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Padre Alberto e la morte come beatitudine

 

di Piero Murineddu

Finalmente son riuscito a vedere il video della presentazione da parte di Alberto Maggi,presso la Parrocchia “Cristo Risorto” a Porto Torres, dell’ultimo suo libro.Purtroppo l’audio non è dei migliori, e questo mi dispiace, più che altro per la fatica fatta dal “cameraman” ufficiale dell’evento.

Bella e attesa mattinata di quel  sabato dello scorso 9 settembre. Nei giorni precedenti avevo vagamente sentito l’annuncio, ma per maggior sicurezza avevo contattato lo stesso Alberto: ” E certo che sarò a Porto Torres, dove non distante vive uno dei miei nipoti. Ci vedremo finalmente di persona e ci abbracceremo”

Bella anche l’atmosfera che si era creata, in quella grande sala voluta dagli abitanti del quartiere, animati allora. spiritualmente ma non solo, da un giovane don Tonino Sanna.

Si vedeva che erano persone assetate di parole “forti” che non fossero le usuali paroline, irritanti e oltremodo “spiritualizzate”, del “vogliamoci bene” che spesso escono dalla bocca “domenicale” di troppi preti.

Persone abituate ad ascoltare il pensiero estremamente umano e cristiano principalmente di don Tonino, ma anche, all’occorrenza, dello stesso Maggi, di padre David Maria Turoldo, di padre Ortensio da Spinetoli e altri ancora. Persone che hanno preso la loro scelta di vita “religiosa” non una comoda passeggiata, sicuramente. E neanche che si sono occupati di essere semplici trasmettitori dell’ortodossia cattolica, a volte evanescente alle orecchie dell’uomo di oggi e dogmatica (” così è, e guai chi osa mettere in discussione quanto “ex cathedra” sancito….”. In estrema sintesi, rischiosamente distante dalla Persona e dalla vita concreta di Gesù Cristo.

Padre Alberto ha presentato il suo libro da tutte le parti, e non certamente per sua richiesta, quanto perchè a lui richiesto di farlo, segno che in giro si ha bisogno di ascoltare messaggi e specialmente esperienze sostanziose.

Ho deciso di riportare la riscrittura delle sue parole di presentazione fatta in una parrocchia di Chieti.

Riporto anche una breve intervista dello stesso Maggi riguardo al suo libro.

 

 

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Breve recensione tratta da libreriauniversitaria.it:

Dopo la personale esperienza umana della malattia raccontata con contagiosa allegria in “Chi non muore si rivede”, Alberto Maggi affronta, con il suo stile sempre gioioso, il difficile argomento della morte, uno dei grandi tabù della nostra società. Alberto Maggi offre parole ricche di serenità e speranza, lontanissime da quell’inesauribile repertorio di frasi fatte che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, anche quando vengono da uomini di fede. Leggendo queste pagine riusciremo invece a comprendere e accogliere l’aspetto naturale della morte, per renderla davvero una sorella come poeticamente suggeriva san Francesco, una compagna lungo l’intero viaggio nella nostra esistenza. E grazie a questa nuova consapevolezza, potremo finalmente allontanare ogni tristezza e tornare a vibrare in un crescente, pieno accordo con quella grande sinfonia che è la vita.

 

Auditorium della Parrocchia Sant ‘Anna (Chieti)

Nota

La trasposizione è alla lettera, gli errori di composizione sono dovuti alla differenza fra la lingua scritta e la lingua parlata e la punteggiatura è posizionata a orecchio.

 

padre Alberto

Buonasera a tutti, grazie a don Domenico, grazie a voi. Si viene sempre più che volentieri qui per questi incontri, anche se quest ‘anno è soltanto una serata. Una serata che spero sia ricca di contenuti perché parliamo di qualcosa di cui non vogliamo mai parlare: non si parla volentieri della morte. Vedete, per quelli della mia generazione, negli anni 50 il tabù era il sesso, neanche si pronunciava quella parola. Oggi il tabù è la morte, non se ne parla. Eppure è una realtà che, volenti o nolenti, più nolenti che volenti, ci troviamo nella vita a dover affrontare, prima con la morte dei nostri cari, delle persone che conosciamo, e anche se speriamo che sia il più lontano possibile nel nostro orizzonte, l inevitabile nostra morte. Ed è un avvenimento drammatico, quando ci muore una persona cara, siamo talmente storditi, sconvolti, che viviamo come in trance, non c è neanche quasi più la voglia di continuare a vivere. Le risposte che si danno tradizionalmente, nel momento della morte dei nostri cari, non è che ci convincano più di tanto.

Ci poniamo tanti interrogativi: perché? Poi ci chiediamo: dov’ è che adesso sarà questa persona e com’ è? La risposta tradizionale che è in cielo e contempla il Signore o che riposa per l’ eternità non è che ci convinca, e comunque non è una prospettiva molto allettante. A peggiorare le cose sono quelli che vogliono a tutti i costi confortare. Sono quelli, ne ho visti ed è capitato anche me, che, nel momento del dolore in cui puoi soltanto piangere, e nient altro sono quelli che con una pacca sulle spalle ti dicono Dai, non piangere! Ma tu in quel momento vuoi piangere! Perché col pianto esprimi tutto il tuo dolore e ti puoi liberare. Sono quelli che cercano di confortarti e ti danno una pacca sulle spalle, sono quelli che nel Libro di Giobbe vengono chiamati i consolatori molesti. Dice Giobbe anch’ io sarei capace di dire le stesse cose se fossi al vostro posto. Ma, ancora più di questi confortatori molesti, che cercano con le parole di andare incontro al momento di dolore, quando una persona invece non vuole parole perché in quel momento non ci sono parole adatte, la persona vuole soltanto che nel silenzio e nel dolore, senta una vicinanza affettiva e affettuosa delle persone. Ma, quando ci capita di affrontare il lutto di una persona cara, il momento più pericoloso è inevitabile, perché sono mescolate tra di noi, è l incontro con le persone pie, le persone devote, quelle persone che ne sanno una più del Padreterno, che hanno tutte le risposte già preconfezionate. Allora ci diranno è il Signore che l ha chiamato, è il Signore che l’ ha  preso, oppure era già matura per il Paradiso, quando è giovane o un bambino, un ragazzo, i fiori più belli li vuole il Signore oppure è un angioletto in Paradiso. Un altra che forse viene detta perché siamo tutti un po cattivelli: i più buoni il Signore li vuole con sé.

Allora, visto che lui i più buoni li prende con sé, una sana dose di cattiveria non gusta per sfuggire alle mire del Padreterno! E via così, tutto quell incredibile armamentario dello stupidario religioso, che non fa altro che far covare un rancore verso questo Signore che prende, che pota, che toglie. Allora questa sera, come già diceva il nostro don Domenico, tentiamo di affrontare questo tema di cui non si parla mai volentieri e che però prima o poi fa parte della nostra esistenza, secondo quelli che sono i dati biblici. Prima dobbiamo fare una premessa, perché c è stato un cambiamento radicale del concetto della morte che, nella sociologia, viene datato Cos è successo nel 1930? Prima di quella data la gran parte delle persone moriva in casa; dopo gli anni 30 il progresso negli ospedali, nelle attività mediche, ha fatto sì che l ospedale, da luogo dove si andava a curarsi, si trasformasse in luogo dove si andava a morire. Quindi negli anni 30 del secolo scorso c è stato questo grandissimo cambiamento. Un cambiamento che ha fatto sì che la morte più desiderata oggi sia quella che in passato era la più temuta. Siccome non si ha più questa esperienza della morte, e le persone muoiono da sole in un ospedale, non con i propri cari, è cambiata anche l idea di morte desiderabile. Qual è la morte più ambita, più desiderabile? Lo sappiamo, quando la persona muore nel sonno, fortunato! E’ morto e neanche se n’ è accorto.

Ebbene, in passato, quella che oggi è la morte più desiderata, era la morte più temuta. C era una giaculatoria, un preghiera che diceva dalla morte improvvisa liberaci Signore! Ci si preparava alla morte. C’ erano dei libri intitolati l arte del morire o simili. La morte era considerata un avvenimento importante della propria esistenza, il momento più vivo della propria esistenza, e se guardiamo le foto, ma soprattutto le stampe dell antichità, vediamo che attorno al moribondo c era tutta la famiglia. Il moribondo non veniva espropriato della sua fine, ma veniva accompagnato con tutta la famiglia, compresi quei bambini che oggi si tengono lontani dal cadavere perché altrimenti si impressionano. Una volta erano meno impressionati, la morte faceva parte del panorama della propria esistenza, per cui il morto si preparava al momento della sua fine, del suo trapasso, e tutta la famiglia gli stava attorno con l affetto, bambini compresi, per accogliere quelle che erano chiamate, ricordate, le ultime volontà: le parole dette dal morente che venivano conservate come un tesoro prezioso.

Bene, dal 1930 tutto questo è cambiato, non si muore più in casa, normalmente si muore in ospedale; perché si è andata via via radicando l idea di rifiutare la morte come termine della propria esistenza. Oggi, anche una persona anzianissima, anche un centenario, quando gli prende qualcosa, viene portato in ospedale. Anziché tenerlo in casa e accompagnarlo all inevitabile momento del trapasso, naturalmente con cure e antidolorifici, tutto quello che vogliamo, ma soprattutto con l affetto, anche un centenario viene spedito gli ultimi giorni in ospedale, privandolo di quell affetto, di quel conforto che è necessario nel momento del trapasso. Oggi si muore per lo più da soli, intubati e, magari, per guadagnare una settimana di vita. Questo perché si rifiuta il concetto di mortalità, cioè che siamo mortali. Anche quando muore una persona anziana, si cerca sempre un motivo alla sua morte. E stato un raffreddore, è stata l incapacità del medico, non è stato operato Non si accetta qualcosa che è ovvia si muore perché siamo mortali. E la cosa più ovvia, questo viene rifiutato. Allora cosa porta questo? Porta al fatto che la persona venga spossessata della sua morte. Non parlando della morte, evitando questo argomento, anche la persona quando è ammalata, non viene più vista come un individuo da accompagnare con affetto e con amore a questo momento importante della sua esistenza, ma come una persona minorenne, o peggio, minorata, che deve restare all oscuro di quello che gli sta per accadere.

Sapeste quante volte e questa è stata l’ esperienza di don Domenico e di altri preti, si viene chiamati al capezzale di una persona che è agli ultimi giorni, ma prima di entrare i familiari chiariscono mi raccomando non gli faccia capire niente, perché sennò si spaventa. Lui sa che ha una gastrite, non è un tumore. Poi entri dalla persona, di dice di chiudere la porta. Una volta chiusa la porta di dice Padre, io ormai sono alla fine, non faccia capire niente ai miei familiari che si spaventano. E una commedia, tutti sanno che ormai il traguardo è la morte, ma nessuno vuole farlo sapere all altro per paura di cosa? Per paura che si spaventi. E quindi l individuo viene privato della morte vissuta con l affetto e la preparazione e l accompagno dei propri cari e, soprattutto, viene privato dell ultimo dono che uno può fare.

Noi – chi ha capito il significato della vita viviamo per gli altri. L ultimo regalo che possiamo dare agli altri è il momento della nostra morte. Perché? Nessuno può raccontare la propria morte; noi la morte la sappiamo soltanto da quella degli altri, da come muoiono gli altri, ma se non vediamo più come muoiono gli altri Sapete che oggi molte persone anche quando hanno un moribondo, lo trasferiscono in ospedale anche perché ormai sono incapaci di gestire quel momento. Oddio è morto, e cosa si fa adesso? Una volta c era tutta una tradizione, si sapeva cosa fare quando c era il morto. Oggi non si sa più. Allora si preferisce affidarlo a mani professioniste, dei becchini, ma che naturalmente non hanno quell affetto della persona cara. Quindi si priva la persona di un momento importante. La morte sarà questa la linea che tratteremo in questo incontro, sulla base dei Vangeli è il momento più importante della nostra esistenza. Il momento della morte è il coronamento della nostra vita e noi ne facciamo un dono ai nostri cari. Ecco, guarda, questo è l ultimo regalo che ti posso fare, il mio momento del mio morire. Ma per comprendere ciò di cui stiamo parlando, bisogna analizzare il linguaggio. Noi in maniera errata contrapponiamo la vita alla morte, ma questo non è esatto. Non vanno contrapposte la vita e la morte, ma nascita e morte, entrambe elementi della stessa vita.

Cosa significa questo? Facciamo un esempio, così lo possiamo comprendere tutti quanti. Il bambino, nei mesi in cui sta dentro la pancia della mamma, sta bene, è il suo mondo, non ne conosce altri. Ha alimento, ha affetto, ha tutto quello che gli serve per vivere. Eppure arriva un momento in cui il bambino se vuole continuare ad esistere, deve abbandonare quel mondo in cui era cresciuto, e deve aprirsi verso l ignoto. E un momento sempre traumatico, indubbiamente, eppure soltanto quando lascia il suo mondo, finalmente scopre quell amore dei genitori che aveva appena intuito, finalmente vede quella luce che non conosceva. Soltanto nel moneto della nascita, si accorge della bellezza di quello che l attendeva. Probabilmente se lui avesse dovuto scegliere non avrebbe voluto venire fuori, perché quello era il mondo. Ebbene, la morte è la nuova e definitiva nascita. Quindi non contrapporre la vita alla morte, ma nascita e morte sono entrambe elementi della stessa vita. Non c è un momento della propria esistenza in cui c è una fine di tutto; non è una fine, ma è una nascita. Gli antichi, infatti, chiamavano il giorno della morte il giorno natalizio, la nuova e definitiva nascita.

Sempre per rimanere con questo esempio, proviamo ad immaginare che fossero stati due gemelli. Naturalmente nasce prima uno, l altro che è rimasto dentro cosa pensa? Che l altro non c è più, che è morto. Invece è l altro che è vivo e tu, se non ti sbrighi a venir fuori, vai incontro alla morte. Questo è quello che ci accade. Quindi il momento della morte è il momento della nuova e definitiva nascita delle persone. Perché la morte non interrompe il ciclo vitale, quindi, ripeto, non vita contrapposta alla morte, ma nascita e morte entrambe elementi importanti di un unica esistenza. La morte non interrompe il ciclo vitale, ma gli permette di fiorire in una maniera completamente nuova. Quindi quella che si chiama risurrezione non è una seconda vita, neanche una nuova vita, ma è la piena realizzazione dell unica vita. Noi abbiamo una vita, arriva un certo mo mento della nostra esistenza che, se vogliamo continuare a vivere, anche noi dobbiamo attraversare questo passaggio. Allora, come il bambino soltanto nascendo scopre l amore dei genitori, noi, soltanto attraverso il momento della morte, scopriremo quella grandezza dell amore di Dio di cui adesso nel breve arco della nostra esistenza, abbiamo potuto capire soltanto frammenti. Quindi è importante allora questo linguaggio, non contrapponiamo la vita alla morte, ma la nascita alla morte.

L’ altro termine da comprendere è quello di vita. Nei Vangeli i Vangeli sapete sono scritti in greco si usano due termini importanti da conoscere per indicare la vita. Sono due parole entrate nell uso comune, quindi non c è nessun problema. Uno è bios, da cui biologia; è la vita biologica, questa ha un inizio, ha una sua crescita, ha un suo massimo sviluppo e poi, inevitabilmente, incomincia la parabola del declino, fino al suo disfacimento. Quindi è la vita della ciccia. Ma in questa vita ce n è un altra, che in greco è chiamata zoe, che è la vita divina. E questa ha un inizio, comincia con la nascita, ha un suo sviluppo, uno crescita, ma, proprio mentre la parte biologica comincia a declinare, questa continua la sua salita senza fine. A un certo momento nella vita dell individuo c è come un divorzio: fisicamente andiamo incontro ci dispiace, naturalmente. C è S. Paolo, nella lettera ai Corinti che usa un espressione brutale riguardo al disfacimento, dice S. Paolo Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si ringiovanisce di giorno in giorno.

Allora arriva un momento della nostra esistenza che la parte della ciccia va incontro al disfacimento e, purtroppo ce ne accorgiamo, ma quella interiore ringiovanisce sempre di più. Quindi è importante tenere presente questi due aspetti. Queste due vite hanno una caratteristica: la vita biologica, per crescere, ha bisogno di essere nutrita. Noi siamo ciccia, per crescere abbiamo bisogno di mangiare. L altra, per crescere, ha bisogno di nutrire, allora ci vuole equilibrio tra questi due aspetti. Quando si sopravvaluta troppo l uno a scapito dell altro incomincia uno sbilanciamento nella persona; quindi noi abbiamo una vita biologica che ha bisogno di essere nutrita per crescere, ma abbiamo una vita interiore, che è quella che continua per sempre, che ha bisogno di nutrire. Potremmo usare un espressione: la vita biologica ci fa delle persone viventi, la vita divina ci fa delle persone vitali. Allora, cosa succede? E questa è la garanzia che ci dà Gesù. Arriva un giorno che tutte le componenti della parte biologica, tutte le cellule che compongono la nostra esistenza, cessano tutte di vivere. Sapete, ci dicono i biologi, che ogni giorno, noi non ce ne accorgiamo, ci muoiono milioni di cellule. E non ce ne accorgiamo. Ce ne accorgiamo a distanza di tempo, perché vediamo questa ruga che non c era, la pelle qui adesso casca una volta non c’ era. Sono cellule che sono morte e non si sono più riformate. Ebbene, arriverà un giorno che tutte queste cellule che compongono la parte biologica cesseranno la loro esistenza, ma se c è quell altra vita, noi non ce ne accorgeremo. Questa è la buona notizia portata da Gesù. Gesù non libera dalla paura della morte, Gesù libera dalla morte stessa.

Per avere questa qualità di vita bisogna aver orientato la propria vita verso il bene degli altri. C è il rischio è un rischio, non sappiamo se è verificato o meno che una persona che, anziché nutrire gli altri, ha pensato soltanto a nutrire se stessa, cioè una persona che sia stata sorda ai bisogni degli altri, una persona che sia stata cieca di fronte alle necessità degli altri, una persona che ha pensato unicamente a se stessa, ai propri bisogni, alle proprie necessità, ha curato soltanto la parte biologica. Ma non ha curato quell altra, la zoe, e la zoe, se non viene alimentata, si atrofizza fino a sparire. Allora c è il rischio ed è un monito che c è nei Vangeli ma non sarà il nostro caso, se siamo qui, che chi ha vissuto soltanto per sé, quando arriva il momento della morte biologica, è la morte di tutto. Non c è niente.

Perché durante la vita non è stata alimentata. Nei Vangeli c è questo monito di Gesù, conosciamo la parabola di Matteo, quando Gesù si rivolge a quelli che non hanno mai riconosciuto il Signore, e dirà: Avevo fame, mi hai dato da mangiare? Sì. Ero straniero, mi hai ospitato? Gesù si preoccupa delle risposte ai bisogni elementari degli uomini, non c è bisogno che venga Dio dal cielo per dirci che ad una persona che muore di fame c è da dare da mangiare. Non c è bisogno che ci sia un testo sacro a dirci che ad una persona che è nuda, dobbiamo vestirla. E normale. Quelli che l avranno fatto, dice il Signore, Venite, benedetti dal Padre mio. Cosa significa? Quelli che anche non hanno conosciuto Dio, non hanno mai sentito parlare del Signore, però hanno avuto queste risposte d amore verso gli altri, hanno sviluppato la parte divina in loro, per cui, quando arriva il momento della morte biologica, sono persone vive. Ma è il monito agli altri. Avevo fame, m hai dato da mangiare? No. Avevo sete mi hai dato da bere? No. Persone che hanno chiuso gli occhi ai bisogni e alle necessità degli altri; ebbene, per questi la formula di Gesù è molto severa, dice Andate via, maledetti! Notate però la differenza: mentre a quelli che hanno dato queste risposte d amore Gesù dice Venite benedetti dal Padre mio ; Dio è amore e benedice, quando dice Andate via, maledetti, non dice da Dio. Dio non maledice, Dio è amore. Perché sono maledetti? Chi li ha maledetti? Si sono auto-maledetti. La parola maledetto, la prima volta che appare nella Bibbia è per Caino, assassino di suo fratello.

Quindi chi non ha volontariamente risposto ai bisogni vitali di un altro, è come un assassino. E maledetto, ma non da Dio, perché Dio non maledice, si è maledetto da solo. Aveva una possibilità di vita, non ce l ho avuta. Dio è amore e lui fa una proposta di vita, chi la accoglie vive per sempre, chi la rifiuta, quando arriva il momento della morte biologica, è la morte per sempre. E la parte negativa che c interessa, ma è quella positiva. L esperienza della comunità cristiana è stata per noi paradossale. I primi cristiani non credevano nella risurrezione dei morti, i primi cristiani non credevano che Gesù risuscitava i morti, ma credevano che il Signore comunicava ai vivi una vita di una qualità tale che faceva loro superare la morte. Quindi non credevano a un Dio che risuscita i morti, ma credevano a un Dio che ai vivi comunica la sua stessa vita, la sua stessa capacità vitale. Lo dirà Gesù nella polemica con i sadducei, che il suo Dio non è il Dio dei morti, quello che risuscita i morti, ma è il Dio dei vivi, quello che ai vivi comunica una vita capace di superare la morte. Convinti di questo, perché lo sperimentavano, i primi cristiani si ritenevano già risuscitati. Ci sono delle leggere di S. Paolo che contengono delle espressioni che sembrano folli, paradossali. Dice S. Paolo noi che siamo già risuscitati. Fammi capire, come sarebbe a dire? Voi che siete già risorti.

Ma non c’ è la vita, la morte e poi la risurrezione. No. Quanti accolgono Gesù e il suo messaggio, e con lui e come lui orientano la propria vita per il bene degli altri, hanno già adesso una vita di una qualità tale che è quella dei risorti. Per cui i primi cristiani non credevano che sarebbero risuscitati dopo la morte, ma credevano che la risurrezione avvenisse in questa esistenza. O si risuscita adesso o non si risuscita più. Allora questo ha cambiato il concetto di vita eterna. Nel mondo ebraico contemporaneo a Gesù, cosa si intendeva per vita eterna? C era la vita, a un certo momento c era la morte, si finiva tutti, buoni e cattivi, nella caverna del regno dei morti e poi l ultimo giorno, un ipotetico ultimo giorno, ci sarebbe stata la risurrezione dei giusti, solo dei giusti. Questo era quello che si credeva al tempo di Gesù sulla vita eterna. Quindi soltanto i giusti sarebbero risuscitati per vivere per sempre. Allora Gesù prende questa immagina della vita eterna, ma ne cambia il significato. Quando Gesù deve parlare di vita eterna non adopera mai verbi al futuro. Gesù non dice chi crede avrà la vita eterna, Gesù dice chi crede ha la vita eterna. Allora la novità che ci ha portato Gesù è che la vita eterna non è una vita che inizia dopo la morte, ma è un qualità di vita che è possibile sperimentare già qui nel presente. Gesù dice chi mangia il mio corpo, chi mangia questo pane ha già la vita eterna, non dice avrà. La vita eterna non è un premio futuro, per il buon comportamento tenuto nel presente, ma è una qualità di vita che si può sperimentare già nel presente. Come? Gesù l ha detto, chi mangia di me ha la vita eterna, chi mangia Gesù, il figlio di Dio, che si fa pane per noi e poi, a sua volta, si fa pane per gli altri, ha già adesso una vita di una qualità tale che si chiama eterna non per la durata, ma perché è indistruttibile, cioè non farà l esperienza della morte.

Quindi, come dicevo prima, Gesù non ci libera dalla paura della morte, ma Gesù ci libera dalla morte stessa; non si farà esperienza della morte. E più volte nel Vangelo viene affermato questo, Gesù addirittura dice se uno osserva la mia parola non morirà mai. Sembrano parole di un pazzo, come fa Gesù a dire che chi osserva la sua parola non morirà mai? Da che mondo è mondo tutti sono morti. E che Gesù non sta parlando della vita biologica, tutti quanti andiamo incontro alla sua fine, ma sta parlando della vera vita, quella che ci contraddistingue, quella interiore: non faremo esperienza della morte. C è un dialogo nel Vangelo di Giovanni molto significativo al riguardo. Lo conosciamo tutti l episodio di Lazzaro dicevo prima a don Domenico, quando l anno prossimo terrò questa presentazione del libro, lo esamineremo proprio per far comprendere tutto l episodio della risurrezione di Lazzaro. Comunque, la storia più o meno la conoscete. Le sorelle mandano ad avvisare Gesù che Lazzaro è ammalato, Gesù non si muove, si muove soltanto quando è morto già da quattro giorni, quindi già putrefatto. Gesù arriva e viene investito dal rimprovero di Marta Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. E Gesù dice a Marta Marta, tuo fratello risusciterà. E Marta rimane male perché Gesù non le dice risusciterò tuo fratello, ma le dice tuo fratello risorgerà. Allora Gesù si merita una brutta risposta da Marta Capirai, so che risusciterà nell’ ultimo giorno. Come dicevo all inizio, bisogna stare attenti ad usare quelle frasi fatte per confortare le persone perché rischiamo di gettarle nella profonda disperazione. Quando una persona è in lutto, quando le è morta una persona cara, se noi per cercare di confortarla, le diciamo guarda che risusciterà, attenzione, non solo non la confortiamo, ma la gettiamo nella più profonda disperazione. Perché se noi le diciamo guarda, sai che risusciterà? Quando domai? Tra un mese, tra un anno? Quand è che risuscita, dimmelo! Alla fine dei tempi Capirai, a quell epoca anch io sarò morto, stecchito e risuscitato. E adesso che mi manca la persona.

Sapere che la persona cara risuscita, non solo non mi da conforto, ma mi getta nella più profonda disperazione. Quindi, attenzione ad usare queste frasi fatte risusciterà. Mi manca adesso, che risusciti un domani, non mi interessa. E quindi anche Gesù si becca questa brutta risposta da Marta. So che risusciterà nell ultimo giorno. Ebbene, Gesù allora modifica il significato di risurrezione e di vita con queste parole importanti: Io sono la risurrezione e la vita. Io sono, è il nome di Dio. Quando Mosè ha fatto l esperienza nel roveto ardente di quella cosa strana e ha chiesto il nome, l essere divino gli ha risposto con Io sono, allora da quella volta Io sono è diventato il nome di Dio. Quindi Gesù rivendica la pienezza della condizione divina Io sono, io sono Dio e quindi non sarà, ma sono la risurrezione e la vita. La risurrezione non è confinata alla fine ipotetica dei tempi, la risurrezione è già presente perché Gesù non dice io sarò la risurrezione, ma io sono la risurrezione. Quindi quanti hanno accolto Gesù, quanti hanno assimilato Gesù hanno già la risurrezione in loro e la vita. E poi Gesù usa due affermazioni, una per la comunità che piange il morto, la comunità che veglia il cadavere, l altra per quelli che sono vivi. Gesù dice chi crede in me, anche se muore, vivrà. Se la persona, che voi adesso piangete come cadavere, ha creduto in me, anche se adesso la vedete morta, sappiate che continua a vivere.

Naturalmente come dicevamo, non la parte biologica, ma la parte interiore. Quindi la persona che adesso voi state piangendo come defunta, sappiate che continua a vivere. Ma poi si rivolge ai viventi e dice chi vive e crede in me non morirà mai. Gesù non ci libera dalla paura della morte, Gesù ci libera dalla morte stessa. E le sue parole sono tutte vere e veritiere. Chi vive, noi che siamo vivi, e crediamo in lui credere in Gesù o significa accettare il catechismo o le verità di fede, significa credere nel progetto di Dio per l umanità, e qual è il progetto di Dio per l umanità? Un Dio talmente innamorato degli uomini che non gli basta questa vita biologica che hanno, ma vuole regalare loro la sua stessa vita divina, la vita indistruttibile, questo è il progetto di Dio sull umanità e questo significa credere in Gesù, perché in Gesù si realizza pienamente il disegno di Dio. Allora chi crede che l uomo è destinato a continuare la sua esistenza, che la sua vita non si conclude con la morte, chi crede questo, non morirà mai. Gesù non dice morirà e poi risusciterà, non farà l esperienza della morte. Vedete quando capiterà, il più lontano possibile come sempre pensiamo, questo momento, sarà un m omento straordinario, perché gli altri vedranno noi che moriamo, ma noi non ne faremo esperienza.

Noi continueremo a vivere e adesso l importante è capire dove e come si vive perché il problema è vero che si continua a vita ma dove sono e come sono e questo è il problema che ci angoscia. Quindi Gesù è chiaro: la morte non esiste. O meglio, la morte non interrompe il ciclo della vita, la morte, come recita un antico prefazio, dice la vita non è tolta, ma trasformata, la morte è come una trasformazione.

Se questo è vero, la prima cosa da fare è cambiare atteggiamento verso quelli che la chiesa con sapienza non chiama i morti, ma i defunti. Uno dirà beh, morto o defunto è la stessa cosa. Non è così. Morto è qualcuno per cui ormai non c è più niente da fare. La chiesa, nella sua saggezza, ha usato sempre il termine defunti, infatti se andate a vedere nel calendario il 2 novembre non è mica la dei morti, ma dei defunti. Defunti, da un verbo latino defungere significa aver svolto un compito, una funzione. Si usava quindi per esempio, il bibliotecario aveva finito di stilare l elenco dei libri in biblioteca, allora il bibliotecario aveva defunto il suo servizio. Quindi defungere significava una funzione (fungere) che era stata terminata. Allora la chiesa non parla di morti, ma di defunti, di persone che hanno svolto il loro compito e che l hanno terminato, ma la cessazione del compito non indica la cessazione della vita. Allora il problema, a questo punto, se è vero che la vita continua è: dove sono i nostri cari? La risposta, anche se può sembrare brutale, dai Vangeli è chiara: non cerchiamo i nostri cari nel buio di un cimitero, abbiamo qui alle spalle, e neanche pensiamoli lontani svolazzanti nei cieli!

Nel Vangelo di Luca quando le donne vanno al sepolcro di Gesù, trovano la strada sbarrata da due uomini che chiedono perché cercate tra i morti chi è vivo? Se questo è vero, bisogna che il messaggio di Gesù modifichi il nostro modo di pensare e il nostro modo di reagire. Se è vero che la morte non interrompe la vita, perché cerchiamo tra i morti chi è vivo? Quindi, quando le donne vanno al sepolcro, trovano questi uomini Alt! Dove andate? Chi cercate? Cercate il morto? Andate! Ma se cercate il vivo, non dovete cercarlo tra i morti! Allora il Vangelo ci mette di fronte a una scelta, ma deve essere una scelta chiara: o continuiamo a piangere i nostri cari come morti, o li sperimentiamo come vivi. Non è possibile unire le due cose. Non è possibile andare al cimitero e piangere la persona come morta e nello stesso tempo sapere che è viva. Perché la persona non sta al cimitero, ma ci aspetta fuori, all ingresso. Quindi, finché i nostri cari vengono pianti come morti, non è possibile sperimentarli come vivi. Allora, abbiamo detto, che la morte non interrompe il ciclo vitale, non c è più, è chiaro, ci manca la parte biologica, ma sappiamo che la persona continua a vivere, continua a vivere come e dove?

Vedete, nel Vangelo di Giovanni, ci vengono presentate due donne, ma con un diverso cammino di fede. Sono le donne che sfidando il pericolo di fare la stessa fine del loro maestro, sono presso la croce di Gesù. Sapete che l ordine di cattura non era soltanto per Gesù, non era pericoloso Gesù, era pericoloso il suo messaggio e, fintanto che c era anche un solo discepolo che andava in giro a proclamare questa follia, questa pazzia, proclamata da Gesù, di un Dio amore, completamente diverso da quello che i sacerdoti proponevano, è pericoloso. Allora l ordine di cattura era per tutto il gruppo. E stato Gesù che, in una posizione di forza, ha detto se cercate me lasciare che questi si salvino. E gli altri si sono nascosti in casa per paura di fare la stessa fine di Gesù. Ma non tutti. Presso la croce di Gesù ci sono alcuni che sfidano quest ordine di cattura e si mettono presso la croce di Gesù non per consolare il morente, ma sono i discepoli che sono disposti a fare la stessa fine del loro maestro. Tra questi c è la madre, Maria presso la croce, non è una madre che soffre per il figlio, ma è la discepola che è pronta a fare la stessa fine del suo maestro. E c’ è un altra donna, Maria di Magdala, quindi entrambe sono presso la croce di Gesù, disposta a fare la fine di Gesù. Ma il cammino di fede per una delle due non era ancora completo. Mentre Maria, dopo la croce, non la vedremo più, Maria di Magdala va al sepolcro. Maria non piange un morto, lei continua a seguire il vivente, la madre di Gesù. C è una delle scene più belle e sentimentali dell iconografia cristiana, ma è un falso! La scena della pietà, è bellissima, basti pensare alla pietà di Michelangelo, Maria che accoglie il cadavere!

Non è un buon servizio verso la figura della madonna, quell immagine, perché Maria non piange un cadavere, Maria continua a sentire un Cristo vivo, lei ci crede che in Gesù c è la pienezza della vita. Alla deposizione di Gesù non c è la madre, ci sono i discepoli che, incapaci di seguirlo nella sua esistenza terrena, vogliono farlo dopo morto, sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Non c è la madre, lo so è un immagine bella, sentimentale, tutto quello che volete, ma non è un immagine che fa onore a Maria. Perché Maria, capace di stare presso la croce del suo maestro, lo sperimenta immediatamente come vivo e continua a seguire un vivente. Maria di Magdala, pur essendo capace di stare presso la croce del maestro, non è ancora arrivata alla stessa maturazione di fede.

E allora cosa fa? Maria di Magdala piange Gesù come un morto. Quindi è chiara la differenza tra le due donne! Tutte e due assistono alla morte di Gesù, una continua a seguire il Gesù vivo, l altra lo piange come Gesù morto, e sta lì al sepolcro a piangere; piange, piange guardando verso il sepolcro, e non s accorge che Gesù stava di dietro. Gesù avrà detto dietro di lei Aspettiamo, vediamo questa quando la smette! E la deve chiamare, perché quella non smetteva. Quando la chiama, si volta; e quando non guarda più il sepolcro vede Gesù vivo. Questo è molto importante quindi anche per noi. Chiaro, la morte di una persona cara lo dicevo all inizio, reca un grande dolore, ma c è un processo che dobbiamo fare. Arrivare piano piano a non piangerla come morta, per sperimentarla come viva. Se Maria di Magdala non si fosse voltata, se non avesse smesso di guardare verso il sepolcro, non si sarebbe accorta della presenza di Gesù presso di lei. Quindi bisogna decidere cosa si cerca. Si va a cercare un cadavere o un vivente? Se si cerca il vivo non si può trovarlo nel mondo dei morti. Questo fatto della morte è al di là delle possibilità e di comprensione degli uomini, per cui anche Gesù e gli evangelisti, hanno avuto bisogno di figure.

Vediamo, per concludere, le tre figure con le quali gli evangelisti trasmettono quest’ immagine della morte – La prima è quella del dormire. Lazzaro è addormentato. Quando muore Gesù nel Vangelo di Matteo c è un episodio strano. Scrive l evangelista i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi addormentati si rialzarono e risuscitarono. Perché l evangelista non dice corpi di santi morti, ma addormentati? Essendo persone che hanno dato adesione a Gesù non muoiono, si addormentano. Per cui il morire, nei Vangeli e nell antichità veniva visto come un dormire. Cos è il dormire? Il dormire è una fase importante indispensabile nella vita di un individuo. Se si dorme male si vive male. Se non si dorme non si campa. Il dormire non interrompe mica la vita, anzi! Il dormire è una pausa indispensabile per permettere alla vita di riprendere ancora con più vigore. Allora l immagine che danno gli evangelisti per indicare il momento della morte è il dormire. Ripeto, il dormire non interrompe la vita, ma è una pausa che consente alla vita di riprendere con ancora più grande energia. E sapete, naturalmente che è dal termine dormire viene la parola che conosciamo cimitero. Cimitero viene dal greco e non significa altro che dormitorio. Questo fatto che la morte non interrompe il ciclo vitale, ha portato un cambiamento epocale, radicale, e qual è stato questo cambiamento? Che i morti non mettono più paura. Nell antichità i morti venivano seppelliti lontano dalla città, gli ebrei perché ritenevano che fossero impuri, i greci perché ne avevano paura i morti venivano seppelliti più lontano possibile dal centro abitato.

Con i primi cristiani, da Costantino in poi, siccome la morte aveva smesso di mettere paura, i corpi, i cadaveri, venivano seppelliti all interno della città, dentro la chiesa o accanto alla chiesa. E i cimiteri, nell antichità, per secoli, non avevano quell aspetto lugubre che poi, man mano che la gente si è distaccata da questo insegnamento evangelico, hanno assunto. Perché vedete se ci si stacca ed è il Concilio che ci chiede la fedeltà al Vangelo – i cimiteri divennero quel luogo lugubre che è oggi. In passato i cimiteri, non solo non mettevano paura, ma erano i luoghi per l allegria. Pensate che c è stato bisogno di un Concilio, quello del 1231, nel quale la chiesa deve proibire di ballare nel cimitero. Pensate che bello! Si ballava al cimitero. Non è stato ascoltato, due secoli più tardi, nel 1400, oltre alla danza, si proibisce sentite.. ai giocolieri, ai musicanti, di giocare a qualunque gioco; si vieta ai mimi, ai giocolieri, ai burattinai, ai ciarlatani, di esercitare i loro ambigui mestieri. Quindi i cimiteri erano un luogo di effervescenza vitale, appunto perché la morte aveva smesso di fare paura. Sapete che in un famoso cimitero di Parigi, quello dei Santi Innocenti, c era un esuberanza forse esagerata di vita, era il luogo prescelto per la prostituzione. E Lutero contesta che nel cimitero della sua città avevano installato una fabbrica di birra ecco cos erano i cimiteri: luoghi di vita, appunto perché cimitero significa dormitorio. E se dormono significa che continuano a vivere con ancora più potenza.

L’ altra immagine, presa proprio dalla bocca di Gesù, è quella della semina. Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni se il chicco di grano, caduto a terra, non muore, rimane solo. Se muore, invece, produce molto frutto. E importante quest immagine, perché non si può parlare della morte se non attraverso immagini perché nessuno l ha sperimentata non c è un linguaggio. C è un chicco di grano che, se lo mettiamo in un cassetto, rimane solo. Dentro questo chicco ci sono delle potenzialità, delle energie vitali incredibili, ma, per manifestarsi, devono trovare l ambiente adatto ed essere collocate per terra. La terra non assorbe il chicco di grano, ma la terra regala al chicco tutti suoi elementi, tutti i suoi organismi e cosa succede? Succede un esplosione di vita. Nel chicco di grano c era un energia di vita, una potenzialità tale che, incontrando gli elementi adatti della terra, dell acqua, dell umidità, c è un esplosione di vita: il chicco diventa uno stelo e lo stelo diventa una spiga. Proviamo ad immaginarci visivamente un chicco e una spiga, non c è paragone! Non è possibile confrontare la bellezza della spiga con il chicco, eppure la spiga era già tutta nel chicco. Ha avuto bisogno di caratteristiche particolari per manifestarsi. Allora Gesù ci sta dicendo che in ognuno di noi ci sono delle energie, delle capacità d amore, delle forze di dono che nel breve arco della nostra esistenza, per quanto lunga possa essere, non riusciranno mai a manifestarsi pienamente, ebbene, quando arriva il momento della morte, la morte non sarà il momento della distruzione, ma il momento del potenziamento.

Solo con la morte tutte quelle energie che ci portiamo dentro, tutte queste capacità vitali, esploderanno, si libereranno e noi ci trasformeremo. Come il chicco di grano è diventato una spiga, anche noi ci trasformeremo in un crescendo senza fine. – E l altra immagine che l evangelista, appunto, dà, è quella dello splendore, l episodio della trasfigurazione di Gesù. I discepoli pensavano che la morte sarebbe stata la fine di tutto, Gesù, nell episodio della trasformazione dice ecco cosa succede dopo la morte. La morte non diminuisce l individuo, ma lo potenzia! Allora quando pensiamo ai nostri cari che sono defunti, non pensiamoci più come li abbiamo conosciuti, ma proviamo ad immaginare la stessa differenza tra il chicco e la spiga. Uno splendore di luce incredibile, uno splendore di vitalità incredibile! Il tema di questo incontro era La morte come pienezza di vita l ultima beatitudine. Allora per ultimo trattiamo questa beatitudine. E l ultima beatitudine che c è nel Nuovo Testamento. E nel libro dell Apocalisse, una beatitudine paradossale, nel capitolo 14. Scrive l autore beati fin d ora beati significa pienamente felici. Ma come fai a scrivere una cosa del genere? Come puoi associare la felicità piena con la morte?

Eppure, l’ autore dice beati fin d ora i morti che muoiono nel Signore. Quelli che muoiono nel Signore sono quelli che hanno quella vita ricordate la zoe sviluppata pienamente. Sì dice lo Spirito, perché essi riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono. L autore sta dicendo qualcosa di straordinariamente bello: la morte è una beatitudine, una felicità perché riposeranno dalla loro fatiche non è la radice dell eterno riposo, così come lo interpretiamo. Sapete, quando si recita l eterno riposo sembra quasi una condanna all ergastolo, immaginate, riposare per tutta l eternità, meglio l ergastolo, per carità! Siamo persone vitali, dopo che hai riposato un mese, tre mesi, riposare per tutta l eternità. Ma per carità! Cosa vuol dire riposeranno dalle loro fatiche? Il creatore, dopo aver creato, il settimo giorno s era riposato. Allora il riposo era segno di condizione divina. Abbiamo detto che la morte non diminuisce la persona, ma la potenzia perché nel momento del morire noi rientriamo nella pienezza della condizione divina e il creatore ci associ alla sua stessa azione creatrice. Questo significa riposare dalle loro fatiche, non significa un ozio eterno, ma che continueremo la nostra attività, come? Collaborando all azione creatrice di Dio.

Allora, se continueremo immersi in questo Dio che non avrà assorbito la nostra esistenza, ma l avrà potenziata, l avrà dilatata, il nostro compito, una volta passati attraverso la soglia della morte sarà quello di collaborare alla creazione. Collaborare alla creazione significa comunicare vita. E tanto più collaboreremo col Signore nel comunicare vita alle persone che ci sono state care durante l esistenza terrena, ecco perché la morte non ci allontana dai nostri cari, ma li rende ancora più vicini. Vedete, se è possibile se vi capiterà, ditelo alle imprese di pompe funebri di smetterla con quello scempio sul manifesto E mancato all affetto del suoi cari. Io, quando vedo quei manifesti, mi viene da strapparli! Non posso perché un prete che strappa un manifesto funebre non sta bene E mancato all affetto dei suoi cari E mancato all affetto? Tutto il contrario! E proprio il momento della morte che ci fa capire quanto volevamo bene a questa persona, è proprio nel momento della morte che l affetto si dilata. Allora i nostri cari, nel momento in cui passano attraverso la soglia della morte, non sono lontani da noi, ma sono ancora più vicini perché l amore che ci volevano nel corso della loro esistenza terrena, adesso viene potenziato dallo stesso amore di Dio. Ci vogliono bene, come ci volevano prima, ma di un amore rafforzato dallo stesso amore di Dio. E i nostri cari continuano la loro crescita e, qui mi rifaccio a un esperienza che è di tutti provate a pensare alla persona cara che è morta da tempo.

Avete notato una cosa? Che, più passa il tempo, più si ricordano soltanto le cose belle. Non è che era sempre così, perché sappiamo com è la convivenza umana, ci sono degli spigoli, ci sono degli screzi, e ci sono dei malumori la vita familiare non è mica tutta quella cosa idilliaca, ci sono contrasti di carattere. Eppure, quando la persona muore, dopo un po ci ricordiamo soltanto le cose belle. Non perché la nostra memoria fa difetto, perché se la memoria facesse difetto ci dovremmo dimenticare anche le cose belle. E perché la persona cara nel frattempo è diventata bella, immersa nell amore di Dio, quelle scorie, quei limiti che aveva durante l esistenza terrena, piano piano vengono eliminati e loro ce lo fanno capire. Sono accanto a noi e ci fanno sperimentare la loro presenza in un crescendo senza fine. E l ultimo, perché le loro opere li seguono. L’ù unica cosa che portiamo nella vita per sempre. I conti bancari, i titoli e tutto quello che volete, le case, tutto quello per il quale ci siamo affannati, rimane tutto qui. Un unica cosa ci portiamo, come capitale, nella vita definitiva: le opere fatte, cioè il bene che si è fatto. Vedete, noi siamo immersi nell oceano d amore di Dio, ne possiamo percepire dei frammenti, quando lo accogliamo e lo trasformiamo in una maniera nuova, inedita, di perdono, di amore, di condivisione generosa, quelli sono tutti tasselli che noi mettiamo nella nostra esistenza, in maniera definitiva, cioè perpetua. Il bene concreto che io posso fare oggi, questo rimane per sempre. Questo è il bagaglio con il quale entro nella vita definitiva. Tutto il resto si lascia. Quindi l unica cosa che ci accompagna e che ci segue sono le opere di bene, le opere buone che si sono compiute a beneficio degli altri. Allora, detto questo, credo e spero che, almeno da stasera, la morte faccia meno paura. Non al punto da diventare desiderabile. C è S. Paolo, in una delle sue lettere, che dice sia la morte tanto bella che non so più se mi conviene stare con voi o andare col Signore. Dice, ma siccome c è tanto bisogno, meglio che sto ancora un po qui Non fino a questo punto, ma ecco, la morte, quel momento inevitabile della nostra esistenza, va affrontato con serenità perché noi non ne faremo esperienza. I nostri cari, se lo vorranno, ci sperimenteranno vivi, viventi e vivificanti.

Bene, vi ringrazio.

Angelino & Fraddèddi Roggio Trio, quella chitarra appesa al muro e quel problemino sullo scrivere in sardo

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di Piero  Petro Murineddu

Tutti avanti negli anni, ma ancora vivi e vegeti, tranne Angelo Maria, mastrellàscia e suonatore di mandolino. Una vita trascorsa in Corsica Agnuru Maria, come il fratello Michelangelo, batterista e di mestiere a me ignoto. Il terzo dei Roggio, Paolino, continua a trascorrere le sue giornate a Sorso, ricordando e raccontando alla sua nipotina – poetessa in erba e probabilmente ad altri che non conosco – il suo passato di musicante per passione e sarto di “facultài”, oltre trasmetterle il vasto sapere delle cose del mondo.

Il quartetto coltivava la passione per la musica specialmente nella sartoria di Angelino, in “Pien di Jèsgia”, affacciata appunto nella piazza dell’unica parrocchia di allora, “Santu Pantalèu”. Alla chiusura, è chiaro. E là, tiravano spesso a far tardi, come quella volta che, sopratutto il “tum tum” della batteria di Michelangelo aveva scassato tutto lo “scassabile” all’avvucaddu Puzzoni, che pretendeva – pensate un po’ – di riposare per potersi così rigenerare il cervello e prepararsi per le accesissime arringhe che teneva nei tribunali.

Al primogenito del vecchio zi’Angelinu, che mi ha fornito la foto, chiedo qualcosa del passatempo del padre. Mi dice che gli amiconi, oltre che nella summenzionata buttrèa di trappèri, se la cantavano anche nelle inevitabili ziminate esclusivamente presenziate dal sesso maschile, dalle quali – pensate – non è mai capitato di tornare “alticcio”, essendo tutt’altro che bevitore. Impossibile non essere bevitore, a Sossu e in quei tempi? Più che altro una rarità (e a Sennori è inutile che se la ridacchino: i liquidi alcolici, buon vino in primis, non è gente che li “schifa”).

Il quartetto era di gusti musicali fini, e il cantare in sardo stranamente non era contemplato. Il fatto è che allora non penso fosse iniziata ancora l’allegra usanza di cantarsela a la sassarèsa. Mi vien difficile immaginare questi piacevoli e musicali incontri senza sentire “sozzara mara”, “la mirinzàna”, lu trabagliadori mandronazzu chi vurìa assè pagaddu senza piggià l’ischina e compagnia squinternante, ma così è.

La musica nella famiglia Marongiu era di casa, diffusa pressochè a tutte l’ore dal giradischi, sul quale, spesso a balzi, la “puntina” appoggiava sui 45 giri in vinile di Perez Prado e compagnia cantante, compreso uno in stranissima plastica rossa su cui era incisa Tom Dooley del The Kingston Trio. Il genere per zi’Angelinu e amici era quello, ma non disdegnava di comprare altra musica e rispettivi spartiti. Oltre quelli di cantautori che in quegl’anni iniziavano timidamente ad uscir fuori dal guscio, al figlio Giovanni aveva regalato il Trattato teorico e Pratico “Dacci”, sicuramente oggi ben conservato in fondo a quel cassetto quasi inaccessibile di casa. “Mi raccomando, Giovà, se devi comprare spartiti, vai da Ferraris, al Corso, che è stato mio insegnante di musica alle medie” – diceva al figlio – “Eia, ba’...”

Angelinu lu trapperi ha coltivato la sua passione fino ai sessant’anni circa. Oggi è quasi novantenne. Il figlio Giovanni, pressapoco sessantenne, la chitarra al muro l’ha appesa da tempo immemorabile. L’autore del presente articolo la tappa dei sessanta l’ha oltrepassata da qualche mese. Sarà la forte emotività che caratterizza gli anzianotti, ma da non molto si è fatto commuovere dalla sua vecchia sei corde, che ogni volta che apriva l’armadio dove l’aveva conservata, lo supplicava di riprenderla in mano. Così ha fatto e così continua a fare. Può dire che lo fa’ con entusiasmo rinnovato, e di questo, la sua chitarra ne è contentissima. L’autore di quest’articoletto continua a ripetere: “Giuà, riprendi a suonicchiare che aiuta a sopportare meglio gli acciacchi e i malumori dell’età...”. Niente, Giuà non ne vuole sapere: “Mancarri chi si frazziggheggia…ca si n’affutti! Oppuru, cand’andu in pinsioni vi pensaraggiu”….” – ” Eeeeh, aipetta a la pinsioni, aipètta….”

nota

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Qualche giorno fa ho fatto visita al nostro amico sennorese Tonino Mario Rubattu, autore di un fornitissimo dizionario sardo, appassionato studioso della lingua sarda in tutte le numerose varianti con una tesi di laurea proprio sull’argomento. Nel piacevole e cordiale incontro si è toccato inevitabilmente l’argomento. Gli ho chiesto come risolvere il discusso problema dello scrivere in sardo, specialmente tradurre in lettere certi suoni, come faldhetta, truddha, aschamu, fraddeddhi…., compresa quella variante di un termine che con l’articolo la consonante iniziale ha una pronuncia, senza articolo ne ha un’altra, come padeddha – la badeddha, lettu – lu rettu e così via. Tonino, dall’ “alto” della sua rispettabilissima e meritata autorità, mi ha detto di lasciar perdere le H e di scrivere il termine come si pronuncerebbe senza articolo. Ogni variante locale, poi, nel parlare, usa il suono particolare del posto dove vive. La  soluzione mi sembra condivisibile e personalmente, anche in ossequio ai lunghi studi fatti e che continua a fare nonostante l’età avanzata, mi adatto alle sue indicazioni. Quindi Angerinu sarà Angelinu, lu drappèri sarà lu trappèri, truddha – trudda, a ra mara sarà a la mara ……….

Poi, cianciarando tra amici e conoscenti, noi sorsinchi raddoppieremo, triplicheremo, quadruplicheremo liberamente le consonanti, ma questi sono sacrosanti affaracci nostri.

IL DIRITTO DI PARLARE E’ INTOCCABILE

 

di Piero P. Murineddu

Pochi giorni fa mi è capitato di seguire delle reazioni ad una breve lettera che un nostro concittadino ha mandato a “La Nuova”, riguardante la mancanza d’animazione nei fine settimana a Sorso, oltre quelle poche che ormai son diventate appuntamento fisso dell’estate sorsese. Nella lettera vi erano alcune proposte, specialmente sotto l’aspetto musicale e ludico.

Il senso della “conversazione” su FB era che è facile parlare, ma che bisogna prendere l’iniziativa e passare dalle parole ai fatti. Come principio concordo. Nello stesso momento non condivido questo “rimprovero” a chi ha pensato, attraverso una lettera pubblica, di far conoscere il proprio pensiero, come se il diritto di esprimere una propria opinione, e farlo pubblicamente, non esistesse più e sia segno di estrema “comodità”.

A questo punto, tra questi ” criticabili” potrebbe rientrare chi scrive queste righe, che ha il “cattivo vizio”, per certuni anche irritabile, di esprimere l’opinione riguardante diversi ambiti. La dico papale papale. Io continuerò, coi mezzi limitati a mia disposizione, a riflettere “a voce alta”, e nessuno può togliermi tale diritto. Nel contempo nessuno è obbligato a leggermi ed è anzi liberissimo di girarsi dall’altra parte. Che siano due, dieci o cinquanta interessati a conoscere il mio pensiero non è un qualcosa che mi toglie o mi agevola il sonno. Se qualcuno vuole farmi conoscere la sua opinione bene, se no avanti senza remora alcuna. Dico e non faccio? Questo lo vedo io e fa parte della mia vita privata. Il diritto di parlare e, quando possibile, di farlo pubblicamente, non lo si può negare a nessuno. Anzi, ce ne fossero…….

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Monteverdi&Monteverdi. Come sarebbe a dire “chiese vuote”?

di Piero Murineddu

Credetemi, non ho più voglia di scrivere letterine a La Nuova, che tra l’altro compro ormai raramente. Ma quando “son preso per i capelli”, non riesco a resistere. Questo signor Monteverdi ogni volta che scrive è per manifestare la sua nostalgia per i tempi che furono, in ambito ecclesiale voglio dire, e per attaccare, in modo più o meno evidente, questo benedetto papa Bergoglio che si sta facendo il mazzo per far tornare questa non proprio ben messa Chiesa allo spirito delle origini, nel senso come aveva pensato e agito Gesù Cristo, anche se credo che Lui non avesse intenzione alcuna di metter su una nuova religione, con apparati, liturgie, dogmi e via dicendo. Secondo il signor Alessandro le chiese sono vuote per assenza di autorevoli Guide con i …..”contropendenti“. Ma basta, Iddio Santissimo. Non se ne può più! Ma si decidano i preti,frati consacrati e i vescovoni sopratutto a scendere per le strade, ad andare nelle case…….La smettano coi loro sermoni preparati al pc, magari con copia incolla, coi loro paroloni campati sulle nuvolette, con la loro sovente inutile e pesante eloquenza. Diano appuntamento ai loro seguaci ( e sopratutto ai NON seguaci!) non nelle fresche o ben riscaldate sacrestie, ma là, dove patiscono o, quando va bene, gioiscono….

 

Leggete questa lettera pubblicata lo scorso mercoledì su La Nuova……….

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…….e quello che segue è  ciò che, d’istinto ma ben riflettuto, ho risposto al signor Monteverdi, pubblicato su La Nuova di oggi

Cattura

MONTEVERDI in soccorso di MONTEVERDI

di Piero Petro Murineddu

Oggi è domenica 16 luglio. Puntuale arriva la replica di Monteverdi su La Nuova. Non lui, Alessandro. Sicuramente una della famiglia. Figlia o sorella che sia. Monteverdi mulier ( attenzione, “donna” non moglie) in soccorso di Monteverdi homine. La sua lettera è preceduta da un’altra proveniente da Sant’Antonio di Gallura, luogo dove attualmente è parroco il futuro vescovo designato alla guida dell’arcidiocesi sassarese. Marco Farina pensa lui a chiarire che Gianfranco Saba, appunto il prossimo a divenire vescovo, non è un pivellino e sprovveduto qualsiasi. A me preme reagire alla letterina della signora/signorina Viviana, dal momento che, correttamente e comprensibilmente il vecchio Manlio non può star lì a replicare e a ritornare su quanto abbondantemente detto e chiarito.
La signora/signorina Viviana dice che Brigaglia, nella risposta alla mia lettera, ha puntato il dito “contro la secolarizzazione del mondo”. Non so voi, ma io, per quanto cerco di leggere tra le righe del prof, questo dito puntato non lo vedo. Leggo invece, e molto chiaramente, che Brigaglia parla della necessità di rinnovarsi. Le due cose son ben distinte, e se non lo facciamo, giriamo in tondo senza che ci capiamo. Parlare coi non credenti e con tutti. Ascoltare più che parlare. Mi dica, signora/signorina Viviana: ha detto questo Brigaglia il Vecchio o non l’ha detto? Lei parla di “appartenenti alla stessa Chiesa, sempre meno in chiesa e sempre più in piazza”. La sua frase lascerebbe intendere che per “appartenenti” lei intenda preti, frati e consacrati in genere. Non posso essere io a ricordarle che la Chiesa siamo tutti noi che ci riteniamo seguaci di Gesù Cristo, dove ciascuno ha un suo carisma particolare per arricchire l’intero Corpo, e un membro di questo corpo non è più importante e più necessario di un altro. Corpo che non si può circoscrivere ai limitati confini degli appartenenti ad una data religione, dal momento che la Salvezza (intesa come Gioia senza fine, e quindi fratellanza, giustizia, accoglienza reciproca …..) è da realizzare già su questi anni che percorriamo sulla terra. Preti e frati pastori di anime e non assistenti sociali. Anche questo, cara signora/signorina Viviana, mi lascia così, perplesso e leggermente deluso davanti alla sua indiscussa intelligenza di cinquantatreenne, facile al sorriso davanti ai “largo ai giovani“. Per troppo tempo la Chiesa (i pastori) si è occupata SOLAMENTE delle anime, omettendo colpevolmente di occuparsi della salvezza integrale della persona, e quindi del suo doveroso interessamento alla vita concreta delle persone. “Competenza e autorevolezza“. E certo, insieme all’amore per gli altri e dall’amore degli altri. Nessun autoritarismo e ancor meno ” e qui comando io, e questa è casa mia…..“. La “gente” non ne può più di padroni, siano essi politici, ma anche preti, vescovi e certi custodi di Santuari che Dio ce ne liberi con la sua Infinita Misericordia. Delle meringhe ne parliamo un’altra volta. Con cordialità verso la famiglia Monteverdi.

Aggiornamento al 16 luglio 2017

Lettere di oggi su La Nuova

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Oggi è domenica 16 luglio. Puntuale arriva la replica di Monteverdi. Non lui, l’Alessandro. Sicuramente una della famiglia. Figlia o sorella che sia. Monteverdi mulier ( attenzione, “donna” non moglie) in soccorso di Monteverdi homine. La sua lettera è preceduta da un’altra proveniente da Sant’Antonio di Gallura, luogo dove attualmente è parroco il futuro vescovo designato alla guida dell’arcidiocesi sassarese. Marco Farina pensa lui a chiarire che Gianfranco Saba, appunto il prossimo a divenire vescovo, non è un pivellino e sprovveduto qualsiasi, e prima dei titoloni, avrà primaria importanza la disponibilità o meno a stare in mezzo alla …gente.  A me preme reagire alla letterina della signora/signorina Viviana, dal momento che, correttamente e comprensibilmente il vecchio Manlio non può star lì a replicare e a ritornare su quanto abbondantemente detto e chiarito.

La signora/signorina Viviana dice che Brigaglia, nella risposta alla mia lettera, ha puntato il dito “contro la secolarizzazione del mondo”. L’argomento sarebbe di un certo interesse ma,non so voi, ma io, per quanto cerco di leggere tra le righe del prof, questo dito puntato non lo vedo. Leggo invece, e molto chiaramente, che Brigaglia parla della necessità di rinnovarsi. Le due cose son ben distinte, e se non lo facciamo, giriamo in tondo senza che ci capiamo. Parlare coi non credenti e con tutti. Ascoltare più che parlare. Mi dica, signora/signorina Viviana: ha detto questo Manlio Primo il Vecchio o non l’ha detto? Lei parla di “appartenenti alla stessa Chiesa, sempre meno in chiesa e sempre più in piazza”. La sua frase lascerebbe intendere che per “appartenenti” lei intenda preti, frati e consacrati in genere. La “casta” sacerdotale, insomma. Non posso essere io a ricordarle che la Chiesa siamo tutti noi che ci riteniamo seguaci di Gesù Cristo, dove ciascuno ha un suo carisma particolare per arricchire l’intero Corpo, e un membro di questo corpo non è più importante e più necessario di un altro.  Corpo che non si può circoscrivere ai limitati confini degli appartenenti ad una data religione, dal momento che la Salvezza (intesa come Gioia senza fine, e quindi fratellanza, giustizia, accoglienza reciproca …..) è da realizzare già durante questi anni che percorriamo sulla terra. Preti e frati pastori di anime e non assistenti sociali. Anche questo, cara signora/signorina Viviana, mi lascia così,  perplesso e leggermente deluso davanti alla sua indiscussa intelligenza di cinquantatreenne, facile al sorriso davanti ai “largo ai giovani“. Per troppo tempo la Chiesa (i pastori) si è occupata prevalentemente (SOLAMENTE?) delle anime, omettendo colpevolmente di occuparsi della salvezza integrale della persona, e quindi del suo doveroso interessamento alla vita concreta dei “corpi”, compreso di spirito o anima se si preferisce. “Competenza e autorevolezza“. E certo, insieme all’amore per gli altri e dall’amore degli altri. Nessun autoritarismo e ancor meno ” qui comando io, e questa è casa mia…..“, in modo più o meno esplicito, chiaro. La “gente” non ne può più di padroni, siano essi politici, ma anche preti, vescovi e certi custodi di Santuari che Dio ce ne liberi con la sua Infinita Misericordia. Delle meringhe ne parliamo un’altra volta. Con cordialità verso la famiglia Monteverdi.

“La Pergamena” di Mauro Quilichini

Presentazione

di Piero Murineddu

Mauro, guarda, ti dico la verità. Il file del tuo volume è gia un po’ che me lo hai mandato. Purtroppo (o meno male, fa tu…),preso da altre cose, ancora non sono riuscito a leggerlo. Fa così, voglimi bene ed evitami una lettura affrettata per essere così in grado di fare una minima presentazione. Mandami tu due righe e così possiamo iniziare a pubblicarlo”. Detto fatto. Proprio come piace a me. Il giovane medico (“giovane” si fa per dire…)  mi manda le due, tre, quattro righe richieste senza esitare ed eccoci qui ad avviarlo questa vicenda romanzata riguardante quell’eremita Pietro Angeleri, detto da Morrone, eletto Papa col nome di Celestino V contro (sua) voglia negli anni immediatamente precedenti al 1300, probabilmente come soluzione ai soliti pasticciacci che nel Medioevo combinavano le alte gerarchie ecclesiastiche. L’animo “eremitico” non lo abbandonò mail, ed è probabilmente grazie alle sue profonde e disinteressate meditazioni che decise di abbandonare il soglio pontificio, decisione presa “per viltà” secondo quello stravagante Dante e per questo ficcato nell’inferno vitaeternanaturaldurante. La cosa mi ricorda l’accusa di “viltà” che i graduati cappellani militari fecero agli obiettori di coscienza, poi ben rimbrottati dal buon Lorenzo Milani. Per tornare al mite Pietro, se lui è all’inferno, ammesso che esista e che ci sia qualcuno, cosa sarà per altri…………

Il medico con la passione della scrittura ( e della musica) mi dice che ci son voluti sei mesi per portarlo a termine, dopo che è stato un anno  documentandosi al meglio  su quei fatti realmente avvenuti.

In estremissima sintesi, lu duttori  che scrive per non “rincoglionirsi” (parole sue) la sera davanti a quello strabenedetto elettrodomestico parlante e con sottofondo clavicembalato di Bach o Mozart in alternativa, si limita a dirmi che frate Baldassarre, monaco “amanuense” (copiatore di antichi codici) si prende il ghiribizzo di andare ad indagare proprio sull’intera vicenda ruotante sull’elezione e sull’abbandono dell’eremita Pietro – papa Celestino. Stop

Mauro mi dice che a scrivere ha iniziato nel ’90, dopo aver letto un libro esageratamente……lassativo. “Se ha scritto un libro costui, ne posso scrivere uno anch’io..” Ed è così che nasce il primo racconto, ambientato pressapoco nel mondo adolescenziale. “Alla ricerca della sfera magica” era il titolo, pubblicato per l’Editore Salani, e le sue dodicimila copie le aveva vendute. Pare che in varie scuole medie italiane l’abbiano “adottato”, il che non è buccia di giogga (definizione sua). A questo ne è seguito qualcun altro, compresi lavoretti scientifici. Un altro, narrante di quei “vendicatori” dei templari, sarebbe in attesa di stampa, ma è possibile che lo vedremo pubblicato in queste pagine (previsione mia e probabile decisione sua).

Che altro dire. Io ve lo pubblico a puntate durante il corso di questa estate,così avrete da leggere che non siano le solite rivistelle scandalistiche e piacevole scempiaggini simili. Magari, per non parlare ancora e sempre di matrimoni mancati, del Governo che non si smentisce mai e continua ad essere sempre ladro e che potremo andare in pensione quando avremo i pannoloni,  chi è sdraiato/a sotto l’ombrellone e ha lo smartphone col display più grande, può leggere a voce alta, a beneficio dei vicini ultracotti e rammolliti dal sole.

 

pergamen

Antefatto

 

Il cielo, quella mattina, non prometteva nulla di buono: imponenti e maestose nuvole scure, compatte e cariche di acqua tanto che sembrava dovessero precipitare sulla terra per il loro peso, incalzate dal vento che soffiava veemente e le sospingeva senza tregua, avevano oscurato il paesaggio attorno come se fosse sera avanzata mentre il sole ancora non era neanche arrivato a mezzogiorno.

