con la severa clausola che dei “doni”  bisogna avere massima cura.

Per finire, chi è disposto a dimostrare nei fatti   che dire   “i sorsesi sono impegnati  nel pettegolezzo politico, “a ciarameddhà”  su FB, in discussioni sul peso dell’aria fritta, a elogiare ed esaltare il proprio ego e la propria ignoranza”  è falso?

 

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La foto è tratta da ” Ancora ammenti” di Nicola Tanda

Nessuno è profeta..a Sossu

di Leo Spanu

Leggo sulla Nuova del 23/7/2014 la notizia che il professor Nicola Tanda “regala” ad Ozieri il suo ricco fondo librario. La mia prima reazione istintiva è di stupore  poi mi rendo conto, con amarezza, che il professor Tanda ha fatto la scelta giusta. Nicola Tanda è l’ultimo di quattro fratelli che, con le loro attività, hanno onorato la città di Sorso. Pochi cenni indicativi per i più distratti che, a Sorso, sono troppi.

Nicola Tanda: docente universitario, filologo, critico letterario, fondatore di vari premi letterari (Ozieri, Romangia), studioso della lingua sarda.

Ausonio e Francesco Tanda: due fra i maggiori pittori sardi del secondo dopoguerra.

Anton Paolo Tanda: Sovrintendente dell’Archivio Storico della Camera dei Deputati, studioso di diritto, scrittore.

In realtà parlare di questi quattro illustri sorsesi richiederebbe molto più spazio e tempo ma queste poche note danno un’idea significativa della ricchezza culturale di questa famiglia che, purtroppo, è stata “dimenticata” dai nostri compaesani impegnati in attività più serie come il pettegolezzo politico, “lu ciarameddu”  su FB,  le discussioni sul peso dell’aria fritta, l’elogio e l’esaltazione del proprio ego e della propria ignoranza. Ma tornando a noi, la scelta operata dal professor Tanda di privilegiare Ozieri ignorando il paese natio ha una sua logica.

Facciamo un passo indietro e vediamo cos’è successo alle donazioni fatte al comune di Sorso.

Il fondo Madau-Diez è dato per disperso e del fondo Cottoni non si hanno notizie.

Resta il fondo Bellieni che è in corso di catalogazione da parte del personale della biblioteca.

La donazione dei quadri di Rosa Sechi Colacino (ne abbiamo parlato in un precedente numero del nostro giornale) ha un’esistenza talmente difficile che gli eredi stanno pensando seriamente di farsi restituire le opere della pittrice. Sistemati provvisoriamente al Palazzo Baronale, vengono appesi e staccati in base alle esigenze di altre manifestazioni. Ed è già un fatto positivo considerato che per anni sono stati buttati in un solaio dello stesso palazzo. Non una presentazione ufficiale, non una mostra per far conoscere ai sorsesi una pittrice, loro compaesana, di talento.

La politica culturale a Sorso non esiste. Se escludiamo la prima giunta Bonfigli (assessore Antonio Salis) e la giunta Razzu (assessore Alba Sassu) non c’è mai stato un tentativo serio di programmare un’attività importante per la crescita sociale (ed anche economica) di Sorso.

Purtroppo, e qui sta l’anomalia, c’è un’indifferenza colpevole che non ha spiegazione alcuna considerata la ricchezza culturale di questa comunità. Nel corso degli anni si è visto solo qualche episodio sporadico fine a se stesso e senza seguito quando non si è dato spazio a delle vere e proprie castronerie. Resta il fatto che noi sorsesi ci impegniamo molto per cancellare ogni traccia della nostra memoria. I pochi che resistono e si oppongono a questa logica assurda sono delle mosche bianche da omaggiare per qualche secondo e subito dopo relegare nel dimenticatoio.

“Nessuno è profeta in patria” è un classico ovunque ma a Sorso ha raggiunto la sua espressione più alta. Eppure ci si potrebbe fare un volume di Pagine Bianche con l’elenco delle personalità sorsesi, compresi quelli che, pur essendo nati altrove, a questa comunità hanno dedicato impegno e passione.