L’odore della resina dei pini di montagna combinato con l’odore della pioggia, veniva trascinato da quel vento diffondendosi tra le rocce e le vallate dei monti d’Abruzzo, rendendo l’aria balsamica e piacevole da respirare.
Lui, quelle nuvole le fissava senza paura come se le volesse sospingere via con gli occhi, immobile come una statua con le braccia conserte e lo sguardo fisso su di esse; non sarebbe stato un temporale od il mal tempo ad impedire che le sue decisioni si arenassero davanti alla pioggia scrosciante o il freddo.
Immobile come un monumento, sull’ingresso di quella caverna dove viveva da anni in compagnia dei suoi seguaci e confratelli, attendeva pensieroso l’approssimarsi del temporale, preceduto da poderosi tuoni che arrivavano da lontano, benedicendo quell’acqua che avrebbe portato vita in quelle aride terre.
La sua decisione era ferma ed irrevocabile: si sarebbe diretto senza indugi in terra di Francia, in quel di Lione dove il Papa, sua Santità Gregorio X, aveva indetto un concilio e lui doveva assolutamente conferire con il Pontefice per fare in modo che venisse riconfermata la sua regola.
Voci riportate dicevano che il Santo Padre aveva intenzione di sopprimere alcuni ordini minori e probabilmente fra quelli c’era anche il suo, e la cosa non lo aveva rallegrato per niente provocando in lui un grave turbamento e prostrazione.
Lo sguardo fisso all’orizzonte, dal limitare della bocca aperta di quella caverna diventata dimora, continuava ad osservare quel cielo opprimente e le montagne che avrebbe dovuto attraversare e che si perdevano nell’infinito, molto oltre la sua vista; la sua fantasia non gli permetteva di immaginare quale mondo si trovasse oltre di esse.
Non sapeva dove si trovasse Lione, non aveva nessuna cognizione di geografia, ma gli avevano detto che si trovava lontano, oltre le grandi montagne, molto a nord. Lui non era molto edotto su queste cose, si era allontanato dai suoi monti solo poche volte ed una sola si era recato a Roma ma solo per necessità, assillato dalla frenesia di rientrare immediatamente alla sua dimora.
Il suo fisico minuto ed esile veniva scosso da quel vento ed il saio a malapena gli ricopriva le gambe, sdrucito e consunto avvolgeva a stento il suo esile corpo sottoponendolo ai rigori di quel gelido inverno che lui sopportava con cristiana rassegnazione, offrendo le sue pene al Signore come atto di penitenza.
I capelli tagliati cortissimi e neanche un accenno di barba sul suo viso scarno. Gli occhi infossati all’interno delle orbite, e questo rendeva il suo sguardo ancora più cupo e penetrante, apparentemente severo quando fissava i suoi interlocutori.
Dopo aver dato un’ulteriore occhiata preoccupata a quel cielo foriero di tempesta si voltò per rientrare nella grotta dove i suoi confratelli erano intenti chi alle preghiere e chi a preparare un frugale e parco pasto come si conviene a dei poveri eremiti che vivevano di povertà e delle elemosine dei fedeli.
Un fuoco, su un braciere improvvisato sulla nuda terra, serviva da cucina con dei rami d’albero infissi nella terra che servivano a mantenere il paiolo dove cuoceva il loro povero cibo.
Si sedette in un angolo di quell’anfratto illuminato scarsamente dalle fiamme che mandavano strani bagliori sulle sue pareti facendo assumere ai visi dei suoi abitanti aspetti inquietanti, osservando con benevolenza e affetto i suoi compagni intenti chi a pregare e chi impegnati in altre mansioni, che avevano deciso di condividere il suo credo e la sua vita fatta di miseria, povertà e tante sofferenze.
Accovacciato sulla terra con le ginocchia retratte verso il petto e le braccia che le avvolgevano trovando in questa maniera un sistema per attenuare il freddo, rannicchiato su se stesso per accumulare calore.
Pietro Angelieri, conosciuto ai più come Pietro del Morrone dal luogo dove risiedeva, doveva decidere chi dei suoi confratelli lo avrebbe accompagnato in quel lungo viaggio.
Erano anni che si spostava nelle grotte dei monti di Abruzzo per sfuggire alla moltitudine di seguaci che lo assillavano cercando di vivere in sua compagnia, lui che invece voleva vivere una vita da asceta in perfetta solitudine e preda consapevole dei suoi pensieri, delle sue preghiere e dei suoi tanti peccati, come affermava lui stesso.
La pioggia che iniziava a cadere con un ritmico ticchettio sulle rocce lo distolse, per un momento, dai suoi pensieri voltandosi ad osservare l’acqua che cadeva.
Si rivoltò a scrutare i suoi compagni osservandoli uno per uno con molta attenzione: forse fratello Giovanni d’Acri era quello più adatto per aggregasi a lui, perché nonostante fosse giovane aveva già avuto modo di viaggiare molto e conosceva tanti luoghi mentre fratello Placido de Matteis sarebbe stato utile per una missione diplomatica in quanto conosceva molto bene la teologia e si intendeva anche di legge, inoltre era furbo ed intelligente, molto arguto, ed un soggetto del genere gli avrebbe fatto molto comodo per perorare la sua causa: con la sua eloquenza avrebbe trovato argomenti utili per convincere il Santo Padre.
Decise senza alcuna difficoltà che i due sarebbero stati i migliori compagni per quel viaggio, gli altri confratelli erano dei poveretti e dei miti non abituati a vivere al di fuori della preghiera e della contemplazione; sarebbero stati degli agnelli in un branco di lupi affamati.
Nel frattempo la pioggia era aumentata di intensità diventando uno scrosciare violento di acqua, trasformandosi velocemente in un temporale, scaraventando all’interno della grotta quell’odore tipico di umido quando piove.
Piccoli rivoletti d’acqua si insinuavano agili tra le rocce dirigendosi velocemente a valle, crescendo gradatamente di intensità, come se fosssero ruscelli.
Si strinse ancora di più le braccia al petto attenuando i brividi di freddo che gli avevano percorso il corpo.
Un confratello che gli porgeva una scodella in terracotta contenente una zuppa calda di legumi lo richiamò alla realtà.
Lo guardò negli occhi ringraziandolo in silenzio e sempre alla stessa maniera iniziò a sorseggiare il suo misero pasto con un cucchiaio di legno.
Pietro Angelieri o Pietro del Morrone che dir si voglia era un uomo mite, esile e scarno che viveva in povertà e in meditazione. Di fisico minuto con un naso aquilino e due occhi scuri guizzanti e frenetici, sempre alla ricerca di domande e di certezze che nella vita da asceta non aveva ancora avuto e che forse mai ne avrebbe avuto.
All’epoca aveva circa sessant’anni ed il suo declino fisico aveva lentamente iniziato a manifestarsi accentuato e amplificato dalle rinunce e dalle privazioni.
Indicato da tutti come uomo di grande fede e santità, bontà e sapienza, aveva raccolto in tutti quegli anni un folto gruppo di seguaci che si erano accodati al suo credo fatto di miseria, povertà e grande fede, una vita di solitudine trascorsa interamente nella preghiera e nella meditazione, con mille rinunce e sacrifici ma senza rimpianti o rimorsi. Alcuni raccontavano di prodigi e guarigioni e in molti lo consideravano già un santo, vox populi. I suoi seguaci venivano chiamati i frati di Pietro Morrone e seguivano la regola Benedettina, questa congregazione nacque nell’eremo di sant’Onofrio al Morrone, poco lontano.
Molti andavano da lui per chiedere una grazia o una parola di conforto , altri per farsi confessare, qualcuno chiedeva, esagerando, anche un miracolo od una guarigione e più la gente lo cercava più lui si rifugiava nella solitudine e nella meditazione, andando a trovare protezione e rifugio in luoghi sperduti ed inaccessibili agli altri.
Sempre in fuga dalla gente ed alla ricerca spasmodica di Dio.
Aveva deciso che alla sua confraternita spettava una regola e una disciplina e per quel motivo si era mosso tempo addietro creando la dottrina che ricalcava le orme di quella dei benedettini, ed ora era fermamente deciso a recarsi a Lione, sede provvisoria del papato, presso Gregorio X per avere la sua riconferma viste le voci allarmanti riguardo gli ordini, infatti circolava insistentemente da diverso tempo la voce che il Papa aveva intenzione di sopprimere gli ordini di recente nascita e questo fatto lo stava assilando, senza dargli un attimo di tregua.
La congregazione dei figli del Morrone era una sua creatura alla quale aveva dedicato gran parte della sua vita e del suo operato.
Quello era il suo pensiero fisso e opprimente che non gli dava pace e gli toglieva la serenità.
La strada era lunga, molto lunga, un cammino irto di pericoli e di difficoltà ma lui aveva preso la sua decisione e nulla e nessuno avrebbero potuto impedirgli di percorrerla.

A pomeriggio inoltrato aveva smesso di piovere e le nuvole grigie si allontanavano verso sud sospinte dal vento, lasciando ogni tanto alcune schiarite che facevano intravedere chiazze di cielo azzurro.
Pietro uscì fuori della grotta sedendosi su una roccia ancora bagnata dalla pioggia ad osservare il paesaggio, respirando a pieni polmoni quell’aria umida che sapeva di erba tagliata di fresco, forse cercando nella sua mente di concepire con la fantasia il cammino da percorrere immaginandosi il luogo dove si trovava Lione.
Rimase assorto per diverso tempo fantasticando, lo sguardo fisso davanti a se poi, dopo diversi momenti di meditazione, chiamò a se i suoi compagni.
“Giovanni e Placido venite”  senza neanche alzare la voce perché in quel posto il silenzio era quasi un obbligo.
I due accorsero immediatamente sedendosi vicino a lui e aspettando le sue parole.
” Fra pochi giorni ci metteremo in cammino e voi due verrete con me” disse con voce pacata, comunicando loro la sua decisione.
I due annuirono senza fare alcun commento: conoscevano alla perfezione i desideri del loro confratello e non avevano nessuna intenzione di contraddirlo anche perché questo la regola non lo prevedeva.
“Fratello Giovanni tu conosci la strada ?” chiese.
“Dobbiamo dirigerci verso Genova su a nord, seguire il mare, Marsiglia e poi dirigerci verso Lione” rispose lui come se fosse la cosa più scontata e ovvia.
Pietro lo guardò con un sorriso.
” E tradotto in giorni quanto tempo ci vorrà ?”  richiese.
“Non meno di un paio di mesi… forse anche quattro, dipende tuto da quello che incontreremo nel nostro cammino” fu la risposta secca e decisa di fratello Giovanni.
Pietro annuì rimanendo pensieroso.
“Sarà un grande problema, siamo in pieno inverno ed io non sono più un ragazzino e non ho più le forze necessarie per affrontare tanta strada ma comunque questa cosa va fatta; il buon Dio ci aiuterà come ha sempre fatto… con il suo aiuto e con le nostre preghiere.”
“Amen !” risposero in coro i due confratelli.

Era la fine dell’anno 1273 e dopo circa quattro mesi di cammino, di sofferenze e di grandi difficoltà, Pietro del Morrone ed i suoi due sventurati compagni di viaggio riuscirono, dopo aver attraversato l’Italia ed una parte della Francia, ad arrivare finalmente a Lione dove Papa Gregorio X doveva tenere il concilio e forse quella era per Pietro un’occasione unica per fare in modo che il Pontefice riconfermasse la regola dei suoi frati.
Durante il cammino percorso la sua mente aveva immaginato mille discorsi per convincere il Santo Padre, aiutato in queste elucubrazioni da frà Placido, abile nelle disquisizioni e nella dialettica, prodigo di consigli che Pietro ascoltava con molta attenzione cercando di imprimerli nella sua memoria.
Era mattina avanzata quando arrivarono e li accolse una città frenetica in quanto la presenza del Papa e del concistoro aveva provocato l’arrivo di numerosi pellegrini e questuanti fra cui anche Pietro del Morrone.
Si inoltrarono fra un intrico di vie, viuzze e piccole piazze affollate da un viavai di persone che le percorrevano mentre altre si aggregavano a formare gruppi che discutevano animatamente.
Sfiniti e tanto stanchi da non riuscire più a muovere le gambe si fermarono ad osservare la moltitudine di persone che vagava senza sosta per la città come un brulicare di formiche operose, cercando di orientarsi e di capire quale fosse la direzione da prendere per compiere l’ultimo sforzo.
“Con l’aiuto del cielo siamo arrivati !” commentò Pietro guardandosi attorno come per cercare l’orientamento, appoggiandosi stancamente ad una colonna. ” Il buon Dio adesso deve dare un ulteriore dimostrazione di bontà mostrandoci la strada da percorrere.”
“Fratello Pietro … ! Non chiedete più di quello che vi è stato già dato. Domandate ad un passante che mi sembra la cosa più ovvia senza dover scomodare il buon Dio. >> lo ammonì fratello Placido sorridendo con ironia e con affetto per l’ingenuità del confratello.
“Lui lasciatelo in pace per cose più importanti.”
Pietro gli rispose con un sorriso benevolo.
“Mi sembra giusto.” Poi voltandosi verso un passante “ratello, ci sapreste indicare la via per raggiungere la commenda dei templari ?”
Quell’uomo si fermò guardandolo stupito e senza capire.
Fratello Pietro intuì la sua difficoltà nel comprendere la lingua.
“Templari … la casa dei templari !” ripeté scandendo le parole per fare in modo che quello capisse.
L’ uomo sorrise facendo intendere come avesse compreso, indicando poi con una mano una sorta di palazzina bassa circondata da un muro che avevano davanti agli occhi.
“Eccola !” rispose banalmente.
“Il buon Dio ci ha aiutato ! ” commentò Pietro con entusiasmo infantile.
” Il buon Dio sotto le vesti di un passante” aggiunse ironicamente frà Giovanni, divertito anch’esso dall’ingenuità di Pietro mentre fratello Placido osservava sorridente in silenzio; lui non parlava molto ma ascoltava e osservava con attenzione tutto quello che gli si verificava attorno, riservandosi le parole per altre situazioni ben più importanti.
Successivamente frà Giovanni divenne serio.
“Perché ci dobbiamo rivolgere ai templari ?” chiese incuriosito.
Pietro si voltò guardandolo in tralice.
“Ci saranno di grande aiuto. >> disse senza aggiungere altro lasciando i confratelli perplessi e senza risposta.
Senza indugio si diresse, radunando le poche forze che gli erano rimaste, verso la commenda.
Arrivato in prossimità del portone che dava l’accesso al palazzo un templare di guardia gli intimò di fermarsi ma lui non si perse d’animo.
“Sono Pietro del Morrone e devo parlare con il gran maestro. So che è qui a Lione e io devo conferire con lui e da qui non mi muovo. Se volete annunciarmi non credo che mi manderà via” disse con tono deciso ed un cipiglio che non ammetteva replica, rimanendo immobile aspettando una risposta.
Il templare di guardia osservò quella sorta di mendicante con un misto di curiosità e di stupore per tanta arroganza.
Voltò comunque le spalle sparendo dietro il pesante portone.
Pietro rimase immobile ad aspettare.
Il templare riapparve poco dopo.
“Potete entrare” disse “ma i vostri compagni devono aspettare fuori.”
Pietro annuì voltandosi verso i compagni che lo tranquillizzarono con un cenno, invitandolo ad entrare.
Fu accompagnato in una sala dove diversi templari vestiti rigorosamente di bianco con la croce rossa patente che spiccava importante sui loro petti, montavano la guardia e si spostarono al suo passaggio permettendogli di entrare e di attraversarla arrivando ad una porta che fu aperta.
Una stanza spoglia dove solo un tavolo e alcune sedie la arredavano, illuminata dalla luce che filtrava tramite due bifore; non c’erano candele accese e lui fu fatto accomodare in una sedia rimanendo solo.
Dopo qualche momento una piccola porta abilmente camuffata in una parete lignea si aprì e fece la sua comparsa il gran maestro dell’ordine dei templari: Thomas Bérard apparve come un fantasma, vestito con la consueta divisa templare, la palandrana bianca con la croce patente rossa sul petto, al fianco lo stocco da battaglia ad una mano ed un grande mantello candido che lo avvolgeva.
Un uomo possente di circa sessant’anni con i capelli completamente bianchi ed una corta barba dello stesso colore.
Si diresse verso Pietro prendendogli le mani e baciandole in un gesto ossequioso.
All’epoca Pietro del Morrone godeva di grande fama e prestigio nel mondo religioso e veniva considerato quasi un santo e questo giustificava l’approccio riverente del gran maestro del tempio che prendeva ordini solo dal Papa e solo a lui rispondeva delle sue azioni.
Lui rifiutò imbarazzato quell’atto di sottomissione respingendo via con veemenza quella sorta di ossequio.
“Mio caro non sono venuto da molto lontano per essere ossequiato e riverito ma per ben altro e voi sapete a cosa mi riferisco. >> disse il frate fissando il gran maestro negli occhi, senza nessun apparente timore.
Quello prese una sedia sedendosi davanti a lui, invitando Pietro, con un gesto, a fare altrettanto.
“State tranquillo … ho già parlato con il Santo Padre e lui ha detto che nulla osta a che il vostro ordine venga riconfermato con la sua regola. Devo dire che non ho fatto molta fatica a convincerlo soprattutto quando ho fatto il vostro nome. Credo che il Pontefice abbia molta stima di voi. Vi riceverà a breve e riconfermerà l’ordine con una bolla. >> disse quello con grande soddisfazione ed un altrettanto smagliante sorriso, tranquillizzandolo.
Pietro si alzò in piedi così come il gran maestro, il suo viso arrivava a malapena alla spalla del templare, sul volto dipinto un radioso sorriso.
Questa volta fu lui a prendere le mani del gran maestro per baciarle ma quello si ritrasse energicamente rifiutando a gesti, e con disappunto quella sottomissione.
“Dove siete alloggiato ?” chiese cambiando discorso.
“Io ed i miei confratelli siamo arrivati questa mattina e siamo venuti direttamente qua, nel caso dopo circa quattro mesi trascorsi all’aperto non credo che avremo problemi a dormire un’altra notte sotto le stelle” rispose quello candidamente.
Il gran maestro strabuzzò gli occhi.
“Quattro mesi all’aperto ? sotto la pioggia ed al freddo !” esclamò guardandolo con stupore e osservando il suo fisico minuto ma evidentemente molto resistente alla fatica ed alle intemperie, il saio liso e sporco, i piedi insanguinati, pensando tra se quale resistenza e forza di volontà avesse quell’uomo dal fisico gracile ma dotato di grande forza d’animo e testardaggine, sicuramente anche tanta fede per sottoporsi a quelle sofferenze e privazioni, ma da quello che aveva potuto vedere sempre col sorriso sulle labbra.
Pietro annuì sorridendo.
“La mia vita e quella dei miei confratelli è fatta così; noi viviamo in una grotta e ci cibiamo di quello che offre la campagna oppure delle offerte della brava gente che ci fa la carità. Dormiamo sulla nuda terra e ci bagniamo quando piove e se c’è il sole quello ci asciugherà. La divina provvidenza assiste sempre i suoi figli” aggiunse con tanta serenità e innocenza.
“Ma voi non potete vivere all’aperto come delle bestie ! un sant’uomo come voi non può vivere come un vagabondo ! per adesso riposerete qui alla commenda, le celle ci sono ed io non ho nessun problema ad ospitarvi anzi non permetto proprio che andiate a dormire per le campagne o sotto i ponti come dei mendicanti. E non vi azzardate a rifiutare perché non ve lo permetterò !” disse con tono perentorio che non ammetteva nessuna replica ma con un sorriso sulle labbra. “Per adesso rimarrete qua, successivamente andrete ad alloggiare e a riposarvi in un monastero Cistercense poco lontano.”
“La mia vita è fatta di sofferenza e penitenza !” disse quasi giustificandosi.
Successivamente Pietro chinò il capo in segno di assenso e di obbedienza, non si sarebbe mai azzardato di contraddire il gran maestro dell’ordine dei templari, soprattutto colui che gli avrebbe permesso di conferire con il Papa, e che aveva perorato a gran voce la sua causa.
“Dò ordine di far entrare i vostri confratelli per il pranzo” disse aprendo la porta di quella stanza e chiamando a gran voce un templare.
“Fate venire i confratelli di fratello Pietro e accompagnateli nelle cucine e poi fateli riposare” ordinò a quello che immediatamente si mosse per eseguire gli ordini. “Adesso andrete nelle cucine per rifocillarvi e poi vi riposerete; ci rivedremo al pomeriggio” rivolgendosi a lui.
“Ma dopo vi debbo parlare !” aggiunse il frate.
Il gran maestro sorrise accondiscendente.
“Vi illuminerò a tempo debito” disse andando via con un sorriso maligno sul viso che lasciava intendere tante cose.

Al pomeriggio, mentre attendevano nelle cucine, arrivò un templare cercando Pietro.
“Siete voi Pietro del Morrone ?” domandò rivolgendosi a lui che annuì.
“Il gran maestro vi aspetta” comunicò, invitandolo a seguirlo.
Lui si alzò dalla sedia con non poca fatica a causa dei forti dolori alle gambe accingendosi a seguire il cavaliere, imitato dai suoi compagni che si accodarono rispettosamente poco più indietro rispetto a lui.
Fu accompagnato nella cella del gran maestro , al piano superiore, in fondo ad un corridoio deserto e silenzioso dove si aprivano le porte di quelle che dovevano essere le celle degli altri cavalieri.
I suoi compagni furono invitati ad attendere fuori mentre lui fu annunciato.
Il gran maestro si affacciò sulla porta invitandolo con un cenno ad entrare.
Aveva smesso i panni del cavaliere templare per indossare una tonaca scura che più si adattava al momento di riposo.
Pietro entrò nella sua cella con molto rispetto, quasi titubante e incerto.
Con un gesto lo invitò a sedersi mentre lui rimase in piedi di spalle ad una bifora da cui entrava un raggio di sole che lo illuminava mettendolo in risalto la sua figura imponente.
Una stanza semispoglia dove trovava posto un letto molto semplice ed un inginocchiatoio in legno scuro, posto vicino alla finestra, alcune sedie.
<< Bene fratello Pietro, ora che orecchie indiscrete non ci ascoltano possiamo parlare tranquillamente. >> disse iniziando un discorso che si preannunciava abbastanza lungo con Pietro attentissimo alle sue parole, strofinando le sue mani.
<< Io sarò gran maestro ancora per poco perché per motivi di salute e di età avanzata, che mi impediscono di compiere il mio ufficio nella maniera migliore possibile, e soprattutto senza arrecare danno al tempio, sarò costretto a lasciare la mia carica. Il mio successore è un cavaliere più giovane di me, di provata fedeltà al tempio ed al suo ordine e vi posso assicurare già da adesso che anche lui saprà come comportarsi nei vostri confronti. E’ buona abitudine da parte del gran maestro precedente informare il suo successore di tutti i fatti avvenuti all’interno dell’ordine: noti e non noti. Mi sembra di essere stato chiaro su questo argomento ? >> chiese fissando Pietro negli occhi; quello rispose con un cenno affermativo del capo.
Ascoltava con attenzione le parole del templare, le mani giunte e serrate con le dita bianche come quando non arriva il sangue; lo aveva attanagliato un nervosismo che non riusciva a tenere sotto controllo.
“Bene … !”  disse quello iniziando a camminare avanti e indietro per quella piccola cella. “Domani mattina vi accompagnerò in udienza da sua Santità che già vi aspetta con trepidazione; la bolla che autorizza il vostro ordine è già stilata e non resta che renderla ufficiale. Il Pontefice non ha obbiettato in alcuna maniera… anzi se devo essere sincero è rimasto entusiasta e domani non vede l’ora di abbracciarvi e di benedirvi… veniamo al dunque e cioè quello che riguarda noi. Le guerre in terrasanta hanno avuto un termine, le ultime crociate non sono andate secondo i nostri desiderata e dopo aver trovato rifugio in quel di Acri siamo ritornati in terra di Francia e non si prospettano per il nostro ordine tempi felici, anzi il contrario. Il nostro ordine è inviso ai potenti, le nostre ricchezze fanno gola a tutti, e in tanti non vedono l’ora che noi cadiamo in disgrazia per metterci le loro avide mani addosso, come tanti avvoltoi che volteggiano sulle nostre teste. Il tempio possiede delle reliquie di notevole importanza per il mondo cristiano e anche dei volumi di estrema rilevanza storica, oltre che grandi quantità di oro e argento ed ha bisogno di un luogo dove metterli al sicuro da mani indegne e profane. Abbiamo pensato che nelle vostre mani benedette saranno al sicuro come d’altronde anche in altre mani degne quanto le vostre. I consiglieri del tempio hanno stabilito che sarà meglio dividere il nostro tesoro in più parti così saremo certi che non andrà perso o che cada in mani avide e sacrileghe, così frammentato sarà più difficle trovarlo.”
Fratello Pietro lo ascoltava con estrema attenzione senza interferire o obiettare, con gli occhi che seguivano attentamente il gran maestro.
” Il futuro gran maestro, Guillame di Beaujeu è stato già edotto per tempo su quali passi dovrà compiere e al momento opportuno sarà lui a contattarvi. Ora ditemi cosa vi dovrà servire.”
Fratello Pietro lo guardò in silenzio per lungo tempo; i suoi occhi scuri guizzavano frenetici, forse cercando di mettere ordine nei suoi pensieri.
“Voglio una chiesa dove poter ricevere i miei fedeli e dire tante messe. Una Basilica grande dove io farò in modo che vengano conservate in gran segreto le vostre reliquie” disse con occhi carichi di speranza e le braccia spalancate come per volerne indicare le dimensioni.
“E l’avrete! A tempo debito gli architetti del tempio provvederanno e faranno anche in modo che le reliquie vengano conservate per bene e la vostra Basilica avrà dei segni che verranno riconosciuti da chi li saprà leggere. Al tempio non mancano i denari ed i mezzi per costruire quello che volete” disse allargando le braccia come un abbraccio affettuoso, “e voi ne sarete il degno custode. E ricordatevi che l’ordine sarà sempre al vostro fianco” aggiunse infine.
Il viso di Pietro si illuminò di un radioso sorriso, gli occhi illuminati da una luce di speranza.

Capitolo primo

 

Abbazia di Sant’Antimo, inverno 1462

Fratello Baldassarre si soffermò ad osservare con attenzione i colori che aveva appena passato su quel codice miniato aspettando con pazienza che asciugassero. L’incipit era composto da colori sgargianti, dall’oro al rosso e al blù e rappresentava un angelo inginocchiato nell’atto di offrire un fiore, un candido giglio, a qualcuno di cui non si intravedeva il volto, e poi una lettera T color oro e di seguito tutte le parole in nerofumo.
Soffiò appena su quel foglio, con delicatezza come se il suo fiato potesse portar via i colori, cercando di accelerare l’essicamento delle tinte.
Considerò di aver fatto un ottimo lavoro congratulandosi con se stesso per quei colori vivi e smaglianti, ottenuti con un mirabile lavoro fatto di buona volontà e mano ferma, e soprattutto di grande passione per il gusto del bello.
Fratello Baldassarre, monaco benedettino e amanuense.

Giovane di circa trenta anni, ultimo di otto figli di un contadino umbro e destinato, a suo tempo, ad una vita da fame ed ai lavori umili e pesanti della terra.
Da bambino frequentava la chiesa di quel piccolo borgo di campagna dove viveva, appena riusciva a liberarsi dei lavori dei campi ai quali il padre lo costringeva, considerato che la loro era una famiglia numerosa e povera, con tante bocche da sfamare, e dunque nessuno si poteva permettere di oziare o di vivere di fantasticherie. Lui bazzicava assiduamente quel tempio vedendolo come la liberazione da una vita infame e dove si recava per rifugiarsi nei momenti di crisi, soprattutto dopo le violente scudisciate punitive del padre quando non aveva portato a termine il lavoro dei campi. Andava in quel luogo santo appena possibile liberandosi dalle imposizioni di un padre despota contro la sua volontà, costretto alla violenza suo malgrado per le misere condizioni in cui vivevano, rifugiandosi al suo interno, osservando con meraviglia e stupore i dipinti di cui era riccamente addobbata. Aveva provato diverse volte a ripetere, quando ce n’era la possibilità, quegli affreschi riproducendoli quasi esattamente su foglio. Era stato notato da un monaco che lo aveva invogliato e stimolato a studiare disegno, intuendone le capacità e lui aveva capito che prendere i voti sarebbe stata la sua salvezza ed avrebbe così avuto modo di approfondire quella materia che lo entusiasmava e lo affascinava. Non era la fede che lo aveva attanagliato ma il fatto che in quella maniera avrebbe avuto modo di poter studiare e dedicarsi a quell’arte che lo aveva ammaliato, nonostante il parere contrario del padre che avrebbe perso due braccia utili per la campagna ma in compenso avrebbe avuto una bocca in meno da sfamare, e che dunque diede il consenso a che suo figlio potesse andare in convento.
Si dedicò così allo studio, con l’aiuto di fratello Aginulfo, il monaco anziano che lo aveva aiutato ad entrare in convento come oblato, impegnandosi inizialmente nella tabula per imparare le lettere dell’alfabeto e successivamente aveva imparato a leggere con il psalteriolus che conteneva alcune delle preghiere più note come il Pater Noster e l’Ave Maria ed ancora più avanti lo studio del Donato che era un’ importante opera di grammatica del IV secolo, sempre seguito, controllato e invogliato dal monaco anziano che aveva visto in lui un grande talento.
Una volta acquisita la pratica nella lettura e nella scrittura era iniziato lo studio delle arti liberali che lui, essendo dotato di notevole intelligenza e praticità, aveva acquisito senza alcuna difficoltà in tempi rapidi, ma la materia in cui era particolarmente predisposto era il disegno per cui era stato avviato all’arte del pennello ed in quel campo aveva iniziato a mostrare le sue grandi capacità tanto da superare in breve tempo gli amanuensi più anziani che lo guardavano con un misto di ammirazione e invidia, creandosi in poco tempo la fama di abile amanuense richiesto da numerosi monasteri per eseguire lavori impegnativi e rimettere a posto libri antichi danneggiati dall’incuria e dai topi che abbondavano nei cenobi e che trovavano nutrimento in abbondanza in quelle pagine o pergamene che fossero, rosicchiandole e rendendole in certi punti illeggibili.
Aveva così iniziato il suo girovagare per i monasteri del centro Italia, richiamato, di volta in volta, per eseguire lavori complicati tipo scrivere dei codici miniati od il restauro di libri deteriorati da rimettere in sesto, creandosi così nel tempo la fama di grande restauratore.
All’epoca era un giovane monaco che da circa quindici anni aveva preso i voti nell’ordine dei cistercensi e viste le sua qualità pittoriche e la notevole pazienza di cui era dotato aveva imparato in brevissimo tempo l’arte degli amanuensi e dei restauratori di libri dedicandosi con passione a quel nobile lavoro che lo gratificava non poco e che lo stava appassionando in maniera smisurata, facendosi così apprezzare nel mondo amanuense che lo stimava e lo teneva in grande considerazione affidandogli lavori importanti e soprattutto investendolo nel non facile compito di rimettere in sesto libri antichi e preziosi che altrimenti sarebbero andati persi, una fama che stava iniziando ad espandersi oltre i confini di quell’abbazia della campagna umbra e per quel motivo era diventato un amanuense molto ricercato ed itinerante spostandosi da un monastero all’altro, e a cui venivano conferiti incarichi molto importanti e cioè rimettere in sesto libri che altrimenti sarebbero andati persi, sia dal punto di vista storico che culturale.

Di altezza e corporatura media, i capelli neri, quelli rimasti dopo una tonsura che gli cingeva il capo come una corona, gli occhi di un azzurro intensissimo che denotavano molta intelligenza, passione per il suo lavoro ed un’indole buona, ma allo stesso tempo occhi indagatori e avidi di conoscenza e di sapere.
Indossava una tunica bianca con uno scapolare nero di lana grezza come prevedeva la sua regola e che durante le ore di intenso lavoro cercava ovviamente di non macchiare con i suoi colori.

Prese in mano la pergamena che aveva appena terminato rallegrandosi come un bambino per quella splendida miniatura, gli occhi che esprimevano tutta la sua soddisfazione, osservandola con attenzione nei minimi dettagli, avvicinandola alla grossa candela di sego che gli forniva la luce necessaria per svolgere il suo lavoro, un sorriso appena abbozzato indicava il suo appagamento.
L’abbazia di sant’Antimo, nella campagna toscana, non apparteneva al suo ordine ma lui era più che altro un girovago che si spostava di monastero in monastero portando la sua competenza e la sua pazienza nei luoghi dove era necessario, ed in quel posto aveva dimorato per circa un anno dedicandosi ad un paziente lavoro di restauro dei libri della biblioteca.
Era come un cerusico che si spostava di casa in casa per curare i suoi malati che poi nel suo caso erano i libri ed i codici che lui rimetteva in sesto riportandoli a nuova vita e nuovi colori.
Osservò con molta attenzione il suo lavoro appena terminato riponendolo con molta attenzione e cautela in una cartella in cuoio che lasciò sul leggio ligneo.
Aveva appena suonato la campana che avvisava per la cena e tutti i monaci avevano terminato i lavori dirigendosi silenziosamente e ordinatamente verso l’agognato pasto serale e successivamente le preghiere di compieta, infine il meritato riposo notturno.
Tappò senza fretta le boccette che contenevano i colori, ripose le piume d’oca e gli altri attrezzi necessari per il suo compito nell’apposito contenitore, soffiò sulla candela spegnendola.
Chiuse con molta attenzione la porta dello scriptorium dirigendosi con passo lento e misurato, senza ostentare fretta, verso il refettorio attraversando il piccolo corridoio a quell’ora avvolto dalla penombra serotina e che portava alla sala in cui si cenava, dove i monaci si erano già accomodati ai tavoli in rigoroso silenzio, mentre un confratello sul pulpito dava inizio con voce tediosa alla lettura dei brani delle Sacre Scritture.
Prese posto ordinatamente in una grande tavola si segnò e, in silenzio, iniziò la cena composta da zuppa di vegetali, pane ed un pezzo di formaggio di capra mentre la voce noiosa e monotona del monaco lettore rimbalzava petulante nella sala.

Terminata la cena i monaci si alzarono da tavola, con ordine e rigoroso silenzio, non senza aver ringraziato per il pasto serale, alcuni dirigendosi verso il chiostro per una breve pausa prima delle preghiere del vespro, altri verso le loro celle per il meritato riposo.
Anche fratello Baldassarre si diresse verso il chiostro, aveva voglia di prendere una boccata d’aria fresca dopo aver trascorso tutta la giornata chiuso nello scriptorium, immerso nell’acre odore del legno delle scaffalature e dei colori che usava nella scrittura.
Il chiostro si trovava proprio di fronte al refettorio per cui la strada da percorrere era assai breve.
I monaci gli passavano accanto con passo veloce andando a rintanarsi nelle loro piccole celle per il meritato riposo notturno, mentre lui era rilassato e aveva voglia di un po’ di tranquillità.
<< Caro fratello Baldassarre ! un po’ d’aria frizzante è quello che ci vuole ! >>
Quella voce nota lo fece voltare.
<< Fratello Angiolo ! avete proprio ragione, dopo una giornata intera trascorsa nello scriptorium a lume di candela, l’aria fresca della sera ci vuole per ritemprare lo spirito e stimolare il nostro cervello anche se fa discretamente freddo questa sera. >> disse non senza celare una risatina ironica.
Il monaco che gli aveva rivolto la parola era un confratello di mezza età, il viso rubicondo ed un aspetto gioviale e simpatico, un fisico rotondetto che lasciava intravedere una discreta tendenza all’obesità; era il cellerario del monastero ed aveva sul suo viso un’aria perennemente allegra e sorridente.
Sorrise quello, coprendosi il capo con il cappuccio in quanto l’umido della sera calava come una cappa fredda simile alla foschia.
Anche fratello Baldassarre si coprì il capo mettendosi a camminare nel corridoio del chiostro a fianco del confratello.
Alcuni dei monaci passeggiavano col capo coperto ed il libro delle preghiere in mano recitandole sottovoce per non turbare la quiete del luogo e le loro voci erano paragonabili ad un leggero brusio.
Un cielo terso e stellato faceva da cornice a quella passeggiata.
La giornata monacale stava per terminare, la ricreazione volgeva al termine, compieta si avvicinava rapidamente e dopo si sarebbero diretti tutti verso le loro celle per il meritato riposo notturno.
<< Brutti tempi si avvicinano al nostro monastero, nubi buie e tempestose, il priore Ercolano dice che a breve chiuderemo e tutti i monaci verranno trasferiti presso altri cenobi. >> sospirò fratello Angiolo con voce preoccupata, ritornando serio.
<< Ho sentito. >> rispose Baldassarre senza mostrare nessun dispiacere o interesse a quella affermazione, accogliendola senza alcun sentimento, banalmente come se fosse una notizia di cronaca.
<< E voi ? cosa farete ? >> chiese il monaco fissandolo negli occhi, per quello che il buio della sera gli potesse permettere.
<< Io !? >> si voltò a guardarlo, negli occhi uno sguardo interrogativo. << ho quasi terminato il lavoro che mi era stato commissionato e dunque mi trasferirò in un monastero delle Marche dove dovrò fare altri lavori di restauro, sono stato interpellato tempo fa, prima di venire da voi, per un lavoro lungo e impegnativo. Io non ho mai avuto una dimora fissa ma sono un povero monaco itinerante che porta il suo lavoro la dove è necessario e non mi sono mai affezionato alle case in cui ho vissuto perché non ne ho mai avuto il tempo. Comunque per un bel po’ avrò un tetto sulla testa e cibo caldo. Poi si vedrà ! sarà il buon Dio a provvedere alle mie necessità. >>
<< Allora sarà molto difficile che ci rivediamo. >> rispose fratello Angiolo sconsolato, in quei mesi che avevano avuto modo di stare a contatto avevano stabilito una forte amicizia che andava oltre la preghiera e la meditazione.
Si lasciarono con deferenza andando ognuno verso i propri doveri.
Era tanto stanco che decise che compieta avrebbe fatto a meno di lui quella sera, d’altronde in certi casi era esentato dalle funzioni religiose, e stabilì che il meritato riposo lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Si avviò senza fretta verso le scale situate tra la sala capitolare e lo scriptorium e che portavano al piano superiore dove si trovavano le celle dei monaci.
La sua stava in fondo al corridoio che le fiaccole appese ai muri illuminavano di una luce flebile e tremolante, e lui sembrava un fantasma mentre si muoveva nella penombra e nel silenzio rigoroso di quel luogo.
La cella era piccola ed al suo interno trovavano posto un letto, un inginocchiatoio ed un lavabo, poggiato su uno sgabello, una candela accesa che forniva quel po’ di luce necessaria.
Iniziò a spogliarsi con molta calma togliendosi prima la coccolla successivamente la tonaca, poggiandoli ordinatamente sull’inginocchiatoio e rimanendo in brache di tela ed in camicia; con un soffio spense la candela sdraiandosi nel letto e coprendosi con una pesante coperta di lana grezza e follata.
Non prese sonno subito avendo così modo di mettere ordine nei suoi pensieri e nei suoi programmi.
Avrebbe impiegato circa un paio di giorni, forse anche meno, per completare il lavoro e consegnarlo finito e poi con il suo asino ed i suoi pochi bagagli si sarebbe incamminato verso la nuova destinazione ed il nuovo lavoro.
Il sonno, finalmente, mise fine alle sue elucubrazioni notturne.

La mattina successiva, subito dopo il mattutino, si recò nello scriptorium per controllare il lavoro fatto il giorno precedente.
Si congratulò con se stesso per l’opera appena conclusa: i codici miniati erano asciutti ed i colori vivi e sgargianti, indubbiamente un lavoro fatto con criterio e molto bene, con tanta perizia e molta esperienza.
Dopo aver accarezzato e controllato con molta attenzione quelle pergamene, come se fossero dei figli, risistemò il suo lavoro nella cartella in cuoio e si diresse alla ricerca del priore Ercolano che trovò poco dopo nella sala capitolare mentre redarguiva con veemenza il fratello portinario perché, durante la funzione religiosa, aveva lasciato entrare in chiesa alcuni questuanti che avevano disturbato.
Lo lasciò sfogare avvicinandosi successivamente con atteggiamento riverente.
Fratello Ercolano, priore della abbazia di sant’Antimo, alto e grosso più degli altri suoi confratelli, era rosso in viso per l’evidente arrabbiatura che si era appena preso e tardò un momento a calmarsi e a riprendere l’atteggiamento più consono al suo rango, mettendo da parte l’imbarazzo per essere stato colto in quell’atteggiamento.
<< Dovete scusarmi fratello Baldassarre ma il fratello portinario mi ha fatto imbufalire. >> disse con tono dimesso giustificandosi, allargando le braccia sconsolato. << ogni volta si fa impietosire dai questuanti e gli permette di entrare in chiesa durante la funzione per farli stare al caldo e quei poveretti fanno chiasso. La misericordia fa parte della nostra fede ma anche l’educazione soprattutto, cosa mi volevate dire ? >> chiese riprendendo un atteggiamento più rilassato e prendendo sotto braccio fratello Baldassarre invitandolo a camminare, evitando volutamente il disorso precedente.
<< Ho terminato i lavori, è tutto sistemato nelle cartelle e non aspettano altro che la giusta collocazione nella biblioteca. I libri invece sono già ai loro posti negli scaffali. Modestamente penso di aver fatto un buon lavoro. >>
<< Non ho dubbi a proposito, godete di ottima fama come amanuense e devo dire che ve la siete ampiamente meritata. In tutto il periodo che avete dimorato qui da noi avete solo lavorato e basta, senza concedervi pause o distrazioni. Adesso che il vostro lavoro è terminato cosa farete ? >> domandò continuando a camminare.
<< Ho saputo ieri da fratello Angiolo che il monastero è destinato a chiudere e la cosa mi addolora e mi rattrista molto perché questo è un posto meraviglioso. Io adesso mi riposerò per un giorno e poi mi dirigerò verso l’abbazia di Chiaravalle di Fiastra dove c’è un Corpus di Carte Fiastrensi di notevole valore che ha bisogno delle mie cure e devo dire che sono abbastanza in ritardo rispetto alle promesse fatte in precedenza, ed in quel posto probabilmente mi staranno aspettando con ansia, ammesso e non concesso che abbiano perso le speranze di vedermi. >> aggiunse con un sorriso.
<< Avete ragione … il Santo Padre Pio II ha deciso di sopprimere l’abbazia affidandone i beni al vescovo Cinughi e noi come Guglielmiti saremo destinati ad essere inglobati nei benedettini e ritornare alle nostre origini. Pazienza vuol dire che questo era il nostro destino. Sia fatta la volontà del Signore. >> disse con voce carica di malumore e rammarico, gli occhi resi umidi da qualche lacrima mascherata abbastanza abilmente.
Fratello Baldassarre lo abbracciò con affetto e devozione mostrandogli tutto il suo affetto e la sua solidarietà .
<< Partirete quando ? >> domando il priore una volta calmatosi dal momento di commozione.
<< Se nulla osta partirei anche dopo domani mattina, la strada da percorrere è tanta ed io mi devo muovere di monastero in monastero sperando sempre in un clima clemente ed in una benevola accoglienza da parte dei confratelli altrimenti il cielo sarà il mio tetto durante la notte sperando di non incontrare malintenzionati nel mio cammino. >>
Il priore annuì.
<< Allora ci saluteremo quando partirete. >> disse accennando un gesto di saluto e allontanandosi sconsolato e con passo ciondolante verso i propri doveri.

La mattina della partenza, una bella giornata di sole con un discreto tepore che intiepidiva il cenobio e le campagne circostanti, una volta sistemati i suoi pochi bagagli sul dorso del suo asino, rappresentati questi da una cassetta di legno contenente gli attrezzi del mestiere ed una coperta per proteggersi e ripararsi dal freddo , si avviò per salutare coloro che lo avevano ospitato per tutto quel tempo.
Per primo, per dovere di gerarchia, il priore fratello Ercolano visibilmente commosso che lo ringraziò a lungo per lo splendido lavoro effettuato, poi il suo amico fratello Angiolo che non riuscì a nascondere qualche lacrima di dispiacere e poi tutti i colleghi amanuensi e tutte le maestranze del monastero che osservavano sul limitare del monastero il monaco che si incamminava con il suo asino.
Non fu assalito dalla malinconia o dal dispiacere ma piuttosto dalla frenesia di arrivare quanto prima al monastero di Chiaravalle dove avrebbe avuto modo e tempo di leggere e studiare carte e manoscritti che in quel cenobio, appena abbandonato, non aveva potuto. Lo attendevano la cultura, lo studio e le sue passioni e lui si dirigeva entusiasta verso esse.

 

Capitolo secondo

Abbazia di Chiaravalle di Fiastra

A metà mattina riuscì finalmente a staccarsi dal cenobio mettendosi in cammino con il suo asino per dirigersi verso le Marche; la strada da percorrere era lunga e lui non aveva tanta voglia di trascorrere il suo tempo per i camminamenti d’Italia con il brutto tempo che imperversava, d’altronde era pieno inverno e non poteva certamente aspettarsi bel tempo.
Era stato assalito dalla frenesia di recarsi all’abbazia di Chiaravalle di Fiastra per mettersi al lavoro e ammirare i capolavori che la biblioteca di quel luogo possedeva e di cui era venuto a conoscenza. Aveva voglia di sapere e di cultura perché in tutti quegli anni trascorsi a restaurare libri antichi aveva avuto modo di leggere parecchie opere ed aveva acquisito una discreta conoscenza dei classici, dei trattati di filosofia e di teologia che aveva assimilato avidamente come l’assettato beve l’acqua.
Il sapere e la lettura rappresentavano il suo pane quotidiano e la sua ragione di vivere, di altro non si curava; la sua passione principale erano i libri ed il loro contenuto, per il resto e tutto quello che gli ruotava attorno non mostrava alcun interesse.

Arrivò alla abbazia di Chiaravalle poco prima del tramonto, in una
giornata scura e minacciosa di pioggia, dopo aver attraversato una parte degli Appennini ed aver patito il freddo e la fame e lui non vedeva l’ora di mettersi al sicuro preoccupato del maltempo, anche perché in quel periodo aveva camminato per parecchi giorni attraversando una parte della Toscana e dell’Umbria, bagnandosi per la pioggia e subendo con grande difficoltà gli scrosci violenti dell’acqua piovana, trovando rifugio in anfratti rocciosi o sotto le fronde capaci di robusti alberi, soffrendo il freddo e la fame, dormendo sulla nuda terra quando era necessario e soprattutto quando non aveva un riparo od un’accoglienza, patendo le difficoltà ma resistendo con estremo vigore e tanta volontà a tutte le avversità incontrate, trovando nelle sue preghiere la forza e la voglia di continuare il cammino. Bande di cani randagi che avevano cercato di asssalire lui e soprattutto il suo asino per farne carne da macello e lui aveva impiegato non poca fatica per scacciarli; alcuni briganti che pensavano che un povero monaco itinerante portasse con se chissà quali tesori e sudò disperatamente per convincerli del contrario.

La intravide tra la boscaglia che orlava il suo contorno e isolandola dal resto del mondo, creando un piccolo mondo racchiuso dagli alberi, e rimase abbagliato da tanta bellezza: si trattava di un cenobio molto più grande rispetto a tutti quelli che aveva già avuto modo di visitare e rimase immobile per qualche istante ad osservarla, attratto dal profumo dei fiori e delle piante e da quella costruzione protetta da una fitta cortina di alberi.
Dopo qualche momento di ammirazione, estasiato che fissava quel luogo, tirò la cavezza del suo asino rimettendosi in cammino atraverso una stradina in discesa, cercando di arrivare al monastero prima possibile accelerando il suo passo in quanto il tramonto si approssimava e lui non aveva nessuna intenzione di muoversi al buio.
Si pose davanti ai suoi occhi una grande chiesa fatta di mattoni rossi tanto che, pensò tra se, mai ne aveva vista una costruita in quella maniera, un grande rosone sovrastava il portone d’ingresso con una piccola gradinata che portava ad esso e al suo fianco sinistro si trovava tutta una serie di costruzioni sicuramente appartenenti al monastero.
Un cielo stellato accompagnava il suo cammino nella penombra, guidando i suoi passi verso il monastero.
Si mosse in quella direzione cercando il portone d’accesso al cenobio che trovò subito dopo: un grande portale ligneo, di quercia massiccia e di colore scuro che sapeva di antico.
Tirò una catenella collegata ad una campana cercando di non fare troppo chiasso, aspettando pazientemente che qualcuno si appalesasse.
Dopo qualche momento di attesa il portone venne aperto con qualche difficoltà e con un cigolio sinistro. Un monaco si affacciò guardandolo con curiosità e anche con disgusto viste le sue condizioni. In effetti aveva trascorso diverso tempo per le strade e non poteva certo essere presentabile.
<< Sono fratello Baldassarre, sono il monaco amanuense che il vostro abate aspettava. >> disse con modi gentili e rimanendo in silenzio e in attesa.
Quello lo guardò studiandolo, spostandosi poi di lato e invitandolo con un gesto ad entrare.
<< Io sono il fratello portinario, sono fratello Salvatore, potete legare l’asino a quell’anello al muro. >> con voce astiosa, indicandogli un grosso anello di ferro infisso nella parete vicino al portone.
<< provvederò io più tardi a ricoverarlo nella stalla. >> disse senza neanche voltarsi e continuando a camminare.
Baldassare lo guardò stupito, si aspettava ben altra accoglienza ma si sa, la vita dei monaci non porta né ad entusiasmi né a smancerie e forse era arrivato ad un orario non usuale, al termine della giornata monacale, decise dunque di lasciar perdere e seguire quello strano personaggio dopo aver legato l’asino.
<< L’abate non credo che si aspettasse il vostro arrivo, peraltro inaspettato, ed è nella sala capitolare in attesa della cena e delle preghiere serali a cui credo non vorrete mancare. >> disse il portinario senza neanche celare un moto di ironia, continuando a camminare con il suo passo claudicante.
Aveva una bella gobba sul dorso, al lato sinistro della schiena, che portava con molta disinvoltura nonostante il suo passo non fosse dei più celeri.
<< Sarà solo un piacere e un dovere. >> rispose lui con un sorriso ironico appena abbozzato sul viso, osservando da dietro quel buffo monaco.
<< Come inizio non c’è male, mi mancava il monaco acido come una vecchia zitella. >> pensò tra se fratello Baldassarre con tono di disappunto, per quell’accoglienza non desiderata, nervoso perché era sufficientemente stanco dopo aver camminato per lungo tempo e non aveva nessuna intenzione di intavolare discussioni inutili e velleitarie.
Stava già rimpiangendo l’abbazia di sant’Antimo, se quello rappresentava il benvenuto.
L’abate si trovava nella sala capitolare che conferiva con alcuni monaci di varie età, stavano in piedi al centro di quella grande stanza e si voltarono tutti a guardare con curiosità la nuova presenza. Indossavano il saio immacolato dei benedettini.
Una grande sala con i soffitti a botte ed alcune colonne che lo reggevano, un grande camino nel fondo della sala con un fuoco acceso, vigoroso e scoppiettante, diverse panche per sedersi, due bifore intercalate da colonnine fornivano la luce necessaria per quell’ambiente, anche se in quel momento il sole era gia tramontato.
<< Fratello abate … è appena arrivato il fratello amanuense. >> disse il portinario con malgarbo indicando fratello Baldassarre e rivolgendosi a quello che sembrava essere a tutti gli effetti l’abate di quell’abbazia che immediatamente mosse verso di lui, mentre il portinario si dileguava bofonchiando strane parole inconprensibili.
<< Fratello Baldassarre è da tanto che vi attendiamo con ansia, noi ed anche i nostri libri che hanno urgente bisogno della perizia e delle cure delle vostre mani ! >> disse con enfasi e con voce tuonante che eccheggiava nella sala, avvicinandosi per abbracciarlo.
Anche l’amanuense si avvicinò a lui con deferenza e devozione baciandolo sulle guance.
L’abate Ademaro di capelli biondi e anche di grande stazza, vista l’altezza e la corporatura; un fisico imponente che avrebbe buttato giù a spallate una robusta porta di legno di quercia, e due mani che non apparivano benedicenti ma pronte a mollare sonori schiaffoni, al contrario, in contrapposizione al fisico aveva un viso buono e dolce incorniciato da una barbetta anch’essa bionda, gli occhi azzurri del colore del cielo, luminosi e molto espressivi, sempre atteggiato al sorriso.
Si voltò verso i confratelli che erano rimasti in silenzio.
<< Cari fratelli lui è fratello Baldassarre, è l’amanuense che aspettavano con ansia e che ci rimetterà a posto i nostri preziosi libri. >> presentandolo e allo stesso tempo inorgoglito dalla presenza del monaco mostrandolo come se fosse un vanto e gonfiando il suo petto.
I monaci tutti abbassarono il capo in cenno di saluto, cosa che fece anche l’amanuense in risposta, considerando tra se che gli piacevano molto i visi di quei monaci: tutti sorridenti e senza traccia di invidia e altri sentimenti strani. Puliti … ecco, quella era la parola più adatta che gli veniva in mente per descriverli. Il primo impatto era molto positivo: gli piaceva il posto ed i suoi abitanti, tranne il fratello portinario che lo aveva accolto con malgarbo ma se ne fece una ragione e non sarebbe stato certamente uno solo a rovinargli la permanenza.
<< Ma adesso andiamo che è ora di cena e non va bene che l’abate di questa abbazia si presenti in ritardo al desinare. >> invitando e sollecitando, ad ampi gesti, tutti i presenti a dirigersi verso il refettorio.

Il refettorio era una grande sala allungata con delle colonne al centro che reggevano un soffitto a botte con i mattoni rossi a vista, una parte dei monaci già seduti ai loro posti in un grande tavolo posto al centro, che aspettavano in silenzio fratello Ademaro per la cena, mentre il monaco lettore era al suo posto in un pulpito in legno posto in una parete del refettorio, con il libro delle Sacre Scritture già aperto.
L’abate rimase in piedi osservando i monaci che attendevano le sue parole mentre Baldassarre stava rispettosamente poco dietro di lui.
<< Cari fratelli … >> iniziò a parlare con voce impostata richiamando l’attenzione dei monaci. << è con estremo piacere che vi comunico che è finalmente arrivato il monaco amanuense, fratello Baldassarre. >> disse indicandolo ai monaci che ancora non lo avevano visto e lui rispose con un leggero inchino in segno di saluto.
<< Potremo infine affidare alle sue preziose e sapienti mani i nostri libri antichi da restaurare e la nostra libreria tornerà a splendere come una volta, e nel caso potrà anche insegnare ai nostri poveri amanuensi o perlomeno. >> aggiunse non senza nascondere un moto di disappunto. << a quei nostri confratelli, che impiegano tutta la loro buona volontà per tenere in piedi la nostra biblioteca, le tecniche ed i metodi per poter eseguire i codici miniati o altro. Molti avranno modo di imparare le sue tecniche e di apprendere molto. Sarà un ospite gradito ed un maestro che ci insegnerà tanto. >> disse invitandolo a prendere posto alla tavola e dopo che Baldassarre si sedette tra due monaci impartì la benedizione al cibo e da quel momento i monaci poterono gustare la cena mentre il monaco lettore leggeva le Scritture a voce alta ed alcuni monaci servivano il pasto.
Baldassarre si sedette al posto indicatogli, in silenzio e con molta circospezione trovandosi in un ambiente nuovo; osservava , cercando di non farsi notare, i monaci che stavano seduti in silenzio a quella lunga tavolata dove a capotavola si trovava l’abate Ademaro che tra un boccone e l’altro lo guardava di sottechi, a sua volta studiandolo con curiosità.
Era rimasto un tantino perplesso e disorientato in quanto non si aspettava un amanuense così giovane ma comunque la sua fama che lo precedeva, faceva tacere ogni discussione e ogni diffidenza riguardo l’età.
Al suo posto la solita zuppa di legumi con del pane raffermo, formaggio, una mela ed un bicchiere di vino annacquato, il pasto serale consueto dei monasteri.

Terminata la cena il priore si alzò non senza aver benedetto prima i presenti, avvicinandosi a fratello Baldassarre che si accostò a lui con molta deferenza in attesa di nuove comunicazioni.
<< Suppongo che siate stanco dal lungo viaggio e per questo motivo siete esentato da compieta … adesso faccio chiamare il fratello cellario che vi assegnerà una cella per poter riposare. Domani verrete accompagnato alla biblioteca ed allo scriptorium dove vi verranno mostrati i libri e tutto il resto.>>
<< Le mie povere ossa possono aspettare, preferirei attendere alla liturgia con i miei nuovi confratelli in modo da potermi ricordare i loro visi e svolgere i miei santi doveri di monaco. >> disse con voce limpida e chiara facendo intendere come non fosse stanco e avesse immediatamente voglia di rientrare nella vita monastica dopo diversi giorni di assenza. Non voleva dare di se stesso un’immagine non veritiera ma bensì far vedere a tutti che era volenteroso e pieno di voglia di fare, nonostante fosse a pezzi e si stesse addormentando in piedi come un cavallo.
L’abate sorrise accondiscendente e soddisfatto, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
Il primo approccio con quel monaco era stato molto positivo e spesso è sempre la prima impressione quella che conta.
Si formò una lunga fila di monaci a due a due che, al seguito di fratello Ademaro, si diresse ordinatamente in preghiera e a passo lento verso la chiesa.
Uscirono dal refettorio dirigendosi sulla destra camminando sotto il portico del chiostro, quindi voltarono a sinistra arrivando ad una porticina che immetteva nella chiesa dove i monaci, che erano in numero di venti, e dopo averla attraversata si diressero verso il coro ligneo che stava dietro l’altare principale, disponendosi ordinatamente sugli scranni.
Osservò con molta attenzione quella chiesa molto più grande di quella dell’abbazia di sant’Antimo scoprendo un mondo nuovo dove le chiese avevano un’architettura diversa da quella delle altre strutture religiose che aveva avuto modo di frequentare fino a quel giorno: molto più monumentale e ricca di arredi e illustrazioni sacre rispetto alle altre. La osservò con molta attenzione nonostante la luce delle candele non la illuminasse convenientemente, ma soprattutto fu colpito dagli affreschi che arricchivano le pareti, sicuramente opera di qualche maestro del luogo dotato di buona mano e di evidente buon gusto.
Si soffermò ad ammirare quei dipinti riguardanti alcune scene della Sacra Bibbia non senza trattenere un moto di meraviglia, rimanendo estasiato da quella visione.
Il primo cantore, che era il maestro della liturgia, intonò un salmo e immediatamente tutti i monaci si misero a cantare mentre l’abate, seduto al centro del coro stava a testa bassa, in preghiera.

Terminata la funzione religiosa i monaci, come tanti fantasmi silenziosi, si diressero ordinatamente verso le loro celle per il meritato riposo notturno.
Fratello Baldassarre si avvicinò all’abate che intuì immediatamente le sue richieste.
<< Vi faccio immediatamente accompagnare alla vostra cella. >> disse subito rassicurandolo e voltandosi verso un confratello poco distante, un giovane monaco che si vedeva che aveva preso i voti da poco. Di modi molto fini ed educati, una tonsura scura fatta ad arte ed una barbetta recente ben tenuta.
<< Fratello Agostino volete avere la compiacenza di accompagnare fratello Baldassarre alla sua cella, indicandogli la strada ? >>
Quello rispose solerte con un cenno del capo invitando l’amanuense a seguirlo.
Lui fece un cenno di saluto all’abate che corrispose, accingendosi a seguire la sua guida.
Il monaco si incamminò per i muti corridoi illuminati dalla luce fioca delle fiaccole appese ai muri; si diresse verso il refettorio ma prima di arrivarci svoltò a sinistra infilandosi in un angusto corridoio che portava alle scale strette che portavano ai piani superiori.
Si trovarono al piano superiore in un altro lungo corridoio dove si aprivano numerose porte tutte uguali che erano quelle che portavano alle celle dei monaci. Nel fondo del corridoio una grande bifora da dove filtrava il chiarore lunare.
A metà si fermò aprendone una con una chiave e invitando Baldassarre ad entrare, prese una fiaccola dal muro e con quella illuminò la cella che avrebbe occupato per tutto il periodo in cui avrebbe dimorato in quel monastero.
L’amanuense entrò prendendo la torcia che quello gli porgeva assieme alla chiave mentre il confratello, dopo un breve cenno di saluto, andò via lasciandolo solo.
Chiuse la porta, appese la fiaccola al muro nell’apposito gancio e controllò la sua cella: era molto piccola, vi era solo un lettino, una sedia ed uno sgabello dove era poggiato un bacile con l’acqua.
Una piccola finestra avrebbe fornito la luce diurna e l’aria necessaria.
Il confratello era già andato via per cui non riuscì a chiedergli le informazioni necessarie per i suoi eventuali bisogni fisiologici notturni ma se ne fece una ragione, avrebbe avuto modo di conoscere il monastero di giorno e con l’aiuto di qualcuno.
Controllò il guanciale e la coperta, il pagliericcio era abbastanza morbido e anche pulito, probabilmente la cella era stata approntata in previsione del suo arrivo.
Era molto soddisfatto di quel monastero, di primo impatto gli aveva fatto un’ottima impressione soprattutto i suoi abitanti, anche la cella era abbastanza confortevole, molto più di quella dell’abbazia di Sant’Antimo.
Con molta calma si spogliò levandosi la cocolla ma rimase un momento interdetto, qualcosa gli sfuggiva e non capiva cosa.
Ebbe un lampo che gli attraversò la testa … la sua cassetta degli attrezzi era rimasta sul dorso dell’asino e lui come uno stolto, preso dall’euforia dell’arrivo, l’aveva lasciata stupidamente li, quasi abbandonata.
I suoi preziosi strumenti di lavoro abbandonati !
Si rimise velocemente la cocolla, prese la fiaccola e, cercando di ricordarsi la strada, si diresse alla ricerca del monaco portinario.
La sua memoria visiva gli permise di arrivare in breve tempo all’ingresso mentre il silenzio e la solitudine avevano avvolto il monastero come una cappa.
<< Dove state andando a quest’ora e senza il permesso dell’abate ? >> una voce petulante e arrogante interruppe il silenzio di quel posto.
Baldassarre sobbalzò voltandosi a scoprire a chi appartenesse quella voce anche se aveva intuito già di chi si trattasse.
<< Ho lasciato la mia cassetta degli strumenti sul dorso dell’asino e non vorrei che sparissero. >> disse cercando di scusarsi, balbettando nonostante non fosse sua abitudine, in quanto quel monaco gli incuteva tanta soggezione.
Il portinario lo guardò male.
<< Venite. >> gli disse con malgarbo, voltandosi di spalle e incamminandosi. << qui non ruba nessuno … ! tantomeno i nostri monaci ! >> disse con tono di rimprovero guardandolo male.
Baldassarre lo seguì all’interno di una stanzetta che probabilmente era il suo rifugio, intuendo come il monaco non avesse compreso che lui non aveva intenzione di accusare qualcuno, ma decise di soprassedere.
<< Prendetela ! >> gli intimò con malgarbo, indicando la sua cassetta poggiata per terra.
L’amanuense si chinò afferrandola per le maniglie , bofonchiando una sorta di ringraziamento e di scuse, a passi veloci si diresse a rifugiarsi nella sua cella dandosi dello stolto.
<< Non gli piaccio a quel monaco, non gli piaccio proprio. >> commentò tra se sistemando la cassetta in angolo della cella e contento per averla recuperata senza difficoltà, adombrato per quello strano comportamento che non capiva e non giustificava.
Finalmente riuscì a sdraiarsi sul suo letto e concedersi il meritato riposo russando clamorosamente poco dopo.
La stanchezza accumulata in tutti quei giorni trascorsi all’addiaccio, camminando sotto le intemperie e dormendo sulla nuda terra quando non trovava altro rifugio, si era manifestata di colpo e lui era crollato inesorabilmente, mettendo da parte i malumori e russando rumorosamente nel silenzio ostinato del cenobio.

Capitolo terzo

Lavoro in Biblioteca

La mattina successiva poco prima del mattutino, fresco e riposato, si diresse verso il refettorio per la colazione, titubante e indeciso come tutte le persone che si ritrovano in un luogo a loro sconosciuto mostrando le insicurezze nel prendere confidenza con i suoi abitanti.
In maniera discreta e deferente si avvicinò al grande tavolo poggiato in una parete del refettorio, alcuni monaci erano seduti che discutevano tra loro sottovoce, lo osservarono per un momento accennando un saluto e riprendendo poi i loro discorsi senza più degnarlo di uno sguardo.
Il refettorio era quasi deserto e suppose, giustamente, che gli altri monaci dovessero essere ancora in chiesa per il mattutino, si diresse dunque in quella direzione avendone ormai memorizzato il percorso.
In effetti quasi tutti i monaci si trovavano nella chiesa per le preghiere di prima mattina, disposti ordinatamente nel coro ligneo, intenti nelle orazioni.
Si segnò e si diresse verso una panca per sedersi, aspettando che terminasse la funzione recitando sottovoce le preghiere del mattino.
Una volta terminata questa, con i monaci che, recitando le orazioni, si dirigevano fuori dalla chiesa per i loro doveri, si alzò in piedi aspettando che l’abate si liberasse.
<< Fratello Baldassarre … ! >> esclamò quello andandogli incontro a braccia aperte. << siete pronto per il vostro nuovo e importante compito ? >> domandò con enfasi, galvanizzato da quella presenza che prometteva chissà quali mirabilia.
L’amanuense abbassò il capo come se fosse un cenno affermativo.
<< Non vedo l’ora di mettermi immediatamente al lavoro e avere il piacere di ammirare i capolavori che detenete in questo cenobio. >>
Mentre parlava teneva le mani giunte come se fosse un atteggiamento di sottomissione e molto rispetto.
<< Venite ! >> rispose quello. << vi farò accompagnare alla biblioteca ed allo scriptorium così avrete modo di parlare con chi se ne intende più di me e vi darà tutte le delucidazioni necessarie e cominciare a prendere confidenza con il luogo. >> ponendogli affettuosamente un braccio su una spalla. << da voi ci aspettiamo molto, sapete in questo sacro luogo sono custoditi testi antichi di notevole valore sia storico che religioso e sarebbe una grande disgrazia se venissero persi, che danno incalcolabile per la nostra storia e per il nostro monastero ! >> disse con il viso corrucciato alzando un pochino il tono della voce. << fratello Agostino ! >> chiamò il giovane monaco della sera precedente che arrivò immediatamente mettendosi a disposizione dell’abate.
<< Accompagnate fratello Baldassarre alla biblioteca e presentatelo ai confratelli. >> disse con tono perentorio.
Il monaco gli fece cenno di seguirlo.
Si diressero verso la biblioteca che si trovava poco oltre il refettorio, quasi di fronte.
Una lunga sala con al centro le colonne che reggevano il soffitto a botte. Le pareti rivestite completamente dalle librerie di legno scuro e che arrivavano fino alla volta.
Un forte odore di stantio aggredì le sue narici e istintivamente si voltò per cercare una finestra da aprire per cambiare l’aria, ma lasciò perdere.
La sua attenzione di rivolse ai libri che erano, osservò con dispiacere, in parte ammassati alla rinfusa e in parte disposti ordinatamente e ad una prima rapida occhiata non gli sembrava che in quel posto ci fosse molto ordine.
Entrando in quel luogo Baldassarre rimase un momento interdetto: la sala era grande, le librerie alle pareti ricolme di libri ma agli scranni vi erano solo due monaci indaffarati a scrivere svogliatamente su alcuni fogli. Due monaci che si vedeva da lontano facevano quel lavoro per obbligo e non per passione, vista l’intensità con cui si dedicavano agli incipit: svogliatamente, senza entusiasmo e la mano che teneva la piuma che scorreva molto lentamente, quasi per inerzia, il tutto con fare molto annoiato.
Si avvicinò osservandoli distrattamente cercando di non far notare la sua occhiata di dissenso.
<< Fratelli … ! >> fece il monaco Agostino richiamando la loro attenzione. << lui è fratello Baldassarre, è l’amanuense che aspettavamo. >> disse con voce nasina.
I due monaci si voltarono osservandolo con curiosità, riconoscendo il volto visto la sera precedente alla cena.
<< Benvenuto. >> dissero in coro.
<< Era ora ! >> aggiunse poi uno dei due sottovoce.
Nei loro visi un cenno di speranza perché in lui vedevano una sorta di liberazione dal gravoso compito che li stava accompagnando e che svolgevano senza entusiasmo o particolare passione e lo si intuiva ampiamente dai loro visi che non mostravano alcun impeto.
<< Finalmente qualcuno che ci darà una grande mano in questo lavoro che non vede mai la fine. >> disse sbuffando e poggiando la piuma uno dei due che era fratello Anselmo, il più giovane e che, anche se stava seduto, si vedeva da lontano che era alto e magro, con un lungo naso aquilino che quasi gli entrava dentro la bocca.
L’altro monaco, fratello Julius, annuiva in silenzio; più piccolo del confratello ma molto più rotondetto e più anziano, con due occhi neri vispi e vivaci, espressione di grande serenità.
Baldassarre li guardò con curiosità.
<< Ma siete solo voi due che portate avanti il lavoro ? >> chiese meravigliato non vedendo altri amanuensi attorno.
Fratello Anselmo annuì.
<< Siamo solo noi due … purtroppo, ed il lavoro da fare è tanto e noi da soli non ce la facciamo e non siamo neanche tanto esperti e pratici, sappiamo solo scrivere e leggere; ci sarebbe anche fratello Joaquin che è un monaco spagnolo molto anziano e non ce la fa più, la sua vista non gli permette più di scrivere e di leggere. Lui rappresenta la memoria di tutti noi perché si ricorda benissimo di tutti i libri che ha restaurato e che ha letto e ci aiuta in quello, nella loro sistemazione ed il loro contenuto, ma poveretto altro non può fare. >> disse sconsolato allargando le braccia mentre fratello Julius annuiva mestamente. << è vecchio, non vede bene e non ce la fa più. >> aggiunse.
Il rumore ritmico di un bastone che picchiava per terra ed eccheggiava nel corridoio richiamò la loro attenzione e si voltarono tutti in direzione della porta.
<< Ecco fratello Joaquin, fate attenzione perché è molto permaloso e burbero, e si offende facilmente. >> disse fratello Anselmo sottovoce per non farsi sentire mentre, nel frattempo fratello Agostino si era eclissato rapidamente.
<< Badate che ho sentito molto bene, la mia vista non mi aiuta più ma le mie orecchie funzionano ancora molto bene nonostante l’età. Badate a voi ! >> urlò quello battendo il bastone per terra, entrando nello scriptorium. << anime dannate ! >> aggiunse con un ghigno.
Fratello Anselmo incassò la testa fra le spalle con una smorfia sul viso mentre fratello Julius riusciva a stento a trattenere una risata voltandosi di spalle per non farsi notare.
<< Voi chi siete ? >> domandò a Baldassarre puntandogli il suo bastone contro, con fare minaccioso, evidentemente non lo aveva visto la sera precedente durante la presentazione, probabilmente perché non era presente, anche Baldassarre non si ricordava di lui.
Quello fece un passò indietro osservando il bastone in maniera preoccupata.
<< Io sono fratello Baldassarre e sono l’amanuense chiamato dall’abate. >> disse osservando il monaco che lo aveva quasi aggredito e che non aveva avuto modo di vedere la sera prima.
Era un monaco abbastanza anziano e piccolo di statura, curvo in avanti per il peso degli anni, una tonsura bianca gli cingeva il capo ed allo stesso tempo aveva una barba bianca incolta, occhi piccoli, neri e cisposi ma molto attenti anche se si vedeva che erano occhi ormai spenti, sopracciglia bianche e spinose, grandi e marcate rughe che gli attraversavano il viso e la pelle avvizzita dal tempo.
Osservò la sue mani che sicuramente avevano lavorato tanto e che portavano i segni della sofferenza, dita ossute e nodose che parevano artigli.
Si vedeva che la vista l’aveva ancora perché si muoveva con disinvoltura, forse perché conosceva il luogo e riusciva ad orientarsi e che il bastone serviva solo per sorreggersi durante il cammino probabilmente a causa di vecchi reumatismi.
Si avvicinò squadrandolo per bene da capo a piedi.
<< Un amanuense ? così giovane ? >> fissandolo con sospetto e studiandolo nell’aspetto.
Baldassarre annuì cercando di avere il massimo rispetto per quel confratello anziano.
<< Beato voi, giovane e con una vista aguzza, quella che ormai manca a me. >> disse sedendosi stancamente in uno scranno, sospirando.
<< Ci voleva uno come voi, se siete bravo come riportano molte voci lusinghiere nei vostri confronti e non come quei due sfaticati che per scrivere una pagina ci impiegano una vita. Ce ne vorrebbero altri come voi e tutto il lavoro di questa biblioteca sarebbe terminato in poco tempo ma a questi due asini non si possono chiedere miracoli. Questi due stolti trascorrerebbero tutto il loro tempo a mangiare ed a gozzovigliare. Vigliacchi ! >>  fece alzando la voce e mimando un colpo di bastone in testa a quello che era più vicino e cioè fratello Julius che, nonostante la corporatura, spiccò un gran balzo per portarsi fuori distanza dal bastone.
A Baldassarre non sfuggì una risatina ironica nell’assistere a quella scena.
<< Avete poco da ridere voi, quei due non hanno voglia di fare nulla e speriamo che con il vostro arrivo le cose migliorino e riusciate a trasfondere in questi due disgraziati un po’ di voglia di lavorare e di passione così che questa biblioteca torni a splendere come una volta. >> smise di parlare per un momento cercando di ricordare tempi passati di cui portava la memoria nel suo cuore. << i libri sono la cosa più grande e meravigliosa che possa esistere; essi rappresentano la nostra storia, la nostra vita, la cultura e l’arte. Voi sapete benissimo cosa c’è dietro il lavoro di un libro e la fatica di chi lo scrive. Avete sentito parlare di quella strana macchina che ha inventato quel tedesco che fa i libri ? ma cose dell’altro mondo, una macchina che fabbrica libri … cose da matti, figli del diavolo e della stregoneria ! >> alzando la voce. << come faranno a sostituire l’odore dell’inchiostro, lo sfrusciare delle pagine che vengono scorse con attenzione e delicatezza, l’odore della carta. Vogliono distruggere il nostro lavoro, quello che noi abbiamo fatto in altri tempi e facciamo ancora con grande passione e senso estetico. >> disse segnandosi nervosamente. <<come farà una macchina a sostituire i nostri sentimenti. Un attrezzo che non conosce l’arte del bello e la passione di un amanuense e neanche la sensibilità ! >> quasi urlò le ultime parole avvinto da una sorta di disperazione. << che tempi ! >> sospirando.
<< Si … in effetti ne ho sentito parlare.>> rispose lui. << mi sembra che si chiami tale Gutemberg ed ha stampato credo una Bibbia ma non ne sono sicuro perché sono solo voci ed ancora non ne ho visto una copia, forse sono solo dicerie, per adesso il nostro lavoro rimane unico e insostituibile, non credo che una macchina possa sostituire la testa e le mani, la sensibilità e l’abilità di un amanuense, mi sembra molto improbabile. >> scuotendo la testa.
<< Tutto è possibile a questo mondo… tutto ! >> disse sconsolato il monaco alzandosi dalla sedia con fatica. << non mi regge questo ginocchio. >> lamentandosi ed andando via col suo passo claudicante.
<< E’ stravagante ma è un brav’uomo, non farebbe del male ad una mosca. >> disse fratello Anselmo rivolgendosi a Baldassarre una volta che il monaco fu uscito dalla biblioteca.
<< Si vede >> fu la sua risposta << e si vede anche che è un monaco di grande cultura e sensibilità, innamorato dei libri >> Rimase qualche momento sovrappensiero. << bene… continuate il vostro lavoro che io do uno sguardo alla libreria per vedere la qualità dei libri presenti e poi con calma vedremo assieme i lavori da fare ma ho l’impressione che ci sarà tanto da lavorare >> dirigendosi verso le scaffalature che contenevano i libri, osservandoli sconsolato.
Trascorse la mattinata controllando i libri uno per uno, levandoli dallo scaffale e osservandoli con molta attenzione, controllando e verificando i difetti ed eventuali lesioni e di conseguenza il lavoro da fare.
E di quello ce n’era tanto, se ne era reso conto dopo un’attenta occhiata.
Quando suonò la campana dell’Angelus per il pranzo, lasciò suo malgrado il lavoro per dirigersi al refettorio, la testa china affollata da mille pensieri mentre gli altri monaci gli passavano affianco dirigendosi velocemente verso il pasto.
Tutti i monaci erano seduti ordinatamente ai loro posti e lui si sedette in quello occupato la sera precedente. Diede un’occhiata attorno a se cercando i pochi visi noti che conosceva.
Vide fratello Agostino e poi i due presunti amanuensi, fratello Joaquin seduto in disparte che parlava da solo accovacciato nella sua sedia, il fratello portinario sempre imbronciato che borbottava qualcosa e l’abate a capotavola che gli sorrideva e poi tutti gli altri monaci che ancora non aveva avuto modo di conoscere.
Il fratello lettore che dal pulpito leggeva le Scritture.

Terminato il pranzo l’abate gli fece cenno di avvicinarsi.
<< Venite con me, andiamo a fare due passi nel chiostro così mi racconterete le vostre impressioni sulla biblioteca. >>
Baldassarre fece un cenno di consenso avviandosi con lui.
Uscirono all’aperto camminando sotto il porticato a passi lenti, uno di fianco all’altro.
<< Come avete trovato la biblioteca ? >> domandò l’abate guardandosi attorno, osservando gli altri monaci che si dirigevano verso le varie mansioni.
Baldassarre fece una smorfia neanche tanto nascosta.
<< C’è molto da lavorare … tanto ! quei due monaci da soli non ce la fanno, forse non hanno neanche la preparazione sufficiente e fratello Joaquin che avrebbe gli anni e l’esperienza necessaria è troppo vecchio per quel genere di lavoro. Ai due confratelli manca l’ardore e la passione, si vede che lo fanno per dovere ma non hanno il sacro fuoco dentro che li spinge a svolgere il loro mestiere con lo spirito e la voglia necessari affinché venga compiuto un discreto lavoro. Comunque ho visto dei trattati veramente notevoli e di grande valore nella libreria, molti purtroppo sono deteriorati ma comunque possono essere recuperati, ci vorrà un lungo lavoro e molta pazienza. Ho avuto modo di vedere un bellissimo testo di Caio Plinio, il De Naturali Historia e poi tante biografie e testi di preghiera e anche alcuni testi di canti gregoriani. Tante meraviglie che andranno restaurate con pazienza e molto tempo. Piuttosto … volevo chiedervi… non ho visto le famose Carte Fiastrensi. Ne ho sempre sentito parlare come di un’opera mirabile ma non v’è traccia nella libreria. >> domandò con molta discrezione.
L’abate sorrise.
<< Ah …! quelle sono ben conservate. Le ha in custodia fratello Joaquin, ha una sorta di venerazione per quelle carte e le tiene al sicuro nella sua cella in un armadio chiuso a chiave che solo lui detiene ed è difficile che le dia a qualcun altro. Ha terrore dei topi e dei vari scarafaggi che abbondano nello scriptorium e le tiene sotto chiave controllandole tutti i giorni come se fossero dei figli. >>
<< E che argomento trattano queste famose carte ? >> chiese sempre con la massima discrezione, cercando volutamente di non essere troppo invadente.
<< Si tratta di migliaia di pergamene che raccontano la storia di questo monastero e sono state vergate dai numerosi amanuensi che sono transitati da queste parti. Se le vorrete vedere dovrete diventare molto amico dello spagnolo perché è parecchio geloso di quelle carte e non permette a nessuno di leggerle. >> lo ammonì l’abate divertito.
Baldassarre annuì pensieroso, non che la questione delle carte fosse della massima priorità, più che altro curiosità professionale e culturale utile per migliorare il suo lavoro e prendere spunti per i lavori futuri ma sicuramente non si sarebbe ammalato per quello, già aveva numerosi pensieri per la testa per come organizzare il lavoro partendo dal presupposto che quei due sfaticati non avevano voglia di far niente, e lui si sarebbe dovuto sobbarcare tutto il lavoro, ma la cosa non lo preoccupava e non lo affliggeva, di tempo ne avrebbe avuto a sufficienza. Ancora non aveva stabilito per quanto avrebbe dovuto rimanere in quel cenobio, ma per il momento non aveva nessuna fretta di andare via e di sicuro i monaci non lo avrebbero cacciato. Pensava, giustamente, che quella sarebbe potuta diventare una sua dimora stabile.
In cuor suo stava cominciando a pentirsi di trovarsi in quel posto ma d’altronde non si poteva lamentare perché quello era il suo lavoro e la sua grande passione e non poteva certamente tirarsi indietro, mille pensieri contradditori affollavano la sua mente.
Avrebbe comunque trovato la soluzione col tempo.
Dopo essersi accomiatato dall’abate si diresse verso lo scritporium per cominciare ad organizzare il lavoro da fare, ma prima si recò alla sua cella per prendere la cassetta degli attrezzi.

Trovò i due confratelli abbastanza concentrati sul lavoro da fare: ognuno seduto ad uno scranno con vicino una grossa candela di sego che forniva la luce necessaria per svolgere il loro lavoro. Stavano ripassando i colori in alcuni codici miniati e forse volevano far vedere al nuovo arrivato e maestro che erano dotati di buona volontà e voglia di fare.
<< Pace e bene a tutti cari fratelli. >> disse entrando nella biblioteca.
<< bene vedo che siete già al lavoro ! >> esclamò compiaciuto sfregandosi le mani.
I due si voltarono a guardarlo, rispondendo al suo saluto.
Lui si avvicinò agli scranni osservando il lavoro effettuato.
Una rapida occhiata da sguardo esperto, un cenno di assenso come per invogliarli a continuare, dirigendosi poi verso le scaffalature per controllare alcuni libri in condizioni non buone.
Ne prese uno constatando che era stato rosicchiato da qualche bestiolina in un angolo. Lo mise da parte poi ne prese un altro ancora che aveva un paio di pagine strappate e mise da parte anche quello.
Da quei volumi sarebbe iniziato il suo lavoro.
Li mise sottobraccio e si diresse verso uno scranno prossimo ad una grande bifora dove accese una grossa candela per avere più luce iniziando così il suo lavoro.
Poggiò delicatamente il libro sul piano in legno come se si trattasse di un oggetto estremamente delicato, cominciando a voltare le pagine molto lentamente per contare quante ne fossero state erose dai denti dei topolini; in tutto una decina, fece una smorfia come di disgusto ed un cenno di diniego col capo. Lo addolorava il vedere quelle pagine erose e morsicate. Si voltò alla ricerca della sua cassetta con gli attrezzi necessari per quel lavoro, stava per terra vicina allo scranno e senza alzarsi allungò una mano aprendola e prendendo un coltellino molto affilato.
Con quello cominciò a raschiare la carta eliminando i brandelli grossolani rifinendola poi con delle minute cesoie cercando di avere margini più netti ai quali avrebbe successivamente incollato un pezzo nuovo di pergamena. Ricopiò su un’altra pergamena le parole che sarebbero state eliminate per poterle trascrivere su quella nuova una volta terminato il lavoro.
Delimitò in questa maniera la parte morsicata rendendo la parte meno frastagliata e più netta, prese poi una vecchia pergamena che teneva nella sua scatola controllò le misure tagliando con delle cesoie un pezzo che ben si adattava alla parte rimasta, la tagliò incollandola successivamente alla vecchia con una colla particolare che si portava appresso, pressandola in seguito.
Attese che la colla asciugasse e poi prese una piuma d’oca ed i suoi colori iniziando a riportare con estrema precisione le parole mancanti e si fermò solo a lavoro ultimato aspettando che l’inchiostro asciugasse.
Preso dalla concentrazione del lavoro non si era accorto che i due monaci avevano smesso di lavorare osservandolo attentamente e si erano avvicinati silenziosamente a lui scrutando il suo lavoro.
Osservarono con molta attenzione ed un po’ di invidia le mani di Baldassarre che con perizia e abilità scorrevano veloci sulla carta tracciando i caratteri e rimettendo a posto, in breve tempo, i danni provocati dalle bestioline.
Non trascorse molto tempo che la pagina era ritornata alle caratteristiche originali come se non fosse stata mai danneggiata.
I due erano a rimasti a bocca aperta per tale abilità manuale.
In breve tempo Baldassarre aveva rimesso a posto diversi libri e osservava compiaciuto il lavoro portato a termine.
<< Bisogna farlo vedere a fratello Joaquin ! >> esclamò commentando fratello Anselmo mentre fratello Julius assentiva continuando ad osservare quel foglio.
<< Cosa debbo vedere ? >> il rumore del bastone e quell’urlo simile ad un ruggito li fecero sobbalzare.
Fratello Joaquin era entrato nella biblioteca e loro non si erano resi conto del suo arrivo.
<< Il lavoro che fratello Baldassarre ha appena terminato. In poco tempo e con grande perizia ha rimesso a nuovo già un libro. Guardate che meraviglia. >> commentarono i due monaci invitandolo a gesti ad osservare il lavoro appena compiuto.
<< Mmmmm ! >> fratello Joaquin afferrò il libro avvicinandolo ai suoi occhi spenti per vederlo meglio, sfiorando con le dita la parte rimessa a nuovo.
<< Devo dire che è un lavoro egregio, molto bene, veramente un gran bel lavoro. >> osservando estasiato i libri. << mi compiaccio per la vostra manualità . Bravo … ben fatto ! >> disse dandogli una pacca sulla spalla. << anch’io, quando ero più giovane, facevo gli stessi lavori, con la stessa volontà ed il medesimo impegno … quando ero più giovane, molto ! >> per un attimo i suoi occhi brillarono, illuminati da vecchi ricordi, ma fu solo un momento.
Si voltò andando via soddisfatto con il bastone che picchiava sulle pietre del pavimento.
<< Lo avete conquistato ! è molto difficile se non impossibile che fratello Joaquin dia una pacca sulla spalla di qualcuno. Di solito non eccede in queste effusioni ed è sempre sgarbato con tutti. >> commentò fratello Anselmo stupito da cotanta effusione.
<< Si vede che ancora non aveva visto un amanuense al lavoro. >> rispose fratello Baldassarre gonfiando il petto visto che per lui un lavoro del genere rappresentava una banalità.
<< Adesso voi due, che avete visto come si fa, metterete a frutto i miei insegnamenti, osservando come si svolge il lavoro, così in tre la fatica verrà divisa, sarà tutto meno pesante ed in poco tempo la libreria sarà a posto. Ci vuole solo buona volontà e tanta pazienza e soprattutto molta voglia di imparare. >> li guardò in viso con occhi di ghiaccio.
<< sono stato chiaro ? >> domandò a denti stretti, guardandoli con occhio truce.
I due annuirono perplessi senza avere la forza di replicare a tanta decisione e fermezza.
Si sedette su una panca sotto una finestra, le mani sulle ginocchia, il viso sconsolato, la testa che ciondolava avanti e indietro.
<< E’ vero che qui manca tutto … il copista, il rubricatore, il disegnatore, il miniatore ed un orafo, ma non si può pretendere tutto e voi non potete fare miracoli. >> disse con voce lamentosa, quasi un sussurro formulato tra se e se mentre osservava i libri negli scaffali. << Io pensavo … immaginavo una grande libreria con tutte le maestranze come la fama che questo monastero riporta nel mondo, invece mi ritrovo con due monaci presunti amanuensi che hanno voglia di tutto tranne che fare il loro lavoro che peraltro non è che sappiano fare molto bene. Penso che andrò a parlare con l’abate. >> disse alzandosi di scatto dirigendosi alla ricerca del fratello abate mentre i due confratelli lo guardavano allibiti.
Lo trovò poco dopo nella sala capitolare che discuteva con alcuni monaci riguardo cose pratiche del governo del monastero.
L’abate come lo vide interruppe la discussione andandogli incontro sorridente e a braccia aperte.
<< Fratello Baldassarre … fratello Joaquin mi ha raccontato mirabilie su di voi; mi ha detto che avete un’abilità non comune con i colori e con la piuma d’oca. >>
<< Ringrazio fratello Joaquin per i complimenti ma non servono a niente, la vostra biblioteca ha molti libri e tanti manoscritti ma non serve a niente averli se non c’è il personale atto al lavoro necessario; siamo troppo pochi per tutto il restauro che c’è da fare. >> rispose con una nota di malessere e di insofferenza nelle parole.
<< Vi capisco e vi giustifico … avete mille volte ragione ma, purtroppo per noi, questo è un monastero caduto in miseria. Anni fa c’erano più di cento monaci mentre adesso ce ne sono si e no venti, compreso voi, e quando qualche monaco raggiunge il padre suo, per vecchiaia o per malattia, non viene sostituito da nessuno. Nei tempi addietro ci pregavano in ginocchio di accogliere gli oblati, adesso nessuno bussa più alla nostra porta. Molto tempo fa, come raccontano le Carte Fiastrensi, cosa che potrete verificare se fratello Joaquin vi farà la grazia di farvele osservare, Braccio da Montone attaccò il monastero distruggendo il tetto e la torre campanaria, uccidendo molti dei nostri religiosi e da allora la nostra abbazia diventò una commenda data in pasto a otto cardinali avidi e ambiziosi. Da allora è iniziato il nostro lento declino. Prima avevamo sei grance e davamo da lavorare a tantissima povera gente e adesso non abbiamo più niente e viviamo di offerte e di quello che i nostri miseri campi, quelli rimasti, riescono a produrre. Di conseguenza anche la nostra biblioteca è decaduta, ci sono rimasti i nostri libri e le pergamene ma avete avuto modo di vedere in quali condizioni sono ridotti per mancanza di personale e di stimoli per fare questo nobile lavoro, ed è per questo motivo che voi siete qua e cioè per cercare di salvare quello che è possibile altrimenti tutto andrà perso. >> guardò in viso fratello Baldassarre, nei suoi occhi si poteva leggere una grande tristezza ma non associata a disperazione, dovuta banalmente al ricordo di tempi trascorsi.
Si trattava banalmente di un presa di coscienza della situazione.
Rimasero in silenzio per un po’ guardandosi fissi negli occhi.
<< Farò quello che posso ma avrò bisogno di molto tempo e parecchio aiuto, a me basta che mi mandiate altri due monaci che sappiamo tenere una piuma d’oca in mano e con gli altri due avrò così un piccolo esercito di amanuensi per sistemare la biblioteca. >> disse con sguardo ricco di speranza e di voglia di fare, occhi fulgidi che sprizzavano ottimismo. << al resto ci penserò io ! >>
<< Li avrete ! >> rispose l’abate poggiandogli una mano sulla spalla come per rassicurarlo.
Baldassarre rientrò nello scriptorium a testa bassa, meditabondo, i suoi occhi fissavano il vuoto forse cercando di mettere ordine nella sua testa.
Quando era partito dal monastero di sant’Antimo aveva un bagaglio di speranze e di illusioni con se, ma che si erano dissolte come neve al sole nel momento in cui aveva messo piede in quella biblioteca.
Sperava di entrare in un mondo che lo avrebbe arricchito sia dal punto di vista culturale che emozionale invece si era ritrovato in un mondo totalmente diverso da quello che aveva sognato, un mondo che lui avrebbe dovuto reinventare e ricostruire.
Trovò i due confratelli intenti a non far niente in attesa del suo ritorno.
Lo guardarono avidi di risposte.
<< Forza mettiamoci al lavoro, l’abate mi ha promesso che manderà due confratelli che ci daranno una mano… allora per prima cosa cominciamo a tirare fuori i libri e tutto quello che è rovinato e vediamo cosa ci tocca fare, secondo andate a trovare dei gatti. >> disse guardandosi attorno. << non adesso ma un altro momento. >> li esortò.
<< Gatti !? >> i due lo guardarono esterrefatti, guardandosi successivamente tra loro.
<< Proprio così … gatti. Vivranno qui dentro e si mangeranno i topi o perlomeno li faranno scappare. Anzi … appena arrivano i nuovi aiutanti manderemo loro a cercarli noi intanto diamoci da fare, prendiamo i libri e controlliamoli tutti uno per uno. Forza fratelli al lavoro… animo che c’è tanto da fare ! >>
Iniziarono di buona lena a svuotare gli scaffali mettendo da una parte i libri in buone condizioni e da un’altra i libri intaccati, una volta terminato questo lavoro i libri in buone condizioni furono rimessi in ordine negli scaffali. Successivamente iniziò il censimento dei libri rovinati dividendoli: da una parte quelli in condizioni accettabili che avevano bisogno di piccoli ritocchi e dall’altra quelli che necessitavano di un lavoro più impegnativo.
A metà mattina avevano terminato la cernita dividendo i libri in varie sezioni, quando si presentarono due monaci abbastanza giovani che si affacciarono timidamente nello scriptorium.
Baldassarre arrestò il suo lavoro per osservarli.
<< Vi ha mandato l’abate ? >> chiese loro invitandoli con un gesto a farsi avanti.
Quelli annuirono avanzando mentre anche fratello Julius e Anselmo si fermarono ad osservarli accennando un saluto.
<< Bene allora per prima cosa andate a trovare dei gatti. Se ci riuscite quattro o cinque possono bastare. >> disse riprendendo il lavoro.
<< dopo vi darò le vostre mansioni. >> aggiunse.
I due si guardarono in faccia senza capire.
<< Gatti … ! andate a cercare dei gatti e portateli quanto prima, ci servono per scacciare i topi che abbondano qua dentro. Forza fratelli ! >> esortandoli a muoversi. << appena avrete trovato i gatti tornate qua così inizieremo a capire come si restaura un libro e come si scrive. Voi due sapete scrivere … ? mi auguro. >> domandò.
I due annuirono.
<< Bene … allora andate e fate in fretta che qui non si dorme, il cortile è pieno di gatti. Voi due. >> disse rivolgendosi ad Anselmo e Julius. << continuate a mettere da parte i libri che io devo andare a parlare con l’abate. >> voltando le spalle e dirigendosi velocemente alla sua ricerca.
Lo cercò come una furia per tutto il monastero chiedendo a tutti quelli che incontrava ma nessuno sapeva dargli notizie. Si fermò nel chiostro osservando se per caso fosse in quel posto, ma a quell’ora era deserto.
Poi una luce gli si accese nella sua testa “ la chiesa “ era ovvio che si trovava li dirigendovisi alacremente.
In effetti l’abate era inginocchiato che pregava nel più assoluto silenzio.
Si mise in un angolo aspettando pazientemente che terminasse le orazioni.
Attese un bel po’ sin quando l’abate si alzò segnandosi e alzandosi, non senza qualche lamento per via dei dolori alle ginocchia, dall’inginocchiatoio.
<< Fratello Baldassarre ! >> andandogli incontro. << ci sono problemi ? >> domandò preoccupato.
Lo rassicurò immediatamente.
<< Assolutamente no ! vorrei solo chiedervi un grande favore. >>
<< Ditemi e se posso vi accontenterò. >> fu la sua risposta.
<< Io ed i miei confratelli, a causa dell’enorme mole di lavoro, vorremmo essere esentati dalle messe, altrimenti perderemmo troppo tempo. >> disse quasi scusandosi per aver osato chiedere un favore del genere.
<< Ma come volete voi, nostro Signore non si arrabbierà per questo ! >> con un gran sorriso. << andate e fate quello che ritenete opportuno. >> aggiunse benedicendolo, vedendo poi che stava ancora fermo senza andare via gli chiese. << c’è altro ? >>
Lui annuì.
<< Ci serve carta, non so se le pergamene che io ho di scorta possano bastare per le riparazioni. >> quasi vergognandosi della richiesta.
<< Andate da fratello Salvatore il portinario, nei magazzini dovrebbe essercene una scorta e lui sa dove si trova. >>
Baldassarre farfugliò un ringraziamento ritornando velocemente allo scriptorium dove nel frattempo erano arrivati anche i confratelli con una sacca contenente i gatti, tutti arruffati che miagolavano e soffiavano azzuffandosi fra loro; uno dei confratelli presentava anche qualche graffio sulle mani.
<< Bene liberateli qui dentro e andate nelle cucine e domandate al fratello cuciniere croste di formaggio e pane raffermo. Presto ! >> battendo la mani perché i due erano rimasti fermi e imbambolati.
<< Voi due a che punto siete ? >> chiese agli altri due che per un momento avevano smesso di sistemare i libri osservando con curiosità i gatti che si muovevano nello scriptorium.
Qualsiasi novità rappresentava un pretesto per non lavorare, come se si trattassero di due bambini distratti da qualsiasi cosa, anche da una mosca che volava.
Rispose fratello Anselmo.
<< Abbiamo rimesso a posto i libri e le pergamene intonse e abbiamo messo da parte tutti quelli che necessitano di restauro. >> disse indicando i gruppi accatastati.
Baldassarre si avvicinò osservando la quantità.
<< Potevate fare un lavoro ancora più preciso dividendoli ulteriormente: quelli in condizioni meno gravi da una parte, poi quelli mediocri e quelli più gravi. Forza datevi da fare. >> disse invitandoli ad attivarsi in quel senso.
I due si guardarono viso sbuffando e dirigendosi verso la catasta di libri cominciando a sistemarli in gruppi diversi e ordinati.
Nel frattempo erano rientrati gli altri due monaci portando croste di formaggio e pane raffermo.
<< Datelo ai gatti. >> ordinò loro. << e poi venite qua. >>
I due, come disciplinati soldatini, dopo aver eseguito si presentarono quasi sull’attenti aspettando le disposizioni,
<< Fratelli Anselmo e Julius venite qui. >> chiamò gli altri due che arrivarono in un attimo.
<< Da oggi siamo tutti esentati dalle messe e dalle altre disposizioni; vivremo qui dentro fino a quando tutti i libri e intendo tutti, non saranno rimessi a posto. L’abate ci ha dato il suo benestare quindi diamoci da fare che prima finiamo e prima riacquistate la libertà, fate conto di essere in prigione. >> disse con un sorriso ironico. << voi due come vi chiamate ? >> domandò agli altri due monaci rimasti in rigoroso silenzio.
<< Io sono fratello Durante e lui si chiama Aloigi ed è muto. >> rispose prontamente il più giovane; un monaco basso e rotondetto senza barba e con i pochi capelli che aveva in testa scuri, mentre l’altro che annuiva sorridendo era più alto e grosso con una barba grigia e lunga.
Fratello Baldassarre lo guardò con sospetto.
<< Sapete leggere e conoscete il latino ? >> domandò loro.
I due confermarono e fratello Baldassarre guardò di sbieco fratello Aloigi.
<< Se è muto come fa a leggere e a parlare ! >> pensò tra se disorientato. << spero almeno che sappia scrivere. >> osservando con attenzione il suo fisico massiccio e poco propenso ai lavori di fino con quelle grosse mani, più simili a tenaglie.
<< Bene allora date una mano ai vostri confratelli, loro vi spiegheranno cosa fare. >> disse a voce alta. << io mi assento per un po’. >> aggiunse andando alla ricerca del portinario.
Lo trovò nella sua stanzetta intento a non far niente.
Quello alzò il viso guardandolo e aspettando le sue richieste.
<< Mi manda il fratello abate … mi ha detto che voi sapete dove si trovano le scorte di carta. >> domandò titubante come se avesse paura di disturbarlo.
Quello sbuffò alzandosi dalla sua sedietta incamminandosi di malavoglia, facendogli cenno con malgarbo, di seguirlo.
Si diressero verso alcune scale di fianco al refettorio che portavano alle cantine.
Arrivati davanti ad una porta prese un mazzo di chiavi scegliendone una e con quella la aprì.
<< Ecco ! >> disse indicando un baule posto in un angolo. << prendete quella che vi serve e quando la terminerete tornate a chiedermela. >> indicandogli sgarbatamente il contenitore.
Fratello Baldassarre aprì il baule che era ricolmo di carta in parte ammuffita, prendendone una gran quantità, naturalmente non deteriorata e dirigendosi velocemente verso la biblioteca non senza aver ringraziato il portinario che grugnì una sorta di saluto in risposta.
Arrivò allo scriptorium trovando, con sua soddisfazione, i monaci intenti ai lavori con i libri.
<< Ecco qua ! adesso abbiamo carta a sufficienza per i lavori di restauro. >> disse poggiando i fogli su uno scranno. << sistemateli in un posto sicuro affinché non se li mangino i topi e riprendiamo il lavoro. >>

Al pomeriggio tutti i libri erano disposti ordinatamente in ordine crescente di gravità del danno, mentre tutti quelli integri erano disposti ordinatamente negli scaffali, collocati per argomento.
<< Allora … adesso vi faccio vedere a tutti come si restaura un libro. Iniziamo da uno con poco danno e state tutti attenti , anche voi due che queste cose le avete già viste ma un ripasso non vi farà male. Bene ! >> si alzò dallo scranno andando a prenderne uno che aveva solo poche pagine lacerate.
Prese il suo coltello affilato facendolo vedere a tutti, poi iniziò lentamente a rendere i tagli uniformi e senza sbavature; si fece infine consegnare un foglio poggiandolo sulla parte lavorata e prendendo le misure del pezzo da tagliare che poi avrebbe incollato sopra. In una pergamena a parte aveva ricopiato le parole che aveva dovuto tagliare per poi riportarle per intero sulla parte incollata. Ogni tanto dava un’occhiata ai confratelli per vedere se avessero compreso le manovre da compiere e una volta avuto un cenno di assenso continuava il lavoro fino a terminarlo.
<< Avete visto ? questo dovete fare iniziando, visto che non siete esperti, dai danni meno cruenti, per quelli più difficili provvederò io, per adesso limitatevi a questo. Quando sarete più impratichiti vi darò qualcosa di più impegnativo per adesso fate questo e fatelo per bene . Io controllerò il vostro lavoro.>>
Li rifornì di coltellini, cesoie e colla, li fece sistemare ognuno in uno scranno con un libro e cominciò a controllarli mentre lavoravano dando consigli e suggerimenti in continuazione, esortandoli a fare sempre meglio come un buon maestro che insegna ai suoi allievi muovendosi tra gli scranni come se fossero banchi di scuola.
Il loro lavoro fu interrotto dalla campana del pranzo.
Tutti i quattro monaci alzarono la testa guardando Baldassarre, aspettando un cenno di assenso.
<< Il pranzo deve essere rapido, non vi perdete in chiacchiere e appena terminato tornate immediatamente qua. >> disse guardandoli con fermezza.
<< Ma voi non mangiate ? >> chiese fratello Anselmo.
<< Non ho fame, andate voi che io continuo il lavoro. >> invitandoli ad uscire osservando alcuni libri. << e portate gli avanzi per i gatti ! >> urlò loro.

Come rimase solo si mise a guardare alcuni testi rimanendo di sasso davanti alla “ Quaestiones De Virtutibus” ed alla “ Summa Theologiae” di Tommaso d’Aquino e ancora di più turbato dalla “ De Disciplina Cristiana” di Sant’Agostino.
<< Questi disgraziati avevano tra le mani delle opere rare di grande valore teologico e filosofico e non si sono resi conto di niente. Beata ignoranza e magari li hanno trattati anche senza il dovuto rispetto ! >> constatò tra se rigirandoseli tra le mani e sfogliando con molta attenzione le pagine. Non erano deteriorati ma solo consumati dalla lettura in alcuni punti.
Li maneggiò con il dovuto riguardo e rispetto, sistemandoli nello scaffale in un posto accessibile dove avrebbe potuto trovarli immediatamente.
<< Opere rare e di grande valore e si trovano in questo monastero quasi abbandonate, probabilmente non sanno neanche che tesoro possiedono ! >> si disse tra se amareggiato, controllando altri libri da restaurare.
Non si rese conto del tempo che scorreva mentre ammirava estasiato i libri che erano in dotazione in quella biblioteca; fu richiamato alla realtà dalle voci dei monaci che rientravano dopo il pasto.
Si udirono le loro voci festanti fin dal corridoio che immetteva alla biblioteca.
<< Fratello Baldassarre … tutto a posto ? >> domandò Anselmo entrando nello scriptorium evidentemente soddisfatto per il pranzo.
Lui si voltò annuendo ma senza parlare, continuando a studiare i libri.
<< Fratello Aloigi, date da mangiare ai gatti.>> disse Anselmo rivolgendosi al monaco muto che portava un pacchetto.
Quello immediatamente andò alla ricerca dei gatti aprendo il pacchetto.
<< Ma come li chiama i gatti quello che è muto. >> strillò Julius vedendolo in difficoltà e dirigendosi verso di lui per prendergli il pacchetto con malgarbo e iniziando a distribuire gli avanzi mentre il poveretto lo guardava mortificato.
<< Micio …micio. >> diceva mettendo le croste di formaggi e gli altri avanzi per terra.
I gatti arrivarono dapprima titubanti, lanciandosi successivamente come furie sul cibo.
Li guardò con commiserazione poi lanciò uno sguardo di affetto al monaco muto che quello ricambiò con un triste sorriso.
Si sedette al suo scranno rimettendosi al lavoro.
I monaci si avvicinarono tutti ad osservare quello che stava facendo fratello Baldassarre.
<< C’è molto da fare, qui ci vorrebbe un copista, un miniatore e anche un rilegatore come minimo, invece ho solo quattro monaci che non hanno nessuna conoscenza e neanche un pochino di buona volontà. >> disse guardandoli sconsolato.
<< Da bravi, prendete i libri danneggiati e fate quello che vi ho insegnato, io nel frattempo controllo tutto il resto. Animo fratelli che è meglio stare qui al caldo che fuori al freddo a zappare. Forza metteteci un po’ di impegno.>>
<< Cosa si combina in questo posto ! >> l’urlo ed il rumore del bastone che picchiava per terra fece capire a tutti che era arrivato fratello Joaquin.
Baldassarre si voltò a guardarlo, negli occhi un moto di tristezza e demoralizzazione.
<< Stiamo cercando di mettere ordine in questo luogo. Il lavoro è tanto e le mani poche e senza voglia. >> disse sconfortato.
Il monaco si sedette vicino a lui annuendo.
<< C’è tanto da fare, denaro non ce n’è, mezzi neanche, voglia di lavorare ancora meno ed è per questo che questa biblioteca, un tempo lontano quando io ero un giovane novizio, era fiorentissima e ricca di testi incredibili e introvabili, forse qualcuno ne è rimasto. Mi ricordo che quando ero giovane e la vista mi sosteneva trascorrevo notti intere in questa stanza leggendo a lume di candela e forse la vista mi ha abbandonato anche per questo, l’ho stancata troppo. I giovani di adesso non hanno nessuna voglia, tantomeno passione … ! >> guardando la liberia con un moto di tristezza ricordando tempi andati.
Baldassarre si alzò di scatto dallo scranno andando a prendere i libri che aveva avuto modo di visionare poco prima trovandoli subito negli scaffali dove li aveva risposti.
<< Alludete a questi ? >> chiese mostrandoli al monaco.
A quello si illuminarono gli occhi sfiorandoli con le mani come se avesse paura che solo al tatto si potessero rovinare.
<< Sant’Agostino e Tommaso d’Aquino. Da quanti anni ne avevo perso le tracce e voi li avete ritrovati. >> commentò visibilmente commosso. << ma sembrano intatti ! >> osservandoli per bene da vicino.
<< Infatti lo sono. >> lo tranquillizzò Baldassarre. << sono solo impolverati ma i ratti ancora non li hanno aggrediti, per fortuna. >>
<< Quanti ricordi questi libri e quante ore trascorse a leggerli, purtroppo la ma vista non mi permette più di apprezzare simili letture.>>
<< Ma a voi risulta che ce ne siano altri di così tanto valore ? >> domandò.
Fratello Joaquin si voltò a guardare gli scaffali come se stesse cercando di tirar fuori i libri con lo sguardo.
<< Ce ne dovrebbero essere ancora tanti se qualcuno non li ha rubati o se i topi non se li hanno mangiati. Se la memoria non mi inganna ci sono sicuramente altri testi di Sant’Agostino e di Tommaso ma anche di Aristotele, lo so bene perché a suo tempo li ho avuti in mano e li ho letti avidamente. >> disse cercando di frugare nella sua memoria.
<< Anche le Carte Fiastrensi ? >> domandò Baldassarre a bruciapelo dopo averlo portato abilmente all’argomento che gli interessava.
Il monaco Joaquin si voltò fulminandolo con la sua vista appannata, il suo sguardò mutò repentinamente.
<< Quelle sono al sicuro e potete stare tranquillo che nemmeno l’incuria, nè i topi e nè la polvere potranno mai danneggiarle. >> disse a denti stretti guardandolo con sospetto. << solo un incendio potrà distruggerli. >> disse segnandosi. << Dio non voglia ! >>
<< Ed è possibile vedere queste carte che dicono siano una meraviglia della miniatura ? >> la butto lì per vedere cosa avrebbe detto il confratello ben sapendo, in quanto riferito dall’abate, che le carte le custodiva lui.
<< Vedremo ! >> disse il vecchio monaco alzandosi e allontanandosi con il suo bastone che picchiava per terra.
Baldassarre lo osservò mentre si allontanava.
<< Me le farete vedere ! >> pensò fra se, sogghignante.
<< Forza voi … al lavoro ! ogni occasione è buona per distrarvi. >> rimproverò i confratelli che approfittando della visita del monaco anziano si erano seduti ad ascoltare i loro discorsi senza far niente.
Immediatamente quelli, intimoriti dal rimprovero e dagli sguardi truci del monaco, si sistemarono nei loro scranni iniziando a compiere opera di restauro a testa bassa, mentre Baldassarre si muoveva tra loro controllando il lavoro fatto, dando consigli quando era necessario e rimproverandoli quando non impiegavano la dovuta concentrazione.
A sera, al suono della campana della cena, sfiniti da ore di interminabile lavoro con le mani irrigidite così come la loro schiena, misero a posto i libri che avrebbero ripreso la mattina successiva alzandosi doloranti e lamentosi dagli scranni.
<< Chiudete dentro i gatti e non fateli scappare. >> ordinò loro fratello Baldassarre.
Chiusero per bene la porta dello scriptorium dirigendosi verso il refettorio, soprattutto Baldassarre che essendo digiuno tutto il giorno, aveva una discreta fame ed era inoltre abbastanza stanco.
Nel refettorio c’erano tutti, compreso l’abate che dopo aver benedetto la cena permise che i monaci cenassero.
Fratello Joaquin sedeva in disparte, la testa china sulla ciottola contenente il cibo.
Ogni tanto levava il capo lanciando furtive occhiate a fratello Baldassarre: sembrava che lo stesse studiando con i suoi occhi appassiti.
Anche lui lo guardava cercando di non farsi notare, avrebbe voluto chiedergli e domandargli tante cose ma pensava che non fosse giunto ancora il momento: doveva guadagnarsi col tempo la fiducia di quel monaco che sicuramente aveva una cultura ed una conoscenza che andavano ben oltre quella degli uomini comuni e che era provvisto di una buona dose di diffidenza e di egoismo ma che tanto avrebbe potuto insegnare.
Decise di lasciar perdere e che fosse il tempo a fare in modo di avvicinarli: il frutto si raccoglie quando è maturo.

Terminata la cena ogni monaco andò per i fatti propri, alcuni a pregare altri a prendere un po’ d’aria nel chiostro nonostante il freddo della sera; Baldassarre si diresse verso la sua cella: era tanto stanco e aveva voglia solo di dormire.
Vi arrivò quasi trascinando i piedi, non si levò neanche la coccolla ma solo i sandali, buttandosi sul letto e coprendosi con la coperta, in quella cella faceva molto freddo d’altronde era pieno inverno e fuori il tempo, che lui non era riuscito a vedere chiuso nello scriptorium, non doveva essere dei più clementi, lo si intuiva dal vento che soffiava impetuoso sospingendo aria gelida e fischiante attraverso gli spiragli della finestra.
Le sue elucubrazioni terminarono interrotte dal sonno che arrivò bruscamente e quanto mai opportuno mentre fuori il vento soffiava vorticoso e incessante avvolgendo il monastero nel gelo.

La mattina successiva, di buon’ora, arrivò alla biblioteca che era ancora buio; fuori il vento aveva cessato di soffiare ma in compenso aveva iniziato a cadere una fitta pioggerellina che tintinnava sui tetti del cenobio.
Fu assalito dai gatti miagolanti e affamati che scacciò con malgarbo dirigendosi verso gli scaffali per controllare i libri.
Controllò il lavoro fatto la sera precedente che risultò non essere fatto tanto male per dei principianti; non eccezionale ma comunque passabile.
Prese la sua cassetta degli attrezzi controllando la dotazione di colori, di piume d’oca e di pergamene.
<< Adesso, appena quegli scansafatiche arriveranno faremo un po’ di lezione di teoria per insegnar loro come si usa una piuma d’oca, i vari colori e come si fa una pergamena; chissà che non riesca a far entrare nella loro testa qualcosa. >> si disse tra se pensieroso, guardandosi attorno.
I quattro monaci arrivarono poco dopo con molta calma sedendosi agli scranni in attesa di disposizioni.
Baldassarre stava in piedi che si muoveva tra loro come un insegnante pronto a fare lezione.
<< Da domani vi voglio qui appena suona la campana del mattutino e su questo non transigo… questa mattina lezione di teoria, vi voglio spiegare come si fa una piuma d’oca per scrivere, i vari colori necessari per la miniatura, come si tracciano le righe per rendere la scrittura uniforme e rettilinea e tutte le altre cose necessarie per fare un buon lavoro. >>
Si sedette in una panca mettendosi comodo mentre i monaci si apprestavano ad ascoltarlo con attenzione, come tanti bravi alunni il loro insegnante.
<< Bene … i colori ! Allora quelli principali sono: il nerofumo e questo mi auguro che lo sappiate tutti ! >> si fermò un momento aspettando un cenno di affermazione da parte loro.
Ottenutolo continuò.
<< Con il nerofumo occorre fare molta attenzione perché se la miscela non è combinata per bene l’inchiostro si può cancellare, espandere, cambiare colore e provocare anche muffe con danni irrimediabili, quindi la miscela deve essere composta molto bene e con tanta attenzione. Per questo colore si può usare il carbone o la fuliggine. Il colore rosso è a base di cinabro o di minio, da qui codici miniati per il loro colore mentre l’indaco viene da una pianta che si chiama indigofera tinctoria. Questi sono i colori principali ve ne sono poi altri secondari e meno utilizzati. Le pagine sono fatte di pergamena e cioè pelle di pecora o capra, vengono stirate e allisciate, altrimenti abbiamo la carta fatta con un impasto di diverse erbe o fibre. Utilizzate un compasso per tracciare le righe altrimenti la scrittura verrebbe storta. >> smise di parlare aprendo al sua cassetta e prelevando alcune piume d’oca e gli altri attrezzi necessari mostrandoli. In silenzio le mostrò ai confratelli e, sempre senza parlare, con una lama sottile e molto affilata, tagliò di sbieco la punta della piuma che aveva in mano, successivamente la divise in due con un altro taglio.
<< Avete visto come si fa una piuma per scrivere ? >> loro annuirono. << bene… altri dettagli tecnici vi verranno spiegati passo dopo passo, adesso sarebbe inutile riempirvi la testa di tante cose, poco per volta sarà meglio anche perché voi vi dovete limitare solo a scrivere perché a tutte le altre cose ci penserò io così non avrete impedimenti e distrazioni dal vostro compito. Ora prendete i libri deteriorati e cominciate a fare il lavoro precedente e cioè rimettere a posto i pezzi mancanti delle pagine. Una volta fatto inizierete a scrivere le parti cancellate. I lavori di abbellimento e le miniature si faranno alla fine e probabilmente ci penserò io. Forza … buona volontà e se vi vengono i crampi alle mani muovetele un po’ che passano in fretta. Io controllo tutti gli altri libri per vedere in che condizioni sono. Al lavoro ! >> esortandoli ad iniziare senza indugio mentre lui si dirigeva verso gli scaffali.
Dopo diverso tempo i monaci, rigorosamente in silenzio come prevedeva la regola benedettina avevano sistemato diverse pagine e fratello Baldassarre si era compiaciuto con loro per il lavoro fatto.

 

Capitolo quarto

I caratteri della conoscenza
Arrivarono contemporaneamente il suono della campana che avvisava per il pranzo, ed il picchiettio sulla terra del bastone di fratello Joaquin che preannunciava il suo arrivo.
I quattro monaci lasciarono il lavoro per dirigersi al refettorio mentre fratello Baldassarre attese seduto, la venuta del monaco spagnolo.
Fratello Joaquin arrivò col suo passo claudicante.
Osservò attorno per un momento sedendosi successivamente ad uno scranno.
<< Solo ? >> domandò appoggiandosi al suo bastone e guardandolo con curiosità.
<< Sono andati a mangiare. >> rispose Baldassarre continuando ad osservare un libro, incurandosi volutamente del monaco.
<< Voi non pranzate ? >> chiese quello.
<< Il digiuno fa parte della nostra regola e ogni tanto non fa male metterlo in pratica. >>
Il monaco annuì in silenzio compiaciuto per quell’osservazione.

<< Come procedono i lavori ? >> chiese voltandosi a guardare, per quanto possibile, la libreria.
<< Stiamo mettendo a posto le pagine rovinate ma da quei quattro non si possono pretendere i miracoli. Mancano diverse figure e quelli sono amanuensi improvvisati e poi ci vorrebbe anche un’officina ma vuol dire che ci accontenteremo aiutandoci con le nostre mani. >> disse sconsolato. << anche se quelli ci stanno mettendo molta buona volontà. >> aggiunse dando loro il merito dei lavori effettuati.
<< Avete sempre voglia di vedere le Carte Fiastrensi ? >>
La domanda arrivò all’improvviso come una stilettata cogliendo l’amanuense impreparato.
Baldassarre sollevò lo sguardo guardandolo con curiosità e meraviglia.
<< Adesso ? >> domandò.
Il monaco annuì alzandosi dallo scranno e invitandolo a seguirlo.
Uscirono dallo scriptorium dirigendosi verso il chiostro.
Baldassarre stava poco dietro il monaco con un atteggiamento di rispetto per l’età ma contemporaneamente assalito dalla frenesia di poter ammirare le famose carte.
Arrivarono al chiostro ed il monaco si fermò indicandolo con il bastone lungo tutto il suo perimetro.
<< Secondo voi cosa rappresenta questo posto ? >> domandò a bruciapelo.
Quello lo guardò meravigliato, stupito per quella domanda arrivata all’improvviso e che, apparentemente, non aveva alcun senso.
<< E’ un chiostro ! >> rispose come se fosse la cosa più banale. << è il luogo dove i monaci vanno a passeggiare ed a leggere le scritture. >> meravigliandosi per quella domanda che gli appariva stupida e banale.
Fratello Joaquin sorrise ironicamente in quanto lo stava mettendo alla prova e valutando il suo grado di preparazione.
<< Questo è quello che leggono e vedono i vostri occhi, ma se voi guardaste questo posto con un’altra vista leggereste cose diverse da quelle che sono scritte o che appaiono. >> disse guardando davanti a se, continuando a camminare.
Baldassarre lo guardò incredulo; non capiva a cosa volesse arrivare quel monaco che probabilmente sapeva tante cose e le teneva abilmente nascoste.
<< Voi siete un abile amanuense ed un ottimo miniaturista, da quello che ho potuto vedere … ma non siete ancora un ottimo bibliotecario. Avete letto molto ed avete una mano sicura e rapida, beata gioventù, ma non avete letto ancora abbastanza, soprattutto alcuni libri particolari. Non avete la conoscenza ed è per questo che non conoscete il significato del chiostro. Voi cosa vedete ? >> gli chiese fermandosi nuovamente e indicando di nuovo tutto il perimetro del chiostro con il bastone.
<< Un porticato, un patio con un pozzo esagonale al centro e alcune piante ! >> rispose Baldassarre disorientato da quelle domande di cui non afferrava il significato.
Il monaco sorrise ironicamente e con sufficienza.
<< Questo è quello che vedono tutte le persone che non hanno acquisito i caratteri della conoscenza ma se voi lo doveste guardare con i miei occhi vedrete tutta un’altra cosa. Il chiostro ha quattro lati: il lato ad est. >> disse indicandolo con il bastone, tentennante per mancanza di forza da parte del vecchio monaco che lo reggeva a malapena. << rappresenta il disprezzo del sé, il lato a sud il disprezzo del mondo, il lato ad ovest l’amore per il prossimo ed il lato a nord l’amore per Dio. La base di tutte le colonne che vedete rappresenta la pazienza. Ogni monastero benedettino ha queste rappresentazioni che hanno tutte un ben preciso significato e che indicano le regole di comportamento dei monaci benedettini. Ma adesso andiamo. >> disse incamminandosi, lasciando Baldassarre di sasso. << avete ancora molte cose da imparare nonostante tutto, per una vita avete osservato le cose che avevate davanti agli occhi senza che nessuno vi insegnasse a vederle con quelli della conoscenza. >> camminando senza voltarsi mentre il confratello lo stava raggiungendo.
Svoltarono subito a destra a metà del chiostro, davanti a loro una rampa di gradini piccoli che portavano ai piani superiori. Un piccolo corridoio scarsamente illuminato e nel fondo una porticina scura. Un’ala del monastero di cui lui non era conoscenza e che probabilmente era abitata dai monaci anziani, o perlomeno da quei pocho rimasti.
Infilò la mano sotto la tonaca prendendo una grossa chiave che infilò nella serratura della porta, aprendola e invitando il confratello ad entrare dopo aver preso una fiaccola dal muro.
Una piccola cella con una finestrina che forniva il tanto di luce ed aria necessaria, un letto ed un tavolo con una sedia vicini alla finestra. Nella parete di fronte una libreria che la rivestiva per intero e che conteneva parecchi libri, alcuni disposti ordinatamente altri alla rinfusa.
Poggiò la fiaccola su di un gancio alla parete e la cella si illuminò di una luce tremula.
<< Quelli che vedete sono i libri che ho salvato dalla furia dei topi, oltre le Carte Friastensi ci sono anche trattati di filosofia e di teologia che gli amanuensi di questa abbazia, illo tempore, avevano miniato con grande abilità. Sono poche le persone che hanno avuto il privilegio di vederli e voi siete una fra queste. Ritenetevi un beneficiato ! >> disse invitandolo con un gesto a guardarli.
Lui si avvicinò con estremo rispetto alla libreria sfiorando i libri con le mani come se volesse conoscerli.
Ne prese qualcuno osservando i titoli, la rilegatura, aprendoli ed osservando con attenzione le miniature ed i caratteri, i colori.
<< Una meraviglia ! sono una meraviglia ! >> esclamò sottovoce, la voce quasi strozzata dall’emozione.
Gli capitò successivamente una Carta Friastense sfogliandola con avidità.
Le aveva sognate e desiderate da anni ed ora le aveva in mano e le stava toccando e leggendo, quasi come se fossero un sogno che stava vivendo da sveglio.
Osservò con grande attenzione tutte le sue caratteristiche rimanendo stupito a bocca aperta.
<< Raccontano la storia di questo monastero ! La pausa del pranzo è terminata, vi conviene rientrare allo scriptorium dove i confratelli vi aspettano. Avrete tempo e modo di venire a leggere queste meraviglie. >> gli consigliò fratello Joaquin.<< state tranquillo che da qui non fuggono. >> aggiunse rassicurandolo visto che lui continuava a guardarle.
Lui annuì rimettendo il volume a posto e dirigendosi verso l’uscita non senza essersi voltato a rivedere quei preziosi libri.
<< Grazie ! >> disse rivolgendosi al monaco che abbassò il capo in segno di rispetto.

Rientrò allo scriptorium gratificato ed esaltato dalla precedente esperienza e per aver avuto modo di vedere le famose carte, soddisfatto per aver fatto breccia nella simpatia del monaco spagnolo che, aveva intuito, sarebbe stato per lui un ottimo maestro ed una guida.
Contemporaneamente arrivarono anche i quattro monaci che senza indugi ed in silenzio si sedettero agli scranni iniziando il loro lavoro di restauro.
Baldassarre non disse niente, ancora si trovava con la mente nella cella di fratello Joaquin con le famose carte in mano, ma si riprese subito lasciando da parte i sogni ed esortando i confratelli a compiere per bene il loro lavoro, mentre lui si sedette da parte esaminando alcuni libri.
<< Voi continuate a rimettere a posto i libri che io inizio a scrivere le parole mancanti. >> disse prendendo la boccetta con il nerofumo e una penna d’oca, mettendosi a scrivere.

Quando suonò la campana della cena avevano fatto un discreto lavoro e numerosi erano i libri restaurati con le pagine mancanti o rosicchiate rimessi a posto, ma altri ancora erano da restaurare e controllare.
I quattro monaci guardarono Baldassarre trepidanti, in attesa che desse loro l’ordine di andare via.
<< Potete andare. >> disse lui avendo notato il disagio di quelli.
<< Voi non venite ? >> domandarono quelli alzandosi.
<< No …! portatemi qualche frutto più tardi, io devo ancora terminare alcune cose e poi andrò direttamente a dormire. >> facendogli cenno di andare, quasi invitandoli a lasciarlo restare solo.
Avvicinò allo scranno una grossa candela per avere la luce sufficiente per compiere il suo lavoro immergendosi nelle sue passioni.
Prese un libro che ancora non aveva esaminato iniziando a controllarlo.
Fu colpito subito dal titolo “ Storia della Basilica di Collemaggio”. Non conosceva quel luogo e non lo aveva mai sentito nominare. Spinto dalla curiosità iniziò a leggere qualche pagina. Una Basilica molto bella, così era scritto, voluta fortemente dal Papa Celestino V, vicino alla città di Aquila. Non si soffermò a leggere ulteriormente limitandosi solo a sfogliare le pagine. Una di queste lo colpì particolarmente, lasciandolo perplesso perché al tatto appariva più grossa e rigida delle altre; la guardò con molta attenzione e si rese conto che erano due pagine incollate fra loro. Rimase esitante e sconcertato osservando quel libro, decidendo di portarselo nella sua cella dove lo avrebbe osservato per bene senza occhi indiscreti; gli sembrava una cosa molto strana che ci fossero due pagine incollate tra loro e la cosa lo solleticava e intrigava parecchio.
Giusto il tempo di mettere il libro sotto la tonaca che arrivò fratello Anselmo di gran carriera portando due belle mele rosse.
<< Queste sono per voi. >> disse porgendogliele. << sono del nostro frutteto. >>
<< Grazie fratello e buonanotte. >> lo ringraziò.
<< Buonanotte a voi fratello Baldassarre. >> andando via e dirigendosi velocemente verso il dormitorio.
Anche lui, dopo aver chiuso lo scriptorium, si diresse velocemente verso la sua cella, spinto dal gran sonno ma soprattutto dalla voglia di curiosare in quel libro mangiandosi una mela nella penombra del corridoio silenzioso che portava alle celle.
Arrivato alla sua, accese immediatamente una candela osservando quelle pagine controluce: effettivamente erano due pagine incollate fra loro ed all’interno si vedeva chiaramente un foglio piegato grande quasi quanto la pagina.
Rimase pensieroso ad osservare quelle pagine indeciso se aprirle o no, attanagliato dalla curiosità, ma allo stesso tempo la sua parte razionale gli impediva di farlo. Decise che lo avrebbe fatto un altro momento, comunque lontano da occhi indiscreti.
Il sonno lo avvolse immediatamente.

La mattina successiva arrivò allo scriptorium di buon’ora essendosi riposato abbondantemente per tutta la notte, temprato e rinvigorito dal sonno, ancora prima dei suoi confratelli che sicuramente perdevano tempo al refettorio. Si ricordò di una mela della sera precedente che era rimasta in uno scranno, e la addentò mentre curiosava tra i libri.
Il chiasso provocato dai quattro confratelli che arrivavano lo riportò alla realtà; mise da parte il torsolo della mela e si sistemò davanti ai libri.
I quattro entrarono nella biblioteca e rimasero stupiti nel vederlo.
<< Ma voi non mangiate mai ! >> domandò fratello Julius, guardandolo con stupore e meraviglia.
<< Ricordatevi sempre che il digiuno fa parte della nostra regola e ogni tanto è bene metterlo in atto. >> li ammonì ma senza essere severo e senza dare peso alla cosa. << forza… mettetevi al lavoro che ancora c’è tanto da fare. >>
Mentre i confratelli si sedevano ai loro scranni lui si sedette da parte, in un angolo della biblioteca vicino ad una finestra in modo da avere più luce, prendendo il libro della sera precedente e rimettendosi a leggere della storia di Collemaggio che lo intrigava parecchio, evitando accuratamente di rivelare a loro delle pagine incollate.

La mattina scorse veloce, i confratelli lavoravano con buona lena e diversi libri erano stati rimessi a nuovo, mancava solo di riscrivere le parti mancanti o perlomeno solo quelle che mancavano.
Fratello Baldassarre li invitò ad andare al refettorio per il pranzo visto che la campana aveva appena suonato e loro lo guardavano con trepidazione e occhi supplichevoli. Pareva che vivessero solo in funzione del pranzo e della cena e di tutto quello che avveniva attorno a loro poco gli importava; anche quel lavoro di restauro lo facevano perché erano stati obbligati, ma non c’era né la passione e né la voglia.
Chissà se impiegavano lo stesso finto fervore nelle preghiere, pensò tra se osservandoli mentre andavano via saltellanti e giocosi.
Poveretti, vivevano così senza più stimoli, la loro vita era diventata uno scorrere apatico che si muoveva nella noia e senza particolari entusiasmi, le ore della loro giornata scandite dalla preghiera, il lavoro e il pranzo.
Li giustificò pensando che ormai si avviavano verso un’età tarda dove gli stimoli cominciavano a mancare mentre lui, rispetto a loro, era ancora giovane ed entusiasta del suo lavoro, soprattutto avvinto da una grande passione che non aveva limiti, non altrettanto si poteva dire della sua fede. Aveva sempre visto la chiesa come un rifugio dove poter leggere e studiare, scrivere e dipingere; una vita che lo aveva allontanato dal lavoro nei campi, salvandolo dalle scudisciate del padre quando il lavoro non era stato compiuto a dovere. Anni trascorsi immersi nella passione per i libri; coltivando questa sua grande passione aveva avuto modo di leggere diversi testi e trattati filosofici che mettevano in dubbio il suo credo, lo contestavano e lo discutevano, eretici si potrebbe dire, che sicuramente trovavano terreno fertile nella sua mente portata al ragionamento e al non accettare mai le cose a scatola chiusa. Lui si domandava sempre il perché di tutte le cose, anche di quelle più insignificanti. C’era sempre una ragione in tutto, anche nella creazione del mondo che certi pittori avevano rappresentato negli affreschi delle chiese in maniera mirabile ma sempre con un fondo di religione, e senza mai dare spazio alla fantasia. E’ vero che erano i monaci che commissionavano il lavoro e lo pagavano in moneta sonante e dunque bisognava fare secondo i loro dettami e anche lui si era accodato a questo: non veniva retribuito ma in compenso aveva un tetto ed i pasti tutti i giorni e aveva modo di sviluppare la sua grande passione.