Una specie di piccola Atene: Giovanni Baraca, Andreuccio Bonfigli, Antonino Borio, Giuseppe Borio, Gerolamo Cappai, Antonio Catta, don Giuseppe Chelo, Salvatore Cottoni, Francesco Dedola, Salvatore Farina, Lorenzo Giordo, Giuliano Leonardi, Pietro Antonio Manca, Telesforo Manca, Giannetto Masala, Pasquale Marginesu, Pietro Marogna,  don Giuseppe Piras, Luigi Polano, Ignazio Secchi, Rosa Sechi Colacino (Secol),  Francesco Sisini, Giorgio Sisini, Anton Paolo Tanda, Ausonio Tanda, Francesco Tanda,  Antonio Tedde, per citare solo alcune personalità  scomparse e di sicuro ne sto dimenticando qualcuna.

Poi ci sono gli artisti, gli studiosi, gli scrittori viventi. Sono tanti ma volutamente ignorati dai nostri concittadini che  preferiscono l’erba del vicino, notoriamente sempre più verde.

Il professor Tanda da qualche anno  cerca udienza presso le varie amministrazioni comunali con una serie di proposte interessanti. Ne cito una sola: il recupero della sua casa in via Umberto per la costituzione di una pinacoteca che raccolga le opere di tutti i pittori sorsesi. Servono mezzi finanziari, non v’è dubbio, ma serve soprattutto la voglia di operare in questo settore così affascinante e ricco di prospettive anche economiche. Perché malgrado l’opinione dell’ex ministro Tremonti la cultura crea lavoro e ricchezza. Invece tante belle parole, tanti complimenti e tanti bla-bla  “sull’importanza della cultura”.

E allora perché mi sorprendo se il sorsese Nicola Tanda si rivolge a Ozieri, dove è cittadino onorario, per non disperdere il suo e il nostro patrimonio?

 

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Qual’è l’utilità della cultura a Sorso, dove prevale spesso la vana “boria”?ultima modifica: 2014-09-24T23:06:49+02:00da piero-murineddu
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Commenti (2)

  1. piero-murineddu (Autore Post)

    Se qualcuno è interessato, mandi il suo commento a
    piero.murineddu@libero.it

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  2. piero-murineddu (Autore Post)

    Riporto delle considerazioni scritte da una persona amica. Avendole ricevute nella posta privata, ometto di indicarne il nome, salvo suo parere contrario. Ho deciso di pubblicarle ritenendole utili per un possibile confronto. A voi.

    “Il termine cultura deriva dal verbo latino colere, “coltivare”. L’utilizzo di tale termine è stato poi esteso a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, da cui il termine “culto” e a indicare un insieme di conoscenze. Il concetto moderno si può intendere come quell’insieme di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione.” (wuikipedia)
    Ho voluto copiare di sana pianta il significato del termine per poter affermare che Sorso e i sorsesi non hanno niente a che fare con la cultura. Ci sono dei sorsesi “colti” e pertanto non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma se parliamo in termini percentuali la maggioranza intende la cultura in diverso modo. Sono tanti quelli convinti che un diploma di scuola superiore o di laurea renda le persone colte e non hanno consapevolezza del fatto che hanno solo una conoscenza nozionistica che gli permette di poter leggere un estratto conto o di entrare nel mondo del lavoro. “Cultura” è conoscenza e apertura di orizzonti a 360°. Per la maggioranza dei sorsesi l’orizzonte è solo Marina di Sorso. Per DNA il sardo ha già una reticenza ad accettare altre culture (la storia sarda scritta ne è testimone, vedi “Storia e miti del banditismo sardo” di Manlio Brigaglia che descrive benissimo la personalità dei sardi) e ad essere diffidente anche del proprio vicino se questo dovesse fare un qualcosa di nuovo ed eclatante, e il sorsese ne è un esempio,nonostante il territorio costiero che avrebbe dovuto incidere in modo rilevante sull’apertura mentale. Il sorsese non accetta il nuovo (tranne che non si tratti di vizi e lusso), non va alla sostanza delle cose, cura solo l’immagine, e appena ne ha la possibilità combatte anche il proprio compaesano. I termini “Cultura” e “Sorsesi” non possono stare insieme. “Vana boria” hai scritto, si è proprio così “Acchì semmu li più foshti” questo è il moto.”

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