Con calma dopo aver rimesso a posto alcuni libri che gli sciagurati, nella fretta, avevano lasciato sugli scranni si diresse con calma alla ricerca di fratello Joaquin.
Lo trovò quasi subito che era seduto in una panca del chiostro dove arrivava un caldo raggio di sole che intiepidiva le sue stanche e doloranti articolazioni, in compagnia di un giovane monaco seduto vicino a lui che leggeva alcune pagine delle Sacre Scritture e che lui ascoltava con molta attenzione, commentando a voce alta alcuni passi come se stesse tenendo una lezione.
Si avvicinò con molto rispetto aspettando con pazienza che il monaco terminasse di leggere.
<< Allora fratello Baldassarre … come procedono i vostri lavori ? >> chiese il monaco con affabilità facendogli cenno di sedersi vicino a lui. << questo tepore mi fa molto bene alle ginocchia e mi attenua i dolori della vecchiaia. Voi cosa volevate chiedermi ? >>
<< Cosa sapete voi della Basilica di Collemaggio ? >> chiese, sempre con la dovuta reverenza per l’età e senza tanti preamboli.
Il monaco sorrise.
<< Come mai tutta questa curiosità ? >> domandò mostrando una finta ingenuità.
<< Ho trovato un libro, nella biblioteca, che parla di questa Basilica, non avendone mai sentito parlare mi è venuta la curiosità. Tutto qui ! >>
Il monaco sorrise accondiscendente, un guizzo nei suoi occhi che sfuggì a Baldassarre.
<< Celestino V è stato l’unico Papa che è stato eletto dal conclave che non ha mai messo piede a Roma, e dopo soli quattro mesi si è dimesso rifugiandosi in un eremo e poi è stato messo al chiuso in una cella dove è morto ma non conosco i motivi di questo. So solo che è stato un Papa eremita che ha sempre evitato le ostentazioni e l’opulenza della chiesa, ed ha sempre vissuto in preghiera e meditazione, da molti considerato come un santo. Ha sempe combattutto contro le potenti famiglie romane che eleggevano i loro membri al papato o alla veste cardinalizia e probabilmente è per questo motivo che non si è mai recato a Roma. Non so il motivo per cui abbia rinunciato al suo ruolo e non mi interessa saperlo… avrà avuto i suoi buoni motivi. Ha dato vita ad un ordine monastico, l’ordine dei Celestini … ed ha fatto in modo che venisse costruita la Basilica di Collemaggio in quel di Aquila, altro non so. Forse vi conviene leggere il libro per saperne di più. >> disse allargando le braccia.
<< Forse voi sapete molto di più ma non volete dirmi altro. >> annuì Baldassarre con un sorriso ironico.
Fratello Joaquin sorrise a sua volta lasciando intendere tante cose ma lasciandole in sospeso.
<< Ne parleremo un’altra volta. Ricordatevi quello che vi ho detto a proposito del chiostro. >> aggiunse alzandosi e dirigendosi con il suo bastone verso il refettorio.
Dopo pochi passi si fermò voltandosi.
<< Leggetelo quel libro … e fatelo molto bene. >> nel viso un’aria molto furba.
<< Allora voi lo conoscete quel libro ? >> domandò.
Il monaco non rispose andando via claudicante mentre Baldassarre continuava imperterrito ad osservarlo.
<< Vorrà dire che lo leggerò per bene. >> si disse tra se pensieroso, dirigendosi verso lo scriptorium. << ma non il libro ! >>
Appena arrivato si sedette in uno scranno prendendo un coltellino molto affilato e sistemando il libro sul piano in legno.
Con molta attenzione e delicatezza per non creare danni iniziò lentamente a staccare la parte superiore delle pagine incollate.
Infilò un paio di pinzette estraendo con facilità una pergamena piegata in quattro.
Si guardò attorno furtivamente come se fosse un ladro, infilando immediatamente la pergamena sotto il saio visto che, da lontano, si sentivano i passi dei confratelli che arrivavano.
Rimise tutto a posto rimettendosi a leggere.
I quattro monaci entrarono festosi sedendosi ai loro scranni come quattro fanciulli divertiti, e rimettendosi allegramente al lavoro.
Baldassarre si limitò a guardarli distrattamente e mai come in quel momento avrebbe preferito che non ci fossero.
<< Si vede che il pranzo è stato ottimo ed abbondante ! >> pensò tra se vedendoli così sorridenti.
Si alzò dal suo scranno rimettendo a posto il libro nello scaffale.
<< Io mi ritiro per un po’ nella mia cella perché ho un fastidioso mal di testa e forse è meglio se vado a riposarmi un pochino. >> dirigendosi velocemente verso il dormitorio.
I confratelli lo guardarono stupiti.
Si chiuse a chiave nella sua cella; chissà perché ma quella pergamena gli incuteva una sorta di timore, forse perché probabilmente, lo avvertiva a pelle, conteneva qualcosa di importante, ma la cosa lo intrigava parecchio.
Si avvicinò alla finestrella da dove entrava luce a sufficienza che gli permetteva di leggere agevolmente.
“ Chiunque tu sia, monaco, peregrino o viandante o chissà quale altra persona sei, io ti scrivo queste poche righe affinché non si perda il ricordo dei segreti della Basilica di Collemaggio. Se ordunque tu avrai modo di leggere queste parole significa che hai trovato la pergamena e se ne avrai voglia di recarti in quel luogo sacro fatto costruire da Celestino, bada bene ai segni che ti porteranno ai segreti di Pietro del Morrone. Troppa gente ha cercato di infrangere i misteri di quel luogo ma nessuno è mai riuscito a varcarne la soglia. Celestino fu punito per quel motivo e portato a morte in una squallida cella. Fai attenzione a coloro che vigilano sui segreti che non esiterebbero a portarti a morte certa. Leggi bene e con molta attenzione queste parole e prega tanto perché nelle preghiere avrai tutte le risposte.”
Rilesse più e più volte quello che aveva letto ma senza arrivare a comprenderne il significato recondito, sconcertato per i contenuti.
Una Basilica, un Papa presunto santo ed un mistero protetto da persone senza scrupoli e pronte ad uccidere.
Un brivido gli attraversò la schiena.
<< Quel monaco spagnolo sa molto di più di quanto non voglia far vedere, me lo devo fare amico e farlo parlare. La cosa diventa interessante, molto interessante e a me i misteri sono sempre piaciuti.>>
Una sorta di piacere emerse nel suo animo: il desiderio di indagare su qualcosa di misterioso, e la cosa lo intrigava e affascinava allo stesso tempo.
Un sorriso perfido e maligno gli attraversò il viso avendo capito di aver fatto breccia nelle sue simpatie e che col monaco spagnolo avrebbe dovuto giocare come il gatto col topo.
Decise di andare alla sua ricerca, trovandolo poco dopo nel chiostro seduto nella solita panca a prendere il sole, questa volta da solo.
Si sedette vicino a lui.
<< Allora fratello Baldassarre avete letto il libro ? >> chiese quello con fare annoiato, senza mostrare nessun interesse o sentimento, era solo una banale domanda.
<< No … ancora no, non ne ho avuto il tempo perché quelli non mi danno tempo di niente devo sempre stargli addosso, correggere i loro errori, richiamarli al lavoro, non si concentrano mai, sempre con la testa nelle nuvole. Sembrano più un gruppo di bambini sempre predisposti al gioco piuttosto che monaci. Di preferenza volevo chiedervi una cosa. >> si fermò un momento aspettando che il monaco gli desse il permesso di formulare la domanda.
<< Voi siete spagnolo. >> non era una domanda ma un’affermazione.
Quello annuì.
<< E come mai siete finito in Italia e soprattutto in questo posto ? >> domandò.
<< Storia lunga … molto lunga. << disse con un sospiro mentre i suoi occhi spenti vagavano nel cielo alla ricerca di vecchi ricordi. << io mi trovo in Italia da quando ero bambino. Ci sono arrivato con mio padre, che era un commerciante spagnolo molto facoltoso, per strada siamo stati assaliti dai banditi che hanno ammazzato tutti, compresi i compagni di mio padre, per rubare loro tutta la mercanzia, io sono stato lasciato vivo perché ero un bambino. Il monastero di Chiaravalle si trovava nei pressi ed i monaci mi hanno raccolto come un orfanello adottandomi. Mi hanno dato un tetto , una casa ed una grande famiglia; io sono cresciuto in questo posto e da qui non mi sono mai mosso. >> disse guardando Baldassarre per vedere se fosse soddisfatto della risposta e se le sue curiosità fossero state appagate.
<< Sicuramente un’infanzia un po’ travagliata. >> commentò lui.
Il monaco fece spallucce.
<< Sono sempre stato bene, non mi è mai mancato l’affetto e tutto quello che so lo appreso dai libri della biblioteca dove ho trascorso gran parte della mia esistenza, questo finché la mia vista mi ha sorretto, poi questa ha iniziato a mancare e da allora ho bisogno del prestito di altri occhi. I monaci di buona volontà non mancano ed io leggo con gli occhi degli altri. >> non riusciva a nascondere un po’ di tristezza dovuta a quel fatto. << comunque vivo senza rimorsi e rimpianti perché ho condotto una vita retta e timorata di Dio, vivendo tra i libri e la cultura e di questo mi sono saziato abbondantemente. >>
Baldassarre rimase in silenzio, annuendo.
<< Quindi non è stata la fede a spingervi in questo posto ? >> domandò con molto rispetto.
Il viso spento di quel monaco cercò il suo viso.
<< La fede ?! non lo so se c’è mai stata una vera fede … diciamo che mi sono adattato anche perché quali altre alternative avrei avuto ? >>
Il suo pensiero rimase sospeso a metà lasciando intendere tante cose.
<< Quando volete io sono disponibile a leggere, non dovete fare altro che chiedere. >> disse mostrando la sua disponibilità e cercando di fare breccia nei sentimenti del monaco.
Fratello Joaquin gli poggiò in silenzio un braccio sulla spalla in segno di assenso.
<< Bene … ! >> alzandosi dalla panca. << adesso vado a controllare come sta Bucefalo perché è da qualche giorno che lo trascuro. >> evitando volutamente altri discorsi dove ci sarebbe arrivato gradatamente in un altro tempo, tanto non aveva nessuna fretta.
Il monaco sollevò lo sguardo.
<< Chi è Bucefalo ? >> domandò incuriosito.
<< Il mio asino ! >> rispose lui con un sorriso.
<< Avete chiamato il vostro asino con il nome del cavallo di Alessandro Magno ? >> domandò divertito.
Per la prima volta una grassa e sonora risata apparve sul suo volto accompagnando il cammino di fratello Baldassarre.
Lui annuì dirigendosi alla ricerca del suo quadrupede sorridendo tra se per aver conquistato la simpatia del monaco.

Si diresse alla ricerca del fratello portinario sperando di trovarlo nei suoi alloggi all’ingresso del monastero, e così fu; stava seduto su una panca intento ad intagliare un pezzo di legno con un coltellino.
<< Pace e bene fratello ! >> disse ossequioso visto il carattere burbero di quello.
Il monaco sollevò il capo guardandolo di sottecchi e grugnendo un saluto.
<< Il mio asino come sta ? >> domandò cercando di non irritare quello strano personaggio.
<< Sta bene … è nella stalla, dorme e mangia, altro non fa, d’altronde è un asino … cosa dovrebbe fare ! >> rispose continuando a cercare di dare a quel pezzo di legno le sembianze di qualcosa che forse neanche lui sapeva di cosa si trattasse, evidentemente dotato di mani grossolane poco avvezze ai lavori di fino.
<< Cosa state cercando di fare ? >> chiese fingendo di interessarsi al suo lavoro e sedendosi vicino a lui.
<< Un asino ! >> rispose lui con un finto sorriso che metteva in mostra una fila di denti neri e marci.
Baldassarre annuì col capo.
<< Allora dovrete fare così. >> disse strappandogli con rapidità il pezzo di legno dalle mani. << datemi il coltellino. >> invitandolo a consegnarglielo.
Quello rimasto disorientato dalla sua rapidità glielo diede senza protestare.
In breve tempo con colpi decisi, rapidi e sicuri diede forma al pezzo di legno che assunse le sembianze di un asino.
<< Ecco ! >> disse porgendoglielo. << si fa così. >> con un sorriso accomodante.
Il monaco era rimasto strabiliato e a bocca aperta.
<< Ma siete un mago ! >> esclamò osservando con attenzione quel pezzo di legno che improvvisamente aveva assunto le sembianze di un animale.
Baldassarre fece cenno di no col capo.
<< Nessuna magia, solo abilità e perizia. Adesso voi lo rifinite per bene ed avrà l’aspetto di un somaro, magari del mio. >>
Quello osservava con attenzione la statuina in legno che stava prendendo corpo.
<< Conoscete da molto fratello Joaquin ? >> chiese una volta annullata la diffidenza di quello restituendogli l’oggetto.
<< Da una vita. >> rispose rigirandosi l’asinello tra le dita. << quando io sono arrivato al monastero lui era già adulto. >> guardandolo con stupore.
<< Ma è vero che è un monaco di grande cultura e conoscenza ? >> domandò.
Quello rispose con un gesto affermativo della mano.
<< Ha letto tutti i libri della biblioteca e li conosce uno per uno compresa la loro collocazione; in qualsiasi momento vi potrà dire il titolo, l’argomento trattato, l’autore, la sua ubicazione e il numero di pagine di ogni libro ma non fa mai sfoggio della sua cultura anzi… non ne parla proprio perché è molto riservato eppure è un monaco di grandissima cultura.>>
<< Fa parte della regola benedettina non peccare di presunzione ! >> disse Baldassarre ricordando i doveri di un monaco benedettino.
Quello lo guardò con una smorfia.
<< Ma lui non fa sfoggio di niente, lo sanno tutti al monastero che sa tante cose, anche segreti che l’uomo non conosce. >>
Lentamente Baldassarre stava portando il portinario a raccontargli vita e miracoli di fratello Joaquin.
<< Segreti !? >> chiese lui con aria stupita anche se aveva già intuito da un po’ che quello non era un comune monaco ma molto di più.
Il fratello portinario lo guardò con aria furbetta.
<< Sa …! sa molto su tutti i segreti dei monasteri di questa zona e sulle chiese. Perché sono state costruite e cosa contengono e quali misteri stanno dentro quei posti. Lui ha trascorso una vita a leggere, leggere e leggere. Conosce il significato delle costruzioni e come interpretarle, conosce l’importanza dei segni. Come si può dire … ! >> pensando alla parola giusta. << ah un iniziato, ecco ! questa è la definizione giusta, credo di averla sentita una volta che parlava con l’abate. Non so cosa voglia dire ma so che li chiamano così quelli che sanno interpretare certe cose. >> rimase immobile fissando Baldassarre.
Quello mentre lo ascoltava annuiva, dentro di se compiaciuto: aveva già intuito qualcosa riguardo al monaco ed ora il suo confratello gliene stava dando la certezza.
Ringraziò con affetto il fratello portinario adducendo la scusa che doveva rientrare alla biblioteca perché aveva lasciati soli i confratelli.
<< Mi raccomando. >> disse andando via. << trattatemi bene Bucefalo. >>
Il confratello annuì con un sorriso, rimanendo successivamente stordito non avendo capito chi fosse Bucefalo, osservandolo andare via sconcertato e a bocca aperta.

Rientrò alla biblioteca con molta calma meditando sulle ultime notizie, sui vari personaggi ed il loro ruolo. Il viso avvolto da un turbinio di pensieri, come se fossero tanti satelliti che gravitavano attorno alla sua mente.
Decise che non avrebbe parlato a fratello Joaquin del documento nascosto nel libro, forse più avanti, e decise inoltre che avrebbe fatto indagini per conto suo, tempo e biblioteca permettendo.
Molto meglio il silenzio e l’indifferenza.
Da amanuense e bibliotecario si stava trasformando in indagatore, in senso buono, e la qualcosa non gli dispiaceva affatto, gli erano sempre piaciuti i misteri ed adesso si ritrovava nel bel mezzo di una storia che si preannunciava molto grossa e intrigante.
Decise che avrebbe approfondito l’argomento Papa Celestino e la sua Basilica di Collemaggio e nel caso avrebbe intervistato fratello Joaquin che sicuramente era al corrente di tante cose visto come gli aveva descritto il chiostro dicendogli di vedere le cose con gli occhi della conoscenza.
Gli occhi della conoscenza … ma chi gli avrebbe potuto insegnare una cosa del genere o perlomeno dargli i consigli giusti; aveva sentito parlare in maniera leggera di queste cose ma non gli aveva mai dato troppo peso e senza mai prenderle sul serio.
Decise di leggere il libro, tutte le sere dopo cena al chiuso della sua cella e senza farlo sapere a nessuno: sarebbe stato il suo segreto.
Entrando nello scriptorium fu sorpreso positivamente dai confratelli seduti ordinatamente ai loro posti con i capi chini sui libri e rigorosamente in silenzio.
Fu meravigliato dalla loro solerzia e forse quello fu il segnale che i monaci stavano cominciando ad interessarsi e ad appassionarsi a quel lavoro.

La giornata lavorativa terminò senza particolari sussulti e questa volta si diresse al refettorio con gli altri monaci per la cena.
Intravide, mentre si sedeva al suo posto e dopo un cenno di saluto con l’abate, fratello Joaquin seduto al suo che non lo degnò di uno sguardo incurante di tutti e rannicchiato come sempre nella sua sedia, lo sguardo perso nel vuoto.
Non se ne curò, segnandosi ed aspettando il permesso dell’abate per la cena.
Terminata questa si avviò per prendere un po’ d’aria nel chiostro, dopo una giornata chiuso nello scriptorium un po’ di aria fresca ci voleva anche se il fresco della sera era incombente.
Si infilò il cappuccio sul capo e si mise a passeggiare con calma sotto il porticato, le mani al caldo dentro le maniche della tonaca, giunte davanti all’addome.
Un rumore di passi veloci richiamò la sua attenzione e voltandosi vide fratello Agostino che si dirigeva verso di lui.
<< Vi vuole parlare fratello Joaquin, lo troverete nell’auditorium. >> disse andando via di fretta tanto che Baldassarre non fece a tempo a ringraziarlo, rimanendo sconcertato.
Senza ostentare alcuna fretta ma in cuor molto curioso per quella strana convocazione non preventivata si diresse verso l’auditorium che si trovava dalla parte opposta del monastero.
Entrò in una sala neanche tanto grande dove nel fondo stava un ampio camino dove, al suo interno, potevano stare almeno quattro persone in piedi, ed al centro un tavolo con alcune sedie dove stavano seduti l’abate e fratello Joaquin, uno di fronte all’altro.
Rimase un momento interdetto perché non si aspettava la presenza dell’abate ma fece finta di niente chinando il capo in segno di saluto.
<< Fratello Baldassarre … ! accomodatevi con noi. >> disse l’abate invitandolo a sedersi. << come sta Bucefalo ? il nostro fratello Joaquin mi ha raccontato del nome importante che avete dato al vostro asino. >> aggiunse quasi ridendo.
Fratello Baldassarre sorrise accomodandosi vicino a loro; fratello Joaquin stava sempre rannicchiato nella sedia. Sembrava che avesse sempre la stessa posizione da seduto.
Li guardò in viso aspettando rispettosamente che gli venisse esposto il motivo di quella chiamata.
Il camino acceso con un fuoco caldo e scoppiettante che forniva un discreto tepore in quella stanza altrimenti fredda, invitava al rilassamento ed al benessere e lui si rilassò.
<< Vi abbiamo convocato per comunicarvi una cosa molto importante. >> disse con tono solenne l’abate dopo essersi schiarito la gola. << importante per voi ed il vostro futuro … speriamo ! >> aggiunse abbassando il tono della voce.
Baldassarre rimase immobile, rispettosamente in silenzio aspettando, mentre l’abate si rivolse a fratello Joaquin.
Il monaco fece un gesto con la mano invitandolo a continuare.
<< Fratello Joaquin ha deciso con il mio parere favorevole, visto il peso della sua età e tutti i vari acciacchi che lo assillano fra cui soprattutto la vista, di affidarvi la custodia delle Carte Fiastrensi. Secondo il venerabile confratello voi siete l’unico, all’interno del monastero, in grado di conservarle con il dovuto rispetto e la consapevolezza del loro valore. >>
<< La cosa mi onora e mi gratifica oltre modo. >> rispose lui chinando il capo in segno di rispetto, rimanendo tra se stupito in quanto non si aspettava una notizia del genere.
<< Ma c’è una condizione ovviamente ! >> aggiunse l’abate sollevando la mano come monito per imporre il silenzio e richiamare l’attenzione.
Baldassarre li guardò con gli occhi avidi e impauriti allo stesso tempo.
La voce biascicata di fratello Joaquin si insinuò precedendo le parole dell’abate.
<< La condizione é che voi rimaniate in questo monastero per sempre, potrete fare l’amanuense e questo lo sapete fare molto bene e qui da lavorare ce n’è a sufficienza. >> disse guardandolo con i suoi occhi spenti ma in quel momento assai penetranti, come se si fossero risvegliati all’improvviso. << siete l’unico in questo posto che ha la passione e la preparazione sufficiente per diventare il custode di quelle carte, chi altri volete che le custodisca ? i vostri presunti amanuensi che solo grazie a voi stanno imparando qualcosa ? voi siete l’unico altrimenti … ! >>
<< Altrimenti ? >> domandò lui.
<< Altrimenti non sappiamo come fare. >> rispose candidamente l’abate. << in questo monastero nessuno è più degno di voi. >> mentre fratello Joaquin annuiva silenziosamente.
Baldassarre rimase zitto per un po’ fissandoli negli occhi.
<< E se non volessi rimanere ? >> disse a bruciapelo dopo qualche istante.
L’abate e fratello Joaquin si guardarono disperatamente negli occhi, presi alla sprovvista da quell’affermazione, quasi sobbalzando.
<< Ce ne faremo una ragione. >> rispose l’abate spalancando le braccia sconsolato. << vorrà dire che quelle carte andranno a finire in qualche altro monastero che ne possa avere cura. >>
<< Vi darò la risposta domattina … lasciatemi una notte per pensarci. >>
Aveva rapidamente deciso di lasciarli in apprensione, anche se la decisone l’aveva già presa e poi sarebbe stato lui a dettare le condizioni, d’altronde la richiesta era partita da loro e avrebbero dovuto accettare le sue decisioni. Meglio farli cuocere a fuoco lento pensò.
<< Pace e bene. >> salutò andando via lasciandoli perplessi e ammutoliti.
Lo osservarono mentre con il saio svolazzante si dirigeva verso i suoi doveri.
<< E’ furbo e acuto … molto furbo ed ha anche l’istinto del capo, lo si vede da come parla e si muove. Inoltre è molto intelligente e portato allo studio. E’ avido di conoscenza e di sapere. >> commentò fratello Joaquin.
L’abate annuì.
<< Deve per forza decidere di rimanere, abbiamo bisogno di lui e delle sue capacità altrimenti la nostra biblioteca e le carte andranno in malora. >> disse segnandosi. << è l’unico capace di sostituirvi in maniera degna. >>
<< Ha trovato il libro perché mi ha già chiesto della Basilica di Collemaggio e sicuramente anche la pergamena nascosta e la cosa lo interessa e lo intriga. Se decidesse di rimanere, cosa di cui non dubito, dovrò cedere ai suoi desideri ed ai suoi ricatti, ovviamente in senso buono. Dovrò fargli da maestro finché sono in vita. >> disse fratello Joaquin con un sospiro.
<< E voi fatelo … ! non vi costa nulla e a qualcuno dovete lasciare tutto quello che avete imparato in vita. Non vorrete morire senza eredi ? >>
Lo rimproverò l’abate.
<< E così sarà anche se io non ho più voglia di niente, la mia vita scorre oramai veloce e la fine si avvicina ancora di più. >> disse alzandosi con un lamento e andando via.

Fratello Baldassarre si rinchiuse nella sua cella prendendo il libro che parlava della Basilica di Collemaggio e iniziando a leggere avidamente alla luce della candela, seduto sul suo letto.
La Basilica di Collemaggio fu edificata e terminata intorno all’anno 1288 e nello stesso anno fu consacrata per volere di Pietro Angelieri meglio noto come Pietro del Morrone fondatore della congregazione dei fratelli dello Spirito Santo.
Lo stesso Pietro fu eletto Papa con il nome di Celestino V nel 1294 ed il suo pontificato durò per quasi cinque mesi ma poi inaspettatamente si dimise dal suo ruolo per cause non note.
Il denaro necessario per la costruzione della Basilica fu donato a lui dai cavalieri templari.
Smise di leggere soffermandosi meditabondo su quell’ultima frase: il denaro donato dai templari, osservando distrattamente il soffitto della sua cella.
Ricordava di aver già sentito parlare dei templari, un ordine cavalleresco religioso di parecchi anni addietro che era stato disciolto da un Papa e da un re, ma non si ricordava niente di più, solo vaghi ricordi infantili.
Chiuse il libro mettendolo da parte; l’indomani avrebbe comunicato la sua decisione all’abate ed a fratello Joaquin, ma glielo avrebbe comunicato con il libro in mano e il monaco spagnolo gli avrebbe spiegato per bene quello che stava leggendo, altrimenti sarebbe andato via, inoltre un altro momento gli avrebbe chiesto il significato della pergamena nascosta nel libro.
Quella era la conditio sine qua non per accettare.
Si addormentò immediatamente sognando fantasticherie.

La mattina successiva, molto di buon’ora, fratello Baldassarre circolava per il monastero alla ricerca dell’abate.
Ombre furtive di monaci si dirigevano verso la chiesa per il mattutino e lui si aggregò ad essi pensando che vi avrebbe trovato fratello Ademaro.
E così fu.
Attese rigorosamente in silenzio, in un angolo della chiesa, che la funzione religiosa terminasse, certo che l’abate lo avesse già notato.
I monaci, ordinatamente e recitando sottovoce le preghiere si diressero verso l’uscita mentre l’abate lo attendeva ai piedi del coro.
<< Ho deciso di accettare. >> disse avvicinandosi a lui con discrezione.
<< ma … ! >>
<< Ma …? >> domandò fratello Ademaro sobbalzando.
<< C’è una condizione. >>
<< E sarebbe ? >> chiese quello aggrottando la fronte.
<< Fratello Joaquin mi dovrà fare da maestro e spiegarmi tante cose, alcune riguardano questo libro che ho trovato nella biblioteca. >>
L’abate lo osservò annuendo anche se non aveva visto il titolo del libro, ma lo aveva intuito.
<< Non credo assolutamente che fratello Joaquin possa avere delle difficoltà a fare questo, anche perché credo proprio che abbia tanta voglia di trasmettere a qualcuno il suo sapere, e sino ad adesso non lo ha mai fatto perché all’interno del monastero non ha trovato un monaco meritevole di apprendere, e credo che per voi abbia una spiccata simpatia, e forse anche ammirazione. Non credo che sarà difficile convincerlo. >> disse enfatizzando le parole.
<< Bene … ! allora andiamo a parlargli e comunichiamogli la buona notizia. >> fratello Baldassarre non vedeva il momento di sedersi a parlare con il monaco e farsi illuminare.
<< Lo troveremo sicuramente al refettorio anche se non è il posto ideale per parlare, meglio se lo convochiamo qui. >> precisò l’abate che preferiva parlare sempre al riparo da orecchie indiscrete.
Fratello Baldassarre confermò con un cenno del capo.
In effetti lo trovarono al refettorio mentre addentava distrattamente un pezzo di formaggio di capra ed un giovane monaco vicino a lui che leggeva alcuni salmi che il monaco ascoltava con molta attenzione.
In segno di rispetto, l’abate e Baldassarre, si fermarono in un angolo attendendo che il monaco terminasse le letture perché non era conveniente interromperlo in quel momento.
Terminata la lettura il monaco chiuse il libro dei salmi andando via dopo un ossequioso saluto.
<< Venite avanti voi due ! >> disse fratello Joaquin rivolgendosi ai due che aspettavano in rispettoso silenzio.
<< Allora … ? la notte ha portato consiglio o brutte tentazioni ? >> chiese ironicamente, fissando Baldassarre per quanto la sua vista appannata glielo permettesse.
<< Il nostro valido monaco amanuense ha preso una decisione, suppongo saggia e conveniente per tutti … ma c’è una condizione ! >> disse l’abate.
<< E sarebbe ? >>chiese il monaco Joaquin cercando con la sua vista gli occhi di Baldassarre, nell’avidità spenta dei suoi occhi si leggeva un moto di curiosità mentre attendeva la risposta.
<< Sarebbe che voi dovrete fargli da maestro e insegnarli le cose che richiede. Ma di questo ve ne parlerà lui. Io mi devo assentare per curare alcune cose del monastero. >> aggiunse salutando e dirigendosi all’esterno, lasciandoli volutamente soli.
Baldassarre prese una sedia sedendosi davanti al monaco.
<< Qui non si parla … andiamo nella mia cella, li non ci saranno orecchie estranee. >> fece fratello Joaquin alzandosi con difficoltà aiutato dal suo bastone e da un braccio che Baldassarre aveva offerto immediatamente e spontaneamente.
Con molta calma e tanta fatica arrivarono alla cella del monaco spagnolo che aprì la porta con la grossa chiave che teneva in una tasca all’interno della tonaca.
Invitò Baldassarre ad entrare chiudendo poi la porta e controllando che lo fosse per bene sospingendola col palmo della mano.
Si sedette buttandosi come un sacco vuoto nel suo letto e invitando Baldassarre a sedersi nella sedia di fronte a lui.
Con un gesto della mano invitò il confratello a parlare.
<< Sentiamo ? quali sono i vostri desiderata ? >> guardandolo fisso negli occhi , per quanto la vista glielo potesse permettere, come se volesse entrargli nella testa per leggere i suoi pensieri.
Baldassarre si sedette con calma ma senza avvicinarsi più di tanto togliendo il libro dalla tasca della tonaca mostrandolo al monaco.
<< Ho trovato questo libro e ne ho letto una parte e racconta la storia…>>
Fu interrotto da fratello Joaquin con une gesto impaziente.
<< Conosco il libro e so di cosa tratta e vi racconterò tutta la storia un altro momento. Avete trovato altro ? >> chiese come se conoscesse già la risposta.
Baldassarre rimase dubbioso se parlare o no aspettando per un po’ prima di parlare.
<< Ho avuto modo di vedere che il libro che aveva due pagine incollate e al loro interno una pergamena. >>
Quello annuì.
<< E non vi siete chiesto come mai quella pergamena, nonostante che per una vita io abbia accudito la biblioteca e vi posso assicurare che quel libro l’ho letto e riletto centinaia di volte, fosse ancora al suo posto ? >>
<< Perché voi l’avete già trovata e rimessa al suo posto; ho avuto modo di vedere che le pagine erano state già aperte e rincollate una seconda volta. Era ovvio che qualcuno avesse già trovato la pergamena e l’avesse rimessa al suo posto e quel qualcuno non potevate essere che voi. >>
<< Giustamente ad un amanuense abile e attento come voi non poteva sfuggire quel particolare e me ne compiaccio. Ma vi siete chiesto come mai quella pergamena è rimasta al suo posto ? >>
<< Da quello che ho letto mi sembra abbastanza pericolosa se non minacciosa. >> rispose senza indugi Baldassarre.
<< Esattamente… ! pericolosa ! Ma prima di parlare dei pericoli della pergamena sarà bene che vi racconti un po’ di storia riguardo i templari, Papa Celestino V, la Basilica di Collemaggio e la Santa casa di Loreto. >>
Baldassarre rimase a bocca aperta anche perché non aveva mai sentito parlare della Santa casa di Loreto: quel nome gli giungeva nuovo.
Fratello Joaquin intuì il suo disagio prevenendolo.
<< La storia o leggenda che sia racconta che parecchi anni fa la casa della vergine Maria è stata portata in volo dalla Palestina a Loreto ed in quel posto è stata posizionata e venerata. >> disse senza troppa enfasi.
<< In volo ! >> a Baldassarre non sfuggì un sorrisino ironico.
<< Così dicono … trasportata dagli angeli con i mantelli bianchi. Questa è la rappresentazione che da il popolo ma la realtà è un’altra; la famiglia Angeli che regnava all’epoca nell’Epiro ed il re Carlo II d’Angiò favorirono il trasporto di questa casa scortata dai cavalieri templari che sembravano degli angeli in quanto avevano il mantello bianco con la croce patente rossa sulla spalla. Dalla famiglia Angeli e dai templari appunto la leggenda degli angeli, ma tutto questo poco c’entra con la Basilica di Collemaggio, l’unico termine in comune sono i templari che hanno avuto molta importanza nella vicenda di Celestino assieme al re Carlo che fu uno di quelli che spinse per l’elezione di Pietro del Morrone a Papa. >>
Fratello Baldassarre ascoltava con molta attenzione e senza interrompere la storia raccontata dal monaco, cercando di mettere a mente i personaggi ed i dati.
Il monaco smise di parlare fissando Baldassarre in attesa, avidamente, di altre notizie.
<< Bene … nel 1273, avendo avuto notizia che il Papa aveva intenzione di sciogliere alcuni ordini minori, Pietro del Morrone futuro Celestino, si era recato a Lione per convincere il Papa a non sciogliere la sua congregazione dello Spirito Santo che in seguito venne chiamata dei Celestini, ma molto impropriamente. In questo ricevette un grosso aiuto dai templari che all’epoca godevano di notevole peso presso la corte papale. In cambio dell’aiuto pretesero da Pietro e dopo avergli costruito la Basilica di Collemaggio, dietro sua richiesta, che lui diventasse il custode di preziose reliquie e di testi di notevole importanza per la cristianità. Pietro da Morrone divenne così Celestino V e fu l’unico Papa eletto che non mise mai piede a Roma in quanto non voleva abbandonare il suo eremo e la sua Basilica e costrinse i cardinali a muoversi da Roma per andare alla sua elezione nella Basilica. Ma questo poco importa, quello che nel caso interessa a noi è che i templari aiutarono Celestino e gli costruirono la Basilica in cambio del suo aiuto e cioè che lui diventasse il custode del loro presunto tesoro; la Santa casa di Maria c’entra relativamente solo per dimostrare come la presenza dei cavalieri templari fosse importante e ben radicata in quel periodo ed in quella zona … >> rimase un momento in silenzio, forse cercando di rirpendere fiato e per mettere ordine nel suo racconto, successivamente riprese a parlare. << successe poi che dopo quattro mesi circa il Papa Celestino fece il gran rifiuto dimettendosi e tornando a vivere in solitudine ed in eremitaggio come aveva sempre fatto. Il suo successore il cardinale Caetani, futuro Bonifacio VIII, per qualche motivo misterioso e sconosciuto lo fece imprigionare e lui morì in una cella. Ucciso o morto di stenti ? … non è dato saperlo. Perché fu fatto imprigionare ? probabilmente perché non parlò e non disse mai cosa custodiva la Basilica di Collemaggio, ed era l’epoca in cui i cavalieri templari cominciavano a cadere in disgrazia perdendo molto potere. >> smise di parlare guardando il confratello fisso negli occhi.
Fratello Baldassarre era rimasto a bocca aperta, impietrito mentre ascoltava il racconto di fratello Joaquin.
<< E questo presunto tesoro è stato mai trovato ? >> chiese incuriosito dal racconto e fattosi molto più attento.
Fratello Joaquin fece cenno di no col capo.
<< Mai … e probabilmente mai nessuno lo troverà perché è custodito molto bene e nessuno ha le chiavi per arrivare al suo nascondiglio. Occorre conoscere molto bene l’ermetismo e saper leggere quello che gli altri non sanno. >>
<< Ermetismo ? >> rimanendo meravigliato per quella parola che non aveva mai sentito.
<< Ermete trismegisto, Ermete tre volte grande il padre della filosofia ermetica da cui ha preso il nome. Negli anni però questa filosofia è stata stravolta ed è diventata, secondo alcuni, un sistema per nascondere od occultare alcune cose e fare in modo che solo quelli che sanno interpretare i segni potessero leggere. Lui fu l’autore del famoso “ Corpus Hermeticum” , antichi testi portati alla corte di Cosimo dé Medici. Un’antica corrente filosofica che investirà anche l’astrologia, l’alchimia e la magia. >> aggiunse queste ultime parole sottovoce per paura di essere sentito da qualcuno, guardandosi attorno, nonostante fossero al chiuso di una cella.
<< Ma qui siamo nell’eresia ! >> commentò Baldassarre sobbalzando nella sedia.
Joaquin fece cenno di no con la mano tranquillizzandolo.
<< Nessuna eresia ma solo filosofia, badate bene, qui si parla dell’antico Egitto e dell’antica Grecia, la religione cattolica ancora non era nata per cui decade il concetto di eresia. Questa è storia della filosofia e anche storia dell’uomo. Di eretico non c’è niente perché non si ripudia nessuna religione altrimenti anche Aristotele, Platone e Socrate dovrebbero essere considerati degli eretici ma tutt’ora questi vengono studiati e comunque sono arrivati molto prima di Cristo e quindi non potevano discutere di una religione che ancora all’epoca non esisteva. Ma non scendiamo né in particolari e né in dettagli che in questo caso non ci interessano; qua come ermetismo viene intesa una forma di comunicazione conosciuta solo a quelle poche persone in grado di leggere ed interpretare determinati segni e simboli. Diciamo una filosofia nascosta, se questo termine può andar bene, per tenere celate certe cose al mondo ma per fare in modo che solo pochi eletti siano in grado di trovarle. >> disse prendendo un gran respiro dopo aver detto tutto di un fiato.
<< Società segrete ? >> domandò lui incuriosito.
<< Nessuna società segreta. >> rispose con un sorriso accomodante.
<< solo gruppi di persone, religiosi, studiosi o altro, che hanno a cuore che non si perda la memoria di determinate cose o notizie e soprattutto che queste non cadano in mani infami o indegne. Si tratta banalmente di salvaguardare degli oggetti o dei libri, pergamene o altro e l’unico sistema é celarle agli occhi della gente che altrimenti non le saprebbe apprezzare e potrebbero distruggerle o farne un cattivo uso. >>
Terminò il discorso fissando fratello Baldassarre negli occhi.
<< Sono stato esauriente ? >> chiese con molta ironia.
L’amanuense sorrise.
<< Anche troppo ! Adesso ho capito molte cose. Quindi quella pergamena ? >>
Fratello Joaquin sospirò stringendosi forte le mani.
<< Quando ero più giovane mi è venuta la voglia di andare a vedere di cosa si trattasse ma poi il tempo e numerose circostanze sfavorevoli hanno fatto in modo che non lo potessi fare. Evidentemente era destino ! >>
<< E voi cosa mi consigliate di fare ? >> domandò.
Joaquin lo guardò.
<< Quella pergamena non dice niente ! proprio niente ! >> disse a denti stretti. << dice solo che c’è qualcosa nella Basilica e basta ma non dice cosa e soprattutto non dice come trovare quello che è nascosto. Diciamo solo che è un promemoria per i posteri. >>
<< Ma la pergamena dice “ se avrai voglia di recarti in quel luogo bada bene ai segni”. E quali sarebbero i segni ? >>
<< Bella domanda … tutte le basiliche hanno dei segni particolari, basti vedere le grandi cattedrali gotiche che sono dei libri che pochi sanno leggere. Bisogna andare in quel luogo e vedere quali sono i segni, anzi occorre prima di tutto trovarli e poi decifrarli. E non é cosa di poco conto. Lasciate perdere fratello Baldassarre, se vi viene voglia di andare ad Aquila, lasciate perdere anche perché la pergamena è molto chiara. E’ un luogo molto ben protetto e si rischia la vita. Date retta lasciate perdere ! >> disse alzandosi con fatica e qualche lamento dopo aver rimarcato le ultime parole. << devo andare in chiesa. >> invitando fratello Baldassarre ad andare via, facendo intendere come fosse stanco.

Dopo aver lasciato il monaco alle sue cose si avviò senza fretta allo scriptorium dove i suoi confratelli lavoravano senza entusiasmo.
Li degnò di uno sguardo distratto mettendosi a sedere in uno scranno e aprendo controvoglia un libro.
Lui si trovava in quel posto ma la sua mente stava già fantasticando, soprattutto mettendo ordine nelle cose che avrebbe voluto chiedere a fratello Joaquin ma che non aveva fatto tempo a domandare. In particolar modo avrebbe voluto chiedergli chi, secondo lui, avesse lasciato quella pergamena nascosta e perché.
Decise che glielo avrebbe chiesto in un altro incontro magari nella pausa del pranzo cosa che in effetti successe dopo poco tempo.
Si avvicinò a lui con molta discrezione.
<< Vi debbo parlare. >> gli sussurrò ad un orecchio.
<< Andiamo nell’audiotorium. >> rispose quello alzandosi e incamminandosi col suo bastone che segnava ritmicamente il passo.
La sala era deserta, per loro fortuna e avrebbero potuto parlare senza orecchie indiscrete.
Il monaco si sedette come un peso morto in una sedia vicina al camino dove ardeva un fuoco impetuoso, segno che era stato acceso da poco.
<< Ditemi. >> invitandolo ad esporre il quesito e protendendo le mani verso il caldo.
<< Secondo voi chi ha scritto quella pergamena ? >> domandò.
Il monaco sorrise.
<< Sapete quando è morto Celestino V ?>>
Baldassarre fece cenno di no.
<< Nel 1313 … e sapete quando è stato sciolto l’ordine dei cavalieri del tempio ? nel 1314 con la morte dell’ultimo gran maestro del tempio anche se l’ordine era stato già sciolto anni prima. E avete notato in fondo alla pagina in un angolino cosa c’è scritto ? scritto a caratteri minuscoli. >> aggiunse.
Baldassarre rispose.
<< Non ho notato niente. >>
Il monaco sorrise.
<< In basso sulla destra c’è una data, scritta in caratteri molto piccoli ed è il 1315, successiva alle altre date. Quella pergamena è stata scritta sicuramente da un cavaliere templare in incognito dopo la morte di Celestino e la disfatta dei templari, per paura che si potesse perdere la memoria di qualcosa ed ha lasciato un messaggio nascosto in quel libro e chissà per quale misterioso motivo è arrivato in questo monastero. >> rimase pensieroso per qualche istante. << o forse un monaco che si è spostato da un monastero all’altro portandosi il libro appresso … chi può dirlo ! >> aggiunse guardandolo come dando la cosa per scontata. << un monaco fuggito frettolosamente dal monastero e che si è portato il libro con se, arrivato poi per qualche misterioso motivo a Chiaravalle ed il libro è rimasto nella nostra biblioteca. >>
Rimase pensieroso per alcuni istanti, forse pensando a cosa volesse aggiungere a tutto quello già detto.
<< Leggetela bene quella pergamena, forse vi dirà altre cose. >> gli consigliò.
<< Voi sapete qualcosa e non me lo volete dire ! >>
Il monaco lo guardò con lo sguardo accigliato.
<< A tutte le cose si arriva per gradi e voi dovrete imparare con calma e pazienza. La conoscenza implica un percorso lungo e tortuoso e voi vi dovrete adattare a questo. Ci sono inoltre delle cose a cui ci si arriva da soli e non tramite gli altri. Quando avete fame siete voi che mangiate o fate mangiare un altro al posto vostro ? >> lo rimproverò bonariamente. << voi siete ancora giovane, avete tante capacità, soprattutto come amanuense, ma ancora dovete assimilare l’arte della pazienza. >>
Baldassarre annuì.
<< Avete ragione ! >> disse. << ma la curiosità è spesso fonte di ansia e spinge ad anticipare i tempi. Me ne dovrò fare una ragione. >> consenziente, avendo capito che dal monaco non avrebbe ottenuto nulla di più rientrando di fretta alla biblioteca.

Il pomeriggio trascorse senza particolari sussulti con tutti i monaci impegnati nei vari lavori di restauro, tutto rigorosamente in silenzio e senza particolari cedimenti.
Fu il suono della campana della cena che pose fine ai lavori e loro, dopo aver rimesso a posto i libri, si incamminarono verso il refettorio.
Arrivò per ultimo Baldassarre che si accomodò al suo posto in silenzio pensando alle cose sue; il monaco Joaquin gli passò alle spalle come un fantasma, senza che lui se ne rendesse conto.
<< Leggete per bene quella pergamena, ma non badate a quello che c’è scritto. >> gli sussurrò continuando a dirigersi verso il suo posto.
Si voltò a guardarlo ma quello non si curò di lui continuando a camminare.
<< Leggere per bene ma non guardare quello che c’è scritto. >> mentre cenava ripensava a quelle parole che gli rimbalzavano nella testa. << probabilmente devo pensare non al contenuto ma forse a com’é scritta. >> pensava tra se.

Terminata la cena si diresse alla sua cella chiudendosi dentro.
Prese la pergamena dalla tasca della tonaca avvicinandosi alla candela per leggere meglio, iniziando a scorrere le parole una per una.
Si mise d’impegno a comprendere tutto quello che era scritto dall’inizio fino alla fine e viceversa ma non riusciva a trovare niente di particolare, con molta attenzione controllando le parole una per una anche se in alcuni tratti erano leggermente sbiadite.
<< Ecco qua la data, aveva ragione il monaco: 1315. >> continuò ad osservare lo scritto. << scarso questo scrittore, chiunque esso sia; grafia imprecisa, in alcuni punti troppo nerofumo e in altri no, le macchie sbiadite dal tempo si notano subito come anche le imprecisioni. >> pensava tra se rileggendo la pergamena. << qua troppo nero e qua poco. Alcune lettere le ha marcate troppo, evidentemente non era uno avvezzo alla scrittura. >> un lampo gli attraversò la mente ricontrollando con attenzione la scrittura.
<< Solo alcune lettere sono marcate, altre no. >> dopo aver ridato una rapida scorsa alle parole si diresse verso la sua cassetta prendendo una penna d’oca ed un foglio.
Riprese la pergamena iniziando a ricopiare le parole marcate elencandole a voce alta.
<< Una S, una A ed una N.>>
Osservandolo attentamente il testo appariva con alcune lettere più scure rispetto alle altre.
“Chiunque tu sia,monaco, peregrino, viandante o chissà quale altra persona sei, io ti scrivo queste poche righe affinché non si perda il ricordo dei segreti della Basilica di Collemaggio. Se ordunque tu avrai modo di leggere queste parole significa che hai trovato la pergamena e se ne avrai voglia di recarti in quel luogo sacro fatto costruire da Celestino, bada bene ai segni che ti porteranno ai segreti di Pietro del Morrone. Troppa gente ha cercato di infrangere i misteri di quel luogo ma nessuno è mai riuscito a varcarne la soglia. Celestino fu punito per quel motivo e portato a morte in una squallida cella. Fai attenzione a coloro che vigilano sui segreti che non esiterebbero a portarti a morte certa. Leggi bene e con molta attenzione queste parole e prega tanto perché nelle preghiere avrai tutte le risposte.”
Dopo un po’ le aveva tutte trascritte sulla pergamena.
<< San Giovanni Battista.>> lesse a voce alta congratulandosi con se stesso per essere riuscito con molta fortuna a scoprire cosa c’era scritto.
<< Un sistema banale ma molto efficace ! >> si disse tra se continuando a guardare quello che aveva scritto. < ma cosa c’entra San Giovanni Battista ? domani fratello Joaquin mi dovrà dare un’altra lezione sui templari e sulla Basilica. >>
Ripose la pergamena sdraiandosi nel letto con gli occhi aperti fissando il soffitto, soddisfatto per essere riuscito a risolvere un enigma che a cose fatte sembrava banale e che forse rappresentava il primo passo di un lungo cammino.

La mattina successiva si diresse euforico al refettorio per parlare con fratello Joaquin.
Lo trovò che discuteva animatamente con un giovane monaco perché, a detta sua, la sera precedente, alla cena, non aveva letto le Scritture con la dovuta attenzione minacciandogli in continuazione ripetuti colpi di bastone in testa.
Attese con pazienza che terminasse di rimproverare il confratello per parlargli e quando terminò quello gli fece cenno di avvicinarsi.
In quel momento il refettorio era quasi deserto.
<< Vi dice niente San Giovanni Battista ? >> gli disse ad un orecchio.
Il monaco sorrise compiaciuto.
<< Avete visto che ci siete arrivato ! >>
<< Si ma voi potevate dirmelo ! avrei risparmiato tempo. >>
<< Troppo facile così, vi ho detto che la strada della conoscenza va affrontata faticando. >> rispose ammonendolo. << volete anche voi colpi di bastone in testa ? >> minacciandolo con l’attrezzo.
Fratello Baldassarre rise compiaciuto.
<< E cosa mi dite di San Giovanni Battista ? >>
<< Ne parleremo dopo il pranzo perché adesso ho da fare. >> alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la chiesa. << fatevi trovare al chiostro sperando che ci sia il sole. >> gli urlò da lontano.
<< Monaco enigmatico ! >> commentò tra se osservandolo mentre si dirigeva verso la chiesa con il suo passo claudicante, piegato di lato.
<< sa molto più di quanto non dice; è sicuro che mi sta stuzzicando e mettendo alla prova ma non mi sembra di deluderlo. Vedremo dopo il pranzo cos’altro mi racconterà. >>

La mattina scorse velocemente indaffarato nel lavoro di restauro e nei continui rimproveri nei confronti dei monaci che erano lenti e svogliati nel lavoro, interrompendolo in continuazione con banali pretesti e lui che li riprendeva stimolandoli al lavoro, innervosendosi di continuo per le frequenti interruzioni dell’attività; ma forse il suo nervosismo era dovuto al fatto che non vedeva l’ora che arrivasse la pausa per il pranzo per poter parlare con fratello Joaquin.
La campana avvisò che era tempo di sospendere i lavori e lui si diresse velocemente, precedendo i confratelli, verso il refettorio sedendosi al suo posto e controllando che vi fosse anche il monaco spagnolo.
Fratello Joaquin era al suo posto accovacciato come sempre, fissava il piatto ancora vuoto perché i monaci ancora non avevano servito il pranzo.
Indifferente a tutto e a tutti, compreso Baldassarre, senza degnarlo di uno sguardo.
Arrivò l’abate che diede la benedizione e immediatamente il pranzo fu servito.
Minestra di legumi,un pezzo di formaggio, pane nero e frutta mentre un monaco dal pulpito leggeva, con voce noiosa e lamentosa, le scritture.
Il monaco spagnolo stava seduto col capo chino sul piatto, non degnava nessuno di uno sguardo tantomeno Baldassarre che a sua volta faceva il distratto, non voleva dare troppa soddisfazione al monaco, soprattutto non voleva far vedere quanto fosse ansioso di parlarci.
Calma e pazienza, si impose.
Terminato il pranzo Baldassarre si alzò aspettandolo all’uscita del refettorio.
Fratello Joaquin gli fece cenno di avvicinarsi, cosa che quello fece immediatamente.
<< Datemi il braccio così cammineremo più spediti ed io con meno fatica. >>
Baldassarre porse il braccio con il dovuto rispetto in maniera che quello si potesse reggere avviandosi lentamente verso il chiostro.
Indicò una panchina illuminata da un forte raggio di sole che cadeva a picco su di essa scaldandola.
<< Lì va bene … >> disse fratello Joaquin indicandola. << il caldo di quei raggi farà molto bene alle mie povere ossa. >> avvicinandosi e sedendosi con molta attenzione e cautela.
<< Sono vecchio … molto vecchio ed il mio povero fisico non ce la fa più, penso che stia per arrivare la mia ora di raggiungere il Padre nostro. >>
<< Quanti anni avete ? >> domandò Baldassarre con rispetto.
<< Ma … ! forse più di ottanta. Ho campato anche troppo ed ho visto tante cose, forse avrei potuto vivere diversamente se la vita non mi avesse tolto tanto ma comunque non mi posso lamentare. >> disse senza neanche nascondere un momento di tristezza scacciato peraltro quasi subito.
Si voltò a guardare il monaco con i suoi occhi velati di vecchiaia.
<< Dobbiamo stare qui per molto ? forza … chiedetemi quello che dovete che siamo qui per questo ! >> esortò il confratello a parlare con modi sgarbati.
<< Ecco … io volevo sapere che significato ha San Giovanni Battista, visto che sono riuscito a capire cosa nascondesse quella pergamena anche se voi lo sapevate già. >>
Il monaco abbozzò un mesto sorriso.
<< E’ una storia un po’ lunga e non so se avrò il fiato per raccontarvela tutta per intero… >> prese un gran respiro. << tutto parte dalla vicende dei templari. >>
Baldassarre si fece molto attento per non perdere neanche una parola di quello che diceva.
<< Tutto inizia quando i templari, chiamati così perché nella terra santa alloggiavano nelle stalle del tempio di Salomone, avevano iniziato degli scavi nei sotterranei del tempio e questo lo hanno fatto per parecchi anni. Inizialmente il loro ruolo era quello di proteggere le strade che percorrevano i pellegrini che si recavano al Santo Sepolcro, ma in realtà questo non è mai stato fatto perché i cavalieri erano in nove ed il territorio molto vasto, praticamente impossibile controllarlo tutto in nove. Cosa abbiano scoperto nei sotterranei non è dato saperlo ma qualcuno a suo tempo parlava di testi e libri molto particolari, addirittura vangeli apocrifi che però nessuno ha mai visto o letto: il vangelo di Maria Maddalena o di Filippo. Il fatto importante è che i templari sono diventati col tempo l’ordine più potente e più ricco dell’epoca. Quando furono accusati dal re Filippo il Bello, che mirava ad impossessarsi del loro tesoro quanto mai vasto e importante, tra le varie accuse ci fu anche quella di adorare un idolo, una testa barbuta chiamata Bafometto. Furono considerati eretici, blasfemi, accusati di essere sodomiti, di sputare la croce e di rinnegare il Cristo e altre accuse di vario genere. Rinnegare il Cristo e sputare la croce. >> calcò le parole rimarcandole. << secondo voi cosa significa rinnegare il Cristo ? >> domandò a bruciapelo.
Baldassarre rimase frastornato non afferrando il significato della domanda.
<< Lo rinnegavano perché non credevano in lui, secondo loro non era il vero profeta. >> aggiunse il monaco facendo un gran respiro per riprendere fiato.
Si fermò rimanendo in silenzio e fissando con sguardo freddo il confratello.
<< Loro erano devoti del Battista ! >> aggiunse sottovoce come se avesse paura che qualcuno potesse sentirlo ma puntandogli contro un dito minaccioso.
Baldassarre lo guardava con occhi avidi di notizie.
<< Perché secondo i templari era lui il vero profeta. Probabilmente nei vangeli apocrifi che avevano trovato nei sotterranei avevano letto qualcosa al riguardo. La testa che loro adoravano, il Bafometto probabilmente era la testa imbalsamata del Battista. Sapete cosa significa Bafometto ? >>
Il monaco rimase a bocca aperta aspettando la risposta. Quel monaco era una fucina di notizie e di grande conoscenza.
<< Il termine è formato da due parole greche, Bafhe e Metis che significano assorbimento della conoscenza o battesimo di saggezza…
battesimo … ! e chi fu colui che battezzava nelle acque del Giordano e che battezzò il Cristo ? >>
<< San Giovanni Battista ! >> rispose prontamente Baldassarre.
<< Esattamente. Per i templari era lui il vero profeta ed è per questo motivo che adoravano la sua testa imbalsamata e sputavano sulla croce, ammesso che fosse vero tutto questo ! >> rimase in silenzio fissando Baldassarre frastornato da tutte quelle notizie che sconvolgevano la sua fede e le sue credenze.
<< E Celestino cosa c’entra in tutto questo ? >> chiese dopo che si fu ripreso dal turbamento.
Fratello Joaquin sorrise ironicamente.
<< Quando Celestino fu eletto Papa istituì una sorta di Giubileo che lui chiamò festa della Perdonanza che cade esattamente tra il 28 ed il 29 agosto di ogni anno ed il 29 è il giorno del martirio di San Giovanni Battista ed è anche l’anniversario dell’elezione di Celestino. >>
Fratello Baldassarre stava a bocca aperta come un pesce, stordito da tutte quelle notizie.
<< Inoltre … ! >> fratello Joaquin continuò il racconto dopo aver ripreso fiato. << furono i templari che fornirono a Pietro i denari e tutto il necessario, comprese le maestranze per costruire la Basilica di Collemaggio a patto che lui custodisse il loro presunto tesoro o qualcosa altro che probabilmente non era proprio un tesoro in oro e argento ma qualcosa di molto più prezioso per loro, e che può essere o una reliquia o testi importanti per la cristianità. Celestino fu imprigionato da Bonifacio VIII, dopo la sua rinuncia al pontificato, molto probabilmente perché non svelò i segreti di Collemaggio o forse come diceva qualcuno nei tempi passati, per proteggerlo da qualcosa o qualcuno. Ma …! sono tutti discorsi basati sulla presunzione, senza dati di fatto o prove. >>
Rimase in silenzio guardandolo fisso negli occhi.
<< Probabilmente la pergamena è stata scritta da qualcuno, forse un templare o un monaco, che era a conoscenza di questi segreti e per fare in modo che qualcuno potesse venirlo a sapere per non perdere la memoria di tutto.>>
Commentò Baldassarre.
<< Sicuramente qualcuno che voleva che fosse trovata, e visto che era nascosta dentro un libro che racconta la storia di Collemaggio sperava che l’avesse trovata un amanuense o un monaco o comunque qualcuno che ha dimestichezza con i libri. >> rispose il monaco Joaquin.
Baldassarre annuì meditabondo.
<< Qualcuno che vuole che venga trovato il tesoro. >> aggiunse.
<< Proprio così… qualcuno che vuole che lo si trovi. >> susurrò fratello Joaquin. << qualcuno che deve essere per forza un religioso e che può avere interesse a custodire un eventuale tesoro. >> sottovoce per paura di essere sentito da qualcuno.
<< E voi perché non siete andato a cercarlo ? >> gli domandò Baldassarre.
Il monaco rise di gusto.
<< Io sono vecchio e non ho più le forze necessarie per andare a cercare tesori nascosti e poi la pergamena l’ho trovata tempo fa perché era un libro messo da parte che nessuno cercava più, mi è capitato tra le mani anni orsono perché stavo cercando di riordinare la biblioteca e l’ho letto per curiosità e basta. Mi ha colpito lo spessore delle pagine e ho verificato, tutto qui. Banalmente come avete fatto voi. >>
Si alzò con molta fatica dalla panca anche perché i raggi del sole si erano spostati e stava incombendo l’ombra con il freddo conseguente, dirigendosi zoppicante, con il suo bastone verso la chiesa.
<< Adesso sapete tutto, altro non vi posso raccontare perché altro non so e vi do un consiglio … lasciate perdere la Basilica di Collemaggio, è troppo pericoloso e voi siete un uomo di fede non certo avvezzo all’uso delle armi ed al combattimento. Ci sono persone che controllano e proteggono i suoi segreti e sono disposti a tutto. Continuate a fare l’amanuense che lo fate molto bene. I segreti ed i tesori nascosti lasciateli ad altri ! >>
Baldassarre rimase attonito in silenzio mentre la sua ombra si allungava lentamente sul pavimento del chiostro.

In silenzio e avvolto dai suoi pensieri opprimenti e imbarazzanti che generavano molta incertezza, si diresse verso la biblioteca dove l’attendevano i suoi confratelli con parecchi libri da sistemare.
Tutti al lavoro chini sui libri fingendo attenzione e scrupolo mentre lui invece aveva un libro davanti agli occhi ma i suoi pensieri lo portavano altrove.
Era intrigante quella vicenda di Collemaggio, molto intrigante ma allo stesso tempo gli incuteva molta paura. Quello che aveva letto nella pergamena lo coinvolgeva e tanta era la voglia di indagare per scoprire quale fosse il mistero legato a quella Basilica ed ai suoi personaggi ma allo stesso tempo veniva ostacolato dalla presenza di certi personaggi, a detta dell’autore della pergamena, capaci di tutto, anche di ammazzare.
E quello lo preoccupava oltremodo.
Il monaco fratello Agostino, che evidentemente aveva il ruolo di messaggero del monastero, entrò nello scriptorium come una folata violenta di vento.
<< Vi vuole l’abate … subito ! >> urlò come un disperato rivolgendosi a Baldassarre, nel suo viso si leggeva una grande paura, associata a sgomento e agitazione.
Quello si alzò fulmineo dal suo scranno.
<< Dov’è ? >> domandò ansiosamente.
<< Nella cella di fratello Joaquin. >> rispose andando via.
Il monaco si diresse celermente verso la cella del monaco spagnolo arrivandovi in poco tempo, preda della preoccupazione e dell’angoscia, visto il comportamento agitato ed irrequieto di fratello Agostino.
Trovò il fratello abate in compagnia di un altro monaco che non aveva mai visto, fratello Joaquin stava sdraiato nel suo letto che ansimava e respirava male.
L’abate si avvicinò a lui.
<< Sta male … non respira bene è bianco come un cadavere ed ha chiesto di voi. Lui è il fratello infermiere, quando ve lo permetterà parlerete con lui. >> disse andando via mentre Baldassarre si appoggiò alla parete pregando, guardandolo ed aspettando che il fratello infermiere terminasse il suo compito.
Quello dopo un po’ si avvicinò a lui.
<< Ogni tanto ha queste crisi respiratorie, altre volte durano di meno ma questa non vuole saperne di passare. >> disse sconsolato non sapendo più cosa fare.
Baldassarre annuì rimanendo rigorosamente immobile al suo posto cercando di non disturbare, osservando fratello Joaquin che respirava malissimo, affamato d’aria con gli occhi fuori delle orbite.
<< Quando la crisi passerà si addormenterà. Se non vi spiace io devo andare, voi se lo volete potrete rimanere, ma non lo stancate e non lo fate parlare troppo. >>
<< Va bene ! >> rispose lui con un sussurro per non disturbare.
Il fratello infermiere andò via mentre Baldassarre rimase appoggiato al muro osservando il confratello ansimante nel suo letto.
Lentamente e con il passare del tempo il respiro di quello si fece più ritmico e regolare, il viso imperlato di sudore.
Baldassarre si avvicinò al suo letto sollevando con attenzione il suo cuscino per farlo stare più sollevato in maniera che respirasse meglio.
Il monaco aprì gli occhi lentamente guardandosi attorno e il suo sguardo incrociò quello di Baldassarre.
Abbozzò un sorriso.
<< Ancora non sono morto … se siete venuto a vegliarmi ! >>
Anche Baldassarre sorrise.
<< Non sono venuto a vegliarvi ma per vedere come state. >>
<< Starei meglio se quel delinquente del fratello infermiere non mi facesse bere i suoi intrugli. Oggi mi ha propinato un decotto fatto con le foglie dell’ulivo e che faceva schifo, che mi ha fatto urinare come un disperato, una cosa repellente ! però adesso sto meglio. >> disse cercando di sollevarsi ancora di più per parlare meglio.
<< Il fratello infermiere sicuramente vi vuole bene e ha cura di voi perché il decotto con l’ulivo depura l’organismo e permette di eliminare i cattivi umori dal sangue e mi sembra che stia facendo effetto. >> fece con tono accondiscendente mentre lo aiutava a sollevarsi. << come vi sentite ? >> chiese premurandosi del suo benessere.
<< Meglio ! >> rispose quello. << ma ormai la mia vita ha preso la strada in discesa verso l’inferno, tanto cosa volete che mi aspetti, io sono un povero peccatore e per me il paradiso ha le porte chiuse. >>
<< Ma cosa dite, ad un monaco come voi spetta come minimo il purgatorio e poi il paradiso ! ma quale inferno. >> rispose con un sorriso.
Fratello Joaquin sollevò le spalle in segno di indifferenza.
<< Tanto a che vale … ! io oramai ho dato e mi prendo quello che mi spetta. Cosa avete intenzione di fare ? >> chiese cambiando discorso.
<< Adesso vado allo scriptorium a controllare il lavoro dei miei confratelli, poi non lo so. >>
Fratello Joaquin sorrise beffardo.
<< Non fate il finto tonto, avete compreso benissimo quello che vi ho chiesto. Non mi fate ripetere la domanda e non mi fate sprecare altro fiato. >>
<< Non lo so ! Onestamente devo dire che la cosa è molto intrigante e mi attira ma non so come muovermi e dove debbo andare. Però la voglia è tanta … >> disse sottovoce come se avesse paura di farsi sentire da qualcuno. << io adoro i misteri ed i segreti, non mi interessa niente di scoprire un tesoro, mi piacerebbe trovarlo e capire di cosa si tratta, ammirarlo e studiarlo, svelare il mistero e poi magari rimetterlo al suo posto lasciando dei segnali in maniera tale che altri lo possano trovare o che perlomeno non se ne perda la memoria. >>
Il monaco annuiva in silenzio.
<< Avrei voluto fare anch’io la stessa cosa ma oramai l’età incipiente e la mia salute non me lo permettono. Chissà che non riusciate a farlo voi al mio posto anche se non si tratta di una passeggiata ma di una cosa molto pericolosa e seria … molto ! >> il viso accigliato e preoccupato.
Fratello Baldassarre comprese che il vecchio monaco non aveva più voglia di parlare e desiderava riposare.
<< Passerò più tardi, adesso riposate che ne avete bisogno. >> abbozzò un cenno di saluto andando via.
Appena fu andato via l’abate entrò nella cella senza essere notato.
<< Come state ? >> chiese prendendo una sedia e sedendosi vicino al suo letto.
Quello fece di spalle.
<< Oramai mi aspetto che la mia vita vada via da un momento all’altro. Ho campato a sufficienza e non posso pretendere di essere eterno. Spero solo di addormentarmi e di non soffrire. Sarebbe la morte più bella.>>
<< Speriamo invece che il buon Dio vi conceda di campare ancora a lungo perché il monastero ha molto bisogno di voi, della vostra cultura, della vostra guida e dei vostri preziosi consigli. >>
Il monaco abbozzò un sorriso più simile ad una smorfia.
<< Io ho già dato, ho trascorso una vita in questo monastero dove sono stato accolto e trattato come un figlio ed ho vissuto per questo posto e altro non posso fare; posso solo aspettare che venga la mia ora e credo che manchi poco ormai. Piuttosto mi preoccupa quel giovane monaco, così pieno di entusiasmo e voglia di conoscere e non vorrei che per colpa di questo suo atteggiamento si possa mettere nei guai. Non sa cosa può capitare andando a cercare i misteri della Basilica di Collemaggio, lo vedo affamato di conoscenza e di sapere, come tutti i bravi amanuensi. La mancanza di curiosità è l’anticamera dell’ignoranza e quel giovane è molto curioso. Promettetemi che non lo lascerete andare in cerca di guai ! >> disse con occhi supplichevoli rivolti all’abate.
<< Io non posso interferire nella sua vita e voi lo sapete bene. Il libero arbitrio non mi permette di vietargli quello che vuole fare. >>
<< Sia fatta la volontà di Dio ! >> disse il monaco.
<< Amen. >> rispose l’abate.
<< Se solo sapesse che non si tratta solo di un tesoro nascosto ma di ben altro … mistero … antiche conoscenze … e tante altre cose che sconvolgerebbero il mondo cristiano. Forse è meglio che non venga a sapere certe cose perché non tutti sono in grado di accettare determinate rivelazioni. Se venisse a conoscenza di cosa tutto ruota attorno a quella Basilica ed a Celestino … ne verrebbe sconvolto. >> commentò il vecchio monaco a voce alta.
<< Lasciamo che lo scopra se ci riuscirà, ne prenderà atto e se ne farà una ragione come lo avete fatto voi a suo tempo e siete abbondantemente sopravvissuto a certe rivelazioni. >>
<< Gli farò leggere un libro e da li capirà tante cose. >>
<< Mi sembra un’ottima soluzione. >> disse l’abate salutando e andando via per lasciar riposare il monaco visibilmente affaticato.

 

Capitolo quinto

 

Baldassarre si era recato nella biblioteca per cercare di terminare il suo lavoro prima del tramonto.
I suoi confratelli erano intenti ai loro incarichi, immersi tra pagine polverose di libri; silenziosi e concentrati.
<< Potete andare a cena tanto sta per suonare la campana ed il sole è tramontato. >> disse loro invitandoli a recarsi al refettorio, in maniera elegante si stava sbarazzando della loro presenza.
Quelli lo guardarono meravigliati in quanto non li aveva mai invitati ad andare via prima del tempo, comunque si alzarono, sistemarono i libri nei loro posti e si avviarono dopo aver pronunciato un “ pace e bene “ all’indirizzo di fratello Baldassarre.
Rimasto solo si sedette in uno scranno illuminato da una grossa candela e aprì il libro che parlava della Basilica di Collemaggio e della sua storia.
Oramai quella vicenda gli stava entrando nel sangue e non poteva fare a meno di pensarci ed aumentava a dismisura il desiderio di recarsi in quel posto per esaminare la Basilica e scoprire gli eventuali segreti celati.
Doveva assolutamente farsi raccontare da fratello Joaquin tante cose e quello ne aveva da raccontare perché lui era sicuro che il monaco molte cose le aveva volontariamente tenute per se.
Quell’uomo era un pozzo di conoscenza e ogni volta che aveva il piacere di dialogare con lui veniva edotto su tante cose.

Dopo diverso tempo impiegato a leggere chiuse il libro deluso: si aspettava molto di più invece si trattava solo di un resoconto storico della costruzione della Basilica con i nomi delle maestranze che la avevano costruita, i pittori che l’avevano decorata ed altri che erano intervenuti. Date, cifre, calcoli matematici ma niente al riguardo di quello che sospettava.
Niente di niente.
Si alzò dirigendosi verso il refettorio sperando che fosse rimasto qualcosa da mettere sotto i denti camminando per i bui corridoi del cenobio pensando a cose sue.
Quella sala era deserta segno che i monaci avevano terminato la cena ed erano andati o a dormire o a pregare.
Decise di dirigersi verso le cucine dove sicuramente avrebbe trovato un tozzo di pane ed un frutto.
In cucina erano presenti solo due monaci indaffarati a mettere a posto gli utensili utilizzati per cucinare, una volta lavati.
Grande fu la sorpresa quando vide in un angolo, vicino al grande camino in cerca di tepore , fratello Joaquin, rannicchiato in una sedia che reggeva con difficoltà una scodella, intento a sorseggiare un po’ di minestra.
Sollevò lo sguardo osservandolo in silenzio.
Baldassarre prese un pezzo di pane addentandolo e avvicinandosi a lui.
<< Vedo che state meglio, ciò significa che gli intrugli che vi ha somministrato il fratello infermiere vi hanno giovato. >> disse con un ampio sorriso, accomodandosi vicino a lui.
Fratello Joaquin lo guardò, portando lentamente il cucchiaio alla bocca.
<< Il fratello infermiere o il buon Dio con le preghiere ? >>
<< Forse tutti e due. >> rispose Baldassarre ridendo.
<< O forse non è ancora giunta la mia ora ! >> commentò quello poggiando la scodella. << scommetto la moneta che non possiedo che avete tante cose da chiedermi, soprattutto prima del mio decesso. >> disse ironicamente poggiando la scodella su uno sgabello, segnandosi e ringraziando per il pasto. << vi intriga la vicenda di Collemaggio, vi intriga parecchio perché voi siete curioso e voglioso di scoprire tante cose, soprattutto quelle di cui non eravate a conoscenza, perché state cominciando a prendere dimestichezza con un mondo nuovo di cui eravate all’oscuro. Mi ricordate molto me stesso quando avevo più o meno la vostra età e avevo le stesse voglie e soprattutto la forza che mi sorreggeva e mi permetteva di muovermi. Non vi nascondo che mi piacerebbe scoprire quali sono i misteri di Collemaggio e fino al vostro arrivo mi ero dato pace, ma voi avete risvegliato in me ricordi e curiosità che erano in letargo, ma non cancellate o dimenticate, badate bene ! >>
Rimase in silenzio qualche momento riposandosi e cercando di riprendere fiato.
<< E forse voi potrete fare quello a cui non sono riuscito io. Potreste essere le mie gambe e la mia testa. >> guardandolo con occhi furbetti.
<< vi andrebbe l’idea ? >>
Fratello Baldassarre rimase attonito, indeciso su cosa fare e dire.
<< Sarebbe a dire che io dovrei recarmi alla Basilica di Collemaggio per cercare di scoprire i suoi segreti ? >>
<< Esattamente ! >> rispose il monaco spagnolo con la massima serenità possibile. << voi diventerete le mia gambe ed i miei occhi ma, badate bene, io non vi potrò proteggere da alcunché, i pericoli ve li dovrete gestire voi e senza aiuto di nessuno. Suppongo che non siate in grado di brandire un’arma. >>
<< Mai fatto anche perché il nostro ordine non prevede l’utilizzo di armi o qualsiasi altra forma di violenza. >> rispose quasi inorridito, segnandosi.
<< Allora le vostre armi dovranno essere l’intelligenza, la furbizia e l’acume associati alla vostra preparazione e allo studio. Io vi darò le indicazioni, quelle che sono riuscito a carpire nel corso dei miei studi e voi vi muoverete secondo le mie direttive. >>
Baldassarre annuì, ammutolito in quanto incapace di rispondere per via di quelle notizie che gli erano arrivate come un fulmine a ciel sereno. Non si sarebbe mai aspettato un simile mutamento da parte del confratello spagnolo e non aveva nessuna intenzione di rinunciarci; ma, evidentemente, lo spavento preso in precedenza avevano acuito la voglia e la frenesia di conoscere.
<< Ditemi cosa devo fare ? >> domandò tentennante, avvilupato dall’euforia.
<< Innanzitutto studiare, dovrete conoscere il linguaggio dei simboli e saperli interpretare. La Perdonanza si svolge in estate e noi siamo appena a fine inverno … avrete tutto il tempo necessario per studiare e quando vi recherete in quel posto sarete un pellegrino che va per espiare i suoi peccati, inoltre essendo un monaco nessuno darà peso alla vostra presenza e forse se vi recherete in comitiva sarà ancora meglio che da solo. E’ abbastanza frequente che gruppi di monaci pellegrini si rechino alla Basilica in quel periodo e quindi nessuno farà caso a voi. >>
<< Intendete dire che mi dovrò recare in compagnia ? >> domandò stupito.
<< Certamente … voi ed i vostri amanuensi opportunamente addestrati ! sono così scalcagnati che nessuno li noterà anzi daranno più credito al vostro pellegrinaggio. >> aggiunse ridendo con gusto. << più tardi venite a trovarmi nella mia cella, c’è un libro che vi aspetta e che dovrete leggere con molta attenzione … anzi guardare con molta attenzione e studiarlo per bene. >> si corresse dandogli un messaggio neanche tanto nascosto.
Si alzò con fatica dalla sedia appoggiandosi al suo bastone e accennando un gesto di saluto.
Baldassarre lo osservò mentre andava via.
<< Non lo capisco questo monaco, giuro che non lo capisco. >> pensò tra se. << dice e non dice, e poi sul più bello smette di parlare. O vuole nascondere le cose o me le vuol dire poco per volta e tenermi sulla corda, o forse mi vuole instillare la curiosità poco per volta. Mi sembra il supplizio di Tantalo ! Ma … ! staremo a vedere. >>
Rimase seduto meditabondo terminando di mangiare un pezzo di pane col formaggio.
<< Mi sta manovrando e mi vuol far muovere a suo piacimento, quel monaco ! ma la cosa mi intriga parecchio e penso proprio che mi lascerò manovrare seguendo le sue indicazioni, tanto lui penserà di comandare il gioco mentre non farà altro che fare ciò che io desidero. Lasciamoglielo credere ! >> un sorriso beffardo attraversò il viso di fratello Baldassarre, fissando le fiamme che alte si scagliavano su per la cappa del camino.
Terminata la sua parca cena si diresse verso la cella del monaco attraversando i corridoi deserti del monastero nella penombra e nel silenzio.
Arrivato alla cella di fratello Joaquin bussò con delicatezza rimanendo in attesa.
Una voce dal di dentro lo invitò ad entrare.
Aprì la porta entrando; la cella era scarsamente illuminata da una debole luce di candela. Il monaco si trovava in piedi presso la sua libreria che controllava con difficoltà alcuni volumi e non si voltò a guardarlo.
<< Ecco ! >> disse porgendogliene uno. << se la mia vista non mi inganna in questo testo vi sono i simboli che riguardano le chiese ed il loro significato. Leggetelo e studiatelo di modo che un giorno sappiate interpretare i simboli che troverete. Nella Basilica di Collemaggio non ne troverete granché ma comunque sono presenti e quei pochi che troverete dovrete essere in grado di riconoscerli e interpretarli. >>
Con un cenno della mano lo invitò ad andarsene cosa che quello fece immediatamente ritirandosi velocemente nella sua cella.
Accese una candela osservando con attenzione quel libro e scrutando i disegni che venivano riportati.
Si stava calando in un mondo tutto nuovo che neanche pensava che esistesse e la cosa lo affascinava e intrigava allo stesso tempo, lui che aveva sempre vissuto tra libri che trattavano di religione e di filosofia e che aveva avuto modo di leggere, tra un restauro ed un altro, o di imparare quando li trascriveva ma comunque sempre cercando di badare più alla corretta grafia e a disegnare per bene l’incipit che piuttosto al contenuto, tracciando i colori senza sbavature e con la mano ferma.
In quel momento stava cominciando a comprendere che certi bassorilievi o statue presenti in alcune chiese avevano un altro significato rispetto a quello che tutti avevano modo di conoscere e di osservare.
Esisteva un mondo parallelo di simboli e segni che andava oltre la raffigurazione di santi o madonne e altro, e cominciava a capire che certe chiese andavano osservate con ben altro occhio piuttosto che con quello ottuso dei bigotti cattolici che guardavano senza pensare. Lui la religione l’aveva sempre considerato come una forma di pensiero filosofico per avvicinarsi a Dio e non aveva mai accettato certi comportamenti rigidi e senza possibilità di discussione. La fede è la fede e davanti a lei non si può discutere o l’accetti o la discuti e nel momento in cui la metti in discussione vengono a galla parecchie contraddizioni. In effetti lui non si era avvicinato alla religione per fede ma piuttosto per fame e per fare un lavoro che lo affascinava e per il quale aveva doti particolari, e quello rappresentava l’unico mezzo per avvicinarsi alla scrittura ed al disegno, dunque aveva sempre messo in discussione parecchi aspetti ma sempre in maniera velata e mai sfrontata per non essere tacciato di eresia e finire al rogo.
E quel libro qualche aspetto eretico lo aveva e mentre lo leggeva non si era reso conto che la mezzanotte era trascorsa da un po’, decise quindi di mettere il libro da parte e di riprenderlo il giorno seguente anche se aveva un piccolo tarlo nel cervello che lo ossessionava e cioè che fratello Joaquin aveva ancora tanto da raccontare e ancora non gli aveva detto tutto.
Ma questo lo avrebbe appurato il giorno appresso, dopo una notte di riposo.

La mattina successiva si alzò prima dell’alba col piglio del guerriero bellicoso: aveva intenzione di farsi raccontare, da fratello Joaquin tutta la storia della Basilica di Collemaggio, perché era più che certo che il monaco avesse tralasciato di raccontargli parecchie cose e lui voleva sentirsele raccontare.
Percorse velocemente i corridoi deserti preso da un’irrefrenabile voglia di sapere dirigendosi verso il refettorio, sicuro che li vi avrebbe trovato il monaco spagnolo.
In effetti quello stava seduto in un angolo vicino al camino acceso in cerca di caldo mentre assaporava una tazza di latte caldo.
Alzò la testa osservano fratello Baldassarre che si dirigeva verso di lui.
Poggiò la tazza invitandolo a sedersi vicino a lui.
<< Il fuoco caldo di questo camino fa tacere i dolori che mi attanagliano, sedetevi vicino a me e ditemi cos’altro volete sapere. >> disse con la sua voce sbiascicata.
<< Voglio sapere tutta la storia della Basilica … quella vera ! >> come se fosse un ordine.
<< Vi state addentrando troppo nei misteri di Collemaggio ed è una storia molto lunga … troppo, e non basta una mattina per raccontarvela tutta. Penso proprio che oggi non andrete alla biblioteca ma mi farete molta compagnia, ci conviene andare nel chiostro seduti al caldo sole dove voi mi ascolterete finché ne avrete voglia e finché io avrò fiato per parlare. >>
Alzandosi con molta fatica dalla sedia e impugnato il suo bastone iniziò a dirigersi verso l’aperto, nel chiostro, mentre cercava un appoggio nel braccio del suo confratello.
Trovarono una panchina soleggiata dove il monaco si sedette abbandonandosi e Baldassarre che si sedette di fianco a lui.
<< Ma non è che l’abate si inquieta se non ci troviamo ai nostri compiti ? >> domandò preoccupandosi della regola.
<< Io non ho più compiti, è da parecchio che sono esentato da tante cose, voi avete i vostri confratelli che sanno cosa fare ed in questo momento sono sicuramente al lavoro, quindi non preoccupatevi e mettetevi di impegno per ascoltarmi perché sono tante le cose che vi debbo ancora raccontare. >> smise di parlare prendendo un gran respiro.
<< Tutta la vicenda ha inizio nel momento in cui Pietro del Morrone si reca a Lione per supplicare il Pontefice di non cancellare il suo ordine, quello dei figli dello Spirito Santo. Viene aiutato in questo dai cavalieri templari, un ordine religioso cavalleresco nato in terra santa ai tempi delle crociate e questo lo abbiamo già detto; loro lo aiuteranno per salvare il suo ordine e per far costruire la Basilica di Collemaggio, aiutato sia in termini economici che con i mastri costruttori e le maestranze, in cambio il futuro Celestino avrebbe dovuto custodire una parte del loro tesoro consistente in reliquie e testi molto particolari, ma anche molto oro. Ma c’è un antefatto di molti anni precedenti a questa vicenda. Un monaco, Gioacchino da Fiore, aveva profetizzato che nel 1260 circa si sarebbe avverata l’età dello Spirito Santo. A seguito di questa profezia molti avevano individuato in Pietro del Morrone il Pastor Angelicus, il pontefice della chiesa Spiritualis, e in parecchi si mossero per rendere questa profezia attuabile. Spostare la chiesa da Roma, oramai corrotta e preda di intrighi di potere tra i cardinali delle più potenti famiglie romane nella città denominata Aquila, voluta fortemente da Federico II di Svevia, l’imperatore Stupor Mundi. Questa città ha una forma particolarmente strana che ricorda molto, specularmente, la città di Gerusalemme e sarebbe dovuta diventare il centro di questa chiesa spirituale. Il re Carlo d’Angiò sia per motivi suoi personali che per altri motivi sconosciuti, si recò da Pietro per chiedergli di muovere una supplica ai cardinali affinché eleggessero il nuovo Papa in quanto la chiesa era da due anni senza Pontefice, con la sede vacante e senza guida. Con grande meraviglia e stupore fu eletto Pietro che diventò così Celestino V. Tutte le pedine della scacchiera, mosse abilmente dai templari e forse anche da Re Carlo erano state messe ai loro posti. Pietro del Morrone diventato Papa con la sua Basilica di Collemaggio dove era nascosta una parte del tesoro dei templari, il papato spostato da Roma alla città di Aquila; si stava così creando quella chiesa Spiritualis profetizzata da Gioacchino da Fiore e voluta da re e imperatori. >> smise di parlare per riprendere fiato mentre Baldassarre era rimasto a bocca aperta per tutta la serie di notizie che il confratello stava sciorinando, non aveva osato interromperlo anche se avrebbe voluto domandare tante cose.
<< Stupito ? >> domandò fratello Joaquin. << spesso quello che noi vediamo non è la verità che altri vedono con occhi diversi. Pensate che Celestino fu eletto Papa senza aver messo piede a Roma, luogo dove lui non volle mai andare rifiutando energicamente di spostarsi da Aquila e per l’incoronazione i cardinali si recarono presso la sua dimora per incoronarlo nella Basilica di Collemaggio. Dopo quattro mesi però successe che Celestino si dimise da Pontefice spogliandosi dagli abiti e rimettendo il saio da eremita. Ci furono successivamente alcune cose strane: il cardinale Caetani, futuro Bonifacio VIII, forse per proteggerlo o forse perché Celestino si rifiutava di parlare lo imprigionò nel castello di Fumone e li morì. Noi non avremo mai modo di sapere il perché di tutte queste congiure e tutti i misteri che le avvolgono ma una cosa è certa ed è che la Basilica di Collemaggio nasconde, probabilmente, una parte del tesoro dei templari che fu diviso e nascosto in posti diversi ma non sappiamo cosa sia. E questo è tutto … adesso voi ditemi che intenzioni avete ? >> smise di parlare aspettando che il confratello si aprisse a sua volta. << e soprattutto a quali guai volete andare incontro. >> con un sorriso beffardo, gli occhi simili a due fessure.
<< E’ una storia che mi affascina e mi intriga, a me è sempre piaciuto il mistero e molto onestamente non ero al corrente di tutte queste cose che mi giungono nuove, e non mi dispiacerebbe andare a indagare su questo fatto. Non saprei come muovermi e come comportarmi però voi mi potrete fare da maestro. Mi avete detto che non vi siete mai recato a Collemaggio ? >> domandò.
<< Mai, vi posso raccontare tutto ma da qui io non mi sono mai mosso, però vi posso descrivere minuziosamente tutta la Basilica senza averla mai vista e sicuramente posso darvi delle indicazioni anzi … la primavera sta per iniziare ed il consiglio che vi ribadisco è questo: in estate ci sarà la festa della Perdonanza con l’apertura della porta Santa e voi vi ci potreste recare come pellegrino, anzi, come vi ho già detto fate una bella comitiva con i vostri fratelli amanuensi recandovi in gruppo; avrete modo di vedere senza dare troppo nell’occhio. Sono tanti i pellegrini ed i penitenti che si recano in quel periodo e nessuno farà caso a voi. >> disse con un sorrisino perfido stampato sul viso. << pensateci per bene ma non dite mai ai vostri confratelli perché andate e cosa cercate. Meno gente sa e meglio è per tutti. Quella Basilica è molto protetta, i Celestini, i presunti seguaci dell’ordine di Papa Celestino, sono molto attenti e difendono con cura i segreti della Basilica. Inoltre non sarà semplice né per voi né per nessuno arrivare al presunto tesoro perché è molto ben nascosto, se voi vi immaginate che né re né papi sono riusciti a trovarlo, quali speranze potrete avere ? >> disse guardandolo con occhi di sfida.
Baldassarre rimase zitto e pensieroso.
<< Ci vorrà l’autorizzazione dell’abate per allontanarci dal monastero. >> mormorò a mezza voce.
<< Quella è l’ultima cosa a cui dovrete pensare, l’abate non vi impedirà sicuramente di andare a Collemaggio anche perché fa quello che dico io, di questo potete starne certo. Di lui non vi dovrete preoccupare. >> disse con un sorriso maligno stampato sul viso.
<< dovrete invece concentrarvi su come muovervi e soprattutto cosa cercare. Non conoscete il luogo, non ci siete mai stato dunque cosa dovrete cercare ? mi sembra molto un salto nel vuoto ed è il motivo per il quale io, quando ne ho avuto la possibilità, non ci sono andato. Badate bene … non vi voglio demoralizzare ma solo spalancavi gli occhi e mettervi sul chi vive. Non è una passeggiata. >>
Baldassarre annuì in silenzio.
<< Qualcosa mi verrà in testa, da qui all’estate ci vuole ancora tempo ed i libri da sistemare sono ancora tanti. >> disse alzandosi e salutando il monaco che rimase impassibile, seduto nella panca riscaldata dai raggi del sole fissando con i suoi occhietti spenti il confratello che a testa bassa si dirigeva verso i suoi doveri.

<< Ha ragione. >> pensò tra se. << ha mille volte ragione ed è come un salto nel vuoto. Ma io forse ho un’idea, non sarà facile metterla in pratica ma potrebbe essere quella giusta. >> un sorriso beffardo gli attraversò il viso, mentre i suoi pensieri gli vorticavano nella testa.
<< ma prima devo sistemare la biblioteca di questo posto e poi potrò essere libero di muovermi come voglio. >>
Entrò nella biblioteca come una furia battendo le mani.
< Forza cari fratelli ! al lavoro che questa biblioteca deve splendere come se fosse nuova ! >> quasi urlando dall’euforia.
I quattro monaci lo guardarono esterrefatti come se avessero visto un matto, persino fratello Aloigi che, non potendo parlare, emetteva dei mugolii strani e non si capiva se fossero di assenso o no.
Lui non si curò delle loro facce mettendosi alacremente al lavoro spinto da una brama irresistibile di lavorare per terminare il libro che aveva lasciato sullo scranno.

L’inverno trascorse con i cinque monaci chiusi nella biblioteca indaffarati con i vari lavori di restauro mettendo a posto parecchi libri con grande soddisfazione di fratello Baldassarre, dell’abate che vedeva la biblioteca lentamente rifiorire e di fratello Joaquin al quale, il monaco tutti i giorni faceva il resoconto di quali libri fossero stati messi a posto e quello, che li conosceva uno per uno, ad ogni testo nominato sciorinava la sua storia, l’argomento trattato e l’autore ed in certi casi anche la sua collocazione nella libreria, mentre durante le pause raccontava a sua volta, a fratello Baldassarre che ascoltava con grande interesse e avidità di sapere, tutta la storia riguardante la Basilica di Collemaggio e lo rendeva edotto sui linguaggi ed i segni nascosti delle varie cattedrali più conosciute dell’epoca.

Arrivò la primavera con le sue fioriture ed i profumi che accerchiavano il monastero, il clima che tendeva gradatamente al bello.
La biblioteca era quasi in ordine, i libri tutti rimessi a posto e sistemati nelle librerie, catalogati per genere o per argomento. Rimanevano ancora alcuni testi di poco conto ma quelli sarebbero stati risistemati con calma.
Fratello Joaquin, presentatosi di buon mattina per vedere come erano terminati i lavori, osservava con entusiasmo e anche commosso la libreria ordinata e rimessa a nuovo.
<< Veramente un bel lavoro ! complimenti, a tutti. >> avvicinandosi e sfiorando i libri con le dita. << avete fatto rinascere questo gioiello e non è roba da poco. Avete reso un grande favore ridando luce al monastero e a tutti quelli che hanno a cuore i libri. >> disse non riuscendo a nascondere una lacrima che attraversò velocemente la guancia. << quando il fratello abate vedrà questa meraviglia rimarrà senza parole. >> sfiorando con la mano alcuni libri come se stesse accarezzando una bella donna.
Fratello Baldassarre e gli altri monaci assistevano tronfi e soddisfatti per quel meritato e sudato riconoscimento.
<< Presto andate a chiamare il fratello abate perché venga a vedere questa meraviglia … mi sembra di essere tornato a tanti anni fa quando ero molto più giovane e questa biblioteca era il mio regno. >> commentò il monaco spagnolo avvinto dall’entusiasmo.
Fratello Julius si mosse velocemente alla ricerca dell’abate che arrivò poco dopo, trafelato e disorientato.
<< Guardate fratello … guardate ! la nostra biblioteca è tornata a nuova vita. >> commentava il monaco spagnolo indicando la libreria entusiasta come un bambino davanti ad un gioco nuovo. << i nostri amanuensi hanno fatto un miracolo ! >>
L’abate si avvicinò osservando la libreria dove stavano i libri disposti ordinatamente.
<< Veramente un gran bel lavoro … mi compiaccio con voi. >> disse congratulandosi con fratello Baldassarre ed i suoi confratelli. << dopo tanti anni di buio è finalmente tornata la luce in questo posto. >> commentò estasiato e commosso osservando i libri disposti ordinatamente nelle scaffalature. << indubbiamente non deve essere stato facile. >> aggiunse osservando attentamente la libreria.
<< soprattutto viste le maestranze di cui fratello Baldassarre disponeva, ma evidentemente deve essere stato un ottimo maestro oltre che uno sprone per tutti con la sua preparazione e la sua voglia. >> osservando i monaci.
Baldassarre chinò il capo in segno di ringraziamento.
<< Meritano tutti un premio. >> disse fratello Joaquin.
L’abate si voltò guardando il monaco spagnolo, non capendo a quale premio si riferisse.
<< Li mandiamo tutti in pellegrinaggio alla Basilica di Collemaggio, quando ci sarà la festa della Perdonanza. >> aggiunse quello candidamente.
L’abate rimase dubbioso.
<< Ma è lontana ! >> esclamò.
<< E loro ci andranno a piedi, un passo alla volta ci arriveranno per tempo. >> rispose come se fosse la cosa più ovvia e banale.
L’abate si voltò a guardare i monaci.
<< E voi ci vorreste andare ? >> domandò loro.
Baldassarre annuì, poi si voltò a guardare i confratelli cercando conforto nei loro occhi e quasi tutti annuirono con gli occhi che brillavano.
<< Bene ! >> rispose l’abate allargando le braccia. << sia fatta la volontà del Signore e poi ve lo siete meritato ! Potrete partire quando vorrete ma vi dovrete arrangiare da soli. >> li ammonì severamente. << il monastero non può permettersi alcuna spesa soprattutto in questo momento quindi dovrete vivere di elemosina, di carità e di quello che troverete per strada. >>
I cinque monaci acconsentirono a gesti inchinandosi all’intimazione dell’abate.
Una volta andato via l’abate fratello Joaquin, rimasto seduto per tutto il tempo, fece cenno a fratello Baldassarre di avvicinarsi, cosa che quello fece immediatamente.
<< Raggiungetemi nella mia cella più tardi, dobbiamo parlare da soli. >>
Il monaco fece un cenno col capo e il monaco spagnolo si alzò non senza fatica e diversi lamenti andando via dalla biblioteca mentre Baldassarre dava le ultime disposizioni ai monaci.

A metà mattina decise di recarsi da fratello Joaquin che presumibilmente si trovava nella sua cella.
Bussò con discrezione alla sua porta attendendo in silenzio che gli venisse risposto.
Una sorta di ruggito lo invitò ad entrare.
<< Avanti ! >> era la voce del monaco spagnolo che urlava per farsi sentire.
Baldassarre entrò titubante, avendo comunque molto rispetto per il confratello anziano.
<< Volevate parlarmi ? >> domandò.
<< E certo che volevo parlarvi ! << disse quello in maniera sgarbata. << prendete la sedia e sedetevi davanti a me. Comincio ad avere il respiro pesante … tutte le emozioni di questa mattina mi hanno messo in agitazione. Comunque abbiamo un po’ gabbato l’abate facendo passare il viaggio per Collemaggio come un premio e lui non sa che era l’occasione per recarvi senza dare nell’occhio, perché molto probabilmente in un altro momento non vi avrebbe dato l’autorizzazione per abbandonare il monastero. Invece la gioia per la libreria rimessa a posto e l’entusiasmo lo hanno fatto diventare permissivo e remissivo … e adesso tocca a voi. Avete un’occasione unica e cercate di non sprecarla anche perché anch’io vorrei conoscere i segreti di quella Basilica e voi lo potrete fare al posto mio visto che per anni mi sono spremuto il cervello cercando di venirne a capo ma senza ottenere alcun risultato, visto che da qui non mi sono mai mosso ed i libri danno sicuramente indicazioni ma poi le cose occorre cercarle sul posto, voi sarete la mia longa manus. Avete tempo per organizzare il viaggio e studiare il percorso quando poi ritornerete diventerete il custode della Carte Friastensi e della biblioteca ed io finalmente, se sarò ancora vivo, potrò riposarmi sapendo di lasciare tutto in buone mani Spero solo di non morire prima del vostro rientro, mi auguro con buone notizie. >> disse con molto affanno.
<< Ma come faremo a trovare la Basilica di Collemaggio ? >> domandò Baldassarre titubante.
<< Voi siete arrivato dal monastero di sant’Antimo che si trova in Toscana e non vi siete perso per strada o no ? e siete arrivato a destinazione ? >>
Baldassarre annuì.
<< Allora troverete anche la strada per Aquila, d’altronde si tratta di attraversare una parte delle Marche e dell’Abruzzo, poi basta chiedere per strada e non credo che una riposta non si possa negare a dei monaci pellegrini. Comunque un altro momento vi farò vedere una carta dell’Italia centrale così avrete le idee un po’ chiare.>> disse invitando con un gesto scorbutico della mano il monaco ad andare via, facendo intendere come fosse stanco e desideroso di rimanere solo.

Si diresse, pensoso e meditabondo, verso la biblioteca per vedere di ultimare i pochi lavori che ancora erano rimasti: qualche libro da risistemare non rendendosi conto di andare a sbattere contro fratello Salvatore il portinario.
<< Scusatemi ! >> disse dopo essersi reso conto che era lui.
<< Niente … niente. >> disse lui. << stavo venendo proprio a cercare voi perché vi debbo parlare. >>
<< Ditemi. >> rispose Baldassarre avvicinando il capo per far capire come fosse intenzionato ad ascoltarlo.
<< Ho saputo che andrete con i vostri confratelli alla Basilica di Collemaggio per la Perdonanza. >>
Lui annuì facendo capire come fosse vero.
<< Tutto il monastero ne parla e tutti vi elogiano per come avete rimesso a posto la biblioteca. >> continuò il portinario.
Baldassarre sorrise.
<< Ecco … io vorrei chiedervi un grande favore. >>
<< Se posso molto volentieri. >> rispose.
<< Vorrei aggregarmi a voi. >> disse quello con occhi supplicanti.
<< Se il fratello abate vi autorizza non ci sono problemi di alcun genere. >>
<< Mi ha già autorizzato ! >> rispose quello con un gran sorriso.
<< Allora sarete con noi. >> gli rispose dandogli una pacca amichevole sulla spalla e lasciandolo lì.
Dopo qualche passo si fermò.
<< E come farà il monastero senza di voi ? >> domandò.
<< L’abate ha detto che ci sarà un altro al posto mio.>> rispose quello con voce argentina e squillante.
Baldassarre annuì riprendendo la sua strada, lasciando il confratello in preda all’euforia.
Entrò nella biblioteca mentre i confratelli parlottavano tra loro sereni e rilassati.
Lui si sedette ad uno scranno osservando i pochi libri rimasti e quello che rimaneva da fare.
Non si rese conto, mentre era preda dei suoi pensieri, che era entrato fratello Agostino.
<< Ve li manda fratello Joaquin. >> disse quello porgendogli delle carte.
Lui ringraziò prendendole ed osservandole con attenzione.
Erano alcune carte dell’Italia e più precisamente dell’Italia centrale e comprendevano una parte del Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo.
Sorrise osservandole.
Non erano fatte tanto bene e neanche molto dettagliate però si vedeva abbastanza bene la regione dove stavano loro e la città di Aquila. Con un dito tracciò il percorso immaginario da compiere; avrebbero dovuto attraversare una parte, quella centrale, dell’Appennino. Storse le bocca ma per fortuna, pensò, sarebbero partiti a primavera inoltrata per cui non avrebbero trovato né freddo né neve. Sicuramente avrebbero trovato un clima mite e clemente e non avrebbero dovuto patire le incurie del maltempo.
E già quello era un punto di vantaggio a loro favore.
Si soffermò per un momento a pensare fissando un punto indefinibile del soffitto.
Come mai si era aggiunto fratello Salvatore e a quale prò ? Sembrava improvvisamente che tutti avessero la smania di recarsi in quel di Collemaggio a fare che poi ? decise che avrebbe indagato con la scusa di andare a trovare il suo asino.
Mise da parte il libro con calma, controllò i suo confratelli invitandoli a terminare il lavoro ma senza fretta e si diresse alla ricerca del portinario. Avvertiva un sensazione strana di imbroglio ma non capiva di cosa si trattasse, probabilmente doveva controllarlo.
Decise di investigare ma senza farlo vedere troppo.
Lo trovò seduto sulla sua panca all’ingresso principale del monastero intento ad intagliare un pezzo di legno e non si accorse della sua presenza fino a quando non gli si parò davanti.
Sollevò la testa spaventato dall’improvvisa apparizione.
<< Ah … siete voi ! >> esclamò tranquillizzandosi.
<< Vedo che siete di nuovo alle prese con un legno, e questa volta che sembianze dovrebbe avere ? >> chiese scrutando con finta curiosità il lavoro del portinario.
Quello sorrise.
<< Non sono bravo come voi ma sto cercando di fare un cane. Sapete questo trastullo mi aiuta a far passare il tempo e imparo qualcosa. >> disse continuando a scheggiare il legno.
<< E io non ho nessuna intenzione di aiutarvi altrimenti finirà che io farò il lavoro e voi ve ne prenderete il merito; d’altronde se vorrete diventare un bravo intagliatore dovrete fare da solo e non con l’aiuto degli altri. >> disse sorridendo amichevolmente.
<< Avete ragione … devo imparare da solo. >> continuando a lavorare.<< cosa volevate ? >> chiese.
<< Sono venuto a vedere in che condizioni sta il mio Bucefalo. E’ da parecchio che lo trascuro. >>
<< Quello sta bene, se intendete il vostro asino, è anche ingrassato, sembra più un maiale che un asino. >> disse scoppiando a ridere, imitato da fratello Baldassarre per compiacerlo per quella stupida battuta, e approfittando dell’ilarità di quello si sedette vicino a lui nella panca osservando con finta attenzione il suo lavoro.
<< Fratello Salvatore ! volevo chiedervi visto che sono qua, perché volete venire anche voi alla Basilica. >> domando con noncuranza.
<< Semplice curiosità e voglia di svagarmi per qualche giorno. Io non mi sono mai mosso dal monastero, sono nato nelle vicinanze e da qui non sono mai uscito. Volevo approfittare del vostro viaggio per venire anch’io e finalmente vedere qualcosa di diverso che queste mura che oramai conosco a memoria, pietra per pietra. Ma se voi non mi volete posso anche rinunciare ! >> disse guardandolo negli occhi con sguardo comunque implorante.
<< Ma chi ha detto che non vi vogliamo ! i vostri confratelli hanno fatto festa quando ho comunicato loro che sareste venuto anche voi. La mia era solo curiosità e basta. Adesso controllo il mio asino e poi vado a riprendere il lavoro. Pace e bene fratello Salvatore, attento col coltellino, tagliate sempre poco per volta altrimenti il pezzo è da buttare. >> invitandolo a fare il lavoro lentamente e tranquillizzandosi per aver sospettato ingiustamente che quel povero monaco si volesse aggregare per secondi fini.
<< Avete ragione … è il terzo legno che butto via per aver tagliato troppo. >>
< Forse mi ha detto la verità … forse, ma i suoi occhi non erano limpidi come le sue parole.>> pensò tra se camminando lentamente con il capo fisso sul pavimento. << a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre. Un monaco non dovrebbe peccare ma mi sa che c’è lo zampino di fratello Joaquin che me lo affianca per controllarmi. Rimango dell’opinione che viene per controllarmi comunque non nuoce. >> sorridendo tra se.
Storse il naso entrando nella stalla dove aveva dimora il suo asino in quanto la puzza era nauseante.
In effetti quello era bello pasciuto e molto tranquillo e masticava in continuazione erba fresca messa per terra.
Scappò da quel luogo putrido per rientrare nella biblioteca.

Capitolo sesto

 

La primavera era ormai avanzata con l’estate che si approssimava ed i monaci che si apprestavano alla partenza: fratello Baldassarre e gli altri cinque erano euforici per l’avvicinarsi della data fatidica, ma soprattutto i suoi confratelli erano preoccupati perché andavano incontro ad un mondo che non conoscevano, e la cosa li lasciava alquanto perplessi nonostante la tranquillità di fratello Baldassarre. I loro pochi bagagli erano a posto e l’asino li avrebbe portati sul suo dorso: alimenti necessari e coperte per dormire la notte sulla terra.
Fratello Baldassarre aveva ricevuto le ultime disposizioni e raccomandazioni dal monaco spagnolo, definendo gli ultimi dettagli.
Il più euforico di tutti era il portinario fratello Salvatore che, essendo la prima volta che si allontanava dal monastero e aveva così modo di vedere altre realtà, non riusciva a contenere la gioia e l’euforia con gli altri confratelli che lo guardavano divertiti mentre improvvisava dei balletti alquanto strani.
Così una mattina presto di metà luglio la piccola comitiva allegra di religiosi si incamminò alla volta di Aquila con tutti i confratelli, l’abate in testa e fratello Joaquin al suo fianco, che li salutavano al limitare del monastero.
Il monaco spagnolo, appoggiato al suo bastone che li osservava con un velo di preoccupazione sul viso che non riusciva a mascherare nonostante avesse lesinato raccomandazioni e consigli in gran quantità, non riuscendo comunque a trattenere un moto di gelosia e invidia perché quel manipolo di monaci andava a fare quello che avrebbe voluto fare lui anni addietro. In quel momento invidiava fratello Baldassarre per la voglia e la fortuna, ma soprattutto per la giovane età.

A metà mattina avevano percorso una discreta distanza inoltrandosi tra i monti ed i boschi dell’Appennino, avevano tutti una buona costanza di marcia anche se non erano abituati a camminare per così tanto tempo, e qualcuno cominciava a lamentarsi ma fratello Baldassarre li guardava storto invitandoli a tornare indietro, ma quelli zitti e camminando senza più protestare.
I monaci euforici per quel viaggio inatteso ma, contemporaneamente, avviluppati dalla paura di andare incontro ad un mondo sconosciuto e di cui avevano un po’ timore.
Seguivano una strada tracciata che serpeggiava tra i boschi e si dirigeva verso sud dove nasce il sole.
Fratello Joaquin aveva consigliato a Baldassarre di dirigersi sempre con il sole alle spalle di giorno e di fronte all’alba, avrebbero trovato la loro destinazione comunque.
Un cielo azzurro e terso senza neanche una nuvola ma in compenso con tantissimi uccellini che svolazzavano felici, lanciando i loro cinguettii e che facevano compagnia al loro cammino ed i monaci che assistevano increduli e sorridenti a quello spettacolo della natura.

L’abate e fratello Joaquin rientrarono nel monastero richiamati dai loro doveri.
I visi adombrati e preoccupati mentre procedevano fianco a fianco.
<< Come pensate che procederà questa storia ? >> chiese l’abate rivolgendosi al monaco spagnolo.
Fratello Joaquin rimase pensieroso per diverso tempo.
<< Ma … ! il ragazzo è edotto, ha acquisito una discreta conoscenza della simbologia e sa, teoricamente, come muoversi però non conosce i Celestini e quelli sono pericolosi … parecchio ! e difendono con i denti i segreti di Collemaggio. >>
<< E lui sa tutte queste cose ? >> domandò l’abate.
<< Lo sa ! sa tutto perché gli ho fatto leggere parecchi libri sugli argomenti. >>
<< Voi avete fatto in modo che andasse per soddisfare la vostra curiosità e tutto quello che non avete potuto fare tempo addietro e che vi ha rovinato il fegato per tutti questi anni. Avete stuzzicato nella giusta maniera la sua voglia di conoscere e avete trovato il modo giusto per stimolarlo facendogli trovare il libro con la pagina nascosta e poi vi devo dare atto che avete individuato il personaggio giusto. >> disse con un sorriso ironico. << lo avete manipolato per bene a vostro uso e consumo ! >>
<< Io non gli ho fatto trovare niente, il libro era nella biblioteca e lui lo ha trovato. >> rispose il monaco piccato.
Il viso dell’abate si disegnò in un sorriso beffardo.
<< Ma potevate nasconderlo come avete fatto con altri libri invece quello lo avete lasciato in bella mostra sicuro che lui lo avrebbe preso e avrebbe trovato la pagina nascosta. >>
<< Non esagerate fratello, poteva anche non trovarlo il libro. >>
<< Ma lasciate perdere, un amanuense che deve restaurare libri in una biblioteca prima o poi il libro lo trova. >> scoppiò a ridere in una grassa risata. << devo dire che siete molto bravo ad architettare queste cose e lo avete manovrato molto bene. Voi, prima di morire, volete sapere cosa c’è a Collemaggio e avete trovato, finalmente, la persona giusta per soddisfare la vostra curiosità. Lo avete inquadrato appena arrivato e lo avete raggirato per bene, stimolandolo nella giusta misura, infondendogli la giusta dose di curiosità … lo avete circuito proprio bene. >> disse ridendo.
Il monaco rispose stizzito con un gesto della mano accelerando il passo finché le sue povere gambe glielo permettevano per evitare discussioni imbarazzanti, e questo perché l’abate aveva ampiamente ragione.
<< Ma voi siete stato mio complice ! >> gli urlò da lontano.

A mezzogiorno, dopo aver percorso una discreta distanza, si fermarono per riposarsi e per mangiare qualcosa, sotto l’ombra di una fronzuta quercia. L’asino fu lasciato libero di pascolare mentre loro si sedettero sulla terra per il pranzo che consisteva in pane e formaggio, che le loro bisacce portavano in discreta quantità.
<< Ma voi conoscete la strada che dobbiamo percorrere ? >> domandò fratello Anselmo.
<< No ! >> rispose Baldassarre. << ma con l’aiuto del buon Dio e di qualche viandante sono sicuro che la troveremo. >> rispose con molta calma riprendendo a masticare in silenzio. << fratello Joaquin mi ha dato alcune indicazioni e mi ha fatto vedere delle cartine della zona, ma non credo che ci perderemo per strada, le vie del signore sono infinite. >> aggiunse.
Osservava i suoi compagni di viaggio ma quello che lo colpì di più fu fratello Aloigi. Non aveva mai avuto modo di osservarlo per bene in quanto essendo muto e non parlando non attirava molto l’attenzione su di se.
Braccia grosse e muscolose con mani che sembravano tenaglie piuttosto che quelle di un amanuense, anche se improvvisato.
Rimase meravigliato pensando a come avesse fatto ad eseguire dei lavori di fino con quelle dita. Osservandolo per bene vide anche due robuste e massicce spalle che non erano assolutamente nascoste dal saio.
Si alzò di scatto dalla terra.
<< Forza fratelli ! la pausa è finita … rimettiamoci in marcia che prima di sera dobbiamo trovare un rifugio per la notte altrimenti dormiremo sulla terra. >>
Tutti i monaci scattarono in piedi, pronti per rimettersi in marcia mentre Baldassarre osservava il cielo per vedere se ci fossero nuvole minacciose in arrivo e per fortuna l’orizzonte era libero e luminoso, rassicurandolo.

Camminarono per circa venti giorni con buona cadenza e senza avere intoppi di alcun genere legati al maltempo, dormendo diverse volte sulla nuda terra e altre ospiti di qualche monastero di campagna, arrivando alla città di Aquila dopo aver attraversato le montagne dell’Appennino che in certi punti erano ancora innevate sui cucuzzoli.
Se la trovarono davanti agli occhi verso la mezza, illuminata dal sole che splendeva alto, che si dipanava in una conca dopo che loro avevano attraversato le montagne ancora bianche di neve che la incorniciavano.
Non era una grandissima città come loro si aspettavano ma comunque un bel centro abitato, ma che da lontano aveva qualcosa di strano.
Si soffermarono ad osservarla per diverso tempo approfittando per riposarsi, seduti su alcune rocce ad osservare il panorama.
<< Forza fratelli che prima arriviamo e prima troviamo alloggio. >> disse fratello Baldassarre esortandoli a muoversi, incitandoli con la promessa di un alloggio.
Si incamminarono seguendo una stradina in discesa che portava verso il centro abitato.
Arrivarono alle prime case della città rimanendo ammutoliti e immobili per lo spettacolo che si poneva davanti ai loro occhi: fermi come statue, allibiti ed increduli osservavano diverse case che erano crollate con masse di macerie disperse sulla terra, più avanti anche altre case si trovavano nelle stesse condizioni. Molta gente era impegnata in lavori di raccolta dei detriti, i visi degli abitanti distrutti e gli occhi stanchi mentre ripulivano i piazzali di fronte alle case; adulti, donne e bambini erano impegnati a ripulire dai detriti crollati.
Una città quasi rasa al suolo con una montagna di macerie e numerose persone o famiglie nei cui occhi si leggeva la disperazione, ma anche la ferma volontà di ricominciare a vivere rimettendo a posto la città.
Loro li guardavano sbigottiti e increduli; fratello Baldassarre si avvicinò a uno di loro, un povero contadino che aveva le mani sanguinanti per via dei tagli provocati dai mattoni che cercava di togliere, mettendoli da una parte.
<< Fratello, pace e bene, ma cosa è capitato ? >> chiese guardandosi attorno.
Quello si fermò un momento asciugandosi il sudore copioso che calava dalla sua fronte.
<< Si vede che venite da lontano per non sapere che c’è stato un gran terremoto che ha distrutto parecchie case lasciando la gente nella miseria e nella fame ma soprattutto senza una casa. >> disse con occhi che parlavano di disperazione e disgrazia.
Baldassarre ed i suoi confratelli rimasero stupiti per quella notizia.
<< Ma quando è successo ? >> chiese.
<< Mesi addietro e adesso che la neve non c’è più stiamo cercando di ripulire il luogo e vedere come si possono rimettere a posto le nostre case. Quando c’era la neve ed il freddo non potevamo fare niente e adesso che il tempo è bello ci stiamo dando da fare ed è da tanto che stiamo lavorando. Sapeste cosa abbiamo passato quest’inverno senza un tetto sulla testa e con la paura e l’incubo che il terremoto si potesse ripetere, dormendo per le strade per la paura che ci franasse il tetto sulla testa, con i bambini piccoli da proteggere e da sfamare. >> disse riprendendo a liberare il terreno da massi e mattoni.
<< Sapete indicarci la Basilica di Collemaggio ? >> domandò con i dovuti modi cercando di rispettare il dolore di quel poveraccio.
Lui si fermò un momento indicando una zona della città.
<< Siete venuti per la Perdonanza ? >> chiese. << d’altronde siete monaci. >> constatando il loro abbigliamento. << andate laggiù in quella direzione … la troverete poco fuori la città, se è rimasta ancora in piedi. >> aggiunse con ironia riprendendo il suo lavoro e ignorandoli.
In quel momento poco gli importava della Basilica e di varie manifestazioni religiose, a lui interessava rendere abitabile quel poco che rimaneva della sua abitazione e dare un alloggio, perlomeno sicuro, ai suoi familiari.
Fratello Baldassarre lo ringraziò invitando i confratelli a seguirlo, incamminandosi, mentre quel poveraccio si arrabbatava con le macerie.
Aveva intravisto da lontano quella che sembrava una Basilica, poco fuori della città, avvolta dal verde degli alberi.
Si incamminarono scoprendo la desolazione del posto: il cataclisma aveva distrutto una parte della città con molte case crollate o rase al suolo ed i suoi abitanti che stavano cercando con la disperazione e la paura dipinte nei volti, l’angoscia di rimettere a posto quello che restava delle loro abitazioni. Bambini spauriti cercavano con i loro pochi mezzi a disposizione di aiutare i genitori.
Camminavano osservando quel disastro; non sapevano nulla di quello che era successo in quella città ed erano stati colti alla sprovvista da quella tragedia.
Molte abitazioni erano state rase al suolo e di esse non rimanevano che macerie.
Fermarono un abitante del luogo che spingeva una carriola carica di detriti.
<< Ma quando è successo questo terremoto ? >> domandò fratello Baldassarre.
Quello si fermò appoggiandosi alle braccia del suo attrezzo.
<< E’ successo alla fine di quest’inverno e fino a quando c’era la neve non potevamo provvedere in mezzo al freddo ed al ghiaccio e soprattutto senza avere niente da mangiare e le macerie da togliere sono tante.>> disse sconsolato riprendendo a spingere la carriola.
<< e ogni tanto arrivano ancora scosse e noi dobbiamo scappare per metterci in salvo e non ne possiamo più perché siamo sfiniti e spaventati. Badate a voi ! >> disse da lontano.
Baldassarre guardò i suoi confratelli.
<< Siamo capitati proprio in un bel periodo ! andiamo ! >> invitandoli a riprendere il cammino.
Mentre procedevano assistevano increduli al disastro provocato dal terremoto. Parecchie persone impegnate a ristrutturare case semidistrutte, drappelli di armigeri che pattugliavano la città a caccia di ladri e vagabondi.
Si fermarono alla periferia della città per dissetarsi ad una fontana in quanto il caldo era opprimente e loro sudavano come disperati.
Fratello Baldassarre osservò con molta attenzione quella grande vasca dove si erano fermati e che sorgeva in una piazza di pianta quadrata: tante cannelle che spuntavano dai mascheroni e dalle quali sgorgava acqua a volontà. Una parete sovrastava quelle cannelle ed era formata da pietre rosa e bianche.
Rimase immobile a fissare quella fonte splendida mentre i suoi confratelli si dissetavano a volontà.
<< Forza fratelli … rimettiamoci in cammino che ancora non siamo arrivati. >> disse spronandoli a riprendere il cammino, asciugandosi il sudore che colava dalla fronte col dorso della mano.
Videro la Basilica, o perlomeno intuirono che fosse lei da lontano: una facciata rosa e bianca che spiccava da lontano.
<< Forse siamo arrivati ma forse sarebbe stato meglio non venire ! >> commentò Baldassarre amaramente fissando quel luogo santo con gli occhi diventati due fessure che scrutavano attorno.
<< O forse siamo arrivati giusto per portare il nostro aiuto e la nostra carità. >> precisò fratello Anselmo.
Si voltò a guardarlo.
<< Probabilmente avete ragione. >> continuando a fissare la Basilica che da lontano sembrava integra.
<< Andiamo a bussare alla porta del monastero sperando in un’accoglienza benevola e che non ci caccino via a pedate. >> disse con un sorriso amaro.
Si voltò ad osservare la città semidistrutta.
<< Che desolazione ! >> pensò tra se. << poveri cristiani ! >>
Man mano che si avvicinavano alla Basilica avevano modo di osservare la sua magnificenza ed il suo splendore, Baldassarre pensò che non aveva mai visto una facciata di tale meraviglia.
Sulla sua sinistra stava il complesso del monastero.
Circondata da una cortina di alberi emergeva la facciata di Collemaggio, una facciata quasi quadrata con tre porte ad arco pieno sormontate da tre rosoni di cui quello centrale più grande come la porta centrale mentre le altre due più piccole. Di fianco sulla sinistra un campanile crollato per metà, solo la sua base era rimasta integra e attorno un gruppo di monaci intenti con carriole o altro a portare via una gran quantità di detriti.
Il gruppo di monaci rimase impietrito osservando quella scena mentre Baldassarre, incurante di tutto e spinto da molta curiosità si era avvicinato al muro della facciata osservando per bene le pietre e toccandole con le mani: erano tante e alternate, bianche e rosa, formando una sorta di disegno geometrico. Osservandole per bene si rese conto che il disegno era formato da tante croci rosa messe in risalto dalle pietre bianche. Non ci mise molto a comprendere che erano croci templari mimetizzate per bene nel disegno o così sembrava, inoltre erano le stesse pietre che aveva visto formare la parete della fontana.
Un sorriso di soddisfazione gli attraversò il viso mentre raggiungeva i compagni che discutevano con gli altri monaci.
Finalmente era arrivato a Collemaggio e si guardava attorno alla ricerca di eventuali segni che aveva sognato e immaginato per notti e notti.
Senza indugio i suoi confratelli si erano messi d’impegno ad aiutare i poveretti, soprattutto fratello Aloigi che, essendo dotato di grosse braccia, forzute e muscolose, si era rimboccato le maniche prendendo grosse pietre e sistemandole nelle carriole di legno che i monaci spingevano poco lontano.
<< Certo è che non siete stati fortunati in questo posto. >> commentò Baldassarre a voce alta avvicinandosi a quei poveretti.
Uno dei monaci sospese il suo lavoro fissandolo.
<< Non è la prima volta che succede un terremoto da queste parti e devo dire invece che ultimamente sta capitando troppo spesso. Evidentemente questo è un luogo di peccatori ed il buon Dio ogni tanto ci da una lezione richiamandoci ai nostri doveri. Siete venuti per la Perdonanza ? >> chiese.
Baldassarre annuì.
<< Questa era la nostra intenzione ma, dopo aver visto questa catastrofe, non penso che ci sarà una festa del genere. >> disse pensieroso osservando le macerie. << e meno male che non è crollata anche la chiesa ma solo il campanile. >>
<< Anche il monastero è rimasto integro, altrettanto non possono dire quei poveretti che sono rimasti senza casa. >> indicando la città.
<< comunque la festa della Perdonanza ci sarà lo stesso, anzi a maggior ragione come dice il nostro priore. Vorrà dire che avremo tanti peccati da farci perdonare. Noi e loro. >> indicando di nuovo la città.
<< Mi auguro che abbiate posto per ospitarci altrimenti in queste condizioni non sapremo dove andare. >> disse mestamente Baldassarre con sguardo supplicante.
<< Il posto c’è sicuramente, il monastero in questo periodo non è affollato, anzi devo dire che siete arrivati in anticipo altrimenti forse non ci sarebbe stato posto neanche nelle stalle ma questo probabilmente si sarebbe verificato in altri tempi e non dopo un terremoto perché la gente ha paura … molta paura ! >> prendendo un grosso masso con molta fatica e sistemandolo nella carriola. << forse però sarebbe meglio se ne parlaste con il priore anche se non vedo ostacoli alla vostra permanenza. >> diventando paonazzo per la fatica nel cercare di spingere la carriola ricolma di massi.
Intervenne immediatamente fratello Aloigi che lo spinse da parte prendendo lui la carriola e spingendola senza sforzo alcuno ed esprimendosi a mugugni.
Il monaco rimase interdetto guardandolo senza capire.
Baldassarre intuì il suo disagio intervenendo.
<< E’ muto. >> disse al monaco che comprese la situazione mettendosi da parte.
<< Ma voi chi siete ? >> domandò ricordandosi di non averli mai visti da quelle parti.
Fratello Baldassarre sorrise amichevolmente.
<< Avete ragione … noi siamo gli amanuensi del monastero di Chiaravalle, io sono fratello Baldassarre e loro sono i miei compagni di viaggio, Anselmo, Durante, Julius, Salvatore e quello che avete conosciuto prima è Aloigi. >> presentandoli uno alla volta.
Quello chinò il capo in segno di saluto e di rispetto.
<< Io sono fratello Rodomonte e sono il portinario del monastero. Il priore è fratello Pietrone e in questo momento è impegnato in alcune faccende del monastero. Dopo vi accompagnerò a parlare con lui. >> disse riprendendo le sue mansioni.
Baldassarre chinò il capo in segno di ringraziamento e andò a sedersi su un grosso masso osservando con molta curiosità la Basilica.
Indubbiamente una chiesa bellissima e molto particolare. Ma da dove iniziare a cercare di capire dove potesse essere nascosto il presunto tesoro dei templari non ne aveva la più pallida idea, e soprattutto non sapeva neanche da quale punto muoversi. Aveva solo un indizio ed era quello scritto nella pergamena trovata nella biblioteca di Chiaravalle, ma comunque era un indizio aleatorio in quanto parlava solo del Battista e non dava altre indicazioni. Si era fatto una grossa cultura in fatto di simboli ed il loro significato ma per quello avrebbe dovuto controllare la Basilica mattone per mattone, e non sarebbe stato semplice visto quello che gli aveva detto fratello Joaquin e cioè che il tesoro era ben nascosto e protetto, e lui non doveva farsi scoprire e soprattutto doveva muoversi con molta circospezione. Ma qualche traccia doveva pur esserci altrimenti quella pergamena non avrebbe avuto senso di esistere.
Rimase parecchio tempo assorto ad osservare quella magnificenza cercando di imprimerla per bene nella sua memoria e soprattutto cercando simboli strani o altro ma non si rese conto di niente né intravide qualcosa che potesse avere un qualsiasi significato recondito.
Fu richiamato alla realtà dai confratelli, che dopo aver aiutato i monaci a liberare il terreno da diversi detriti aspettavano le sue disposizioni; d’altronde era lui il capo dichiarato e non eletto di quella comitiva ed i suoi confratelli pendevano dalle sue labbra, incapaci di prendere una decisione senza prima averlo interpellato.
Nel frattempo si era avvicinato fratello Rodomonte.
<< Legate l’asino da qualche parte e venite con me. >> invitandoli a seguirlo all’interno del monastero.
Questo era grande, molto più grande di quello di Chiaravalle con un chiostro molto bello incorniciato da un colonnato in tutto il suo perimetro.
<< Il priore si trova nell’auditorium e sta discutendo con il Balivo riguardo l’esenzione dai balzelli; sapete il monastero non ha grandi risorse in questo periodo e poi il terremoto ci ha creato tanti problemi. L’infermeria è piena di malati, molti superstiti del terremoto, e questi vanno accuditi e anche sfamati e per il cibo occorre la moneta per comprarlo e se noi non possediamo denaro come facciamo ? i poveri malati hanno bisogno di mangiare e di nutrirsi altrimenti deperiscono e rischiano di andare all’altro mondo. Sono persone che hanno perso molto sangue a seguito dei traumi riportati nei crolli e devono stare a riposo per tanto tempo, altri sono malati di malattie croniche che altrimenti non saprebbero dove andare perché questo è l’unico ospitale della zona. Da noi poi c’è solo un fratello infermiere che si occupa di loro e da solo non ce la fa e noi lo aiutiamo a turno. Speriamo che il Balivo sia accondiscendente altrimenti il priore non sa come fare, il popolo non ci può aiutare perché ha i suoi problemi, il vescovo non vuole sentire lamentele perché dice che anche lui ha tanta gente da aiutare. Poveretti ! ecco … siamo arrivati all’auditorium, voi aspettate qua che io controllo se il priore si è liberato… e speriamo che sia di buon umore. >> invitandoli ad attendere mentre lui entrava nella sala.
Si sedettero tutti e sei su alcune panche in marmo attendendo con pazienza di essere ricevuti.
Dopo un po’ di tempo uscirono dalla sala due armigeri dallo sguardo cupo e che reggevano delle picche guidati da quello che doveva essere il Balivo. Un personaggio alto e grosso con due lunghi baffoni spioventi, vestito e armato di tutto punto e che si muoveva a passi frenetici pestando il pavimento con i suoi stivaloni ed il suo stocco che provocava un rumore metallico. Il viso arcigno e accigliato, con un aspetto per niente soddisfatto, guardava fisso davanti a se senza curasi dei presenti.
I sei monaci fecero una smorfia di disappunto vedendolo passare.
<< Venire a chiedere balzelli in un monastero … che vergogna ! e dopo tutte queste disgrazie, certo che ci vuole un gran coraggio ed una gran faccia tosta! >> esclamò fratello Anselmo.
Baldassarre lo zittì.
<< Non mi sembra il caso di fare commenti e poi non siamo neanche a casa nostra per protestare e non mi sembra opportuno andare incontro a guai. Non siamo neanche arrivati che già state andando in cerca di gloria e di impicci. Tenete la bocca chiusa e non fate commenti di alcun genere. >>
Ringhiò guardandolo malissimo.
Quello annuì rimanendo zitto e scusandosi con lo sguardo.
Il fratello portinario tardò un po’ prima di presentarsi.
A gesti gli fece cenno di entrare e quelli immediatamente si diressero verso l’auditorium.
Il priore, fratello Pietrone che, a discapito del nome , aveva un fisico minuto e gracile, era abbastanza vecchio e li attendeva seduto ad un tavolo.
<< Fratello priore questi sono i monaci amanuensi venuti da Chiaravalle per la Perdonanza. >>
Il priore sollevò la testa guardandoli tutti, un viso dall’aria stanca incorniciato da una barba bianca ed una tonsura altrettanto bianca, un volto attraversato da numerose rughe come se fossero fiumi.
<< Avete scelto proprio un bel periodo per venire a Collemaggio. >>
disse sconsolato. << ma comunque il nostro monastero conosce molto bene l’ospitalità che per noi è sacra, soprattutto quando si tratta di confratelli e poi in questo periodo le braccia che lavorano sono molto importanti e gradite. Mi ha riferito il fratello portinario che siete amanuensi e devo dire che siete capitati a proposito perché ci sarebbero molti testi antichi da verificare e rimettere a posto. Se il vostro abate non ha fretta di vedervi rientrare a Chiaravalle, trascorsa la Perdonanza per la quale ci vuole ancora tempo, vi chiederei di rimanere per un po’ con noi per darci una mano anche se il fratello mi ha detto che vi siete già dati da fare.>> smise di parlare aspettando con ansia una loro risposta possibilmente affermativa visto il suo sguardo supplicante. << per fortuna il Balivo è stato tollerante ed ha compreso la situazione e ci ha concesso una tregua per quanto riguarda i tributi. >> aggiunse, le mani giunte come se fosse in atteggiamento di preghiera.
Baldassarre si voltò a guardare i suoi compagni ma quelli rimanevano in silenzio, indecisi sul da farsi, allora prese lui la decisione, anche perché il priore gli stava offrendo un’occasione d’oro e non se la poteva far scappare inoltre quel povero gruppo di monaci li guidava lui e loro attendevano sempre le sue decisioni in quanto eletto, inconsciamente, capo di quella comitiva e loro pendevano dalle sue parole.
<< Rimaniamo e vi daremo tutti gli aiuti possibili. Il nostro monastero può fare a meno di noi per qualche tempo. L’abate ci ha concesso di venire in questo posto ma non ci ha mai detto per quanto ci saremmo potuti assentare. D’altronde la strada da percorrere sia all’andata che al ritorno è lunga e faticosa e qualche inconveniente può sempre capitare e farci perdere del tempo prezioso . >> disse con un sorriso furbo.
Il priore si alzò dalla sua sedia con uno smagliante sorriso dirigendosi ad abbracciare i monaci uno per uno.
<< Ci sarete di grande aiuto, vi ha mandati nostro Signore. >> disse quasi commuovendosi.
<< Fratello Rodomonte accompagnateli al refettorio e fateli rifocillare, poi mostrate loro le celle e la biblioteca. >> ordinò con tono perentorio.
Il fratello portinario fece cenno loro di seguirlo.
Li accompagnò al refettorio, una grande sala col soffitto a botte e diverse colonne che lo reggevano, dove alcuni monaci, dopo le disposizioni date da fratello Rodomonte, si impegnarono per preparare in breve tempo una colazione composta da pane formaggio e frutta e loro si sedettero ad una grande tavolata mangiando in abbondanza vista la fame arretrata, mentre Baldassarre sempre molto parco nei modi e nei comportamenti li osservava divertito.
Quei poveri monaci stavano appena cominciando a conoscere il mondo visto che da Chiaravalle non si erano mai mossi ed in quel momento non era un mondo assolutamente piacevole. Ma quello che lo divertiva di più era fratello Salvatore che era quello che più di tutti studiava tutto quello che lo circondava ed era incuriosito da ogni cosa.
Terminato il desinare furono accompagnati, sempre da fratello Rodomonte, al piano superiore del monastero dove erano ubicate le celle dei monaci.
In quel periodo il monastero non era particolarmente affollato e le maestranze erano ridotte all’osso e quei sei monaci erano capitati a puntino per poter dare una grossa mano agli altri.
Un lungo corridoio dove si aprivano le porte di numerose celle e nel fondo una finestra a sesto acuto da dove entrava la luce. Quelle destinate a loro e perché sicuramente non erano abitate, erano le ultime tre; avrebbero alloggiato in due per ognuna di esse.
Baldassarre decise di condividere la sua con fratello Salvatore il portinario, Anselmo e Julius assieme così come Donato e Aloigi.
Sistemate le loro poche cose si diressero dabbasso per conferire con il priore che li attendeva nell’auditorium.
Entrarono rispettosamente nella sala mentre il priore aspettava seduto, impegnato a leggere alcune carte alla luce fioca di una candela.
<< Diteci in che cosa possiamo renderci utili. >> chiese Baldassarre rimanendo ossequiosamente in piedi assieme agli altri.
<< Ci sarebbe da pulire il piazzale dai detriti in modo da renderlo decente per quando ci sarà la festa della Perdonanza perché il vescovo ha detto che si svolgerà comunque. Poi, se qualcuno di voi se ne intende, può aiutare il fratello infermiere a medicare i malati. Mentre voi se volete potete dare uno sguardo alla biblioteca e vedere cosa c’è da fare ! >>
<< Molto bene ! >> esclamò fratello Baldassarre. << allora … fratello Aloigi lo mandiamo ad aiutare di fuori per pulire, lui ha il fisico adatto per farlo, fratello Durante, fratello Salvatore e fratello Julius ad aiutare l’infermiere mentre fratello Anselmo con me alla biblioteca. Per adesso… poi vedremo. >> sembrava più un capo che dava ordini piuttosto che un monaco ed il priore lo guardava con stupore, forse ammirando la grinta ed il carattere di quel monaco e soprattutto meravigliato per come gli altri monaci gli obbedissero senza protestare.
Fratello Baldassarre si rese conto di quell’inconveniente e dell’imbarazzo di quello, correggendosi immediatamente.
<< Naturalmente se i miei confratelli sono d’accordo ! >> allargando le braccia e voltandosi verso di loro cercando il consenso.
Quelli annuirono tutti, mostrandosi d’accordo con lui.
<< Bene … ! >> disse il priore alzandosi di scatto dalla sedia nonostante l’età, forse l’entusiasmo per quelle nuove maestranze lo aveva rinvigorito conferendogli nuove forze. << non ci resta che farvi accompagnare da fratello Rodomonte che nel frattempo è sparito. >> guardandosi attorno cercandolo. << e farvi vedere dove dovrete operare. >> invitandoli ad uscire dalla sala.
<< Fratello Rodomonte ! dove vi siete cacciato ? >> urlò nel corridoio che portava al refettorio ed alle altre sale.
<< Eccomi ! >> rispose lui uscendo dal refettorio con la bocca piena.
<< Sempre a mangiare …! sempre a mangiare fratello benedetto, forza accompagnate i nostri pellegrini. Fratello Baldassarre vi spiegherà tutto. Andate ! >> esortandolo a muoversi.
Quello si voltò a guardare il monaco senza capire che invece lo prese sottobraccio invitandolo a camminare.
<< Vedete … il fratello priore ci ha dato delle mansioni da svolgere e adesso vi spiego: fratello Aloigi andrà ad aiutare i monaci a ripulire il piazzale, fratello Durante, fratello Salvatore e fratello Julius andranno ad aiutare il fratello infermiere ed io con fratello Anselmo andremo ad accudire la biblioteca e voi ci indicherete i luoghi e ci farete da guida per il monastero. >>
Guardandolo fisso negli occhi per vedere se avesse compreso.
<< Allora adesso mentre voi aspettate qua, io accompagno loro tre all’infermeria e torno subito. >> disse invitando Durante, Salvatore e Julius a seguirlo mentre gli altri si erano accomodati nelle panche presenti nel corridoio.
L’infermeria si trovava nell’altra ala del monastero quella più a sud in quanto la Basilica era posizionata a nord in modo che il sole potesse illuminarla per tutto il giorno dalla mattina in poi.
Era una grande sala coi soffitti alti e a botte, sorretti da poderose colonne ed i letti dove erano alloggiati i malati erano divisi tra loro da tende. In effetti i malati erano numerosi e vi era un solo monaco che correva da una parte all’altra della sala richiamato dai lamenti dei ricoverati portando acqua fresca per chi aveva sete, medicando velocemente una ferita o controllando come stesse qualche malato e portando il pitale a chi ne avesse bisogno, fermandosi ogni tanto ansimante per la stanchezza dovuta al fatto che stava avanti e indietro in continuazione senza un attimo di pausa.
<< Fratello Crisanto … fermatevi un momento. >> lo richiamò il portinario.
Quello si fermò il tanto necessario per riconoscere chi lo avesse chiamato, fermandosi sbuffante in attesa del motivo.
Un monaco neanche tanto anziano, sulla cinquantina che, sopra il saio del suo ordine, indossava una sorta di grembiule, la tonsura arruffata ed i capelli che crescevano disordinatamente segno che era da un po’ di tempo che non la controllava. Un viso allampanato dall’aria perennemente distratta.
<< Vi ho portato tre aiutanti, anzi. >> correggendosi. << il priore vi manda tre aiutanti; sono tre monaci, fratello Durante, fratello Salvatore e fratello Julius, arrivati oggi dal monastero di Chiaravalle per la Perdonanza e si sono offerti di dare una mano al monastero ed il priore ha deciso di affidarli a voi per rendervi il lavoro meno ostico. >> disse indicandoli.
Quello li guardò con gli occhi spalancati.
<< Sono i benvenuti ed io avevo proprio bisogno di qualcuno che mi aiutasse nelle mie faccende. >> il viso attraversato da un sorriso radioso, come di liberazione.
<< Allora adesso li affido a voi e li istruirete per quello che potranno fare. >> andando via velocemente rientrando di corsa dagli altri.
<< Allora tre sono sistemati … fratello Aloigi voi andate di fuori e aiutate tutti i monaci che stanno sistemando il piazzale. >>
Quello grugnì dirigendosi all’esterno.
<< Cosa ha detto ? >> domandò fratello Rodomonte stupito rivolgendosi a Baldassarre.
<< Niente … è muto e quel verso era un assenso. >> ribadì il concetto visto che quello gia lo aveva dimenticato. << non vi preoccupate per lui, andiamo adesso alla biblioteca. >> invitandolo a fare strada mentre nel frattempo la campana suonava per il pranzo ed improvvisamente il monastero si affollò di monaci che si dirigevano verso il refettorio ma non erano tantissimi.
<< Non andate al refettorio ? >> domandò fratello Rodomonte.
<< Andiamo alla biblioteca, pranzeremo più tardi. >>
Il monaco portinario annuì con dispiacere, incamminandosi e facendo strada.
La biblioteca si trovava nel fondo del corridoio che portava al refettorio.
Il monaco aprì la porta invitandoli ad entrare.
Una grande sala con alti soffitti a botte, numerose finestre da cui entrava una gran quantità di luce, parecchi scaffali di legno scuro e scranni, un opprimente odore di stantio e di chiuso.
Fratello Baldassarre rimase a bocca aperta osservando sia la quantità di libri presenti negli scaffali sia la polvere che si era accumulata su di essi.
<< Che scempio ! >> osservò sconsolato a voce alta.
<< E’ stata un po’ trascurata ultimamente, il terremoto e tutto quello che è successo dopo hanno distratto i monaci per cui la pulizia del luogo è stata abbandonata per un po’. >> disse il portinario scusandosi quasi come se fosse colpa sua.
Fratello Baldassarre annuì facendo intendere che comprendeva e giustificava, avvicinandosi agli scaffali e osservando con attenzione i libri. Ne prese uno soffiandoci sopra facendo volare una nuvoletta di polvere. Un testo di filosofia, constatò, lo osservò per bene rimettendolo a posto e successivamente fece la stessa cosa con altri volumi con esclamazioni di meraviglia alla vista di simili capolavori.
<< Avete una biblioteca che è una meraviglia. >> disse senza voltarsi continuando ad osservarli. << ed è un peccato lasciarla nell’incuria e nell’abbandono. Questi libri meritano molto più rispetto. >> quasi sgridandolo.
Quello allargò le braccia sconsolato come per dire come non fosse colpa sua.
<< Io sono il portinario … >> disse quasi scusandosi, ripetendo la sua mansione. << non mi intendo di libri, a malapena riesco a leggere ma so scrivere anche molto poco. >>
<< Non è colpa né vostra né di nessuno, magari solo di un terremoto che ha distolto le attenzioni degli amanuensi indirizzate verso fini più nobili. Avete amanuensi vero ?! >> chiese ricordandosi di non averne sentito parlare.
<< Credo di no ! >> rispose quello. << forse anni fa ce n’erano parecchi ma da un po’ il monastero è caduto in miseria. >> disse allargando le braccia.
<< Bene, allora andiamo a mangiare, se è rimasto qualcosa. >>
Chiusero la porta della biblioteca dirigendosi velocemente verso il refettorio.

Al pomeriggio, dopo essersi abbondantemente rifocillati ed aver ripreso tutti le loro mansioni, Baldassarre, rimasto solo, decise di prendersi un po’ di riposo decidendo di andare a visitare la famosa Basilica di Collemaggio.
Attraversò il chiostro muovendosi nell’ombra provocata da alcuni alberi cresciuti a ridosso delle pareti della Basilica e dopo, aver sollevato lo sguardo, rimase per qualche momento sconcertato osservando un bassorilievo incastonato nel muro esterno che dava sul chiostro, che aveva qualcosa di strano; esso rappresentava la pecora sdraiata con la croce sulla schiena simbolo della cristianità. Il particolare che lo aveva colpito era che la pecora era stata sistemata al rovescio, a testa in giù.
Certo era che il mastro che la aveva sistemata doveva essere alquanto sbadato per sistemarla in quella maniera o forse quella posizione era stata voluta ?
Rimase alquanto sconcertato osservandolo, ma decise di non arrovellarsi la mente più di tanto … ci avrebbe pensato un altro momento ma, comunque mentre continuava a camminare dirigendosi verso l’ingresso della Basilica, si voltò diverse volte ad osservarla meditabondo; se di errore si trattava era sicuramente un errore grossolano e forse voluto, gli veniva male pensare che un mastro con quelle competenze la avesse sistemata al rovescio, un errore molto stupido a meno che qualcuno non gli avesse ordinato di sistemarla in quella maniera.
Si avviò con calma verso il piazzale antistante la chiesa rimanendo ulteriormente estasiato da quella visione splendida.
Si avvicinò controllando le croci che aveva avuto modo di osservare al suo arrivo. In effetti si trattava di pietre rosa e bianche incastrate in un specie di mosaico e osservandole con attenzione risultavano essere delle croci rosa, non rosse come aveva presupposto. Comunque nella forma e quasi anche nel colore potevano essere individuate come delle croci patenti, con molta approssimazione.
Rimase dubbioso ad osservare quelle croci e poi decise di entrare.
Si avvicinò al portone principale controllando che non fosse chiuso, spinse un’anta e si rese conto che era aperto, prese un gran respiro ed entrò.
La chiesa era sufficientemente illuminata tramite delle grandi finestre sul fondo dietro l’altare, la prima cosa che lo colpì fu il pavimento che riprendeva gli stessi colori, bianco e rosa, della facciata ma non si soffermò più di tanto sui dettagli, avrebbe avuto modo più avanti nei giorni per studiarla per bene.
Grandi colonne si trovavano sui lati del corridoio principale ed in fondo stava l’abside con l’altare maggiore.
La Basilica era deserta e nonostante facesse molta attenzione nel camminare i suoi passi rimbombavano nel silenzio.
Avanzava lentamente guardandosi attorno e soprattutto osservando la costruzione; non era una chiesa particolarmente ricca o adorna ma anzi piuttosto scarna e spoglia.
Pensò tra se che per quanto se ne fosse parlato di questa Basilica con molta enfasi, forse troppa, le aspettative non corrispondevano alla realtà.
<< Chi siete e cosa fate in questo posto ! >> quella voce tuonante e aggressiva, rimbalzata come un’eco tra le colonne, arrivata all’improvviso lo fece sobbalzare.
Si voltò per vedere a chi appartenesse quella voce e vide che da dietro una colonna faceva la sua comparsa un monaco che avanzava con fare minaccioso verso di lui; un monaco anziano arrivava a grandi passi e lui lo aspettava immobile, apparentemente senza nessuna paura.
<< Chi siete ! >> puntandogli contro un dito minaccioso.
<< Io sono fratello Baldassarre e sono arrivato da poco e ho approfittato di un momento di pausa per venire a visitare la Basilica. >> rispose con molta calma e soprattutto senza far vedere che era impaurito.
<< Fate parte di quel gruppo di monaci arrivati questa mattina ? >> domandò quello parandosi davanti a lui con fare minaccioso.
<< Esattamente. >>
<< E chi vi ha autorizzato ad entrare in chiesa ? >> ringhiò.
<< Nessuno … ! mi sono autorizzato da solo. Ho visto che la basilica era aperta e sono entrato; non mi sembra che entrare in chiesa sia vietato soprattutto ad un monaco che entra per pregare o per ammirare la bellezza di questo posto. >> rispose piccato.
<< Calmatevi … non vi volevo aggredire ma, sapete com’è, le ultime disgrazie di questo posto hanno innervosito un po’ tutti; abbiamo avuto paura che crollasse anche la Basilica e quindi stiamo molto attenti a tutto quello che accade. Per fortuna ci è andata bene ed è crollata solo una parte del campanile mentre la nostra Basilica è rimasta integra. >> disse scusandosi per l’aggressione verbale e rabbonendosi mentre si guardava attorno ad osservare le pareti come se avesse paura che stessero per crollare.
Baldassarre sorrise accomodante.
<< Abbiamo visto il campanile crollato, ed un mio confratello sta aiutando i vostri monaci a mettere da parte i resti delle pietre mentre altri stanno aiutando l’infermiere io, visto che sono amanuense, mi dovrò occupare della biblioteca ultimamente un po’ trascurata. Eravamo venuti qui per la Perdonanza invece ci siamo trovati davanti agli occhi un disastro di cui non eravamo a conoscenza e allora ci siamo messi d’impegno per aiutarvi, mi sembra il minimo che possiamo fare per chi ci ospita. >>
<< Se ci sarà la Perdonanza ! >> rispose quello con voce lamentosa.
<< Il priore mi ha detto che il vescovo ha garantito che ci sarà… a maggior ragione in questo momento triste e delicato occorre ancora di più l’intercessione di nostro Signore. >> lo rassicurò.
Quello abbozzò un mesto sorriso.
<< Se nostro Signore ha mandato il terremoto vuol dire che ci deve punire per i nostri peccati. >>
<< Voi chi siete ? >> domandò fratello Baldassarre una volta che non c’era più diffidenza da parte di quello.
<< Io sono fratello Ruggero e sono il custode della Basilica. >> rispose lui.
<< Avete un bel compito nel tenere a bada questa magnificenza. >> disse Baldassarre guardandosi attorno e osservando distrattamente il soffitto.
<< Se volete venire un altro momento ve la farò visitare tutta, adesso non ho tempo perché devo sbrigare altre mansioni.>> invitandolo tacitamente ad andare via.
<< Sarà un grande piacere, fatemi sapere quando sarete disponibile, mi troverete alla biblioteca. >> rispose con un sorriso.
<< Anche voi avrete un bel daffare.>> commentò. << pace e bene. >> salutò andando via.
<< Pace e bene ! >> sussurrò fratello Baldassarre, nel viso dipinto un sorriso di soddisfazione per essere riuscito ad ottenere il permesso per visitare la Basilica senza problemi.
Rientrò alla biblioteca senza fretta avvolto dai suoi pensieri e dalle sue meditazioni come una cortina fumosa, rivolgendo il suo interesse alle cose che avrebbe dovuto fare, ma il suo pensiero fisso e opprimente era la Basilica: aveva intravisto alcuni segnali importanti e ben definiti, visibili a chiunque e non occultati, e questo lo lasciava perplesso. Un qualsiasi essere che conoscesse il significato dei segni li avrebbe individuati immediatamente e letti e interpretati nella giusta maniera. E allora ? dove stava un eventuale mistero ? decise che avrebbe indagato con molta prudenza non dimenticandosi l’ammonimento della pergamena trovata a Chiaravalle.
Attraversò il chiostro lanciando un’ulteriore occhiata dubbiosa a quel bassorilievo posto al contrario che tanto lo aveva incuriosito.

Arrivò alla biblioteca abbondantemente dopo il pranzo non trovando nessuno. Si mise a controllare alcuni libri che non gli sembravano deteriorati ma piuttosto carichi di polvere, segno che l’incuria e l’abbandono avevano preso il sopravvento a causa di altri avvenimenti esterni non graditi o desiderati.
Rimase estasiato alla vista di numerosi testi antichi di storia e filosofia quasi abbandonati sulle scaffalature, preda della polvere e forse anche dei topi che abbondavano in quei luoghi, alcuni testi avvolti da ragnatele.
Ne prese qualcuno sfogliandolo, dopo averci soffiato sopra per scacciare la polvere, leggendo qualche pagina e osservando con molta attenzione le miniature; non si era seduto ma era rimasto in piedi appoggiato agli scaffali.
<< Sono dei capolavori, vero ? >>
Quella voce arrivata all’improvviso lo fece sobbalzare in quanto lui era concentrato su quello che stava leggendo e non si era reso conto che il priore era entrato nella biblioteca.
<< Sicuramente ! >> disse riprendendosi dallo spavento mentre fratello Pietrone si era avvicinato a lui.
<< Volevo ringraziarvi per la disponibilità che ci state offrendo in un momento di grande bisogno e ve ne saremo grati in eterno. >>
<< Siamo noi che vi dobbiamo ringraziare per l’ospitalità che ci è stata concessa. >> rispose di rimando fratello Baldassarre chiudendo il libro e mettendolo accuratamente al suo posto.
<< Volevo dirvi…nel primo pomeriggio sono andato a dare uno sguardo alla vostra splendida Basilica e devo dire che la fama non è assolutamente usurpata, è una meraviglia, unica nel suo genere. Ho solo avuto un piccolo diverbio con il custode che non gradiva visite a quell’ora ma l’ho rabbonito e si è calmato.>>
Il priore sorrise amichevolmente.
<< Fratello Ruggero vive per la Basilica, lui è il custode e ci trascorre l’intera giornata ed è una vita ormai che lavora per tenerla ordinata e a posto. Lui sa tutto della Basilica e conosce le sue pietre una per una, vi potrebbe dire anche quante ce ne sono. Ma non è ostico, basta saperlo prendere e vi darà il cuore. >> rispose smorzando i toni.
<< Me ne sono accorto … è come un padre geloso dei propri figli. >> disse Baldassarre sorridendo. << comunque abbiamo fatto amicizia, mi ha invitato ad andare a trovarlo e mi ha promesso che mi farà visitare la Basilica. >>
Il priore annuì.
<< Come avete trovato i libri ? >> domandò voltandosi ad osservare la libreria.
<< Sporchi e pieni di polvere ma comunque in discrete condizioni; basta solo ripulirli e torneranno come nuovi. Avete dei testi veramente notevoli e di rara bellezza, per quel poco che ho avuto modo di osservare. >>
<< Ma manca il testo più bello e più prezioso che è al sicuro nella mia cella. >> disse il priore con atteggiamento di complicità.
Baldassarre lo fissò incuriosito aspettando che lui gli dicesse quale libro fosse.
<< E’ il testo delle preghiere di Celestino, scritto di suo pugno. Contiene le orazioni che lui recitava e che ha scritto parecchi anni orsono. Una meraviglia. >> fece sottovoce avvicinando il suo viso a quello del monaco con complicità come se volesse raccontargli un grande segreto.
Quello spalancò gli occhi per la sorpresa.
<< Avete un libro del genere ? >>
Quello annuì gongolante.
<< Un giorno ve lo farò vedere. Quando saremo tutti più tranquilli. >> voltandosi e andando via dalla biblioteca a passettini veloci.
<< Scappo perché ho tante cose da fare ! >> disse da lontano per rassicurarlo.
Lui lo osservò andare via col suo saio svolazzante, gli occhi simili a due fessure.
<< Ha il libro delle preghiere di Celestino scritto di suo pugno. E magari quel libro contiene altro. Lo devo vedere ad ogni costo. >> dirigendosi verso il refettorio in quanto suonava la campana della cena e lui aveva un discreto appetito, mentre tanti campanellini suonavano nella sua testa e lui aveva una faccia gongolante.
Trovò i suoi compagni ordinatamente seduti alla tavola del refettorio: una grande sala affrescata con immagini religiose ed in fondo un grande camino acceso nonostante non ci fosse freddo. I monaci presenti erano in tutto una ventina mentre il monaco lettore aveva preso posizione nel pulpito attendendo che arrivasse il fratello priore per l’inizio della cena.
Si accomodò tra di loro in silenzio come prevedeva la regola, aspettando la benedizione del priore per iniziare la cena che terminò abbastanza in fretta, e loro si ritrovarono all’aperto nel chiostro seduti in una grande panca sotto un albero frondoso alla ricerca di fresco in quanto il caldo al chiuso del monastero era opprimente.
<< Allora … com’è andata la giornata. >> domandò Baldassarre ai suoi confratelli.
Non risposero perché erano abbastanza stanchi: stanchi per via del lungo viaggio e per la giornata trascorsa ad aiutare gli altri ma fu sufficiente il loro sguardo, senza bisogno di parole.
L’unico che rispose fu fratello Aloigi, mugugnando e facendo vedere le mani solcate da numerosi tagli per via dei massi che aveva dovuto spostare.
Fratello Baldassarre sorrise con tenerezza osservandolo.
<< E voi ? >> chiese agli altri.
<< Noi non abbiamo fatto altro che accudire poveri malati. >> rispose fratello Durante per tutti. << non ne avevo mai visto tanti e tutti assieme. Chi ha una gamba rotta, chi la testa e chi un braccio e tutti si lamentano e noi non sappiamo come fare. Il fratello infermiere corre come un matto da una parte all’altra dell’infermeria e noi cerchiamo di disimpegnargli il lavoro aiutandolo nelle piccole cose: portare una caraffa d’acqua, detergere il sudore o portare un pitale a chi ne ha bisogno ma le medicazioni non le sappiamo fare, ma comunque così gli agevoliamo il lavoro. >>
<< Bravi ! >> commentò Baldassarre compiaciuto che i monaci si dessero da fare.
<< E voi ? >> chiesero a lui.
<< Io ho dato un’occhiata alla chiesa e poi ho visitato la biblioteca che è molto ben fornita, trascurata e piena di polvere ma abbandonata a se stessa ed è un gran peccato ma comunque non c’è un gran lavoro da fare, solo pulire e basta, i libri non sono rovinati e credo che se ci avanza tempo potremo dare una mano a voi. Vero fratello Anselmo ?>> domandò a quello a bruciapelo.
<< Vero ! >> rispose quello preso alla sprovvista in quanto sovrapensiero, probabilmente quasi addormentato.
<< Bene … allora la giornata è terminata e penso che ci aspetti il nostro meritato riposo. >> alzandosi dalla panca ed invitando i suoi confratelli a fare lo stesso.
In silenzio si diressero, dopo aver attraversato alcuni corridoi, verso le scale che portavano ai piani superiori dove erano ubicate le celle, incontrando per strada qualche monaco che frettolosamente andava verso la sua cella.
Fratello Baldassarre e fratello Salvatore, dopo aver augurato la buonanotte ai confratelli si chiusero nella loro cella.
Fratello Salvatore si buttò sul suo letto iniziando a russare come un forsennato mentre Baldassarre tardò a prendere sonno pensando che finalmente si trovava a Collemaggio e che in poco tempo aveva avuto modo di vedere la Basilica, la biblioteca e soprattutto aveva scoperto che esisteva un libro di preghiere di Celestino e dentro di se sentiva istintivamente che quel libro gli avrebbe raccontato parecchie cosettine interessanti.
<< Nelle preghiere troverai le riposte. >> questo era quello che riportava la pergamena di Chiaravalle e quella frase gli rimbombava nella testa in maniera ossessiva.
Il sonno lo avvolse come una calda coperta iniziando a russare rumorosamente anche lui.

La mattina successiva si alzò al levar del sole, fresco e riposato con un nuovo entusiasmo addosso e tanta voglia di fare.
Sollecitò bruscamente fratello Salvatore che ancora vagava nei meandri del sonno e dei sogni e insieme si diressero al refettorio per la colazione, trovando i loro confratelli già ordinatamente seduti alla tavola mentre lentamente arrivavano anche gli altri monaci con i quali ancora non avevano fatto amicizia e conoscenza.
Per ultimo arrivò il priore, fratello Pietrone, che prima di benedire la colazione, rimanendo in piedi e tossendo per richiamare l’attenzione su di se, disse, una volta che tutti si furono voltati verso di lui.
<< Cari fratelli, ancora non c’è stato modo, ma volevo, prima di benedire il nostro cibo, presentarvi i nuovi confratelli arrivati, con un po’ di anticipo per la festa della Perdonanza, e che ci stanno dando una grossa mano nel rimettere a posto il nostro adorato monastero; arrivano da molto lontano … dal monastero di Chiaravalle in Fiastra che è, a quanto mi hanno raccontato, un posto meraviglioso e loro sono un gruppo di amanuensi che si stanno prodigando in mansioni che non gli competono, ma comunque ci stanno mettendo tutto l’impegno e la voglia possibili. Alcuni di voi hanno già avuto modo di conoscerli. Vi prego di accoglierli con grande affetto e con l’amore che spetta a dei nostri confratelli. >> terminò di parlare benedicendo il cibo e sedendosi.
I monaci fecero tutti un cenno di assenso rivolto ai confratelli che risposero in maniera simile mettendosi a mangiare ordinatamente e in silenzio.
Al termine della colazione tutti i monaci si alzarono dalle sedie per dirigersi verso le loro mansioni.
Il priore fece un cenno a Baldassarre invitandolo ad avvicinarsi a lui cosa che quello fece immediatamente.
<< Fratello… prima di recarvi ai vostri compiti vi volevo far conoscere il vice priore, fratello Ricciardo. >> voltandosi per richiamare l’attenzione di quello che aspettava poco lontano.
Il vice priore fratello Ricciardo: alto e magro come un chiodo, abbastanza giovane con due occhi piccoli e neri che sprizzavano cattiveria. Non aveva barba ed i capelli erano neri come il carbone. Una bocca sottile e stretta quasi senza labbra ed un naso lungo e affilato.
Lo sguardo arcigno ed apparentemente severo, non traspariva un briciolo di bontà in quegli occhi indagatori e malefici.
Si avvicinò per salutare fratello Baldassarre ma fra i due, immediatamente non ci fu molta simpatia, come si dice a pelle. Soprattutto non piacque a fratello Baldassarre che avvertì in quella persona una falsità ed un cinismo molto evidenti, sentì come una scossa e quel personaggio non gli ispirava nessuna fiducia.
Comunque lo salutò con rispetto e deferenza, d’altronde lui era un ospite e non doveva mostrare simpatie o antipatie nei confronti dei padroni di casa e quello era il vice priore.
Con la scusa che doveva recarsi alla biblioteca svicolò velocemente allontanandosi da quella presenza non molto gradita.
Lo aveva paragonato, tra se, ad una serpe che si avvicina sinuosamente con fattezze gentili per poi scagliarsi contro di te mordendo per iniettare il suo veleno e poi rifugiarsi tra la macchia.
Pensò che lo avrebbe dovuto tenere molto alla larga.
Fratello Anselmo si trovava già nella biblioteca e stava cercando di spolverare alcuni libri sollevando un nuvolone di polvere, si voltò a guardare Baldassarre che entrava pensieroso e preoccupato.
<< Cosa accade ? >> chiese rimettendo un libro a posto fissandolo con curiosità avendo notato il suo viso pensieroso.
Quello fece cenno di no col capo.
<< Non mi sembra che ci sia tanto da fare in questa biblioteca, i libri sono apparentemente a posto e c’è solo molta sporcizia; basterà dare una ripulita e tutto tornerà in ordine come prima. >> disse osservando sconsolato la libreria ed il pavimento. << veramente eravamo venuti per fare altro e ci tocca fare i monaci delle pulizie. E’ anche vero che questi poveretti hanno avuto una bella disgrazia e noi non possiamo esimerci dal portargli il nostro aiuto, d’altronde ci stanno ospitando e in qualche maniera dobbiamo ricambiare. Vorrà dire che una volta sistemata questa biblioteca andremo a dare una mano in infermeria che mi sembra sia il posto che più di tutti necessita di aiuto. >> disse.
Fratello Anselmo annuiva in silenzio rimettendo alcuni libri al loro posto.
<< Adesso ripuliamo per bene questa biblioteca e poi andremo all’infermeria. Non mi sembra molto il momento di perdere tempo a ripulire un posto che dopo il nostro passaggio non ne avrà più bisogno. Andate alle cucine per favore e chiedete una saggina e qualche panno per ripulire i libri. >> invitò fratello Anselmo che obbedì immediatamente.
A mezza mattina la libreria era stata ripulita e loro si stavano avviando all’infermeria ma prima passarono ad avvisare il priore che avevano deciso di cambiare mansione.
Lo trovarono nell’auditorium che discuteva con fratello Ricciardo e non era certamente una discussione pacata: il priore aveva il viso paonazzo e si vedeva chiaramente che era in preda ad un attacco di nervi.
Loro entrarono con discrezione e i due immediatamente tacquero cercando di avere un aspetto più tranquillo, peraltro mascherato molto male.
<< Dite ! >> disse fratello Pietrone invitandoli a parlare.
<< Volevamo avvisarvi. >> fece Baldassarre guardando di sbieco fratello Ricciardo che li osservava immobile, braccia conserte, il viso freddo come il ghiaccio. << che abbiamo ripulito la libreria, i libri sono a posto e siccome non abbiamo niente da fare andiamo all’infermeria per dare una mano. Ci sembra che ci sia più bisogno in quel posto che alla biblioteca.>> disse attendendo la risposta del priore.
Quello si sedette in una sedia di spalle al camino che era spento visto il caldo estivo.
<< Mi sembra che sia una soluzione molto ragionevole e se voi ve la sentite non mi sembra che ci siano ostacoli. >> cercando lo sguardo accondiscendente di fratello Ricciardo. << voi cosa ne pensate ? >> gli chiese.
<< Per me possono andare dove vogliono … in questo momento ci sono cose più importanti come la visita del vescovo Aldebrando che mi sembra che sia molto più importante che quattro libri vecchi e stracciati o di un’infermeria piena di contadini luridi e malati. >> sentenziò spudoratamente con buona dose di cinismo incurante della sua presenza.
A quelle parole fratello Baldassarre sobbalzò ed il primo istinto fu quello di mettergli le mani addosso ma la diplomazia ed il buon senso intervennero portandolo a più miti ragionamenti. Aveva compreso che quello che aveva davanti era un falso, vigliacco e traditore che probabilmente mirava a prendere il posto del vecchio priore e che stava volutamente provocandolo, ma comprese che lo avrebbe dovuto trattare con molta astuzia e diplomazia, magari assecondandolo in certi argomenti.
<< Sicuramente la visita del vescovo è un avvenimento di grande importanza e considerazione ed io penso che non gli farà dispiacere vedere che i monaci di questo monastero si stanno dando da fare per rimetterlo a posto con solerzia e tanta voglia. >> disse con molta diplomazia e tanta fatica per non reagire a quella presunta offesa nei confronti dei malati.
<< Vero … vero ! >> aggiunse il priore.<< andate e fate quello che ritenete opportuno. >> disse loro invitandoli ad andare all’infermeria cosa che loro fecero immediatamente dopo un cenno di saluto.
Fratello Baldassarre andando via lanciò un’occhiata di sfida al vice priore che fu ricambiata.
L’antipatia tra i due monaci era evidente e nessuno dei due la nascondeva.

<< Non mi piace … non mi piace proprio. >> pensò a voce alta dirigendosi verso l’infermeria.
<< Neanche a me, se vi riferite al vice priore. Ha la faccia della carogna. >> aggiunse fratello Anselmo.
<< Si … ma non lo dite a nessuno. >> rispose fratello Baldassarre, sottovoce, non riuscendo a nascondere una risatina ironica. << quello è un vigliacco e secondo me aspira a prendere il posto del priore. Il suo viso parla di ambizione e di arroganza. >> aggiunse guardandosi attorno circospetto per paura che lo ptesse sentire qualcuno.
<< E’ un monaco peccatore e così non dovrebbe essere ! >> commentò amaramente fratello Anselmo.
<< Anche la chiesa è piena di peccatori, purtroppo consapevoli di quello che fanno e questa è la cosa più triste e più grave, salvo poi giudicare gli altri per gli stessi peccati perpetrati da essi stessi. Eccoci arrivati. >> disse entrando nell’infermeria e cambiando volutamente discorso in quel momento poco opportuno.
Furono accolti dai loro confratelli, intenti alle medicazioni, con grande gioia, compreso fratello Crisanto che vedeva di colpo il suo piccolo ospitale rifornirsi di infermieri e mano d’opera per i poveri malati che affollavano l’infermeria.
In effetti quelli erano tanti e tutti coricati in lettini arrangiati, separati uno dall’altro da alcune tende appese tra una colonna e l’altra in maniera da creare delle camerette alquanto improvvisate: una lamentela continua di quei poveretti che per loro fortuna avevano trovato accoglienza nel monastero.
I monaci si diedero immediatamente da fare portando loro acqua, qualche frutto e una buona parola di conforto che spesso fa meglio di tante medicine. Erano malati particolari in quanto erano tutti affetti da fratture, chi alle gambe e chi alle braccia e per quello impossibilitati a muoversi, con dei bendaggi quanto mai improvvisati e delle stecche di legno per contenere il trauma.
Il suono della campana avvisò che era ora del pranzo e loro smisero il lavoro dirigendosi senza fretta verso il refettorio dove una parte dei monaci del monastero era già ordinatamente seduta ai loro posti e anche loro si diressero verso le sedie accomodandosi ed aspettando che arrivasse il priore.
Quello arrivò immediatamente dopo: il viso scuro e accigliato seguito poco dopo da fratello Ricciardo col volto inespressivo che non guardava nessuno.
Il priore diede una benedizione frettolosa, il monaco lettore iniziò a leggere le scritture ed i monaci iniziarono a mangiare.
Baldassarre osservava distrattamente il priore che era rosso in viso e si vedeva che era nervoso, molto probabilmente aveva avuto una discussione accesa con qualcuno che senza tema di smentita era sicuramente fratello Ricciardo che , in quel momento stava a capo chino sul piatto ma non gli sfuggì un lampo di soddisfazione negli occhi di quello.
Il tavolo vibrò leggermente e qualche minuscolo frammento di intonaco cadde sul tavolo accompagnato da polvere.
I monaci tutti sollevarono la testa osservando con ansia il soffitto.
<< Il terremoto. >> sussurrò un monaco a voce bassa guardandosi attorno di sottecchi.
Si alzarono di corsa e in silenzio, dirigendosi velocemente verso l’uscita del refettorio, anche Baldassarre ed i suoi confratelli, senza capire granché di quello che stava succedendo si avviarono frettolosamente verso l’uscita, seguendo gli altri monaci.
Qualche altro tremolio del pavimento si avvertì mentre uscivano ma una volta arrivati all’esterno del monastero era tutto tornato tranquillo.
Anche il priore era rimasto turbato da quelle scosse osservando con attenzione, dall’esterno, il monastero forse perché aveva paura che qualcosa fosse crollato.
<< Forza … potete rientrare, sembra che sia finito. >> disse fratello Pietrone tranquillizzatosi e invitando i confratelli a rientrare al refettorio e alle sue parole, tutti ordinatamente si diressero all’interno.
Sul tavolo e per terra erano presenti solo dei minuscoli frammenti di intonaco e basta, tutto il resto era a posto.
Baldassarre si avvicinò al priore.
<< Questo era solo un assaggio. Il terremoto vero e proprio non è così ma molto più forte e crolla tutto. >> disse quello rivolgendosi a lui come per metterlo sull’avviso.
<< Non è una situazione piacevole. >> commentò il monaco per tutta risposta osservando per terra.
Istintivamente il suo sguardo si pose su fratello Ricciardo che osservava in silenzio col suo viso sogghignante.
<< Cari confratelli … ! >> il priore alzò la voce per farsi sentire.
<< mettete tutto a posto perché al pomeriggio verrà a farci visita il vescovo Aldebrando, come mi ha comunicato fratello Ricciardo, ed il monastero deve essere, per quanto possibile, in ordine per ricevere con dignità sua eccellenza il vescovo. Su da bravi tutti al lavoro. >> battendo le mani ed esortandoli e riprendere le loro mansioni.
Fratello Baldassarre aspettò che il monaco Ricciardo andasse via per parlare con il priore.
Si avvicinò con molto rispetto a lui.
<< Fratello priore… con tutto il rispetto, io vorrei andare a visitare la Basilica. >> gli disse sottovoce ad un orecchio.
Fratello Pietrone annuì.
<< Vi accompagno, così approfitto per vedere in che condizioni si trova. >> rispose quello. << è da un po’ che la trascuro. >> aggiunse.
Si incamminarono verso la Basilica lasciando che gli altri monaci si impegnassero nei loro lavori.
Baldassarre fece un cenno di intesa con i suoi confratelli e quelli si diressero verso l’infermeria.

La facciata della chiesa diede a fratello Baldassarre la stessa impressione del primo giorno che l’aveva vista: uno splendore ed una raffinatezza, illuminata dal sole brillava ancora di più e quelle croci rosse spiccavano fra le pietre bianche.
Entrarono attraverso il portone principale cercando di fare silenzio e con il dovuto rispetto che si doveva avere entrando in un luogo di culto.
<< Fratello Ruggero ! >> il priore chiamò il custode ma senza alzare la voce.
Si udirono dei passi provenire dal fondo della chiesa e poco dopo fece la sua comparsa il custode.
<< Fratello priore … era da un po’ che non venivate a visitare la Basilica ! >> disse quello con un sorriso smagliante allargando le braccia come per accogliere il confratello in un abbraccio affettuoso ricambiato dal priore.
<< Fratello Baldassarre ! >> fece poi rivolgendosi al monaco con un cenno di saluto.
<< Vi conoscete già ? >> domandò il priore.
<< Ho già avuto modo di venire a visitare questa meraviglia. >> disse lui sorridendo perché il priore già aveva dimenticato della sua precedente visita. << ed ho avuto modo di conoscere fratello Ruggero. >> aggiunse. << però, senza offendere nessuno, adesso sarà il priore a farmi da guida e da anfitrione per conoscere questo posto meraviglioso. >>
Quello accondiscese con un cenno del capo facendosi da parte..
<< Sperando che il vescovo non arrivi ad interrompere il nostro percorso. >> aggiunse il priore.
<< Permettete se mi intrometto nei fatti vostri. >> disse Baldassarre mentre percorrevano la chiesa e soprattutto mentre osservava con molta attenzione il pavimento formato da mattoni bianchi e rosa come la facciata, ma diviso in varie sezioni. << ma mi è parso che tra fratello Ricciardo e voi non corra buon sangue. >>
Il priore sospirò con gli occhi in gloria diretti verso il soffitto.
<< Avete toccato un tasto dolente. E’ una cosa di dominio pubblico. Quel monaco è arrogante e presuntuoso e ambisce a diventare lui il priore di questo monastero, adducendo la scusa che io ormai sono vecchio e incapace di reggere le sorti di questo posto. Trascorre più tempo dal vescovo che qui al monastero, adulandolo e sobillandolo, mettendomelo contro senza rendersi conto che non è il vescovo che nomina il priore ma tutto il cenobio per elezione, ed i monaci sono tutti con me e contro di lui che si è attirato le antipatie di tutti per la sua arroganza ed il mancato rispetto dei diritti degli altri. Avete visto come si è espresso nei confronti dei poveri malati dell’infermeria. Ma dove sta la carità ? >> muovendo la testa in segno di diniego.
<< detto poi da un religioso ! >> aggiunse.
<< Io diffiderei di quel monaco. >> disse Baldassarre che stava mettendo, volutamente in guardia il priore. << non vorrei seminare zizzania perché non rientra nelle mie abitudini, ma non mi piace … non mi piace proprio e scusatemi se mi intrometto nei fatti del vostro cenobio. >>
Il viso triste e sconsolato del priore lo fece ricredere sulle parole appena dette, pentendosi immediatamente di quello che aveva fatto.
<< Ma forse non è così, magari attraversa un periodo particolare, sono sicuro che nel suo cuore è una buona persona. >> cercò immediatamente di minimizzare per attenuare i toni.
Quello lo guardò negli occhi con un moto di stizza.
<< Non cercate di giustificarlo … lo avete inquadrato per bene ed è proprio come lo avete descritto anzi vi dirò di più, è una serpe nel vero senso della parola e sta tramando contro di me per prendere il mio posto. E’ un monaco malato di ambizione e sete di potere e vuole arrivare molto in alto. E’ un monaco sbagliato.>> disse sottovoce come se avesse paura che qualcuno potesse sentirlo.
<< Volevo chiedervi … ! >> fece Baldassarre cambiando discorso perché si era reso conto che quello era un argomento che non garbava al priore e che gli procurava molto malumore, parlando invece di una cosa che a lui interessava molto di più.
<< Ho visto nella parete della chiesa che da sul chiostro che c’è un bassorilievo messo al contrario. >>
Il priore lo fissò lungamente negli occhi.
<< E vorreste conoscere il suo significato oppure sapere se è stato un errore del mastro che lo ha sistemato ? >> lo fissò negli occhi senza distogliere lo sguardo.
Baldassarre annuì.
Il priore si fermò nel mezzo del grande corridoio centrale della chiesa.
<< Siete stato alla porta Santa ? >> domandò.
Il monaco fece cenno di no col capo.
<< Quando vedrete la lunetta che sormonta il portale scoprirete che vi è un dipinto della Vergine con San Giovanni Battista e Pietro Celestino. Il bassorilievo che avete visto nella facciata secondo voi cosa è ? >> il suo viso era diventato improvvisamente serio continuando a parlare ed incupendosi ulteriormente. << é una pecora con la croce, simbolo della cristianità, ed è messo al rovescio. Sulla lunetta c’è il Battista e voi che siete un monaco amanuense che si presuppone abbia letto parecchio non riuscite ad interpretare quei simboli ? avete visto questo pavimento ? >> disse spostandosi indietro e indicandoglielo. << le colonne hanno tutte una base ottagonale e sono otto per lato del corridoio centrale. >> indicandole. << e più avanti … >> muovendo alcuni passi. << quei sei cerchi fanno tre otto. >> indicandogli una parte del pavimento e successivamente guardandolo in viso. << se siete intelligente e colto come suppongo dovreste interpretare quei segni. >> mentre parlava e indicava le cose si dirigeva verso l’altare alle spalle del quale stava una splendida bifora.
Si diressero dietro l’edicola, verso il piccolo abside di destra ed il priore indicò un sarcofago di marmo scuro rivolto verso la parete esterna con alcune incisioni sul suo fianco. << quello contiene i resti di Celestino. >>
Fratello Baldassarre si avvicinò toccandolo e segnandosi, recitando un requiem sottovoce.
<< E adesso rientriamo al monastero perché starà per arrivare il vescovo. >>
Baldassarre rimase perplesso ma aveva già intuito parecchie cose e il priore gliele stava confermando aprendosi in maniera abbastanza esplicita ma lui non voleva scoprirsi e preferiva fare il finto tonto o ignorante che dir si voglia.
Il bassorilievo al rovescio indicava che la religione andava letta al contrario così come il Battista sulla lunetta della porta Santa e la raffigurazione di Papa Celestino, che avrebbe verificato in un altro momento, riportava alla pergamena dove c’era nascosto il nome e tutto il resto. Tutte cose ampiamente descitte da fratello Joaquin a suo tempo e che andavano tutte esaminate.
Aveva fatto un piccolo passo in avanti e la cosa lo rendeva oltremodo euforico.

Il vescovo Aldebrando stava per arrivare, un monaco che lo aveva visto in lontananza col suo corteo, aveva avvisato fratello Pietrone del suo arrivo che si accinse ad accoglierlo sulla porta del monastero attorniato dai monaci.
Il vescovo arrivò vestito con i suoi paramenti, riccamente adornato e accomodato su una lettiga, scortato da due armigeri, un codazzo formato da alcuni religiosi e da fratello Ricciardo sempre molto ossequioso nei suoi confronti e pronto ad offrirgli un braccio nello scendere dalla lettiga.
Baldassarre lo osservò attentamente in viso: un volto che mostrava poco di quello che un vescovo dovrebbe trasmettere alla gente comune. Niente bontà o fratellanza ma uno sguardo avido e cattivo. Due occhi neri piccoli che scrutavano tutt’attorno ed una bocca altrettanto sottile, il viso senza barba.
Sembrava un immagine speculare di fratello Ricciardo, come se fossero fratelli.
Il priore gli si fece incontro baciandogli la mano che quello gli porgeva, non in atto di rispetto ma di sottomissione, mentre Baldassarre ed alcuni monaci stavano discretamente in disparte.
<< Allora mio buon priore Pietrone ! >> disse dopo averlo benedetto frettolosamente. << come procedono le cose al monastero ? ho saputo che non avete avuto molti danni dopo i recenti terremoti. >> guardandosi attorno, evidentemente infastidito da quella visita molto poco lusinghiera per lui che avrebbe preferito stare da un’altra parte.
Il priore non fece a tempo a rispondere che la voce melliflua di fratello Ricciardo si insinuò precedendo la sua riposta.
<< La mano del buon Dio ha fatto da scudo affinché il tetto della Basilica non ci crollasse sulla testa e così anche il monastero. Abbiamo avuto pochi danni per nostra fortuna e così abbiamo modo di aiutare, nella nostra infermeria, quei poveretti che necessitano di cure e di aiuto. La misericordia divina è sempre molto grande. >> segnandosi.
A quelle parole Baldassarre sobbalzò preda di un’insostenibile voglia di dire quello che pensava nei confronti del vice priore, disgustato da quell’atteggiamento, ma lo sguardo implorante del priore che aveva intuito il suo desiderio, lo fece desistere.
<< Devo dire che siamo stati molto fortunati. >> aggiunse lui alle parole del vice priore.
<< Ho saputo anche che avete ospiti alcuni monaci amanuensi arrivati dal monastero di Chiaravalle per la festa della Perdonanza. >>
<< Proprio così … ho infatti il piacere di presentarvi fratello Baldassarre, ottimo amanuense e monaco di grande cultura. >> indicandolo.
Lui fece alcuni passi in avanti baciando la mano che il vescovo gli porgeva, ma non era un gesto di saluto, doveva intendersi anche per lui come una sottomissione, con fratello Ricciardo che aveva un sorriso beffardo sul volto.
<< Molto bene ! >> disse il vescovo bruscamente. << vogliamo sperare che la Basilica sia a posto per l’apertura della porta Santa. >> voltandosi bruscamente per andare via senza degnare di uno sguardo i presenti con il vice priore che lo seguiva sempre ossequioso.
Lo sguardo di fratello Baldassarre valeva più di mille discorsi e fratello Pietrone lo comprese senza difficoltà alcuna incrociandolo.
<< Vi vorrei parlare … in segreto e da soli. >> disse avvicinando il suo volto a quello del priore.
Quello annuì.
<< Dopo … nella mia cella. Raggiungetemi più tardi. >> rispose sottovoce ma con un’aria affranta.

Baldassarre si recò nell’infermeria per vedere se ci fosse bisogno di aiuto in attesa di recarsi dal priore, diede una mano agli altri confratelli per le medicazioni di alcuni malati e quando pensò che fosse giunta l’ora si diresse senza fretta verso la cella del priore.
Dopo aver attraversato il chiostro si diresse verso le scale che portavano al piano superiore dove si trovavano le celle dei monaci.
Arrivò alla porta di quella del priore bussando con discrezione e attendendo.
La voce di quello lo invitò ad entrare.
<< Accomodatevi. >> disse fratello Pietrone indicandogli una sedia.
Lui prese posto fissandolo: aveva un libro in mano e stava scorrendo alcune pagine, dopo un po’ lo richiuse sistemandolo in una sorta di libreria dove trovavano alloggio diversi libri.
<< Cosa avete capito della Basilica ? >> domandò senza tanti preamboli.
<< Veramente non sono venuto a parlarvi della Basilica ma del comportamento di fratello Ricciardo. >>
Un sorriso più simile ad una smorfia apparve sul viso apparentemente sereno del priore.
<< Quello … ! ancora non ha capito che il priore viene eletto dal cenobio e non dal vescovo, anche se lui può indirizzare i voti, se avesse dei seguaci ! Purtroppo per loro tutti i monaci di questo monastero sono con me e non sopportano fratello Ricciardo, alcuni monaci credo che lo odino e se potessero gli metterebbero le mani addosso … ma questo non rientrerebbe nel nostro credo fatto di pace e misericordia. >>
<< Ho notato l’ipocrisia manifestata nel momento in cui si è espresso nei confronti dei malati ricoverati nell’infermeria e quello mi è bastato. Non mi è piaciuto dal primo momento che l’ho visto e non voglio aggiungere altro. >> disse Baldassarre.
<< Non ce n’è bisogno, le sue parole parlano per lui. Comunque se io dovessi dimettermi o morire prematuramente il prossimo priore sarà fratello Ruggero che è una persona degna di stima e di fiducia. Tutti i monaci lo tengono in grande considerazione e hanno molta fiducia in lui. Vedete … noi apparteniamo tutti alla congregazione creata da Celestino molti anni fa, noi siamo quelli che gli altri chiamano impropriamente Celestini perché seguaci del Pontefice, ma in realtà apparteniamo alla congregazione dello Spirito Santo creata da lui stesso ed io sono il capo e la guida spirituale di questa congregazione e depositario dei suoi segreti, e mi sembra che questo lo abbiate compreso molto bene anche se fate finta, molto abilmente, di non sapere niente e palesate la vostra presunta ignoranza. Caro fratello Baldassarre io con gli anni ho imparato a leggere nella testa della gente e nel suo cuore e voi non me la date a bere. Sentiamo … cosa rappresenta l’agnello messo al contrario secondo voi ? >>
Baldassarre lo guardò con molta curiosità e senza nessuna paura.
<< L’agnello, che rappresenta Gesù Cristo, messo a testa in giù significa che la religione cattolica va intesa al contrario o perlomeno al rovescio. >>
Il priore annuì.
<< E questo va bene, in parte, e poi, cos’altro avete capito e soprattutto cosa sapete che non mi avete detto ? >>
Baldassarre sorrise perché aveva capito che aveva davanti un priore apparentemente buono ma molto attento e furbo con il quale poteva parlare liberamente.
<< Sulla lunetta c’è il Battista, l’agnello che rappresenta Gesù Cristo è al rovescio, la Perdonanza si svolge tra il 28 ed il 29 agosto che è il giorno del suo martirio. Ergo … il vero profeta è il Battista. Tutto quello che si trova nella chiesa non ha niente a che vedere con queste cose, si tratta di altro che però in questo momento non ci interessa. Questa Basilica, voluta fortemente da papa Celestino, è stata edificata grazie all’aiuto, sia economico che come maestranze, dai templari che fornirono i denari e gli uomini necessari. Loro avevano costruito questa Basilica chiedendo in cambio al Papa di custodire qualcosa di molto importante. >> rimase in silenzio fissando il priore.
<< E voi siete venuto qui perché volete scoprire di cosa si tratta.>>
aggiunse il priore. << ma sappiate che non è semplice perché ci siamo noi a proteggere il tutto. >> guardando Baldassarre con ghigno beffardo.
<< Ma io non sono venuto a cercare niente, conosco la storia perché ho avuto modo di leggere molto. Ho avuto modo di leggere anche della Perdonanza ed il nostro abate ci ha concesso come premio, dopo aver fatto un egregio lavoro di restauro della biblioteca, di venire qui da voi. >> disse quasi facendo l’offeso.
<< Vi do un consiglio … cercate di non esagerare con la ricerca dei segreti di Collemaggio perché potrebbe costarvi la vita. In questo posto vivono i custodi di Celestino che non siamo noi e voi neanche li conoscete ma loro si, e vi possono mettere in condizioni di non nuocere in qualsiasi momento. Fate attenzione >> lo ammonì.
<< In cosa ho sbagliato. >> chiese Baldassarre ingenuamente.
<< Troppe domande sulla chiesa, vi siete informato su troppe cose e poi avete un grande difetto. >> disse.
Il monaco lo guardò incuriosito aspettando che terminasse il discorso.
<< Siete un monaco limpido e affidabile e mi ispirate molta fiducia. Avete un viso buono che da anni non vedevo e mi avete ricordato molto il sottoscritto da giovane. Anch’io ero un amanuense e sono venuto qui attirato dai segreti della Basilica. >> disse con un sorriso affabile e ruffiano al quale rispose Baldassarre alzandosi e andando via.
<< Figlio mio … ! >> lo chiamò il priore.
Baldassare si fermò voltandosi meravigliato da quell’espressione e aspettando le sue parole.
<< Pensate a rimanere in questo posto. Questo monastero ha bisogno di monaci come voi e non di canaglie come quell’altro.>>
Il monaco fece un cenno di assenso andando via.
<< Passate a trovami più tardi, vi devo dare un libro da leggere. >> urlò il priore.
< Come volete. >> fu la sua risposta.

Mentre fratello Baldassarre si dirigeva verso l’infermeria per aiutare gli altri, il fratello priore prese la direzione opposta recandosi alla Basilica alla ricerca di fratello Ruggero.
Lo trovò dietro l’altare principale intento a fare pulizia con una saggina.
Come lo vide quello si fermò in attesa che gli dicesse qualcosa.
<< Sto finendo le pulizie della chiesa, la festa della Perdonanza si avvicina e la Basilica deve splendere come non mai. >> disse giustificando il fervore che metteva nella pulizia, forse cercando in quella maniera di scaricare ansie e tensioni emotive.
<< Cosa mi dite di fratello Baldassarre ? >> domandò il priore senza tanti preamboli fregandosene bellamente delle pulizie.
Fratello Ruggero lo guardò intensamente.
<< E’ un’ottima persona ed un bravo monaco; ispira molta fiducia e mi sembra anche molto leale oltre che un giovane molto colto e istruito e anche di buone maniere. Mi piace molto. >> rispose senza tentennamenti. << tutto il contrario di fratello Ricciardo… esattamente il contrario ! >> aggiunse sottovoce.
<< E’ quello che penso anch’io, però è troppo curioso riguardo la Basilica ma la cosa non guasta mai perché se si vuole imparare occorre essere curiosi. Ma con la giusta misura. >> sentenziò il priore accomodandosi in una sedia.
<< Perché tanto interesse riguardo fratello Baldassarre ? >> domandò fratello Ruggero rimettendosi a spazzare con molta calma.
<< Sarebbe un ottimo priore, ovviamente istruito a dovere altrimenti è bene che se ne vada e torni da dove è venuto. >>
<< Allora nel caso deve combattere con fratello Ricciardo che non vede l’ora di diventarlo lui. Al vostro posto farei molta attenzione alle sue congiure e alle sue trame, e il vescovo è d’accordo con lui. >> disse quello con una risatina neanche tanto velata. << sono complici ! >> aggiunse con sguardo complice.
<< Sareste dovuto essere voi il mio successore ma non ne volete sapere. >>rispose il priore con tono di rimprovero ed una smorfia sul viso.
Quello fece cenno di no col capo.
<< E non mi interessa … io sto bene nella mia chiesa senza problemi di alcun genere; non mi interessano gli intrighi ed i giochi di potere. Preferisco essere guidato piuttosto che guidare, a me basta che mi si dica quello che devo fare e sto bene così. Non ho queste velleità o ambizioni di diventare priore, preferisco sempre la pace e la tranquillità che questo posto mi offre. >> disse indicando la sua chiesa. << e poi non mi interessano i misteri e tutto quello che ne consegue ! >> aggiunse fissando il confratello con uno sguardo indagatore.
<< La vostra si chiama assenza di responsabilità, non volete avere obblighi e ve ne volete stare al tranquillo nella vostra tana senza impegni e obblighi. Voi state bene in questo posto punto e basta ! >>
Sentenziò il priore con un sorrisino sul viso. << e lui sarebbe adatto per questo ruolo ? >> domandò il priore, evitando volutamente lo sguardo di fratello Ruggero che lo stava fulminando.
<< Lo sapete benissimo fratello, avete sempre questo brutto vizio di chiedere l’opinione degli altri quando poi decidete voi. E’ un giovane che a me piace e sicuramente piace anche a voi anche se lo nascondete. Smettetela di fare il finto tonto mascherando la vostra intelligenza e furbizia con il vostro buonismo: voi siete troppo arguto e acuto ma vi piace sentire l’opinione degli altri anche se dopo fate quello che avete deciso voi. Chiedete il parere degli altri investendoli di un grande ruolo e quelli ci cascano ma poi fate quello che avete in testa già da tempo. Ma a chi volete darla a bere ? >> disse ridendo e beffandosi del priore. << vi conosco da una vita e conosco molto bene anche i vostri tranelli. >> continuando a ramazzare.
Il priore sorrise alzandosi e andando via, accennando un gesto di saluto.

Era arrivata la sera e la giornata lavorativa stava terminando; i monaci ordinatamente e stanchi si recavano al refettorio disponendosi in silenzio ai loro posti in attesa della cena.
Il priore arrivò pensieroso sedendosi al suo posto dopo aver dato la benedizione della cena ed i monaci con i capi chini sulle scodelle. Il lettore leggeva dal pulpito con voce noiosa e cantilenante.
Dopo aver terminato di mangiare si diressero verso le loro celle per il meritato riposo, il priore non degnò alcuno di uno sguardo, sempre immerso nei suoi pensieri assillanti.
Fratello Baldassare, stanco e nervoso, si diresse verso la sua cella con l’intenzione di buttarsi sul letto e dormire quanto più possibile, raggiunto quasi subito da fratello Salvatore che si buttò sul letto anch’esso.
Un chiarore lunare ammantava il monastero di una luce pallida che filtrava dalle finestre e lui non aveva avuto bisogno di accendere la candela per farsi luce buttandosi a corpo morto nel letto cominciando a russare quasi subito e forse anche a sognare.
Una civetta lanciava i suoi versi contro il buio della notte.

Dopo circa due ore di sonno una leggera vibrazione del suo letto lo svegliò, ma durò un momento e lui si riaddormentò.
Passò qualche istante ed una vibrazione più forte ed un rumore più simile ad un tuono lo risvegliarono, si guardò attorno ma non notò niente di particolare, udì alcune voci provenire dalle celle contigue ma non ci fece caso più di tanto.
Si mise seduto sul letto osservandosi attorno con sospetto, il suo corpo pronto a recepire eventuali movimenti; un’altra vibrazione più forte delle precedenti lo mise in agitazione e lui, dopo aver compreso quello stava per succedere, si alzò immediatamente chiamando a gran voce fratello Salvatore che aprì gli occhi non capendo cosa stesse succedendo e ancora preda del primo sonno, dirigendosi fuori della sua cella e verso quelle dei suoi compagni seguito dal confratello ancora frastornato dal torpore, che non capiva cosa stesse capitando.
Entrò come una furia in quella dove dormivano Durante e Alogi.
<< Presto in piedi … il terremoto ! >> disse a gran voce scuotendoli dai loro letti.
Quelli aprirono gli occhi alzandosi come molle dai loro talami.
Si diresse poi verso l’altra cella dove dormivano Anselmo e Julius.
<< Il terremoto, alzatevi veloci e andiamo all’esterno. >>
Il monastero stava cominciando a vibrare impetuosamente e alcuni frammenti di intonaco si staccavano dai muri cadendo per terra e frantumandosi in mille pezzi con grande fragore. Nuvole di polvere si creavano a seguito di ciò, impedendo la visuale che già al buio era scarsa.
Anche gli altri monaci si erano riversati dalle loro celle, alcuni senza aver indossato il saio correndo all’impazzata e urlando come delle vecchie pettegole isteriche, cercando disperatamente una via di fuga e proteggendosi il capo con le mani per evitare i calcinacci che cadevano sulle loro teste.
Baldassarre si fermò improvvisamente trattenendo fratello Aloigi che era vicino a lui.
Un sordo boato li fece sobbalzare mentre una parete del corridoio che stavano percorrendo crollò a terra frantumandosi sul pavimento davanti a loro, sollevando una nuvola di polvere.
Per fortuna si erano fermati altrimenti quella parete sarebbe caduta sulle loro teste.
<< Dobbiamo cercare il priore. >> disse Baldassarre ad Aloigi che annuì mugugnando, osservando quelle macerie nel punto dove avrebbero potuto trovarsi loro e ringraziando il cielo per essersi fermati per tempo.
Tornarono indietro ripercorrendo il cammino fatto al contrario.
Nel frattempo gli altri erano riusciti a raggiungere l’esterno del monastero mettendosi in salvo.
Una parte del corridoio dove c’erano le celle era crollato e loro erano scappati giusto in tempo, ma la cella del priore si trovava dall’altra parte ed era quella crollata maggiormente.
Arrivarono, non senza impedimenti, alla cella di fratello Pietrone entrando con qualche difficoltà per via delle macerie e del buio che non permetteva agili movimenti.
Fratello Aloigi buttò giù la porta con una spallata violenta, si fermò trattenendo Baldassarre e assistendo entrambi ad una scena terrificante che non avrebbero mai voluto vedere: il priore stava riverso per terra coperto da calcinacci e sopra di lui fratello Ricciardo che lo percuoteva sul capo con un sasso e quel poveretto incapace di reagire, totalmente inerme.
Fratello Aloigi immediatamente si lanciò su di lui afferrandolo, sollevandolo di peso e sbattendolo ripetutamente con forza contro il muro mentre Baldassarre si avvicinò al priore che si lamentava, mentre il sangue gli scorreva a fiotti sul viso.
Il monaco Ricciardo, ripresosi dallo stordimento dovuto al colpo, si era scagliato urlando contro Aloigi che lo attese a pié fermo afferrandolo prontamente per il collo essendo molto più forte e più grosso di lui, sbattendolo di nuovo contro il muro, lasciandolo rintronato e quasi senza conoscenza.
Quello dopo qualche momento di intontimento si rialzò scagliandosi goffamente verso di lui urlando frasi sconnesse, il volto alterato dall’ira, dopo aver afferrato un grosso masso, ma fratello Aloigi non si fece sorprendere afferrandolo per le braccia e scagliandolo per terra, prese a sua volta un masso dal pavimento sbattendoglielo con violenza sul capo più volte fino a lasciarlo senza vita, lungo disteso e grondante di sangue.
Baldassarre, chino per terra, reggeva il capo del priore che si lamentava.
<< Il libro … >> disse lui con un gemito sollevando le braccia in direzione della sua libreria. << il libro delle preghiere, non si deve perdere, prendetelo e mettetelo in salvo. Il tesoro non si deve perdere il tesoro ! >> sbarrò gli occhi rimanendo immobile con lo sguardo fisso.
Fratello Baldassarre gli chiuse gli occhi poggiandolo delicatamente per terra. << requiem aeterna dona eis domine ! >> sussurrò benedicendolo, poi si diresse verso la libreria cercando il libro di Celestino nella penombra della cella, perché era a quello che si riferiva il priore.
Lo trovò dopo un’attenta ricerca fra altri libri, lo mise nella tasca del saio facendo cenno a fratello Aloigi, che attendeva immobile, di seguirlo e di non fare mai accenno al libro.
<< Non diciamo niente di quello che è successo. Fratello Ricciardo è morto mentre soccorreva il priore, uccisi dai massi caduti. Questa è la versione ufficiale. >> gli disse con uno sguardo duro e quello annuì.
<< si eviteranno mille discussioni o processi ! comunque bravo, per essere un monaco ve la cavate bene nella lotta. >>
A quello scappò un sorriso facendo finta con le mani di stringere qualcosa per far vedere quanto fosse forte ringhiando contemporaneamente ma allo stesso tempo voltandosi a controllare il monaco disteso per terra in un lago di sangue e pentendosi di quello che aveva fatto, segnandosi ripetutamente.
Raggiunsero l’esterno del monastero camminando tra le macerie mentre il terremoto era terminato, una forte scossa durata non parecchio ma il tempo necessario per far molto danno, ed i loro confratelli li attendevano con ansia preoccupati per la loro incolumità non vedendoli arrivare.
Gli andarono incontro chiedendo delle loro condizioni ma quelli li tranquillizzarono spolverandosi le tonache dalla povere caduta addosso.
<< I malati ! >> urlò fratello Baldassarre. << i ricoverati … Dio mio … Dio mio … quelli non si possono muovere. Andiamo immediatamente. >> dandosi un colpo alla fronte e dirigendosi di nuovo all’interno verso il ricovero, seguito da una parte dei monaci e soprattutto da fratello Crisanto con le mani sulla testa per la disperazione e per il fatto di essersi dimenticato di quei poveretti.
Per loro fortuna l’infermeria era integra e non era crollato niente, tranne qualche pezzo di intonaco per terra, ma i malati erano disperati in quanto erano impossibilitati a muoversi ed i loro visi si illuminarono quando videro i monaci arrivare.
Si tranquillizzarono perché il buon Dio aveva evitato una disgrazia mentre fratello Crisanto cominciò a prendersi cura di loro rasserenandoli.
Raggiunta la calma fratello Baldassarre si diresse all’esterno alla ricerca di fratello Ruggero per comunicargli la triste notizia chiamandolo da parte.
<< Il priore è morto così come fratello Ricciardo, alcuni massi sono caduti sulle loro teste uccidendoli. >> disse sottovoce.
Il confratello rimase attonito a bocca spalancata.
<< E come mai il vice priore era con lui ? >> domandò incredulo.
<< Probabilmente era da lui per aiutarlo ad uscire visto che le loro celle sono attigue e sono stati sorpresi dai massi che cadevano. Erano entrambi insanguinati e noi, io e fratello Aloigi, li abbiamo trovati distesi per terra e senza vita. >>
<< E’ una disgrazia, il priore è morto, la festa della Perdonanza si avvicina e noi come faremo ! >> disse asciugandosi le lacrime che gli cadevano sul viso sedendosi disperatamente su un masso. << il monastero quasi distrutto, il priore morto … la malasorte si è abbattuta su di noi e nostro Signore ci ha abbandonati ! >> le mani avvinghiate sulla testa.
Fratello Baldassarre gli mise un braccio sulla spalla come per rassicurarlo.
<< La festa della Perdonanza si farà, di questo potete starne certo, dopo i funerali dei nostri confratelli, e voi la festeggerete come priore. >> gli disse cercando di tranquillizzarlo. << il monastero verrà rimesso a posto e tornerà come nuovo e state tranquillo che il Signore non ci ha abbandonati. >>
Quello lo guardò facendo cenno di no col capo, incapace di parlare preda della disperazione e del dolore.
<< Ne riparleremo dopo aver rimesso a posto il monastero e soprattutto dopo le esequie di fratello Pietrone e fratello Ricciardo. Adesso attiviamoci per ripulire questo posto e controllare i danni. Non c’è tempo per la disperazione, a piangere e lagnarsi c’è sempre tempo. >> disse con modi bruschi cercando di stimolare il confratello a reagire vedendolo triste e abbattuto.
Stette in silenzio per un po’ pensando a tutte le disgrazie che avevano avvinto quel monastero in così breve tempo, notando l’assoluta incapacità pratica degli abitanti del cenobio di prendere decisioni importanti per la loro sopravivenza.
Non si erano più avvertite ulteriori scosse per cui si diressero in comitiva all’interno del monastero per controllare i danni e soprattutto per recuperare i due cadaveri rimasti nella cella.
Visto che tutti i monaci, compreso fratello Ruggero erano preda della depressione e pensavano più a piangere che a darsi da fare, fu fratello Baldassarre che prese in mano la situazione dando disposizioni a tutti.
<< Allora … un gruppo di monaci vada a controllare la Basilica ed a verificare eventuali danni, un altro gruppo si armi degli attrezzi necessari e cominci a ripulire il monastero e se non ci vedete usate le torce, per i ricoverati c’è fratello Crisanto con i miei confratelli, fratello Ruggero verrà con me e altri due monaci per recuperare le salme rimaste nelle celle. Forza … ! non è il momento né di piangersi addosso e né di disperarsi ma di reagire ! >> disse quasi gridando assumendo il ruolo di guida, dopo aver verificato che erano tutti frastornati e incapaci diprendere decisioni, esortandoli e sollecitandoli.
Ubbidirono tutti in silenzio, nessuno aveva voglia di lamentarsi, la notte era ancora lunga e c’era tanto da fare, terremoto permettendo.
Si diressero verso le celle muovendosi con circospezione, attenti ad ogni rumore o vibrazione e nel caso pronti a scappare via.
Arrivarono comunque con tranquillità alle celle alcune delle quali semi crollate.
I corpi di fratello Pietrone e fratello Ricciardo erano dove li avevano lasciati, inermi e grondanti sangue che ormai stava coagulando.
Fratello Ruggero si segnò non senza versare qualche lacrima nel vedere il corpo del priore senza vita, affranto da quella visione.
<< Dio mio … Dio mio ! >> esclamava segnandosi in continuazione e singhiozzando come un disperato.
<< Ci vogliono delle assi per portarli via. >> commentò freddamente e con un certo senso pratico Baldassarre voltandosi verso un monaco che era con loro e che immediatamente si diresse all’esterno per cercarle.
Inconsciamente aveva assunto il ruolo di capo visto che nessuno si era mosso e tutti aspettavano che qualcuno lo facesse; quei poveri monaci mancavano totalmente di spirito di iniziativa.
Tornò dopo un po’ con altri due monaci portando delle assi di legno e trovando i due confratelli che pregavano.
Con molta attenzione e con il dovuto rispetto presero i corpi ancora caldi e li poggiarono sulle assi.
<< Cosa dobbiamo fare ? >> chiese un monaco titubante, il suo viso percorso da un fremito di paura.
<< Portateli in chiesa. >> rispose Baldassarre come se fosse la cosa più ovvia. << verranno lavati e sistemati per la funzione funebre. >> aggiunse, con fratello Ruggero al suo fianco accondiscendente, frastornato dal dolore e incapace di qualsiasi decisione.
Quel mesto corteo funebre formatosi si avviò per i bui corridoi del monastero in parte crollati per dirigersi, alla luce delle fiaccole, verso la Basilica di Collemaggio con gli altri monaci che lentamente, abbandonando gli altri lavori, si erano uniti a loro, tutti rivolgendo orazioni funebri verso i confratelli deceduti.
Con grande silenzio e dignità i corpi dei due monaci furono sistemati davanti all’altare maggiore, provvisoriamente sulle assi in legno, sarebbe stata successivamente loro premura addobbare due catafalchi dove sistemare le salme in attesa della funzione religiosa che sarebbe stata presieduta dal vescovo Aldebrando che nel frattempo alcuni monaci si erano premurati di avvisare.

Il pomeriggio successivo, in una giornata calda e soleggiata, si svolse la funzione funebre.
La due salme erano state composte e riordinate davanti all’altare maggiore, mentre tutto il cenobio attendeva, recitando le orazioni, che arrivasse il vescovo per celebrarla.
La sua presenza si fece desiderare arrivando notevolmente in ritardo mentre tutti i monaci ed una parte della popolazione, che aveva gremito la chiesa dopo che si era sparsa la voce della disgrazia, attendevano in silenzio.
La funzione, officiata dal vescovo, si svolse nel silenzio tombale della chiesa e nella commozione dei monaci e al termine i due corpi furono accompagnati in corteo nel piccolo cimitero che si trovava dietro il monastero all’inizio di una piccola vallata che guardava verso sud, dove furono interratti con una cerimonia molto semplice come prevede la regola benedettina, mentre tutti monaci assistevano contriti, stringendosi fra di loro.
Fratello Baldassarre li osservava, le braccia conserte ed il viso freddo come il ghiaccio.
I suoi confratelli poco dietro di lui ed al suo fianco fratello Ruggero che non si dava pace piangendo copiose lacrime.
Il vescovo Aldebrando si avvicinò a lui.
<< Anche la città è stata scossa dal terremoto e i danni sono notevoli. Purtroppo è un periodo triste e buio della nostra storia. Adesso mettetevi l’animo in pace e pregate per i fratelli Pietrone e Ricciardo, e finché potete datevi da fare per eleggere un nuovo priore e rimettere a posto quello che si può. >> un accenno di benedizione e andò via seguito come sempre dai suoi armigeri ed i suoi valletti che lo scortavano ovunque.
Fratello Ruggero si avvicinò a Baldassarre.
<< Vi debbo parlare … ma da soli. >> gli sussurrò ad un orecchio.
<< Andiamo nella biblioteca, loro mandiamoli a sistemare le macerie e a fare pulizia. >> rispose.
Diedero gli ordini necessari e si diressero entrambi verso la biblioteca.
<< Speriamo che non crolli ! >> disse Baldassarre dopo aver osservato con preoccupazione il soffitto accomodandosi in uno scranno, invitando il confratello a fare altrettanto.
La biblioteca era integra e non si erano verificate né crepe né crolli, per loro fortuna.
<< Ditemi ! >> disse il monaco invitando fratello Ruggero a parlare.
<< Tutto quello che è successo stanotte non ci voleva, già c’era stato un primo terremoto e poi altri e altri ancora. Il priore è morto e noi siamo senza una guida. >>
<< Ma il priore si può eleggere subito e voi siete quello più adatto di tutti e non vedo cosa osta ad una vostra elezione, non credo che i confratelli abbiamo niente in contrario a ciò. >> rimarcò Baldassarre vedendolo in angoscia.
Quello scosse il capo.
<< Non è questo il problema, il problema è un altro … vedete fratello Pietrone oltre che essere il priore di questo monastero era anche quello che custodiva i segreti di questo posto. Voi una parte di queste cose le sapete già, non lo nascondete vi prego perché ne avete parlato con il defunto e lui aveva già intuito tante cose, non vi prendete gioco della mia intelligenza, vi supplico, ed il priore in carica al termine del suo mandato, se non viene rieletto, tramanda al suo successore i segreti di Collemaggio. Questa volta il priore è deceduto per disgrazia e non ha fatto a tempo a trasmettere al suo successore le informazioni necessarie. La nostra congregazione è nata oltre che come seguaci di Pietro del Morrone anche per difendere e tutelare i segreti di questo posto, ma cosa dobbiamo difendere adesso se non sappiamo cosa è e soprattutto dov’é ? fratello Pietrone è morto portandosi nella tomba i suoi segreti. Il monastero si può ricostruire, le pietre si rimettono a posto, i morti sono sottoterra ed i segreti rimangono tali. >> le mani sul suo viso per nascondere la disperazione.
<< Però per certi versi è meglio così. >> disse riacquistando improvvisamente la necessaria calma e lucidità, come svegliandosi dal sonno. << pensate se fosse diventato priore quel cane di fratello Ricciardo, avrebbe utilizzato il tesoro ed i segreti di questo posto per i suoi loschi fini e tutto sarebbe finito. >> disse con gli occhi che sprizzavano odio nei confronti del confratello appena defunto.
<< meglio perso che in mani indegne e avide. >> a denti stretti.
<< Diventerete voi il priore di questo luogo, non mi sembra ci sia persona più degna di voi ! >> rispose Baldassarre cercando di stimolarlo.
<< Il nostro compito… quello della congregazione e del priore in primis è quello di custodire il tesoro, se così lo si può chiamare e cosa custodisco io se non so né dov’é né di cosa si tratta. Fratello Pietrone mi aveva accennato qualcosa assicurandomi che a tempo debito mi avrebbe edotto su tutto anche se io gli avevo detto che non sarei mai e poi mai diventato priore e che non mi interessava nulla di tesori nascosti e di misteri, ma il terremoto ha fatto prima di lui chiudendogli la bocca per sempre. >>
Avendo ormai compreso di aver conquistato la fiducia e la stima del monaco, Baldassarre decise di aprirsi con lui, visto che lui lo aveva già fatto, anche perché solo lui lo avrebbe potuto aiutare.
<< Vi devo confessare una cosa … anzi parecchie cose. >> sottovoce come se avesse paura di parlare, guardandosi attorno.
Il monaco alzò lo sguardo fissandolo negli occhi con curiosità associata a disperazione.
<< Quando il monastero ha iniziato a tremare io ho sentito delle voci provenire dalla cella del priore, ma non ci ho fatto caso anche perché ero quasi preda del sonno e non avevo voglia di alzarmi per verificare, troppo stanco. Alla seconda scossa, rendendomi conto di quello che stava capitando, mi sono alzato di scatto per avvisare i miei confratelli e tutti gli altri e mentre stavamo scappando via mi sono ricordato di fratello Pietrone e allora mi sono diretto, accompagnato da fratello Aloigi … quello muto, verso la sua cella che stava crollando. Al suo interno abbiamo assistito ad una scena agghiacciante e cioè fratello Ricciardo che stava percuotendo con un masso il priore che stava lungo disteso per terra e versava in un lago di sangue, impossibilitato a difendersi. Fratello Aloigi si è scagliato contro di lui per difendere il priore senza darmi tempo di intervenire; è scoppiata una colluttazione e quello ci ha rimesso la vita. Purtroppo anche il priore è morto a seguito delle ferite riportate ma prima di morire mi ha detto di prendere il libro delle preghiere di Celestino indicandomelo nella sua libreria e dopo è spirato. Questo è quello che è successo e vi prego di tenervelo per voi perché non voglio assolutamente che fratello Aloigi passi dei guai. >>
Il monaco rimase stupito a bocca aperta per diverso tempo incapace di dire qualcosa, le mani che tremavano.
<< Nessuno saprà mai niente, ve lo posso giurare su quello che volete… e quello ha avuto ciò che si meritava, non era un monaco onesto e timorato di Dio ma un arrivista capace di qualsiasi nefandeza ed i fatti lo dimostrano. >> disse dopo aver ripreso fiato e calma.
<< Non c’è bisogno di giurare mi basta la vostra parola. >> rispose fratello Baldassarre tranquillizzandosi.
<< Ed il libro ? >> domandò.
Fratello Baldassarre mise la mano nella tasca del saio tirandolo fuori.
<< Eccolo. >> disse mostrandoglielo. << ma non so a cosa possa servire.>>
Un libretto pergamenaceo neanche tanto grande con poche pagine e tutte di preghiere, a prima vista.
<< Fratello Pietrone vi stimava parecchio e nel caso io avessi rinunciato avrebbe desiderato che diventaste voi priore. Avete la cultura e la preparazione necessaria per farlo e soprattutto lui si specchiava in voi, gli ricordavate esso stesso da giovane con le stesse curiosità e soprattutto la medesima lealtà che avete mostrato in questi pochi giorni che siete qui. >> disse guardando con curiosità quel piccolo libro ma senza mostrare un particolare interesse.
<< Ma io non ho nessuna intenzione di diventare il priore di questo posto; io sono un amanuense e come tale voglio rimanere, la mia vita sono i libri e a quelli dedico tutto il mio tempo oltreché, quando posso, aiutare gli altri. Io posso solo aiutarvi a ritrovare il tesoro o quello che è nascosto ma fare il priore mai, quello lo farete voi perché questa è casa vostra e ne avete tutto il diritto e l’obbligo da cui non potete esimervi. Dopo di ché io con i miei compagni rientreremo a Chiaravalle che è la nostra casa. >>
Disse queste parole a muso duro spronando il monaco ai suoi diritti ed a i suoi doveri, soprattutto quelli, rimettendo il libro al sicuro nella tasca del saio.
Quello annuì facendo intendere come avesse compreso il senso del suo discorso.
<< Diamoci da fare adesso affinché questo monastero riprenda a splendere come una volta, non possiamo lasciarlo in questo stato soprattutto ora che si avvicina la festa della Perdonanza. Quello che dobbiamo cercare può aspettare tanto non scappa, a tempo debito ci daremo da fare in quel senso. >>
Si alzarono dagli scranni dirigendosi verso i monaci che aspettavano all’esterno impegnati nel rimuovere massi e calcinacci.
L’alba con i suoi colori rosati si insinuava nel buio illuminando di rosa la Basilica di Collemaggio ed i suoi poveri abitanti.

Capitolo settimo

 

Il nuovo priore fu eletto per acclamazione dai cenobiti dopo qualche giorno dal terremoto nell’assemblea svoltasi nella sala capitolare.
Scontata l’elezione di fratello Ruggero nonostante la sua ritrosia alla candidatura, ma essendo l’unico in grado di sopportare quel ruolo dovette arrendersi e accettare suo malgrado la carica per continuare a far vivere il monastero.
Fratello Baldassarre ed i suoi confratelli non parteciparono all’elezione in quanto non appartenevano a quel cenobio e non aventi quindi diritto di voto, ma comunque gioirono assieme a tutti gli altri monaci non senza dimenticarsi una preghiera in ricordo di fratello Pietrone.
Il neo eletto priore fece un discorso di insediamento ringraziando soprattutto fratello Baldassarre ed i suoi confratelli per il grande aiuto che stavano portando al monastero, sia fisico che intellettuale ed il supporto emotivo che non era mai mancato in quei tristi giorni, incitando tutti i monaci presenti al lavoro ed alla preghiera profondendo tutto l’impegno possibile nei lavori di ristrutturazione del monastero.
Fu commovente il ricordo del priore defunto con il suo panegirico ricordandone le grandi doti morali , intellettuali e religiose, e a tutti scappò una lacrima di commozione mentre fu evitato accuratamente di nominare fratello Ricciardo e qualcuno in cuor suo sperava che bruciasse nelle alte fiamme dell’inferno ma senza manifestare il proprio pensiero a voce alta.
Terminata la riunione ognuno si diresse verso i propri compiti che in
quel momento altri non erano che i lavori di ristrutturazione; alla povera comunità dei monaci si erano aggiunti alcuni abitanti di Aquila che avevano interesse a che il monastero e soprattutto la Basilica fossero a posto e in ordine per la festa della Perdonanza che inevitabilmente si avvicinava e alla quale tutta la popolazione della città teneva particolarmente.

I lavori proseguivano giorno per giorno in maniera frenetica e assidua senza pause o rilassamenti particolari e tutti profondevano nei lavori le loro energie aiutati anche da qualche popolano che si era aggiunto a quel piccolo esercito di religiosi.
Anche fratello Baldassarre ed i suo confratelli partecipavano energicamente a quei lavori lasciando da parte i libri della biblioteca che oramai erano a posto, sistemati ordinatamente e puliti negli scaffali.
Solo nelle pause e durante le ore notturne, quando non era preda del sonno, fratello Baldassarre dedicava qualche momento alla lettura del famoso libro delle preghiere di Celestino, cercando qualche indizio necessario per la ricerca del tesoro o dei segreti ma il sonno, vista la sua stanchezza, aveva sempre il sopravento sulla lettura non riuscendo che a leggere poche righe ogni notte e senza la dovuta concentrazione, e la mattina successiva non si ricordava più niente di quello che aveva letto la sera precedente.
Non era né rilassato né concentrato e la stanchezza era tanta in quanto stava tutto il giorno, assieme ai suoi confratelli e agli abitanti di Aquila a portare massi e pietre che servivano per riedificare muri e pareti, impastare la malta per gli intonaci e sistemare assi di legno per reggere i soffitti e lui non si risparmiava per aiutare quei poveretti. Quello che più di tutti si impegnava nei lavori era fratello Aloigi che, aiutato dalla sua robusta corporatura e dalla sua forza, si metteva d’impegno compiendo il lavoro di quattro monaci. Ogni tanto lui e fratello Baldassarre si lanciavano sguardi di intesa, oramai il loro legame si era rafforzato notevolmente dopo la vicenda del priore e lui cercava sempre lo sguardo del confratello che gli dava sicurezza, mentre gli altri monaci, all’oscuro della vicenda lavoravano tranquillamente mettendoci tutto l’impegno possibile e tutte le loro energie.
Una mattina, mentre erano impegnati a sistemare una parete Baldassarre ebbe un lampo.
<< Bucefalo … ! >> urlò mollando il lavoro e dirigendosi velocemente verso le stalle.
I confratelli lo guardarono come si può guardare un pazzo.
<< Chi è Bucefalo ? >> chiese urlando fratello Ruggero che nonostante fosse il priore lavorava anche lui come tutti gli altri.
<< Il mio asino. >> rispose continuando a correre col saio svolazzante. << e mi ero dimenticato di lui. >> aggiunse da lontano.
Arrivò alle stalle trafelato.
<< Dov’è il mio asino. >> chiese ad un monaco impegnato nelle pulizie delle stalle.
Quello lo guardò stralunato indicando la stalla.
L’asino lo trovò tranquillo che masticava erba con molta calma.
Si avvicinò a lui accarezzandolo con affetto dandosi dello scemo perché nella foga di quei giorni si era completamente dimenticato di lui.
Rincuorato e tranquillizzato rientrò dai confratelli per terminare i lavori.
<< L’asino sta bene ? gode di buona salute ? >> domandò fratello Ruggero ironicamente.
Lui annuì mentre tutti gli altri monaci si misero a ridere e quella risata generale servì a stemperare il nervosismo e l’ansia di quei giorni.

Arrivarono così a pochi giorni dalla fine di agosto con il monastero quasi tutto in ordine, tranne alcune stanze che dovevano essere ancora messe a posto; per fortuna la chiesa non era stata toccata dal terremoto ed era rimasta integra, senza crepe o cedimenti e crolli, evidentemente qualcosa di superiore la proteggeva, così pensarono i monaci.
La popolazione della città si mise d’impegno per infiorarla e renderla più bella e luminosa, nonostante la voglia e l’entusiasmo fossero scarsi, e tutti i monaci si fermarono ad ammirare quella Basilica orgogliosi del loro lavoro e del loro impegno.
Venti poveri monaci che in quel breve periodo e guidati con sapienza da fratello Ruggero, coadiuvato da fratello Baldassarre che aveva profuso tutte le sue forze in quell’incarico, avevano impiegato l’anima ed il cuore per rendere il monastero presentabile e abitabile, pronto ad accogliere la festa più importante e suggestiva di quella splendida città.
La festa cominciò il giorno 23 agosto con l’accensione del fuoco del Morrone su un tripode posto nella torre Civica della piazza principale di Aquila, al quale partecipò tutta la città con un entusiasmo moderato e contenuto per via dell’apprensione per tutto quello che rimaneva da fare e tutte le disgrazie successe in precedenza.
I monaci stavano rinchiusi nel loro monastero che attendevano, come spettatori, che il popolo si riversasse nella Basilica che era addobbata ed illuminata da mille candele, infiorata per merito di quei poveretti che nonostante tutte le vicissitudini, si erano premurati di raccogliere i fiori nelle campagne.
Erano pochi quelli arrivati da altri paesi per via del terremoto che aveva bloccato coloro che sarebbero dovuti arrivare per la Perdonanza, solo i residenti ad Aquila avrebbero goduto di quella festa nonostante i dispiaceri ed i malumori per via di quella immane tragedia.
Il giorno 28, al pomeriggio, si svolse il corteo dove la Bolla del Perdono di Celestino, la pergamena in cui era stato vergata l’indulgenza, veniva portata in processione verso la Basilica di Collemaggio dal centro di Aquila, portata dalla dama della Bolla, una ragazza giovane del luogo scortata dagli armigeri con le brache di colore rosso e bianco e preceduti dai tamburini, le cornette e le buccine, il gonfalone della città e di alcuni paesi del circondario, quelli presenti, e appresso la popolazione di Aquila; la ragazza era accompagnata dal giovin signore, un ragazzo che portava su un cuscino di velluto rosso un ramoscello di ulivo che sarebbe servito al vescovo per l’apertura della porta Santa battebdolo sulla stessa, ed infine la dama della croce che portava appunto una croce come dono e che servirà alla città per ringraziare colui che aprirà la porta.
Gruppi di bambini ai lati della strada che lanciavano petali di fiori al passaggio del corteo.
La processione arriva alla Basilica dove il vescovo Aldebrando attendeva esultante come se si trattasse della sua festa e non della festa di tutti, pavoneggiandosi nei suoi abiti sgargianti e che, una volta ricevuto il ramoscello di ulivo lo batteva per tre volte sulla porta che si trovava sulle fiancata destra della Basilica e questa veniva aperta dai monaci del cenobio. Successivamente all’interno della Basilica il vescovo da lettura della Bolla del Perdono e da quel momento inizia la Perdonanza con tutti i pellegrini ed i penitenti che in processione ordinata e con tanta tristezza nei visi, attraversano la porta Santa entrando nella chiesa.
Fratello Baldassarre ed i monaci pellegrini arrivati da Chiaravalle osservavano con molta attenzione e curiosità quella processione non avendo mai visto una manifestazione del genere, soprattutto Baldassarre scrutava con molto interesse cercando di cogliere eventuali segnali tali da dargli un incipit per come muoversi, ma vedeva solo popolani al seguito della processione, religiosi e poi niente altro che potesse stimolare la sua curiosità od il suo interesse.
Nei visi della gente aveva potuto leggere la disperazione associata a tanta speranza mentre attendevano l’apertura della porta.
Dopo che la porta fu aperta con un tripudio abbastanza misurato del popolo che iniziò ordinatamente ad attraversarla in preghiera, lui fu scosso da un brivido strano come se fosse paura: di lato alla folla che si accalcava davanti alla porta un gruppo di monaci che lo fissava o meglio fissava il gruppo di confratelli che si trovavano vicino a lui.
Indossavano un saio che lui non aveva mai visto: un saio bianco con la coccolla nera, simile al suo e a quello dei suoi confratelli, ma non uguale.
Occhi perfidi di ghiaccio che li scrutavano, simili a quelli di un rapace che ha scovato la sua preda ed attende il momento opportuno per ghermirla.
Li osservò per diverso tempo ma quelli stavano immobili, era un gruppo di cinque monaci, gli sguardi freddi e cinici che sembrava stessero studiando i presenti e loro in particolar modo. Gli ricordavano molto il viso del defunto fratello Ricciardo: gli stessi occhi e la stessa cattiveria.
Apparentemente erano cinque monaci ma, viste le loro facce, sembravano più dei guerrieri o dei briganti mascherati da monaci piuttosto che religiosi.
Facce da aguzzini pronti a scagliarsi contro chiunque senza nessuna misericordia o pietà.
Osservandoli bene gli ricordarono molto, nelle sembianze, fratello Ricciardo: lo stesso sguardo cinico e crudele.
Occhi e visi malvagi.
Disinteressandosi della gente che si accalcava all’apertura della porta e spingendone qualcuno con malgarbo, si diressero con passo deciso verso fratello Ruggero che sbiancò vedendo che si dirigevano verso di lui, assalito da moto di paura peraltro mal mascherato.
Infatti non erano loro che fissavano bensì il priore Ruggero anche se i loro sguardi sembrava che si dirigessero in quella direzione.
Baldassarre osservò tutti i gesti di quelli con molta attenzione e preoccupazione, mettendosi in disparte per osservarli meglio.
Si avvicinarono a lui e Baldassarre, che non era molto lontano, sentì chiaramente le loro parole.
<< Allora il vecchio priore è defunto e voi siete il nuovo. >> non era una domanda ma una constatazione, osservandolo con disgusto, squadrandolo dall’alto in basso.
<< Avete preso le consegne e sapete a cosa mi riferisco ! >> un viso arcigno con un naso aquilino che accentuava la cattiveria di quel volto con grosse sopraciglia spinose e occhi piccoli e neri.
Fratello Ruggero tentennò non sapendo come comportarsi preso alla sprovvista.
<< Fratello Pietrone è morto per disgrazia, schiacciato dai massi, non era malato e probabilmente non ha pensato a lasciarmi alcuna consegna anche perché io non dovevo diventare priore. Non ha fatto a tempo a niente e non so a cosa vi riferiate. >>
Quello che gli aveva rivolto la parola lo fissò in silenzio con uno sguardo duro.
<< E voi siete sicuro di non essere al corrente di niente ? >> insistette il monaco avvicinandosi a lui con aria minacciosa e continuando a fissarlo imperterrito negli occhi tanto che sembrava gli volessero entrare nella testa.
<< Niente mi ha detto, visto quello che è accaduto non ce n’è stato né modo né tempo. >> rispose lui con voce ferma e senza tentennamenti riacquistando sicurezza dopo il primo impatto. << la sua morte è stata così repentina e immediata che non c’è stato modo di niente. >> aggiunse cercando di rimanere sereno e ostentando sicurezza.
<< Quindi voi non siete al corrente di nulla ? >> ridomandò avvicinando di più il viso al suo, con fare minaccioso.
Fratello Ruggero fece di no col capo fissandolo a sua volta e senza distogliere lo sguardo, opponendosi fieramente.
Quello, dopo averlo fissato ancora un po’ si voltò andando via con i suoi compagni che erano rimasti silenziosi tutto il tempo, voltandosi dopo pochi passi per fissare fratello Ruggero con aria minacciosa.
Baldassarre gli si avvicinò.
<< Chi era ? >> domandò osservando quel figuro che si allontanava a passo svelto.
<< Sono gli sgherri del vescovo. Quello è fratello Aristide ed è il capo di quel gruppo; si fanno chiamare Celestini ma quelli veri siamo solo noi. Loro si muovono e agiscono in nome e per conto del vescovo che ambisce ad entrare in possesso del tesoro nascosto al monastero senza neanche sapere di cosa si tratta. Hanno perseguitato per diverso tempo fratello Pietrone ma quello non poteva dire niente perché niente sapeva, o perlomeno faceva finta molto abilmente di non sapere niente. Quello era un monaco di grande carattere che non aveva paura di niente e di nessuno. Quelli compiono nefandezze nei confronti di tutti con l’avallo e la protezione di quella carogna del vescovo che copre le loro schifezze. >>
Fratello Baldassarre rimase silenzioso ed il suo sguardo si perdeva nel vuoto, senza neanche vedere la gente che si assiepava davanti alla porta Santa.
<< Questi sarebbero i famosi protettori del tesoro da cui tutti si dovrebbero guardare. >> pensò tra se ricordandosi della famosa pergamena di Chiaravalle e sulla quale era stato ammonito da fratello Joaquin, cercandoli con lo sguardo tra la folla mentre si allontanavano.
<< Non mi sono piaciuti quegli energumeni perché di quello si tratta. >> commentò a voce alta.
<< Sono anche gli inquisitori del vescovo ! >> aggiunse fratello Ruggero sconsolato.
<< E questo la dice tutta su di loro.>> abbozzando un sorriso ironico.
<< entriamo in chiesa perché siamo venuti per questo. >> disse rivolgendosi ai confratelli che aspettavano in silenzio cambiando discorso; ordinatamente tutti si diressero verso la porta evitando accuratamente la folla partecipando alla festa della Perdonanza ma non riuscendo a cancellare dalla mente il viso perfido di fratello Aristide.

All’ora di cena si trovarono tutti al refettorio per la cena e non era un ambiente tranquillo, lo si poteva leggere negli occhi di fratello Ruggero e di tutti gli altri monaci del cenobio. L’incontro del pomeriggio aveva lasciato il segno, turbando l’ambiente e negli sguardi di quei poveretti si leggeva uno stato di ansia e di prostrazione che si era impadronito di loro, anche se non ne avevano mai parlato ma avevano intuito a sufficienza dall’espressione dei loro visi.
Troppi avvenimenti disastrosi si erano verificati in breve tempo e loro non avevano avuto ancora modo di assorbire i fatti, e in più, la presenza dei presunti Celestini, li aveva innervositi maggiormente.
Fratello Ruggero aveva benedetto la cena in maniera frettolosa e nervosa e ancora di più aveva consumato il pasto non vedendo l’ora di ritirarsi nella sua cella. Lanciò uno sguardo furtivo a fratello Baldassarre e nei suoi occhi si leggeva la disperazione ed il pentimento per aver accettato la nomina a priore.
Lo vide che si incamminava, terminata la cena, verso la sua cella, il cappuccio sulla testa come per nascondersi, lo sguardo chino e le braccia dietro la schiena, sicuramente le testa affollata da mille pensieri turbolenti e minacciosi.
Lo seguì in silenzio non senza aver lanciato un segno di intesa ai suoi confratelli, cogliendolo alla sprovvista, lui che non si era accorto di essere stato seguito, nel mentre apriva la porta della sua cella.
Guardò con stupore fratello Baldassarre che gli fece cenno di entrare.
<< Chiudete la porta. >> gli disse con ordine perentorio e dopo che quello eseguì gli disse. << ditemi adesso come vi posso aiutare. >>
Quello allargò le braccia sedendosi sconsolato nel suo letto mentre fratello Baldassarre rimaneva in piedi aspettando una risposta, nella penombra della cella.
<< Non lo so ! >> disse portando le mani al suo viso. << io non so niente di questa storia e fratello Pietrone non mi ha mai detto niente, forse perché non si aspettava di morire o di essere ucciso, però qualche segno deve averlo lasciato o qualche cosa deve aver detto a qualcuno. >> con voce lamentosa in evidente stato di scoraggiamento, le parole accompagnate da alcuni singhiozzi.
Fratello Baldassarre mise la mano dentro il saio prendendo il libretto delle preghiere di Celestino e mostrandolo al priore.
<< Forse sta tutto scritto qua dentro. >> disse rigirandoselo tra le mani come un giocattolo.<< ne sono sicuro perché l’unico pensiero del priore, prima di morire, è stato questo libro di cui mi aveva già parlato dicendomi che me lo avrebbe fatto leggere, non ci si interessa ad un libro in punto di morte a meno che questo libro non nasconda qualcosa di importante… >> disse rigirandoselo tra le mani. << e adesso bisogna capire cosa nascondono queste pagine e nel caso fare in modo che nessuno possa sapere oltre a noi. >>
Fratello Ruggero lo guardò con occhi imploranti.
<< E’ assolutamente necessario trovare il nascondiglio di questo tesoro, ne va del monastero e di tutti noi e soprattutto dobbiamo fare in modo che quegli sciagurati che si fanno chiamare, ingiustamente, Celestini non vengano a sapere niente altrimenti saranno guai e poi sarà opportuno trovare un altro nascondiglio che solo io e qualcuno altro conoscerà per tramandarlo ai posteri. Altrimenti quelli sono capaci di mettere a soqquadro il cenobio, distruggerlo fino dalle fondamenta per trovare quello che cercano. Sono dei cani e di quelli che non mollano mai l’osso. >> disse con gli occhi resi umidi dalle lacrime.
<< Lo troveremo e voi ne diventerete il custode. >> lo rassicurò fratello Baldassarre poggiandogli una mano sulla spalla e alzandosi dalla sedia in cui si era seduto. << e sono sicuro che è tutto scritto in quel libretto di preghiere altrimenti fratello Pietrone non se ne sarebbe curato in punto di morte. >>
Fratello Ruggero lo guardò con occhi ricchi di speranza; gli piaceva quel monaco deciso e intraprendente, pieno di iniziativa e soprattutto molto ottimista e quel sentimento riusciva a trasmetterlo agli altri assieme ad una buona dose di speranza e di fiducia.
Si vedeva da lontano che era nato per comandare e prendere decisioni ma in fondo era solo un ottimo amanuense che non aveva velleità di comando, magari di guida perché aveva seguito e aveva visto che gli altri monaci lo seguivano senza obiettare.
<< Dove andate ? > gli chiese.
<< A leggere e studiare il libro delle preghiere di Celestino perché per me quel libretto contiene molte sorprese. >> disse con un sorriso furbo, molto furbo. I suoi occhi che parlavano e volevano dire tante cose.
<< Speriamo bene ! >> commentò il priore. << voi avete la cultura e la preparazione necessarie per quest’impresa. Siamo nelle vostre mani e nella vostra testa. >> guardandolo con occhi supplicanti.

Fratello Baldassarre sorrise uscendo dalla stanza. Gli piacevano quelle imprese e soprattutto gli piaceva e lo intrigava andare alla ricerca di segreti e misteri, fin da piccolo era stato sempre affascinato dagli arcani e forse, oltreché per la sua bravura nello scrivere, si era lanciato nel mondo dei libri per quel motivo.
Mentre si incamminava per i bui corridoi del monastero fu preso da un attacco di panico quando un’ombra gli si avvicinò all’improvviso spuntando da dietro una colonna, un corpo nascosto dalla penombra.
Si portò le mani al petto attanagliato dalla paura che lo aveva assalito calmandosi successivamente quando si rese conto che si trattava di fratello Aloigi, emettendo un sospiro di sollievo.
<< Mi avete fatto prendere un colpo. >> gli disse rimproverandolo dopo essersi ripreso dallo spavento, guardandolo quasi con odio e minacciandogli un pugno in testa.
Quello a mugugni cercò di scusarsi, il viso contrito dal dispiacere per aver provocato quel turbamento.
<< Lasciate perdere che non è successo niente di grave, cosa volevate dirmi ? >> chiese tranquillizzandolo.
Il poveretto, incapace di esprimersi a parole ma aiutandosi con i gesti e la mimica espose il suo problema.
Fratello Baldassarre dopo aver compreso le sue argomentazioni sorrise cercando tranquillizzarlo.
<< State tranquillo, nessuno sa niente ed io non ho parlato, muto come una tomba; potete dormire sonni tranquilli. Per tutti è stato il terremoto ma la verità la sappiamo solo noi due e dalla mia bocca non uscirà mai parola. >>
Il monaco cercò disperatamente di pronunciare un grazie ma dalla sua bocca uscirono solo versi incomprensibili.
Dopo aver tranquillizzato il monaco muto ma che in compenso aveva una forza sovrumana e tanta benevolenza nei confronti degli altri, come aveva già avuto modo di dimostrare, si diresse verso la sua cella trovandovi fratello Salvatore che dormiva e russava disperatamente.
Lo guardò quasi con disgusto per i brutti versi che emetteva durante il sonno, quasi venendogli la voglia di lanciargli un sandalo, ma preferì non svegliarlo per poter fare comodamente i fatti suoi, e cioè leggere il famoso libro.
Accese una candela avvicinandola al suo letto e iniziando con molta pazienza e senza fretta la lettura del libro di preghiere di Celestino mentre il suo confratello cambiava posizione nel letto.
Iniziò con un ispezione esterna controllando le copertine e la sua struttura.
Un modesto libretto pergamenaceo con una copertina di tessuto antico a trama verde , oro e rosa abbastanza usurata, una struttura tenuta assieme da alcune assicelle in legno ed una scrittura molto infantile e incerta dove erano scritte tutta una serie di preghiere, alcune in volgare e altre in latino, diverse pagine erano numerate in cifre romane mentre altre con la numerazione araba e quale senso avrebbe avuto tutto ciò ? La cosa lo lasciò perplesso e mentre scorreva le pagine prendeva degli appunti su una pergamena che aveva recuperato nella sua scatola di legno con i suoi attrezzi e che stava sempre nella sua cella a portata di mano.
Il libro iniziava con una preghiera.
<< Potentia de lu Patre conforta me. Questa è una preghiera allo Spirito Santo. >> commentò leggendo la preghiera a voce bassa mentre fratello Salvatore si rigirava nel letto.
<< Deu de misericordia , siniore de consolazione. E questa è una specie di Pater Noster. >>
Preghiere alternate a meditazioni o citazioni filosofiche e religiose o banalmente riflessioni e considerazioni messe per iscritto.
<< Cosa diceva quella pergamena di Chiaravalle “ prega e nelle preghiere troverai tutte le risposte.” >> pensò tra se mentre il suo viso era attraversato da un sorriso di soddisfazione.
<< Questo è un libro di preghiere e dunque la risposta a quello che cerco si trova assolutamente in questo libro … bisogna solo cercarla e trovarla. >> diventò euforico e preda dell’agitazione ma si impose la calma decidendo che avrebbe esaminato prima tutte le pagine con la numerazione romana e poi tutte quelle con i numeri arabi, in questo caso non avrebbe dovuto avere fretta e controllare tutto con molta calma e pazienza, d’altronde essendo lui un amanuense, quelle virtù le doveva possedere in maniera appropriata e opportuna. Sarebbe stato un lavoro molto lungo ed avrebbe richiesto ore ed ore di lavoro ma lui aveva tempo a sufficienza, terremoti permettendo, pensò tra se, ricordandosi dei fatti precedenti e sollevando inquieto gli occhi verso il soffitto, temendo che qualcosa gli cadesse sulla testa.
Chissà se anche in quelle pagine si sarebbe ripetuto il giochetto delle lettere marcate, si disse, iniziando a scorrerle pronto a prendere appunti nella sua pergamena.
Crollò dopo diverse ore di lettura attenta e minuziosa con il libro poggiato sulla pancia e la candela che lentamente affievoliva la sua fiamma per spegnersi definitivamente lasciando solo un filo di fumo che lentamente si disperdeva nella stanza.

Fu svegliato di soprassalto la mattina successiva, aprì gli occhi dapprima disorientato, successivamente cercando il libro che per fortuna era rimasto sul letto; fuori era ancora buio e l’alba tardava a manifestarsi, solo il timido canto degli uccelli avvisava del suo arrivo.
Si alzò dal suo letto in silenzio mentre fratello Salvatore russava come un dannato incurante del suono della campana.
Non faceva freddo e dopo essersi sciacquato la faccia nel bacile che stava nella cella decise di andare a prendere una boccata d’aria nel chiostro, la colazione l’avrebbe fatta assieme agli altri monaci più tardi.
Per il momento si sarebbe goduto quegli istanti di solitudine , di pace e tranquillità e quella meravigliosa alba che tingeva di rosa le montagne di Aquila, riuscendo, per qualche momento, a staccarlo dalle sue tribolazioni.
Si soffermò per qualche istante ad osservare quel bassorilievo che rappresentava la pecora rovesciata con la croce: il simbolo del cristianesimo messo al contrario e ciò stava a significare che tutto andava visto al rovescio. Il Battista che andava inteso come profeta e Gesù Cristo falso profeta. Alcune cose che non erano tanto chiare e che la religione cattolica era da secoli che spacciava per vere.
Dove stava la verità: lui aveva fatto una scelta dovuta alla povertà ed alla fame, alla passione per la scrittura, il disegno e la lettura dei suoi meravigliosi libri. Ecco, lui viveva per quello e cioè leggere, leggere e leggere, sempre e ovunque, qualsiasi cosa. Che poi fosse il Battista o il Cristo il vero profeta poco gli importava, non gli avrebbero mai cambiato la vita e avrebbe continuato a leggere e a mettere a posto i suoi adorati libri lo stesso. Lo intrigava di più il mistero e la eventuale ricerca di un tesoro, ma non per impossessarsene ma per fare un favore a quei poveri monaci e per la sola curiosità di scoprire cosa fosse, poi ci avrebbero pensato il priore, fratello Ruggero, e gli altri monaci a custodirlo e a tramandarlo ai posteri. A lui sarebbe stato sufficiente scoprirlo e basta, sarebbe stata una gran soddisfazione e magari l’inizio di una carriera di scopritore di tesori nascosti.
Un sorriso beffardo gli attraversò il viso mentre l’alba finalmente avanzava a grandi passi illuminando il mondo e lui si diresse verso il refettorio e la colazione.
I monaci stavano tutti ai loro posti , silenziosi più del solito e soprattutto attentissimi a cogliere, con tutti i sensi ben tesi, i vari rumori che preannunciavano l’arrivo di un terremoto. Le ultime vicende li avevano scossi in maniera particolare e nei loro visi si leggeva l’ansia e la paura che qualcosa di orribile potesse verificarsi di nuovo e coglierli impreparati e così anche la morte del priore li aveva colpiti allo stesso modo lasciando un segno indelebile nei loro cuori e nelle loro teste.

Terminò la sua modesta colazione senza fretta e rimase per ultimo al tavolo del refettorio, mentre masticava lentamente e pensava a come avrebbe potuto risolvere il problema: sapeva e sentiva che tutto stava in quel libretto di preghiere e lui lo avrebbe dovuto decifrare.
Ma come ?
Era questo il punto cruciale, non aveva indizi e non sapeva come procedere. Sarebbe stato inutile parlarne con fratello Ruggero, non aveva la cultura necessaria, sicuramente lo avrebbe potuto aiutare di più fratello Pietrone, depositario della verità, ma quello era oramai sotto terra e comunque lui era al corrente di tutto e quindi anche del nascondiglio e di conseguenza non ci sarebbe stato bisogno alcuno di cercarlo e allora tutto il castello che si stava costruendo sarebbe crollato.
Il refettorio era rimasto deserto e silenzioso, solo la sua presenza dava una parvenza di vita in quel posto.
Con molta calma si alzò dalla sua sedia dirigendosi verso la biblioteca, il libro sempre ben nascosto dentro il saio.
Sapeva che i suoi confratelli si trovavano nell’infermeria per accudire i malati e lui sarebbe stato tranquillo in quel posto a leggere per tutto il tempo che voleva e che riteneva opportuno.
Nessuno avrebbe fatto caso ad un amanuense che leggeva.
Mentre camminava un brusio richiamò la sua attenzione, si fece cauto nei movimenti avvicinandosi al luogo da dove proveniva quel vociare, avvicinandosi circospetto e senza fare chiasso. Si nascose nella penombra, dietro un angolo del corridoio ascoltando con attenzione e schiacciando il suo corpo contro il muro per non apparire.
Riconobbe, dopo qualche momento, la voce arrogante e petulante di fratello Aristide, il presunto Celestino, che minacciava, neanche tanto velatamente, fratello Ruggero.
Sporgendosi leggermente dal suo nascondiglio vide fratello Aristide che spingeva il priore contro il muro.
<< Voi dovete senz’altro sapere qualcosa e quel qualcosa me lo dovete dire anche a costo di ricorrere alla tortura. >> ringhiò contro quello.
<< Ma io non so niente … la morte di fratello Pietrone è giunta inaspettata e comunque io non sarei mai dovuto diventare priore, non era mia intenzione, ve l’ho già detto ! >> disse con voce lamentosa. << doveva diventarlo fratello Ricciardo ma è morto anche lui e forse lui sapeva qualcosa. Mettetevi il cuore in pace, quello che cercate probabilmente o non esiste ed allora si tratta di una leggenda che non ha nessun fondamento, mentre se esiste non lo troverà nessuno perché nascosto molto bene e noi non abbiamo i mezzi e le conoscenze per rintracciarlo. >> disse quello balbettando per la paura.
<< Badate che conosco mille maniere per farvi parlare. >> urlò quello alitandogli addosso, non credendo alle sue parole.
<< Ma cosa vi posso dire se non so niente. Potete torturarmi quanto volete ma vi ripeto che non so niente. >>
<< Pensateci … pensateci per bene. >> gli disse il monaco spingendolo con violenza contro il muro lasciandolo stordito.
Forse trattandolo in quella maniera e ricorrendo alla violenza per intimorirlo pensava di venire a sapere quello che gli interessava.
Fratello Baldassarre rimase accuratamente nascosto finché non sentì i passi dell’aguzzino che si allontanavano e dopo un po’ anche quelli di fratello Ruggero che si allontanava.
Una volta tornato il silenzio nel corridoio uscì dal suo nascondiglio meditabondo.
<< E questi sarebbero i pericolosi Celestini pronti a uccidere per difendere il tesoro di Celestino. Più che difenderlo mi sembra che se ne vogliano impossessare ma è anche vero che col tempo le cose possono cambiare, dipende da quali persone devono proteggere quello che è nascosto. Qua occorre stare molto cauti e attenti, senza fare passi falsi e muovendosi con molta prudenza. Occorre molta cautela. >> si disse queste parole tra se. << e forse sarà meglio che non dica niente neanche a fratello Ruggero: meno sa e meno guai avrà. Poveretto ! e sarà meglio che non dica che ho assistito a questa discussione. >> dirigendosi velocemente verso la biblioteca.
Si sedette nello scranno che era più vicino alla finestra per avere più luce iniziando a rileggere da capo il libro delle preghiere.
Decise che sarebbe stato meglio farlo in mattinata piuttosto che la notte a luce di candela, era più fresco e ci sarebbe stata più luminosità e non si sarebbero affaticati i suoi poveri occhi.
<< Non vorrei diventare cieco da giovane come fratello Joaquin. >> pensò tra se.

Al termine della mattina e poco prima del pranzo aveva riletto tutto il libro comprese le preghiere del santo, prestando molta attenzione, ma non aveva individuato cose particolari, neanche le famose lettere marcate che pensava di trovare come nella pergamena di Chiaravalle.
Oramai conosceva il libro a memoria a furia di averlo letto e riletto.
Ripose il libro nel saio dirigendosi verso il refettorio dove attendevano gli altri monaci. Un breve saluto di cortesia ai suoi confratelli che non aveva visto per tutta la mattina sedendosi al suo posto silenzioso e meditabondo, ignorandoli del tutto.
Arrivò dopo un po’ anche fratello Ruggero, anche lui molto silenzioso e accigliato, diede una frettolosa benedizione al pranzo mettendosi a mangiare controvoglia.
Baldassarre lo osservava ben conoscendo il motivo di tale malumore avendo assistito in prima persona a quella specie di agguato della mattina presto, ma fece finta di niente.
Terminato il pranzo si intrattenne nel chiostro, dove spirava una piacevole brezza che attenuava la forte calura della mezza, con i suoi confratelli con i quali aveva avuto poco tempo per dialogare.
<< Quando rientriamo a Chiaravalle ? >> chiese fratello Anselmo, indubbiamente ansioso di tornare alla propria casa.
<< Avete fretta ? non state bene in questo posto ? >> domandò fratello Baldassarre. << cerchiamo di dare una mano a questi sventurati e poi rientreremo. >> aggiunse con tono di rimprovero.
<< Sicuramente. >> fu la sua risposta. << ma ci sembra di essere un po’ invadenti. >> disse quasi scusandosi.
<< Non siamo invadenti , siamo ben accetti e se andassimo via adesso credo che si dispiacerebbero, quindi stiamocene tranquilli, quando sarà il momento andremo via. Non possiamo abbandonarli nel momento del bisogno. >> disse alzandosi scocciato e dirigendosi nervosamente verso la biblioteca.
Aveva trovato una banale scusa per giustificare il fatto che si sarebbero trattenuti in quel monastero anche se, in fondo, non si trattava di una banale scusa; a lui premeva risolvere il mistero di Collemaggio e poi se ne sarebbe rientrato con calma a Chiaravalle, visto che quella era diventata ormai la sua casa, aveva dato una parola d’onore e non poteva certo tradirla e venirne meno.
Fratello Joaquin non glielo avrebbe mai perdonato un tradimento del genere.
Entrò nella biblioteca sufficientemente illuminata dalla luce del sole sedendosi nello scranno più vicino alla finestra.
Rimase pensieroso per un po’ fissndo il libro, poi si alzò andando verso la finestra e affacciandosi, cercando di spezzare la monotonia e forse per trovare ulteriori stimoli.
Un cielo azzurro e limpido lo accolse nel momento in cui si affacciò da quella finestrella ed i suoi occhi vagarono per la campagna che si dipanava sotto il monastero.
Un gruppetto di monaci stava zappettando allegramente nel giardino dei semplici, nel pendio sotto il monastero, accudendo le verdure che crescevano in quel campo e innaffiandole per fornirgli la quantità di acqua necessaria per crescere e fornire alimenti al gruppo di monaci, liberando le piantine che crescevano dalla terra e rimettendo a posto i solchi. Al di sotto, dopo una leggera pendenza, si dipanava un’ampia vallata con numerosi alberi. Poco distante il piccolo cimitero dove era stato sepolto fratello Pietrone.
Rimase assorto ad osservarli per un po’, le sue mani che reggevano il mento ed i gomiti poggiati sulla balaustra di quella finestra.
Li vedeva ma era come se non ci fossero perché i suoi pensieri vagavano altrove, dentro le pagine di quel libro di cui non riusciva a decifrare il contenuto, e questo fatto lo opprimeva perché sapeva di avere la chiave in mano ma di non riuscire ad afferrarla perché gli sfuggiva continuamente.
Lo lasciava perplesso il fatto che alcune pagine avessero la numerazione romana e altre no, ma un eventuale meccanismo di lettura e di interpretazione non lo comprendeva e non lo afferrava.
Smise di osservare i monaci agricoltori rientrando nella biblioteca e riprendendo il libro in mano, ricominciando dalla prima pagina e stando attento ad eventuali segni, sgorbi o qualsiasi cosa fosse al di fuori della normale lettura e cercando prendere appunti sulla sua pergamena.
Nervoso e agitato in quanto non vedeva la risoluzione di quel problema, sapeva di esserci vicino e basta.
La campana del monastero suonò per la cena e lui senza nessun entusiasmo si diresse verso il refettorio.
La sua mente sempre affollata da mille pensieri tanto che non si accorse di andare a sbattere contro fratello Ruggero, anche lui distratto.
<< Fratello Ruggero ! >> esclamò scusandosi e mettendo le mani avanti per evitare di farsi male.
Quello sollevò la testa.
<< Niente … non è successo niente. >> disse il monaco sorvolando con un gesto della mano anch’esso.
<< Cosa vi opprime ? >> domandò fratello Baldassarre con discrezione ma fissandolo negli occhi.
Quello lo fissò con uno sguardo implorante e disperato allo stesso tempo.
<< Domattina sono convocato dal vescovo. >> disse con voce spaventata.
<< E quale sarebbe il problema ? >> chiese lui.
Il monaco allargò le braccia facendo intuire come non conoscesse il motivo di quella convocazione.
<< Volete che venga con voi ? >> domandò.
Lo fissò negli occhi, i suoi attraversati per un attimo da un moto di ira e di odio.
<< In quale veste ? come mio protettore o cos’altro ? io non volevo diventare priore e la morte di fratello Pietrone mi ha causato solo fastidi e preoccupazioni, stavo bene nella mia Basilica a pregare e a riordinarla, in pace con me stesso e senza tanti problemi. Quelli vogliono sapere da me cose che io non conosco. >> disse le ultime parole guardandolo negli occhi, avido di risposte. << come procede la lettura del libro ? >> chiese sottovoce sperando in una risposta positiva.
<< Non ne cavo piede. >> rispose lui. << non si capisce niente e il libro non riporta messaggi nascosti o altro. Non so cosa fare. >> allargando le braccia sconsolato. << non mi avete risposto. >> aggiunse riferendosi al quesito precedente.
<< A cosa ? >> quello sollevò gli occhi.
<< Al fatto se devo venire con voi. >>
<< Fate come volete, indubbiamente un po’ di compagnia non mi dispiacerebbe perché non vi nascondo che da solo ho un po’ di paura ad affrontare il vescovo ed i suoi sgherri. >>
<< Allora domattina sarò con voi. >> disse con voce ferma dirigendosi verso il suo posto a tavola senza dar adito ad un diniego.

L’alba arrivò presto con i suoi colori rosati diffusi nel mondo aquilano e nel monastero di Collemaggio mentre fratello Baldassarre attendeva, nervosamente, nel chiostro che arrivasse il priore per dirigersi entrambi alla residenza vescovile. Fratello Ruggero arrivò subito dopo fratello Baldassarre, uno sguardo di intesa e insieme si diressero verso il palazzo del vescovo al centro della città a quell’ora semideserta ma che portava in maniera indelebile i segni del terremoto che la aveva devastata: palazzi crollati, case senza tetto o muri e nei visi dei pochi passanti incrociati per strada si leggeva la disperazione.
Loro osservavano tutto in silenzio e senza fare alcun commento: la devastazione parlava da sola.

La porta del palazzo vescovile, una palazzina di due piani merlata sul tetto, era controllata da due armigeri armati di tutto punto che reggevano due picche alabardate.
<< Siamo attesi dal vescovo. >> disse fratello Ruggero e uno dei due fece cenno di passare.
Salirono le scale e attraversarono un lungo corridoio, alcuni religiosi di dirigevano velocemente verso i loro doveri.
Il monaco si diresse con sicurezza verso una porta sul fondo bussando con le nocche e attendendo nervosamente, segno che conosceva il luogo.
Una voce dal di dentro invitò ad entrare.
Il vescovo Aldebrando stava comodamente seduto in una poltrona, di spalle ad una grande finestra; davanti a lui una tavola apparecchiata con frutta di ogni genere e lui stava spiluccando un grappolo d’uva.
Indossava un lungo saio bianco immacolato e fissava fratello Ruggero con i suoi occhietti piccoli e neri.
<< Fratello priore Ruggero accomodatevi ! >> disse invitandolo a sedersi con un gesto della mano. << gradite dell’uva ? >>
Il priore fece cenno di no col capo sedendosi davanti alla grande tavola con un po’ di soggezione e osservando con occhio critico quella ostentazione di benessere mentre la popolazione combatteva con la fame e i danni provocati dal terremoto. Sarebbe stato sufficiente un grappolo d’uva e non una tavola imbandita di frutta di tutti i generi per calmare il suo appettito.
<< Lui è ? >> domandò il vescovo con fare arrogante, incurante dello sguardo di sdegno, rivolgendosi a fratello Baldassarre, indicandolo con la mano che reggeva la frutta.
<< Fratello Baldassarre e sono l’amanuense ospite del monastero. >> rispose lui prontamente precedendo la risposta del priore e accennando un inchino rispettoso.
Il vescovo lo guardò con aria di sufficienza annuendo.
<< Si … mi rammento di voi… >> disse con aria di superiorità e tanta superbia. << ma io avrei preferito parlare con il fratello priore da soli. >> aggiunse facendo chiaramente capire che voleva stare da solo.
Lui si alzò prontamente.
<< Mi dispiace … non volevo essere un intruso. >> dirigendosi verso la porta senza essere fermato dal vescovo che, anzi, lo lasciò uscire seguendolo con lo sguardo.
Lui uscì fermandosi subito dopo e appoggiandosi allo stipite della porta cercando di sentire quello che dicevano dentro la stanza.
Aguzzando l’udito sentì provenire dalla stanza solo un brusio impercettibile e senza che potesse distinguere le parole. Ogni tanto sentiva distintamente la voce del voce del vescovo che ne alzava il tono, forse in preda all’ira mentre del priore poche notizie.
Passò diverso tempo prima che il priore uscisse da quella stanza scuro in volto e visibilmente nervoso.
<< Andiamo ! >> disse passando vicino a fratello Baldassarre e incamminandosi velocemente seguito con non poca fatica da lui per tenere il suo passo.
Rimase zitto seguendolo senza chiedere niente, aspettando con calma che fosse lui a parlare ma tanto aveva già capito che in quella stanza si era verificata una discussione accesa ma non aveva capito come mai il vescovo fosse da solo e senza la compagnia dei suoi sgherri.
La risposta la trovò rientrando al monastero: i cinque Celestini si trovavano lì e nonostante le reiterate proteste dei monaci presenti stavano mettendo a soqquadro il monastero.
Fratello Rodomonte gli andò incontro vedendoli da lontano.
<< Il finimondo … sta succedendo il finimondo ! >> guaiva mettendosi le mani nei pochi capelli rimasti. << nella biblioteca ! >> indicandola con la mano.
Il viso del priore si arrossò di rabbia dirigendosi a grandi passi all’interno del monastero.
<< Cosa succede in questo posto santo ? >> urlò fratello Ruggero entrando come un fulmine nella biblioteca e vedendo i cinque scalmanati che rovistavano dappertutto.
Il capo di quelli si voltò scaraventando un libro per terra che fratello Baldassarre si precipitò a raccogliere controllandolo con attenzione.
<< Noi facciamo quello che vogliamo ! >> disse fratello Aristide, scandendo le parole con un ghigno beffardo. << siamo a disposizione del vescovo a meno che voi non vogliate contraddire i suoi ordini. >> facendo qualche passo avanti in maniera minacciosa contro fratello Ruggero.
Baldassarre assistette in silenzio e immobile alla scena senza intervenire rimanendo stupito per il fatto che dei monaci si comportassero in maniera così arrogante e aggressiva.
Lo fece quando quello prese il priore per il collo bloccandogli il braccio.
<< Lasciatelo stare, non vi dimenticate che è un priore anziano. Merita rispetto per il suo ruolo e inoltre qui comanda lui e nessun vescovo. >>
Ringhiò fissandolo duro negli occhi.
Quello mollò la presa ricambiando lo sguardo mentre fratello Aloigi si avvicinava minaccioso mettendosi di fianco a Baldassarre, come per proteggerlo.
<< Voi … >> ringhiò guardandolo con odio negli occhi. << voi giovane amanuense, sarebbe bene che pensiate un po’ ai fatti vostri, anzi tornatevene al monastero da dove siete venuto e dimenticatevi di questo posto. La Perdonanza è terminata e voi non avete più motivo di trattenervi ! >> divincolandosi non senza difficoltà dal braccio di fratello Baldassarre che non lo aveva mollato un attimo manifestando una forza inusuale. << voi state rischiando molto, e non immischiatevi nei fatti di Collemaggio. >>
Si voltò verso i suoi compagni facendo cenno di seguirlo.
Si allontanarono velocemente con i loro mantelli che svolazzavano come ali di pipistrello mentre Baldassarre si chinava sul pavimento per raccogliere i libri scaraventati per terra.
Sul viso una smorfia di dolore e di dispiacere nel vedere quelle opere d’arte trattate in quella maniera.
Decise che più tardi, una volta che fratello Ruggero si fosse calmato, ne avrebbe parlato con lui, nel frattempo si mise d’impegno a rimettere a posto i testi controllando che non fossero rovinati aiutato dagli altri monaci che erano arrivati nel frattempo richiamati dal chiasso e che si misero di buona lena per rimettere a posto la biblioteca che fu rimessa in ordine in poco tempo.
<< Criminali … ! >> disse Baldassarre a voce alta osservando i libri disposti ordinatamente. << rientrate alle vostre mansioni. >> voltandosi e invitando i confratelli a riprendere le loro fatiche.
Fratello Aloigi mimò con le mani l’atto di stritolare qualcuno ma fratello Baldassarre lo calmò.
<< Lo so che siete molto forte e che non avete paura di nessuno ma lasciate perdere che non è il momento di passare dei guai. >> calmandolo.
Si diresse velocemente alla ricerca del priore non trovandolo in nessun posto del monastero.
<< Avete visto il priore ? >> domandò ad un monaco che passava.
Quello fece un cenno negativo.
Fece un rapido controllo nel refettorio, nella sala capitolare e nell’auditorium ma senza trovarlo.
Si affacciò nel chiostro e anche lì niente, si voltò e vide la chiesa che rimaneva l’unico luogo che non aveva controllato, decidendo immediatamente di recarsi al tempio.
I suoi passi rompevano il silenzio della Basilica e lui cercava di non violentare il silenzio e la pace di quel luogo.
Vide fratello Ruggero inginocchiato davanti all’altare, mani giunte in atteggiamento di preghiera, sicuramente stava cercando un po’ di conforto nella devozione .
Con molta discrezione gli si avvicinò inginocchiandosi sulla terra vicino a lui.
Quello neanche si voltò continuando imperterrito le sue preghiere.
<< Visto e considerato che la situazione sta degenerando sarebbe bene che vi apriate un po’, così non si risolve niente ! >> disse sottovoce avvicinando il suo viso a quello del priore.
<< Cosa volete che vi dica, il vescovo vuole che gli dica quello che non so e sta sguinzagliando i suoi sgherri, quegli aguzzini, alla ricerca di qualcosa di cui io non ho nessuna notizia. Cosa gli posso dire se non so neanche di cosa si tratti ! >> disse con voce lamentosa. << il priore è morto improvvisamente, e voi lo sapete benissimo, e non mi ha dato nessuna indicazione e io non so come muovermi e cosa dire al vescovo che pensa invece che io sappia tante cose e non le voglia dire. >> scuotendo la testa. << e adesso ha mandato i suoi accoliti per farci paura per costringermi a confessare cose che non so. Storia vecchia ! >>
<< Fatevi forza che tutto si risolverà. >> gli disse cercando di consolarlo.
<< Ma voi a che punto siete ? >> domandò quello con voce tremolante.
<< A un punto morto … ho letto e riletto quel libro ma non ho trovato nessuna traccia. Devo dire che se c’è un tesoro nascosto è stato celato molto bene. >> non stava mentendo perché era la verità.
Quello annuì.
<< Solo il priore lo sapeva. Solo lui ! >> scuotendo la testa. << ed i morti non parlano. >>
Non stava dicendo una bugia ma solo la verità in quanto del libro di preghiere non aveva capito niente o forse stava cercando nel posto sbagliato e comunque era ad un punto fermo che non lo portava da nessuna parte.
Quello che lo preoccupava erano quei cinque sgherri che celandosi dietro la finta veste di monaci nascondevano le loro nefandezze; si vedeva da lontano che erano dei perfidi a caccia di ricchezze e avidi di potere capaci di qualsiasi infamia come vessare un povero monaco indifeso e colpevole di niente, solo di essere diventato priore suo malgrado.

Capitolo ottavo

Rientrò al monastero silenzioso e adombrato: non gli piacevano i modi bruschi di quei monaci e soprattutto non gli andava giù l’atteggiamento di quel vescovo, arrogante, irrispettoso e violento ed era molto preoccupato per la piega che avrebbero potuto prendere gli avvenimenti successivi.
La pietas e la caritas dei monaci benedettini dov’era ? si era nascosta, ammesso e non concesso che gli sgherri del vescovo conoscessero quelle virtù, ma aveva molti dubbi a proposito.
Quelli volevano avere delle notizie e non si sarebbero fermati davanti a niente fino ad arrivare al loro scopo, convinti che il priore Ruggero sapesse molto di più di quanto non dicesse e che mentisse spudoratamente.
Si diresse senza tentennamenti alla biblioteca dove avrebbe ripreso la lettura del libro che teneva sempre nascosto nel saio come una preziosa reliquia, come in effetti era.
La trovò in ordine come l’aveva lasciata, per fortuna sua , e si sedette

vicino alla finestra per leggere con molta calma.
Riaprì il libro mettendosi con pazienza e metodo alla ricerca di qualcosa, ponendosi numerose domande alle quali cercava di darsi
una risposta di senso logico e soprattutto compiuto.
In ordine: preghiere scritte in un italiano molto approssimativo, volgare sicuramente, meditazioni di ogni genere e altre cose. Controllò con molte attenzione tutte le pagine, gli angoli, qualsiasi segno che potesse essergli d’aiuto ma non trovò niente di particolare o nessun incipit che potesse aiutarlo in quel lavoro che stava cominciando a diventare un’ossessione ed un assillo.
Controllò le copertine, il retro, gli angoli ma niente, provò a leggerlo anche rovesciato: non un segno che potesse indicare qualcosa.
Smise di leggere affacciandosi alla finestra ad osservare la vallata sotto il monastero che si stava tingendo di giallo per l’erba, segno inequivocabile che l’estate stava finendo e l’autunno si avvicinava a grandi passi.
Osservava quei campi ma la sua mente vagava all’interno di quel libro cercando qualcosa, il suo istinto gli diceva che c’era.
Nascosto molto bene ma c’era, se lo sentiva dentro perché qualcosina gli fischiava nelle orecchie.
I soliti due monaci erano intenti a preparare i solchi dove avrebbero seminato, continuando il lavoro dei giorni precedenti.
Uno dava indicazioni all’altro ricordandogli la semina da compiere e raccomandandogli di fare attenzione alla profondità del solco ed alla sua misura. Dalla parte destra avrebbero messo la cicoria e a sinistra del campo tutte le altre verdure, come riusciva a sentire da lontano.
Uno dei due sgridava l’altro perché diceva a gran voce che anche la natura era ordine e così anche in un solco od in una semina ci voleva ordine e non si potevano mettere le sementi a caso, sparpagliate sulla terra, ci voleva disciplina soprattutto nella campagna indicandogli come doveva disporre le sementi ed in quale parte del solco e quanta acqua doveva dare, visibilmente arrabbiato e contrariato. Aveva voglia l’altro a ribattere che in natura tutto cresceva spontaneamente.
Osservò con curiosità quel lavoro pensando che seminare un campo fosse una cosa molto semplice, bastava gettare i semi per terra e tutto sarebbe cresciuto spontaneamente come normalmente succede in natura, solo con un po’ d’acqua per aiutare le piantine a crescere , la natura avrebbe fatto il resto. Invece stava osservando una realtà completamente diversa da quella che lui si immaginava: anche nel lavoro dei campi ci vuole metodo e applicazione con tanta disciplina e ordine e soprattutto seguendo le regole della natura.
Quei monaci gli ricordarono il padre quando lo prendeva a vergate nella schiena se non eseguiva alla perfezione gli ordini che lui gli dava riguardo i lavori nei campi e quando portava le mucche al pascolo, anche il padre, come se fosse un padrone, pretendeva che nelle semine si usasse molta disciplina e lui, ragazzino, ritornava a casa la sera stanco morto e con numerosi lividi nella schiena.
Disciplina ! Quella parola gli risuonò nella testa come un lampo, forse schiarendogli le idee.
Ordine e disciplina: quelle due parole gli rimbombavano nel cervello.
Quando si scrive un libro ci vuole ordine per numerare o indicare le pagine ed in quel piccolo libro l’ordine non esisteva.
Ecco quel piccolo particolare che gli mancava: di solito nelle pagine di libri molto più antichi non c’era la numerazione ma era l’ultima parola che precedeva e poi veniva ripresa in quella successiva la pagina precedente. Se una pagina terminava con la parola bello, la successiva iniziava con la stessa parola. E allora perché i numeri romani e quelli arabi ? una numerazione che all’epoca non era usuale.
Avvinghiato da una folle frenesia prese il libro andando a studiare con molta attenzione le numerazioni.
Seguendo il suo intuito era arrivato alla conclusione che ad ogni numero corrispondeva una parola della stessa pagina, contandole dalla prima riga.
Alla prima pagina corrispondeva la prima parola o la prima lettera e così per i numeri arabi.
Non era sicurissimo di quello che stava facendo ma intuiva che si trovava sulla buona strada.
Cominciò a scrivere le parole trovate nella pergamena alle pagine con la numerazione araba e al termine del lavoro effettuato ne uscì un guazzabuglio di parole che non aveva alcun senso mentre il tempo trascorreva inesorabilmente.
Guardò quello che aveva scritto con aria sconsolata, deluso ma non sconfitto.
Controllò le ultime parole e anche lì niente; la sua attenzione si rivolse allora alla numerazione latina cominciando a scivere le prime lettere di ogni pagina, ma la campana del pranzo lo richiamò alla realtà, avvinto dalla frenesia non si era accorto del tempo che passava.
<< Tempus fugit. >> pensò tra se sconsolato; mise da parte il libro e la pergamena dirigendosi verso il refettorio dove l’attendevano i confratelli già accomodati ai loro posti, anche il priore era seduto al suo posto a capotavola, il viso rabbuiato e preda di chissà quali pensieri.
Si sedette al suo posto iniziando a mangiare e criticando con lo sguardo gli altri monaci che si attardavano, mangiando molto lentamente; lui aveva fretta e non aveva tempo da perdere a tavola.
La frenesia lo aveva assalito e non si gustò neanche il pranzo mangiando molto velocemente e lanciando sguardi di fuoco ai confratelli che a differenza lo facevano molto lentamente.
Terminato finalmente il pranzo dopo aver salutato frettolosamente gli altri monaci si diresse velocemente verso la biblioteca riprendendo con avidità il libro, ricontrollando le pagine con la numerazione latina ma anche in quella maniera non risolse niente. Dopo ore di lavoro, col sole che stava lentamente tramontando, cercò di decifrare con calma quello che aveva scritto ma alcune cose non erano chiare, le ultime righe che aveva scritto cominciarono a dargli un pò di luce.
Aveva deciso di scegliere, alternandole, una pagina con il numero romano e una con quello arabo. Al numero corrispondeva la prima lettera e ne venne fuori una frase di questo genere: disprezzosemondoamoreprossimodio.
Qualcosa stava cominciando ad emergere.
Guardò quella frase con molta attenzione perché gli ricordava qualcosa, ma non riusciva a comprenderne il significato.
Cercò di separare le parole e ne venne una citazione che gli ricordò fratello Joaquin: disprezzo se mondo amore prossimo Dio.
Sobbalzò nella sua sedia come colpito da un lampo.
<< Ma è la frase che mi aveva spiegato fratello Joaquin riguardo il chiostro di Chiaravalle. Un lato disprezzo di se, l’altro disprezzo del mondo, l’altro ancora amore per il prossimo e l’ultimo amore per Dio. Questo significa che io devo cercare nel chiostro ed è li che mi devo recare per cercare altri indizi. >> un sorriso beffardo di soddisfazione gli attraversò il viso. << ma forse è meglio se queste cose le tengo per me e non le confidi a nessuno. >> chiuse il libro riponendolo nel saio.
Non aveva bisogno di prendere appunti perché oramai stava tutto nella sua testa e quella non gliela avrebbe potuto leggere nessuno.
Cominciava ad avere le idee più chiare: sulla porta Santa il Battista, Celestino e la Madonna. Il Battista adorato dai templari e la Madonna che era la loro protettrice, Celestino che aveva avuto dei rapporti sempre con i cavalieri. Nella facciata opposta il bassorilievo messo al contrario e poi il chiostro che ancora non sapeva che ruolo avesse, ma lo confortava il fatto che si sarebbe dovuto a recare in un luogo abbastanza delimitato e non dispersivo.
La campana della cena lo avvisò che la giornata stava terminando ed era ora di chiudere con le ricerche e andare per cenare, cercando di non dar modo a nessuno di intuire che aveva scoperto qualcosa. Il suo viso sarebbe dovuto diventare una maschera che non fa trasparire alcun sentimento o emozione.
Come al solito arrivò in ritardo con gli altri monaci, priore compreso, che erano già ordinatamente seduti ai loro posti e avevano già iniziato a mangiare.
Bofonchiò alcune parole di scusa segnandosi velocemente e sedendosi al suo posto, il capo chino per il pudore di essere arrivato in ritardo.
Il priore gli lanciò un’occhiata distratta continuando a mangiare ma si vedeva da lontano che la sua testa era affollata da mille pensieri invadenti e ostinati e che non gli interessava niente del suo ritardo.

Quella notte fratello Baldassarre e fratello Salvatore russarono come disperati con un sonno profondo che molto probabilmente non avrebbe interrotto neanche un nuovo terremoto, lui teneva stretto tra le mani il libro come se fosse un giocattolo.

La mattina successiva fratello Baldassarre decise che avrebbe tenuto il libro ancora per qualche giorno e poi lo avrebbe restituito al priore, una volta verificato il tutto, dicendogli che non era arrivato a capo di niente; loro avrebbero lasciato il convento per ritornare alla propria casa ma avrebbe dato le indicazioni a fratello Rodomonte raccomandandogli di consegnare le indicazioni a fratello Ruggero una volta partiti.
Dopo la colazione si diresse senza ostentare fretta al chiostro per cominciare a studiare il luogo.
Passeggiò sotto il portico per diverso tempo osservando con attenzione qualsiasi cosa potesse essere degna di studio. Scrutando il pavimento, le colonne e tutti gli eventuali segni che potessero dargli un riferimento, ma soprattutto senza dare nell’occhio.
Si fermò a guardare il bassorilievo raffigurante la pecora al rovescio e, guardandosi attorno, vide che si trovava proprio di fronte al pozzo esagonale che stava al centro del chiostro.
La pecora al rovescio forse indicava che bisognava andare disotto, probabilmente voleva indicare una via sotterranea, e non che la religione andava intesa al contrario come aveva erroneamente interpretato, o forse qualcuno per distoglierlo, gli aveva indicato.
In una facciata, quella della porta Santa, c’era un’indicazione, nell’altra facciata un’altra ancora, la pecora al rovescio che indicava la strada e i due segnali stavano sulla stessa linea così come il pozzo.
Si avvicinò distrattamente a quella cavità sbirciando al suo interno: era abbastanza largo da far passare due persone ma non ne vedeva il fondo quindi non poteva sapere se ci fosse acqua o meno ma, considerato che non pioveva da tanto c’era il ragionevole sospetto che potesse essere in secca.
Un ponte in marmo con al suo centro infissa una carrucola collegata ad una corda a cui era legata una secchia, sovrastava il pozzo.
Era arrivato alla conclusione che nel pozzo si trovava la chiave di tutto.
Il lunotto della porta Santa, il bassorilievo al rovescio ed il pozzo del chiostro, e tutti e tre sulla stessa linea.
Non poteva essere altrimenti.
Prese una decisione immediata: doveva parlare con fratello Aloigi e andò a cercarlo nell’infermeria visto che non c’erano lavori pesanti da fare presupponeva che lo avessero impegnato li come aiutante.
Lo trovò che aiutava i suoi confratelli con modi non proprio gentili e abbastanza goffi in quanto si muoveva come un pachiderma tra i malati.
<< Fratello Aloigi … vi devo parlare. >> disse richiamando la sua attenzione.
Lui si avvicinò in attesa, pulendosi le mani strofinandole sul saio.
<< Devo scendere nel pozzo del chiostro questa notte e ho bisogno di voi. >> gli disse avvicinando la sua bocca alle orecchie di quello.
Quello mugugnò una sorta di consenso senza domandarsi il motivo.
<< Ed ho anche bisogno che fratello Salvatore e fratello Anselmo facciano la guardia e ci avvertano per tempo di eventuali pericoli. Sarà necessario che qualcuno di voi controlli il fratello che con la lanterna fa il giro del monastero verficando che tutto sia a posto ed i confratelli stiano nelle loro celle perché se ci scoprono non sapremo come giustificare il fatto che a quell’ora noi siamo in giro per il chiostro e questo compito lo affideremo a fratello Salvatore che dovrà vigilare affinché non ci scopra nessuno. >>
Fratello Aloigi mugugnò di nuovo.
<< Ve la sentite di calarmi nel pozzo ? >> domandò.
Lui rispose affermativamente mettendo in mostra le braccia muscolose.
Fratello Baldassarre sorrise dandogli una pacca sulla spalla.
Si rivolse poi ai due confratelli chiamandoli vicino a se e spiegando quello che gli serviva e quelli annuirono senza domandare nulla ma rimanendo un po’ perplessi per quella richiesta.
<< Ci vedremo dopo cena, successivamente a compieta e prima dell’uffico delle letture quando tutti i monaci saranno a letto e mi raccomando … non una parola con nessuno e occhi e orecchie belli spalancati. >>
Prima di rientrare nella sua cella in attesa che venisse l’ora si procurò una torcia prendendola da una parete del corridoio delle celle, riuscì a recuperare anche un acciarino per accenderla.
Passata la mezzanotte andò a chiamare i confratelli trovando fratello Aloigi già pronto e attivo per qualsiasi lavoro mentre gli altri due russavano e li dovette svegliare con malgarbo scuotendoli nei loro letti.
I monaci, come tanti fantasmi con il cappuccio calato sui visi, si diressero verso il chiostro attraversando con molta cautela i corridoi bui e silenziosi del monastero, facendo molta attenzione a tutti i rumori che sentivano e mettendosi in all’erta per qualsiasi cosa; si vedeva chiaramente che non erano avvezzi a muoversi come dei malfattori soprattutto fratello Aloigi che veniva richiamato diverse volte in quanto era il più chiassoso della comitiva.
Fece appostare fratello Anselmo davanti alle scale che portavano alle celle e fratello Salvatore dalla parte dell’ingresso del monastero per controllare il sorvegliante notturno e fare in modo che non si accorgesse di niente mentre lui e Aloigi si diressero verso il pozzo.
Questo era sormontato da una sorta di architrave in marmo dove era inserita una carrucola con una corda collegata ad una secchia in legno. Controllò la robustezza della corda che lo reggeva e che penzolava al suo interno. Verificò che potesse reggere il suo peso e, dopo aver dato l’ordine a fratello Aloigi, si fece calare, tenendosi alla corda e poggiando i piedi sulla secchia, nella buia cavità che scendeva nel sottosuolo.
<< Quando tirerò la corda mi dovrete tirare su. >> mormorò al confratello che annuì cominciando lentamente a far scorrere la robusta corda tra le mani facendolo calare lentamente nel pozzo.
Porse la torcia in avanti, reggendosi con una mano mentre i piedi poggiavano sulla secchia in legno, illuminando le pareti mentre fratello Aloigi lo calava adagio.
Discese per almeno cinque metri che parvero un’eternità quando intravide fra le pietre che formavano le pareti una sorta di finestrella o porta, sufficientemente ampia da far passare un uomo.
Con la torcia illuminò il fondo del pozzo e poco sotto di lui c’era l’acqua.
Avvisò fratello Aloigi di non farlo scendere di più e la corda si bloccò a quell’altezza.
<< Adesso che non piove il pozzo ha poca d’acqua, ma d’inverno sicuramente questa è molto più alta e supera questa finestrella. Bella trovata, con l’acqua alta il passaggio non si può vedere perché è allagato ! >> commentò tra se pensando alla furbizia e alla genialità di chi aveva ideato il nascondiglio.
Lanciò una voce al confratello ingiungendogli di bloccarsi in quel punto.
Facendo oscillare leggermente la corda si avvicinò a quel passaggio riuscendo a poggiare un piede sul suo bordo e con un agile saltello riuscì ad entrarvi.
La torcia illuminò un corridoio stretto e umido, un budello dove lui si avventurò con molta attenzione e cautela mettendo i passi lentamente uno dopo l’altro e controllando a destra e sinistra, la schiena curva in avanti vista l’altezza esigua del cunicolo.
In cuor suo pregò affinché non ci fosse un terremoto altrimenti in quel posto sarebbe stata la fine per lui, ma visto che nonostante tutto non era crollato con i precedenti terremoti significava che quelle pareti erano sufficientemente solide e robuste.
Il corridoio procedette per almeno una decina di metri fino ad arrivare ad uno spiazzo. Controllò con attenzione i muri di quel posto e stabilì che dovevano essere i resti di un precedente convento o qualcosa di molto più antico del cenobio.
Davanti ai suoi occhi uno slargo ed una parete con una lapide dove era incisa una croce con una S iscritta nel suo braccio lungo inferiore di cui non afferrò il significato.
Comprese che era arrivato nel posto giusto e, dopo aver dato un ulteriore sguardo attorno, immediatamente tornò indietro.
Afferrò la corda tirandola e rapidamente fu portato su da fratello Aloigi.
Con un agile saltello uscì dal pozzo, spense la torcia osservandosi attorno e con i suoi confratelli rientrò furtivamente alle celle mentre il monastero era avvolto dal silenzio e sicuramente nessuno si era accorto di niente.

La mattina successiva si diresse con molta calma al refettorio deciso a indagare sul sottofondo del monastero e sul significato di quella croce con la S che aveva visto sotto il pozzo.
Molto probabilmente il cenobio era stato costruito su un precedente monastero, sicuramente più antico, forse di origine romana, e su quei resti era stato edificato il nuovo, utilizzato successivamente come nascondiglio da qualcuno che era a conoscenza dei resti, sicuramente Pietro Celestino o qualcuno che lo aveva consigliato, magari proprio quello che aveva scritto la pergamena trovata nel libro a Chiaravalle e che conosceva molto bene il sito o addirittura da chi aveva edificato il monastero e la Basilica.
Sicuramente un cavaliere templare o un ingegnere dello stesso ordine.
Decise di andare ad interrogare fratello Crisanto che gli sembrava quello con le idee più chiare di tutti, il priore no perché era meglio non fargli sapere troppe cose per non metterlo nei guai e non sollevare sospetti.
Lo trovò all’infermeria intento a praticare alcune medicazioni ad un poveretto che aveva le due gambe fratturate a causa del terremoto e che ancora non voleva saperne di guarire nonostante tutte le amorevoli cure, e trascorreva i suoi giorni immobile in quel lettino tra mille sofferenze.
Si avvicinò a lui con molto rispetto osservando con attenzione i suoi movimenti esperti nel mentre cambiava le bende; gli altri confratelli accudivano i malati e accennarono un cenno di saluto continuando le loro mansioni.
Il fratello infermiere sollevò la testa guardandolo e aspettando una sua eventuale richiesta.
Fratello Baldassarre iniziò a parlare con voce melliflua girando attorno all’argomento ma senza esprimere concetti chiari e tenendosi sul vago mentre quello continuava il suo compito.
<< Avete un’ottima mano nelle medicazioni ! >> disse fingendo stupore nel vedere quello che maneggiava con bende, disinfettanti e altro.
<< E’ questione di pratica … ! sono anni e anni che non faccio altro, anche un mulo se lo mettete a girare una ruota alla fine impara ed io mi sono dovuto adattare. >> disse con un sorriso a metà con una smorfia, ma comunque compiaciuto.
<< Ma è da molto tempo che vi trovate in questo monastero ? >> domandò osservando con attenzione la medicazione, anzi avvicinandosi per vederla meglio, fingendo interesse.
<< Da una vita ! >> rispose stringendo per bene una benda intorno al polpaccio del poveretto che si lamentava.
<< Allora di questo posto conoscete vita e miracoli ? >>
Quello fece spallucce.
<< Tutto … di questo posto conosco anche le pietre. >>
Un sorriso beffardo attraversò il viso di fratello Baldassarre, il monaco stava arrivando a quello che voleva lui.
<< Ma a voi risulta che questo monastero sia stato costruito su uno precedente. >> domandò senza dare troppa importanza alla cosa.
Quello annuì stringendo forte le bende tanto che il malato cacciò un urlo.
<< C’era un vecchio monastero prima che venisse costruita Collemaggio, non so che costruzione fosse ma era abbastanza distrutto ed in brutte condizioni, probabilmente devastato anch’esso da un terremoto . Perché vi interessa ? >> domandò.
<< Perché in un vecchio libro della biblioteca avevo letto qualcosa riguardante dei ruderi di età antica, forse un tempio dell’epoca romana. >>
<< Non so se fosse romana o che, so solo che c’era un monastero crollato, se ci fosse stata una costruzione romana non l’ho mai saputo. >>
<< E un’altra cosa ! sapete cosa significa un simbolo dove c’è una croce ed una S iscritta nel suo braccio lungo . L’ho visto anche questo in un libro ma non sono riuscito ad afferrarne il significato. >> fingendosi volutamente ingenuo.
Quello terminò di legare la benda osservando il lavoro finito con soddisfazione.
<< E’ il simbolo di Celestino. Una grande croce ed una S, se guardate bene ne troverete uno anche nella Basilica, se non ricordo male ma non mi sovviene dove. >>
Il viso di Baldassarre si illuminò con un sorriso radioso ma l’infermiere non lo vide in quanto chino sul malato.
<< E’ il bassorilievo con la pecora al rovescio ! >> pensò tra se. << la croce mi indica la via che è quella del pozzo e rappresenta Celestino ! >>
Le sue idee si stavano facendo sempre più chiare.
La croce scolpita in quella lastra vista nei ruderi sotto il monastero era più che un indizio e corrispondeva alla croce del bassorilievo, messa al rovescio e indicava che bisognava andare di sotto.
Segno inequivocabile di Papa Celestino.
<< Aprofitto io della vostra presenza per chiedervi una grande cortesia. >> disse il monaco infermiere.
Fratello Baldassarre annuì attendendo le sue richieste.
<< Quando avrete tempo e modo e non vi sarà di alcun impedimento mi dovreste fare la grande cortesia di prepararmi un elenco scritto delle mie erbe officinali che mi servirà per metterle sulle boccette dove le conservo per catalogarle e trovarle senza difficoltà. >> disse quasi scusandosi.
L’amanuense sorrise benevolmente.
<< Sarà solo mio piacere farlo e appena avrò tempo voi mi darete le indicazioni ed io mi premurerò di prepararvelo. Sapete io non conosco le vostre erbe e sarete voi a indicarmi i nomi. >>
Quello ringraziò con un sorriso.
Con una scusa salutò il monaco, giustificandosi per averlo interrotto durante il suo lavoro dirigendosi velocemente verso la biblioteca dove sarebbe stato solo.
Decise che avrebbe restituito il libro delle preghiere al priore adducendo la scusa che non era riuscito a trovare niente che indicasse un segno per la ricerca del tesoro o quello che era, e così si sarebbe estraniato e non avrebbe dovuto confidare le sue scoperte a nessuno, ma glielo avrebbe consegnato a cose ultimate.
Fratello Ruggero non sapendo niente sarebbe stato più tranquillo e forse più sicuro.
Lui avrebbe continuato le ricerche per suo conto senza comunicare niente e poi sarebbe rientrato con gli altri a Chiaravalle ma avrebbe lasciato un segnale o qualcosa per poter rintracciare quello che era nascosto e lo avrebbe fatto a tempo debito con la situazione più tranquilla. Gli sgherri del vescovo, ne era sicurissimo, non avrebbero mai mollato l’osso e quindi sarebbe stato meglio lasciare il priore nell’ignoranza: non avrebbe mai potuto parlare di cose che non conosceva e quello, forse, sarebbe stata la sua salvezza.

Dopo il pranzo, che si svolse in un ambiente assolutamente tranquillo con il fratello priore abbastanza sereno e rilassato, decise di dare uno sguardo alla biblioteca in attesa di riordinare le sue idee e decidere come procedere; una cosa era certa e cioè che una delle notti a seguire, sempre aiutato dai suoi confratelli che facevano ormai quello che diceva lui, si sarebbe di nuovo calato nel pozzo e avrebbe tolto la lapide per vedere cosa nascondesse, perché secondo lui quella era una porta di accesso ad una stanza o qualcosa di simile.

La pace e la tranquillità del monastero furono spezzate drasticamente ed in maniera quanto mai violenta dall’arrivo dei cinque sgherri del vescovo, accompagnati dal Balivo e da alcuni armigeri che entrarono nel cenobio al pomeriggio, urlando e mettendo a soqquadro tutto, e cercando fratello Ruggero che trovarono nella sala capitolare intento a dare disposizioni mentre i monaci erano incapaci di reagire, intimoriti e terrorizzati da quella ennesima dimostrazione di prepotenza.
Lo presero a viva forza nonostante quello tentasse una modesta quanto imperiosa resistenza, trascinandolo via.
<< Perché lo portate via ? >> urlò fratello Baldassarre interponendosi fra lui e loro, attirato dal chiasso e accorso immediatamente con tutti gli altri monaci incapaci di una qualsiasi azione e che osservavano la scena stupiti.
Fratello Aristide lo scacciò con malgarbo spingendolo.
<< Levatevi dai piedi … queste non sono cose che vi debbono interessare altrimenti gli farete compagnia. >> sibilò con tono sprezzante continuando a camminare con tutti i monaci che seguivano quel piccolo corteo sbraitando contro fratello Aristide ed i suoi compagni, seguendoli fino alla residenza del vescovo accompagnati da una piccola folla formata da alcuni abitanti della città attirati dal chiasso e dalla curiosità, mentre gli armigeri circondavano fratello Ruggero che osservava attorno sconcertato e umiliato, incapace di una qualsivoglia reazione.
Gli armigeri si misero davanti all’ingresso con le picche puntate contro di essi per impedire che entrassero e la piccola folla si assiepò davanti all’ingresso urlando e inveendo contro i Celestini.
Fratello Baldassarre chiamò a se i suoi confratelli mettendosi in gruppo e in disparte osservando la scena; non voleva che i suoi confratelli fossero immischiati in qualcosa di violento.
<< Stiamo qua buoni e vediamo cosa succede e cosa possiamo fare ma senza fare atti inconsulti o gesti insani. >> disse loro intimandogli di evitare mosse false, facendoli allontanare dagli altri, fissando soprattutto fratello Aloigi che era l’unico in grado di poter avere una reazione, tenendolo a bada con occhiate intimidatorie.
Il portone si era richiuso dietro i cinque celestini ed il priore, le guardie stavano sempre sul chi va là con le picche puntate contro la piccola folla.
Attirati dal chiasso arrivarono ancora altri cittadini e tanti curiosi in quanto si era diffusa immediatamente per la città la voce che il priore era stato arrestato, stupefatti per il fatto che fratello Ruggero fosse stato portato dal vescovo con la forza, meravigliandosi e non capendo il motivo.
Tutti conoscevano il monaco e sapevano benissimo quanto fosse una persona seria e affidabile, uomo di Dio e di preghiera che non avrebbe mai fatto del male a nessuno.
Ma altrettanto bene conoscevano la cattiveria del vescovo e dei suoi sgherri.
Fratello Baldassarre chiamò a raccolta tutti i monaci del cenobio in quanto stavano li immobili senza sapere cosa fare.
<< Torniamo al monastero tanto qua non ci facciamo niente. Vedremo cosa fare e come comportarci. La nostra presenza è inutile e quelli non ci faranno mai passare. >> disse osservando gli armigeri che stavano sempre sulla porta con le picche puntate contro la gente pronti ad infilzarli.
Mestamente si diressero verso il monastero, in silenzio e affranti senza sapere cosa fare.
Ma quello più triste era lui, Baldassarre, che era in preda all’angoscia e non sapeva se parlare o stare zitto, incolpevole causa di tutto. Avrebbe potuto aiutare il priore ma probabilmente anche svelando tutto non avrebbe ottenuto granché, anzi avrebbe passato guai anche lui perché accennando al piccolo libro delle preghiere avrebbe ammesso che qualcosa sapeva e siccome doveva essere un segreto, loro avrebbero rappresentato un pericolo alle mire dei Celestini.
Decise in cuor suo di stare zitto e vedere l’evoluzione dei fatti valutando volta per volta e soprattutto aspettando quello che sarebbe successo a fratello Ruggero.
<< Dio vede e provvede … sempre ! >> pensò tra se sperando nella divina providenza e inveendo in cuor suo contro quel contrattempo.

Alla sera decise assieme ai suoi confratelli di fare una gita nel pozzo, sottoterra, mentre tutti gli altri monaci dormivano.
Inconsciamente era diventato il capo di quel monastero in quanto i poveri monaci di Collemaggio erano incapaci di prendere decisioni e pendevano tutti dalle sue labbra.
Doveva risolvere in breve tempo quella questione.
Comunicò ai tutti i confratelli che quella notte avrebbero dormito ed il cenobio sarebbe stato controllato da lui e da fratello Aloigi invitandoli tutti ad andare a dormire tranquillizzandoli.
Convocò poi nella biblioteca tutti i suoi confratelli, ovviamente quelli di Chiaravalle, spiegando loro di cosa si trattava e quello che avrebbero dovuto fare.
<< Dobbiamo trovare qualcosa che si trova sotto il monastero, nelle rovine di un precedente cenobio, più antico di questo e quello che troveremo dovrà rimanere dove si trova. >> disse loro.
<< E allora perché lo cerchiamo ? >> chiese ingenuamente fratello Salvatore.
<< Perché il priore è morto senza lasciare indicazioni ed io sono riuscito, forse…, a localizzarlo. Mi è stato chiesto un aiuto ed io l’ho fatto. Adesso voi dovrete darmi una mano e poi, una volta sistemata questa faccenda, rientreremo a Chiaravalle. >> rimase in silenzio aspettando delle domande che non arrivarono. << ovviamente dopo che il priore sarà stato liberato. >> aggiunse.
I monaci annuirono in silenzio e soprattutto senza fare commenti o altre domande.

Al tramonto e dopo che tutti i monaci si furono ritirati nelle loro celle, Baldassarre convocò i suoi confratelli spiegando loro i movimenti da compiere e quale sarebbe stato il ruolo di ognuno, leggendo nei loro visi una sorta di paura accompagnata allo stesso tempo dalla voglia di fare, ma anche l’inadeguatezza per quella missione. Forse per loro quella rappresentava una novità nel senso che da uomini di preghiera e di fede si dovevano trasformare in uomini di azione e dubitava molto che ne fossero capaci; l’unico su cui doveva e poteva fare affidamento era fratello Aloigi che aveva la forza necessaria per divincolarsi in una lotta, gli altri sarebbero sicuramente scappati alle prime avvisaglie di combattimento, incapaci di qualsiasi reazione.
Lui sarebbe sceso nel pozzo accompagnato da fratello Anselmo mentre fratello Aloigi si sarebbe occupato della corda per farli scendere nel pozzo, gli altri confratelli li avrebbe disposti nelle zone critiche pronti ad avvisare di eventuali pericoli in avvicinamento e soprattutto verificando che tutti i monaci fossero nelle loro celle a dormire.
Si attrezzò con scalpelli e martelli, fiaccole e altri attrezzi appuntiti che gli sarebbero potuti servire per aprire o sfondare la lastra con incisa la croce.
Per primo si calò lui perché conosceva la strada, poi fratello Anselmo mentre fratello Aloigi faceva la guardia al pozzo pronto a tirarli su in caso di pericolo.
<< Venite ! >> rivolgendosi a fratello Anselmo che si osservava attorno in quel cunicolo buio e stretto, dopo aver acceso le fiaccole per avere luce.
<< Ma dove stiamo andando ? >> disse quello con voce lamentosa e impaurita, guardandosi attorno.
<< Venite … ! non vi preoccupate che non c’è nessun pericolo. >> invitandolo a venire avanti.
Illuminò il corridoio con la torcia mentre fratello Anselmo lo seguiva in silenzio arrivando in breve tempo alla lastra di marmo con la croce.
Porse la torcia al confratello facendola illuminare per bene mentre lui cominciò a bussare con le nocche per vedere se risuonava a vuoto.
Era una lastra superiore al metro di altezza e di larghezza, presumibilmente abbastanza pesante, ringraziando in cuor suo di aver fatto scendere con lui fratello Anselmo in quanto da solo non ce l’avrebbe mai fatta.
L’ansia e l’agitazione si impadronirono di lui perché sentiva che dietro quel marmo c’erano tutte le risposte che si aspettava e che il termine di quell’avventura si avvicinava.
La lastra risuonava a vuoto, segno inequivocabile che dietro c’era qualcosa.
<< C’è qualcosa dietro. >> disse rivolgendosi al confratello.
<< E’ quello che cercate ? >> chiese quello.
Un sorriso maligno attraversò il viso di Baldassarre.
<< Mi ci gioco la testa ! >>
Fratello Anselmo inorridì ritraendosi e segnandosi.
<< Ma così non va bene ! >> esclamò.
Fratello Baldassarre lo tranquillizzò facendogli l’occhiolino.
Con uno scalpello avvolto con dei panni per attutire i colpi che altrimenti in quel luogo avrebbero rimbombato enormemente iniziò, con molta attenzione e cercando di non fare un chiasso esagerato, a staccare i bordi scollando la malta che la teneva ferma, facendo leva finché quel marmo non cominciò a muoversi; cercava di non far troppo rumore e impiegò diverso tempo, infine fece cenno al compagno di aiutarlo a reggerlo per fare in modo che non cadesse spaccandosi perché doveva assolutamente rimanere integro.
Con non poca difficoltà visto il peso poggiarono la lastra contro il muro da una parte, scoprendo infine un passaggio sufficiente per una persona; uno sguardo di intesa col compagno e poi si avventurò al suo interno chinandosi per passare, dopo di lui passò fratello Anselmo che essendo più alto presentava più difficoltà, costretto a camminare carponi.
Un piccolo budello dove dovevano camminare rannicchiati per non sbattere la testa sul suo soffitto molto basso.
Dopo qualche minuto, camminando sempre raccolti, arrivarono in una piccola stanza senza uscite dove potevano assumere la posizione eretta e muoversi facilmente.
In una parete di fronte un’altra lastra di marmo simile alla precedente, che riproduceva sempre la croce di Celestino ma più grande.
Osservò con attenzione e ammirazione il luogo.
<< Ottima idea, chi ha organizzato tutto questo ha pensato proprio bene: ha fatto due stanze sigillate e una volta che l’acqua del pozzo invade il corridoio non può penetrare in quest’ultima. Una sorta di filtro o diga. >>
Baldassarre guardò fratello Anselmo che ascoltava in silenzio senza capire granché e, dopo uno sguardo di intesa, si rimisero di buona volontà a staccarla dal muro e una volta fatto si ritrovarono, dopo aver salito tre gradini, in un’altra stanza e li fu grande la sorpresa: una camera sufficientemente grande fatta con pietre squadrate che rivestivano il pavimento, le pareti ed il soffitto, senza altre aperture, e che ospitava tutta una serie di bauli e di scatole in legno in grande quantità e accatastati ordinatamente presso una parete.
Un forte odore di muffa aggredì le loro narici.
L’amanuense si guardò attorno.
<< Probabilmente siamo sotto la Basilica ! >> esclamò guardando il soffitto, cercando di orientarsi.
Baldassarre si avvicinò ad uno di questi aprendolo senza alcun sforzo in quanto non era chiuso a chiave.
Rimase a bocca aperta per diverso tempo osservando il suo contenuto e lo stesso fece il confratello una volta che si avvicinò anche lui illuminando il contenuto con la torcia.
<< E’ oro ! >> commentò sottovoce.
Baldassarre annuì.
<< Si … ma a noi non interessa… io cerco altro. >> disse spostandosi verso un altro baule aprendolo, e li ancora oro in gran misura.
Lui fece una smorfia dirigendosi verso altri bauli aprendoli freneticamente ma trovava solo oro: monete, collane, bracciali e anelli, vasellame, ma nessun libro o altre cose particolari mentre fratello Anselmo osservava quelle ricchezze con gli occhi spalancati.
<< Ma a chi appartiene questo tesoro ? >> domandò con voce piagnucolosa rigirandosi tra le dita una collana d’oro.
<< E’ del monastero … ! >> rispose lui continuando a cercare. << e di nessun altro. >> aggiunse continuando a rovistare.
Nel fondo della stanza c’erano altri bauli disposti sempre ordinatamente e che erano coperti dagli altri ma che stavano sopra una specie di tavolo sollevati da terra.
<< Portate qui la torcia e illuminatemi questi. >> disse invitando il confratello ad avvicinarsi.
Quello si avvicinò immediatamente facendo un commento poco felice.
<< Certo che se scoppiasse un terremoto qua sotto ci sarebbe poco da divertirsi. >> disse asciugandosi con la mano il sudore che copioso gli colava dalla fronte.
Fratello Baldassarre lo fulminò con lo sguardo.
<< Fate luce qua invece che fare battute stupide. >> con voce severa e poco propensa all’umorismo, invitandolo con un gesto ad avvicinarsi.
<< Li hanno messi sul tavolo perché se anche un minimo di acqua può passare, in questa maniera non ne vengono a contatto e non si possono rovinare. >> commentò tra se. << due lastre ed i gradini comunque impediscono che l’acqua vi possa arrivare. Bella pensata ! >> pensò tra se, ammirando il tipo di lavoro che era stato eseguito e l’ingegno di chi aveva organizzato tutto.
Aprì con molta attenzione il baule che risultava essere pieno di libri; ne prese uno con molta delicatezza controllandolo, poi lo rimise a posto prendendone un altro. Si trattava di testi antichi di religione e di filosofia, molto belli e molto interessanti, sicuramente fatti da amanuensi molto esperti. Rimase stupefatto e meravigliato per quei libri antichi di immenso valore , e contemporaneamente fù avvinto da una sorta di smania incontrollabile, il cuore che batteva a mille ed il sangue che vorticava nelle sue vene.
Fratello Anselmo sbuffava e si asciugava di continuo il sudore che, di continuo, gli colava dalla fronte e si insinuava negli occhi impedendogli la visuale, asciugandolo nervosamente col dorso della mano.
Ne controllò freneticamente diversi ma davanti ad uno scritto in greo antico rimase disorientato e affascinato contemporaneamente, osservandolo per parecchio tempo nonostante fratello Anselmo lo esortasse a sbrigarsi.
<< Fratello muoviamoci che questo non è un posto tanto sicuro ! >> disse quello con voce lamentosa, osservando preoccupato il soffitto di quella stanza.
Senza esitazione mise il libro dentro il saio voltandosi ad osservare altri bauli.
<< Un piccolo furto di cui non si accorgerà nessuno, il premio per la fatica svolta. >> si disse tra se e se con un sorriso malefico.
<< Fratello andiamo, siamo qui da diverso tempo, magari torniamo un altro giorno ! >> la voce supplichevole del monaco gli arrivò ovattata alle orecchie in quanto in quel momento era abbastanza agitato e fremente, alla ricerca di qualcosa che non trovava.
<< Ancora un momento ! >> disse continuando a cercare velocemente, disinteressandosi dei timori del confratello. << dobbiamo risolvere questa sera o mai più ! >>
Quello si mise da parte in silenzio, intimidito dal tono nervoso del confratello, guardando di sottecchi il soffitto, pronto a recepire qualsiasi vibrazione.
<< Se è qui lo devo trovare ad ogni costo ! >> esclamò volto alla ricerca frenetica di qualcosa nei bauli.
Aprì l’ultimo baule che gli era rimasto e rimase in silenzio a bocca aperta osservando quello che aveva davanti agli occhi con molta curiosità: qualcosa di forma rotonda avvolto da diversi teli.
Delicatamente e con molta attenzione tolse dal baule con qualche difficoltà quell’oggetto abbastanza pesante, poggiandolo sul tavolo e svolgendolo con attenzione dai lini che lo rivestivano, esaminandolo con ammirazione e meraviglia, un sorriso sfrontato sul suo viso.
Anche fratello Anselmo si avvicinò per osservarlo meglio anche lui.
<< Cos’è ? >> domandò quello meravigliato, osservando quell’oggetto di cui non afferrava il significato.
Il monaco non rispose continuando ad osservare con molta attenzione e ruotando tra le mani quella cosa per guardarla da ogni angolazione possibile: un viso d’argento imbrunito che avvolgeva un cranio e lo si vedeva chiaramente da alcune zone non rivestite dal metallo, da cui si poteva osservare una parte di ossa.
Un basamento di legno con una targa ed una scritta in greco indicava il suo nome: Baphometus.
Con delicatezza ed attenzione ripulì la scritta dalla polvere per leggere meglio.
<< E’ la testa del Battista, il suo cranio rivestito in argento … il bafometto che adoravano i cavalieri templari. >> disse con grande ammirazione ed emozione osservando quella testa cesellata in maniera quasi perfetta raffigurante il capo di un uomo.
Fratello Anselmo rimase a bocca aperta per un pezzo ma senza capire granché.
<< Andiamo via ! >> disse di botto Baldassarre riponendo la testa nel baule dopo averla riavvolta nei lini. << rimettiamo a posto le lastre e andiamocene. >>
Infilò la mano in un baule prendendo una moneta d’oro.
<< Questa è per fratello Joaquin. >> disse mostrandola a fratello Anselmo.

In breve tempo erano rientrati in superficie e si erano diretti verso le loro celle andando incontro ad un meritato riposo dopo una notte trascorsa nella tensione.
Prima di ritirarsi fratello Baldassarre aveva ammonito i suoi compagni.
<< Non un parola con nessuno di quello che è successo stanotte. >> quelli annuirono senz fare domande, andando a dormire.
Fratello Baldassarre invece non dormì, agitato, avvinto dall’euforia per la scoperta e per il libro che aveva trafugato, ma che avrebbe controllato e letto al riparo da occhi indiscreti e in un’altra sede sicuramente lontana da quel posto.

Trascorsero un paio di giorni senza che avessero notizie del priore e di quello che stava succedendo, impossibilitati ad andare a trovarlo o a chiedere notizie, quando una mattina il priore fece ritorno al monastero accompagnato da due armigeri. Il viso tumefatto con vistose macchie scure dovute al sangue coagulato e anche qualche taglio, sconvolto ed in preda al panico e alla confusione, stava in piedi per misericordia e veniva retto dagli armigeri.
Lo lasciarono esamine all’ingresso del monastero come un sacco vuoto, andando via senza neanche una parola di spiegazione.
Tutti i monaci, avvisati, si precipitarono per soccorrerlo prendendolo di peso e portandolo all’infermeria dove fu sistemato in un lettino con fratello Crisanto che iniziò velocemente a prendersi cura di lui medicandogli le ferite, con tutti i monaci attorno in apprensione.
Fratello Baldassarre gli si avvicinò guardandolo con commozione e rispetto.
Lui sollevò lo sguardo cercando i suoi occhi.
<< Mi hanno torturato ma io non ho detto niente … perché non potevo e non sapevo. Cosa avrei dovuto raccontare se non so niente. >> quasi giustificandosi con voce lamentosa e sofferente.
<< State tranquillo e pensate a rimettervi tanto nessuno saprà mai qualcosa. >> disse Baldassarre. << e voi non vi dovete prendere colpe che non avete ! >> cercando di rincuorarlo.
Quello lo guardò con occhio interrogativo.
<< Non ho trovato niente. >> gli disse intuendo la sua domanda allargando le braccia. << e forse non lo troverà nessuno. >> aggiunse.
Il priore emise un sospiro accompagnato da una smorfia di dolore quando fratello Crisanto premette sulle ferite con un panno umido.
Fratello Aloigi si avvicinò a Baldassarre mugugnando e mimando, con le mani il movimento di spezzare qualcosa.
<< No … no ! >> intimò lui poggiandogli una mano sulla spalla per rassicurarlo. << non si spezza il collo a nessuno, oltretutto siete un monaco e la violenza non va bene. Ci penserà il buon Dio a rimettere le cose a posto. Lui vede e provvede. >> dandogli una carezza affettuosa e tranquillizzante.
Quello andò via protestando a modo suo.

Il priore impiegò circa tre giorni per rimettersi, assumere condizioni accettabili e in grado di parlare, così fratello Baldassarre andò a trovarlo nella sua stanza dove era stato trasferito, una volta che le sue condizioni si erano stabilizzate.
Lui stava sdraiato nel suo lettino, nel viso presentava ancora i postumi delle contusioni.
<< Allora mio buon fratello Ruggero come và ? >> domandò prendendo una sedia e sedendosi vicino al suo letto, osservandolo con attenzione.
Quello lo guardò con occhi tristi.
<< Mai mi era successo, nella mia vita monacale, un’aggressione del genere, soprattutto da parte di confratelli. Mi hanno picchiato a sangue, torturato e avevano anche piacere nel farlo. Mi sono sentito umiliato e deriso nelle mia veste di priore senza che quegli uomini di chiesa avessero un briciolo di compassione o di carità. Noi che ci dedichiamo alla preghiera ed al prossimo e che non abbiamo mai fatto male ad alcuno ! >> alzando il tono della voce alterata dall’ira e dalla profonda delusione, per quanto le sue condizioni potessero permetterglielo.
Più che il dolore era la vergogna per essere stato trattato in quella maniera.
<< Ma cosa volevano da voi ? >> chiese fratello Baldassarre intuendo già la risposta.
<< Lo sapete anche voi cosa volevano, ma io cosa potevo dirgli, inventarmi una bugia che loro avrebbero scoperto immediatamente ? Ma la cosa più triste era l’atteggiamento del vescovo che era quello che inveiva e spronava i suoi sgherri a pestarmi per farmi dire cose che non so, e rideva e godeva dei miei maltrattamenti. >> rimase in silenzio guardando il soffitto come se si vergognasse di quello che era successo mentre qualche lacrima gli solcava il viso.
<< E purtroppo non potrete dirgli mai niente perché in quel libro io non ho trovato nessun messaggio segreto o altro. Quel libro non dice proprio nulla ed io non so più come aiutarvi. >> mentendo spudoratamente, ma comunque era una bugia a fin di bene.
Quello allargò le braccia in segno di resa.
<< Vuol dire che il buon Dio ha deciso così. Fratello Pietrone era l’unico che sapeva come fare e purtroppo è morto inaspettatamente senza poterci informare. E quelle bestie, perché di bestie si tratta, non hanno voluto sentire ragioni poi alla fine si sono resi conto che io non avrei mai potuto dire quello che non sapevo e si sono arresi mandandomi via in queste condizioni, che non so neanche quando mi riprenderò e se mi riprenderò. >>
<< Mettetegli a disposizione il monastero e vengano loro a cercarsi quello che gli interessa, così capiranno che nessuno sa dove si trova perché neanche loro riusciranno a trovarlo e cosi si metteranno il cuore in pace. >>
<< Voi quando andrete via ? >> domandò il priore mettendo da parte un argomento che lo tormentava.
<< Ancora un paio di giorni, giusto per vedere la vostra guarigione e poi rientreremo al nostro monastero, soprattutto prima che inizino i freddi invernali e le piogge visto che ci dovremo muovere a piedi. Abbiamo tante cose da fare al nostro monastero e ci siamo assentati anche troppo, sperando che il nostro priore non se la prenda più di tanto.>>
Si alzò facendo un gesto di saluto e andando via, lasciando il priore in preda alla tristezza. Non avrebbe mai pensato che con la morte di fratello Pietrone e diventando priore avrebbe subito tutte quelle angherie e vessazioni.

Raggiunse velocemente i suoi confratelli per avvisarli del fatto che entro un paio di giorni avrebbero fatto rientro al monastero.
Li convocò nella biblioteca per comunicarglielo.
<< Il nostro tempo in questo posto è terminato e tra un paio di giorni rientreremo a Chiaravalle, quindi organizzatevi per metterci in cammino. >>
Quelli rimasero inizialmente sorpresi ma poi furono contenti della notizia, pensavano che sarebbero rimasti ancora per diverso tempo fino a sistemare tutte le cose rimaste in sospeso, ma in fondo era giusto così perché i doveri del loro monastero li attendevano.
Li esortò ad andare a continuare a dare una mano in infermeria però chiamò fratello Aloigi e fratello Anselmo.
<< Stanotte facciamo una visita in quel posto. Dobbiamo sistemare le lastre di marmo quindi ci vuole della malta, fratello Anselmo trovatene un po’, non penso che avrete difficoltà a reperirla, così le lastre saranno rimesse a posto e anche se qualcuno le dovesse vedere non noterà che sono state manomesse. Ci troveremo al pozzo dopo la mezzanotte. Avvisate fratello Salvatore che stanotte dovrà circolare per il monastero con la lanterna. >>
Fratello Aloigi, ringhiando, mimò con le mani l’atto di spezzare qualcosa.
<< No … fratello … con la violenza non si ottiene niente e ricordatevi che la violenza chiama violenza e poi spezzando il collo a qualcuno ne avrete e avremo solo guai e noi vogliamo rientrare a Chiaravalle sani e salvi, e poi ricordatevi sempre che il perdono fa parte del nostro credo. >> lo ammonì anche se avrebbe voluto fare la stessa cosa a quei diavoli che avevano torturato fratello Ruggero. << so benissimo che sareste in grado di farlo ma noi siamo monaci e rifiutiamo la violenza. >> gli ricordò ammonendolo severamente.
I due annuirono andando via.
<< Sperando che nessuno ci veda e che non ci siano sorprese. >> pensò tra se osservandoli. << anzi … facciamo una cosa, voi due venite quì ! >> chiamandoli. << gli altri confratelli faranno la ronda per il monastero controllando gli altri monaci che stiano a letto senza muoversi; é preferibile avere delle sentinelle che controllino tutto, non bisogna rovinare le cose proprio quando stiamo per andare via. Fratello Anselmo, andate e avvisateli vorrà dire che stanotte non dormiremo. Noi dovremo andare via da questo posto lasciando tutto in ordine. >>

Passata la mezzanotte un gruppo di fantasmi vestiti da monaci si aggirava nel buio del monastero di Collemaggio dirigendosi alcuni verso i punti strategici del luogo , altri tre verso il pozzo del chiostro.
Si calarono, prima Baldassarre e poi Anselmo che portava un sacco sulla schiena, mentre fratello Aloigi badava alla corda e a tutto il resto.
In breve tempo avevano sigillato le lastre di marmo richiudendo accuratamente i passaggi e oscurandoli alla vista del mondo.
<< Quando inizieranno le piogge ed il pozzo si riempirà di acqua la malta sarà asciutta e non ci saranno infiltrazioni. >> disse tra se una volta che il lavoro fu terminato, controllando che non ci fossero punti scoperti e che le lastre fossero sigillate per bene.
Proprio mentre uscivano dal sottosuolo si avvertì una breve scossa di terremoto che fece tremare sia il pavimento che loro per lo spavento, qualche calcinaccio cadde per terra stimolandoli ad uscire rapidamente da quel luogo.
Velocemente si rintanarono nei loro letti coprendosi con le coperte come tanti bambini che hanno appena compiuto delle marachelle, con le orecchie ben tese per un pò sperando che non li avesse sentiti nessuno.
Infine si addormentarono.

La mattina successiva cominciarono i preparativi per la partenza aiutati dagli altri monaci e dopo aver verificato le condizioni di fratello Ruggero che andava gradatamente migliorando.
Fratello Baldassarre si recò a far visita al priore ancora a letto nella sua cella, alla sera prima dei vespri.
Prese una seggiola accomodandosi vicino al suo lettino in quella stanzetta scarsamente illuminata da una torcia appesa al muro.
Lui lo guardò con difficoltà attraverso gli occhi ancora tumefatti.
<< Siete in partenza ? >> domandò.
<< Siamo in partenza. >> confermò con un sospiro. << la biblioteca l’abbiamo sistemata e tutti i libri sono a posto, una parte del monastero siamo riusciti a sistemarla, la parte più importante purtroppo non sono riuscito a portarla a termine. Non siamo stati bravi a localizzare quello che ci avete richiesto e me ne dolgo ma non è colpa mia: se c’è qualcosa, devo dire che è occultata molto bene. >>
<< Non fa niente, forse è meglio così e che rimanga tutto nascosto, in questa maniera l’avidità delle persone verrà tenuta a bada. Nessuno sa niente e nessuno cercherà un tesoro inesistente e forse quello di importante è che verrà salvato dall’ingordigia umana. Va bene così… credetemi meglio nascosto che in mani infami. >> disse prendendogli la mano con un gesto affettuoso.
Baldassarre annuì alzandosi.
<< Passerò a salutarvi prima di partire. >> disse consegnandogli il libro di Celestino. << custoditelo con molta attenzione e rispetto perché questo è un libro prezioso. >> aggiunse.
Quello lo prese guardandolo con un moto di tristezza nel viso. Sapeva che in quel libro era nascosto qualcosa ma nessuno sapeva cosa.

Mentre si dirigeva verso la biblioteca alla ricerca dei suoi confratelli, intravide fratello Aristide che si muoveva con fare guardingo e circospetto nei bui corridoi del monastero.
Si nascose abilmente e velocemente dietro una colonna facendo in modo che non lo potesse scorgere.
Lo vide che si dirigeva furtivamente verso le scale che portavano al dormitorio, apparentemente sembrava solo.
<< Sta andando dal priore. >> disse tra se con un moto di rabbia.
Immediatamente andò alla ricerca di fratello Aloigi che trovò nella biblioteca intento a non far niente.
<< Venite con me. Presto ! >> gli disse con toni bruschi quasi trascinandoselo appresso. Quello che non capiva lo guardò inebetito seguendolo di gran passo.
Salirono le scale e arrivarono alla cella del priore che era chiusa.
Si avvicinarono in punta di piedi origliando alla porta.
<< Mi dovete dire quello che sapete altrimenti vi taglio la gola … voi sicuramente sapete qualcosa. >>
<< Lo sta minacciando. >> disse al confratello sottovoce.
Quello che non capiva grugnì una sorta di domanda e lui intuendola spiegò.
<<Fratello Aristide … è dentro e sta minacciando il priore. >> aggiunse sottovoce.
Quello fece il movimento con le mani come di uno che sta strangolando.
Baldassarre lo lasciò perdere avvicinandosi alla porta aprendola ed entrando come un fulmine nella cella vedendo il Celestino che aveva poggiato le sue mani sulla gola di fratello Ruggero che nelle condizioni in cui era non riusciva a reagire.
<< Lo volete lasciare in pace quel pover’uomo … non basta tutto quello che gli avete fatto ? >> urlò scagliandosi verso di lui spingendolo da parte, assalito dall’ira.
Quello per tutta risposta estrasse velocemente da sotto il saio una misericordia puntandola contro fratello Baldassarre che non fece a tempo a reagire in quanto fratello Aloigi si interpose come un fulmine tra lui e l’avversario prevenendo la stoccata che sarebbe stata fatale.
Lo avvinghiò per la gola con entrambe la mani, lo strinse così forte che quello lasciò cadere il pugnale per terra cercando di divincolarsi dalla forte stretta del monaco che invece, ringhiando, continuò a stringere, spingendolo verso il muro e sbattendocelo contro ripetutamente con estrema violenza finché quello non cadde esamine con gli occhi sbarrati che fissavano il nulla.
Fratello Ruggero e Baldassarre rimasero attoniti e silenziosi, incapaci di fare qualsiasi cosa in quanto i movimenti del monaco muto erano stati tanto repentini da non permettere a nessuno di intervenire.
Fratello Aloigi rimase immobile a fissare quel corpo riverso per terra, iniziando a singhiozzare ed a piangere, dandosi dei grandi pugni in testa per la disperazione e la stoltaggine.
Dalla sua bocca uscirono dei versi indecifrabili e fratello Baldassarre si avvicinò a lui cercando di confortarlo.
<< Mi avete salvato la vita, non dovete piangere, voi non avete nessuna colpa, sono solo loro che hanno delle colpe di cui renderanno conto al cospetto del buon Dio.>> disse rassicurandolo.
<< possibilmente all’inferno ! >> aggiunse a denti stretti.
Quello lo guardò in viso mugugnando versi incomprensibili che il suo confratello comprese.
<< Non vi preoccupate … nessuno saprà nulla di questa vicenda, vero fratello Ruggero ? >> disse rivolgendosi al priore che annuì ancora sconcertato.
<< Vero ! Ma quello dove lo sistemiamo. >> osservando il cadavere del Celestino incapace di fare qualsiasi cosa e visibilmente preoccupato.
<< A questo ci pensiamo io e fratello Aloigi. Voi non vi preoccupate. Prendetelo e venite con me. >> ingiunse al suo confratello che raccolse quel corpo senza nessuno sforzo mettendoselo in spalla.
<< Dopo torneremo qua. >> disse tranquillizzando fratello Ruggero.

Si incamminarono con molta circospezione nei bui corridoi del monastero, fratello Baldassarre in avanscoperta e poco dietro di lui fratello Aloigi con il suo carico.
Senza farsi notare da nessuno uscirono, da una porticina, dal monastero dirigendosi velocemente verso il cimitero in direzione della tomba di fratello Pietrone ricoperta di terra ancora fresca, la luna forniva quel debole chiarore che gli permetteva di muoversi tra gli alberi.
<< Lo mettiamo nella fossa assieme al vecchio priore. >> disse al confratello che annuì liberandosi del fardello mortale poggiandolo per terra.
Si diresse alla ricerca di una pala trovandola poco lontano e con quella si mise a scavare alacremente alla luce fioca della luna.
In breve tempo, merito della sua forza e dei suoi nervi, aveva scavato una gran quantità di terra arrivando a scoprire la cassa in legno che conteneva le spoglie di fratelloPietrone.
<< Buttatecelo dentro e poi ricopritelo di nuovo. Farà compagnia al priore e ai vermi. >> disse con estremo cinismo fratello Baldassarre senza mostrare un briciolo di pietà, mentre fratello Aloigi continuava a versare copiose lacrime, disperandosi per quello che era successo.
A lavoro compiuto si diressero verso la cella di fratello Ruggero che li attendeva trepidante e con ansia.
<< Tutto a posto … da oggi potrete dormire sonni tranquilli. >> gli disse rincuorandolo mentre fratello Aloigi continuava a piangere lacrime di sconforto.
<< Dov’ è ? >> domandò il priore.
<< Fa compagnia a fratello Pietrone in un posto dove non lo troverà mai nessuno. Adesso riposate e ci vedremo domani. >> facendo un cenno di saluto e andando via con fratello Aloigi che continuava a piangere.
<< La volete smettere ! >> gli disse sgridandolo mentre si trovavano nel corridoio.
Quello lo guardò con gli occhi umidi mimando con le mani l’atto di strangolare.
<< Lo so benissimo quello che avete fatto e nessuno vi incolpa perché lo avete fatto per difendere un innocente quindi mettevi il cuore in pace e state tranquillo perché avete fatto solo un’opera buona e nel caso ne renderete conto al buon Dio che vede e provvede, e che sicuramente vi perdonerà. >>

Dopo averlo confortato lungamente e tranquillizzato fratello Baldassarre si recò nella biblioteca, prese una pergamena e una piuma iniziando a scrivere.
<< Perdonatemi se non vi ho detto la verità ma forse in questo caso vi ho salvato la vita. Si trova nel pozzo e adesso tocca a voi custodirlo e fare in modo che non se ne perda la memoria. >> tracciando al fianco delle parole la croce di Celestino. << il priore è un monaco di buon senso e intelligente … comprenderà il significato di questo scritto. >>
Chiuse la pergamena sigillandola recandosi poi da fratello Rodomonte.
Lo trovò in portineria impegnato a non far niente.
<< Fratello vi devo dare un compito molto importante. >> disse e quello aguzzò le orecchie.
<< Vi consegno questa pergamena che voi consegnerete dopo la nostra partenza al priore, esattamente dopo un mese e non prima, soprattutto quando vedrete che le acque si saranno calmate ed il priore sarà più tranquillo.>>
Quello prese la pergamena mettendola sotto il saio e senza chiedere niente.
<< Nascondetela per bene e non fatela vedere a nessuno e consegnatela solo a lui e a nessun altro, e se ci sono pericoli distruggetela e nel caso ricordatevi che io sono al monastero di Chiaravalle. Qualsiasi cosa accada venitemi a cercare lì. >>

La mattina successiva il piccolo gruppo festante di monaci con l’asino Bucefalo carico di viveri offerti dai monaci, e dopo i commoventi saluti soprattutto con fratello Ruggero che si stava lentamente riprendendo, si avviava nella strada per il ritorno a casa; arrivati sulla sommità di una collinetta fratello Baldassarre si voltò ad osservare per l’ultima volta la Basilica di Collemaggio con qualche moto di rimpianto, ma durò un momento.

L’estate era finita e le prime nuvole affollavano il cielo mentre loro si incamminavano lentamente e allegramente verso Chiaravalle, felici di ritornare alla loro casa dove, dopo diversi giorni di cammino ininterrotto, arrivarono ad autunno inoltrato, verso l’ora di pranzo accolti festosamente dai monaci, ma soprattutto dal priore e da fratello Joaquin bramoso di notizie.
Salutarono tutti con affetto e fratello Baldassarre, dopo il pranzo ed i festeggiamenti, si appartò nel chiostro con il monaco spagnolo che attendeva notizie ansiosamente e avidamente .
<< E allora ? >> chiese quello sedendosi nella sua solita panca del chiostro, fingendo disinteresse ma non riuscendo a celare una sorta di frenesia che aveva addosso.
Fratello Baldassarre si sedette vicino a lui.
<< E’ veramente un gran bel posto Aquila … ! la Basilica di Collemaggio poi … è una magnificenza, una meraviglia ! >> disse vantando il luogo dove erano stati, mantenendosi sul vago mentre fratello Joaquin fremeva dal desiderio di avere altre notizie.
<< E per il resto ? >> domandò quello timidamente, ma gli si leggeva negli occhi l’avidità e la bramosia di sapere, che comunque non riusciva a nascondere.
<< E’ andata bene, ci sono stati alcuni contrattempi che comunque si sono risolti bene senza grossi problemi ma che vi racconterò con calma più avanti. >> disse con un gran sorriso, tenendolo volutamente sulle spine.
Mise la mano nel saio prendendo il libro che aveva trafugato nel sottosuolo di Collemaggio e offrendolo al monaco.
Quello lo prese rigirandoselo tra le mani.
<< Cos’è ? >> chiese con un filo di voce, non senza riuscire a nascondere una forte emozione, le mani tremanti che reggevano a malapena quel libro neanche tanto grande e pesante, ma che al momento aveva un peso incredibile.
<< Leggete e lo saprete ! >> rispose con la massima naturalezza possibile Baldassarre.
Fratello Joaquin lo guardò per bene osservandolo da vicino tanto che i suoi occhi potevano sfiorare le pagine. Una copertina in cuoio che racchiudeva parecchi fogli di pergamena ingiallita dal tempo.
Rimase stupito a bocca aperta e senza fiato dopo aver letto alcuni passi.
<< Il vangelo di Maria Maddalena ! >> disse con voce tremante ed emzionata. << è scritto in greco ! >>
Si voltò a guardare il confratello cercando una conferma.
<< L’avete trovato dunque ? >> domandò.
<< Trovato e letto anche qualche pagina di questo libro. >> rispose con voce trionfante.
<< Ssssss … ! non mi dite niente altrimenti mi toglierete il gusto di leggerlo o di farmelo leggere da voi, se ne avrete voglia e tempo. >> disse quello con un sorriso che sembrava più che altro una smorfia.
Baldassarre annuì sorridente mostrando una moneta d’oro che quello guardò meravigliato.
<< E’ una goccia del tesoro dei templari e ho avuto tra le mani la testa del Battista, rivestita d’argento o Bafometto che dir si voglia. >> disse con aria tronfia. << e tante altre cose, e vi devo dire che era nascosto molto bene e mi ha fatto penare parecchio, ma quando vorremo e se voi ve la sentite, faremo una passeggiata in quel di Aquila. >>
<< Mi dovete raccontare tutto. >> disse il monaco prendendolo per il collo in maniera affettuosa mentre fratello Baldassarre gli consegnava la moneta d’oro come ricordo e che quello osservò con tanta curiosità. << mi dovrete raccontare tutto con molta calma e pazienza. >>
Calcando le parole e rimanendo successivamente zitto e assorto.
<< Vi siete ampiamente guadagnato le Carte Friastensi. >> disse con commozione dopo un pò. << ma solo dopo che mi avrete raccontato tutto per filo e per segno e con molta dovizia di particolari e non prima. Fratello Salvatore mi ha raccontato che siete stato abilissimo e molto attento … come un vero capo, come il futuro priore di questo cenobio. >>
Fratello Baldassarre sorrise con ironia.
<< Se voi pensate che io non mi sia accorto che avete fatto aggregare alla comitiva fratello Salvatore con il solo e unico scopo di controllarmi vi siete sbagliato. >>
Il monaco fece una smorfia, a metà tra un sorriso ed uno sbeffeggiamento.
Fratello Aloigi passò velocemente nel chiostro, lanciò un gran sorriso a Baldassarre che fece altrettanto ricambiandolo.
Una volta rientrato al monastero aveva riacquistato la sua tranquillità.

Era trascorso un mese abbondante dalla partenza dei monaci da Collemaggio e nel monastero la situazione stava venendo a normalizzarsi.
Nessuno era riuscito a spiegarsi la misteriosa scomparsa di fratello Aristide ed il vescovo nonostante avesse sguinzagliato i suoi sgherri per tutto il territorio non ebbe di lui nessuna notizia e nessuno riusciva a capacitarsi per quella sparizione; erano stati interrogati anche tutti i monaci di Collemaggio ma nessuno aveva avuto più notizie di fratello Aristide.
Scomparso nel nulla.
Le scosse telluriche si erano andate via via affievolendo cessando completamente e la popolazione di Aquila, di conseguenza era più tranquilla, i Celestini ed il vescovo si erano dati pace lasciando tranquilli i monaci e la serenità aveva avvolto finalmente i poveri benedettini ed il loro monastero dove la situazione stava gradatamente tornando alla normalità.
Fratello Rodomonte bussò alla cella del priore che oramai si era ripreso dai vari traumi e dalle percosse ma ancora convalescente con qualche postumo, mentre il vescovo ed i suoi accoliti lo stavano lasciando in pace, molto probabilmente rassegnati anche per l’assenza di quello che si era appalesato come il più accanito di tutti.
<< Cosa c’è ? >> domandò sollevando stancamente gli occhi.
<< Vi debbo consegnare questa pergamena che mi ha lasciato fratello Baldassarre prima di partire, dicendomi di consegnarvela dopo un mese e mi ha anche detto di distruggerla se ci fossero stati problemi e nel caso di avvisarlo a Chiaravalle. >> porgendogliela e andando via.
Lui la prese con curiosità aprendola e leggendo con una smorfia di stupore sul viso.
La rilesse con molta attenzione più e più volte, lo sguardo incredulo.
<< Diavolo di un monaco bugiardo e impostore ! c’è riuscito ! >> disse dopo qualche istante con un sorriso malefico di soddisfazione sul volto. << mi ha preso in giro molto bene però forse mi ha salvato la vita … ma adesso so dov’è ! >>
Un lampo di soddisfazione negli occhi.

 

 

 

L’Analisi di Rita – CHE COSA STA SUCCEDENDO?

ANALISI DI RITA

CHE COSA STA SUCCEDENDO?

La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il co-raggio per cambiarle” (Agostino d’Ippona)

di Rita Clemente

Tratto da “c.d.b. informa” Foglio d’informazione della Comunità di Base di Chieri n°66 – Giugno 2017

 

Diversi eventi elettorali hanno contrassegnato la vita politica di questi ultimi tempi in vari Stati, eventi sui quali converrebbe un po’ riflettere, anche perché hanno suscitato interrogativi, polemiche, discussioni, analisi e dubbi. E perché danno il polso di qualcosa di nuovo che sta modificando la vita sociale e i valori di riferimento. Nel senso della conservazione o del cambiamento? E se di cambiamento si tratta, è inteso in senso positivo o negativo, sul piano dell’etica e della giustizia?
Prendiamo come esempi almeno due dei più recenti: l’imprevista elezione di Trump come presidente degli USA e l’altrettanto imprevista sconfitta della Clinton; in Francia, l’affermazione di Macron sulla Le Pen.
Ma che succede? dove sta andando l’elettorato dei Paesi occidentali? e che cosa vuole dalla classe dirigente politica? L’analisi sarebbe lunga e complessa e io non ho né gli strumenti, né la capacità di farla, valutando bene tutti i fattori in gioco e le loro variabili. Ma, per semplificare il discorso, potrei partire da qualche domanda: il mondo (almeno quello occidentale, diciamo liberal – democratico) sta andando a destra o a sinistra? ma poi, ha senso o no parlare ancora di destra e di sinistra? e ancora, posto che abbia senso, che cosa distingue nettamente oggi la destra dalla sinistra? quale programma, quali valori di riferimento, quali proposte politiche concrete?
“Destra” e “sinistra” è una terminologia politica nata con le rivoluzioni liberal – social – democratiche avvenute tra la seconda metà del 1800 e il 1900. Secondo me, ha ancora senso parlare di destra e di sinistra, se solo si chiariscono i parametri social – economici di riferimento, però la storia non si ripete mai uguale a se stessa. Sicuramente, oggi siamo in un contesto economico e politico molto diverso da quello di un secolo fa e non mi propongo, in questo articolo, di analizzarne le cause.
Ma almeno un’osservazione mi sembra opportuna: se è vero che sussistono ancora delle differenze sostanziali tra le due “visioni” politiche, esistono però anche delle strane convergenze. Pertanto, a me sembra che ci sia un’altra faglia, estremamente profonda, che oggi divide le forze politiche dei vari Paesi e l’opinione pubblica dei rispettivi “bacini elettorali”. Cioè quella tra le forze politiche che si dichiarano apertamente contrarie all’establishment vigente e quelle che in qualche modo lo supportano.
Occorrerebbe però chiarire che cosa si intende per “establishment vigente”: in sintesi lo si può intendere come il nuovo ordine economico, nato con la diffusione globale del modello neoliberista, che ha provocato una serie di effetti disastrosi. Basta, a titolo esemplificativo, ricordarne alcuni: la diffusione drammatica della disoccupazione strutturale, la “flessibilità” cui bisogna adattarsi nel mercato del lavoro, cioè la precarizzazione a vita, la riduzione sistematica delle tutele garantite da uno “Stato sociale”, la privatizzazione galoppante dei servizi e delle merci relativi al soddisfacimento dei bisogni essenziali, la crescita esponenziale dei flussi migratori, anche dovuta al diffondersi di guerre locali e al rafforzamento del mercato delle armi. Cui fanno da contraltare un disinvolto trasferimento di capitali là dove il vento è più favorevole, cioè condizioni di lavoro, fiscali e di sicurezza meno onerosi possibile per gli “investitori”, investimenti e disinvestimenti che tengono conto esclusivamente degli obiettivi di profitto, senza preoccuparsi dei contraccolpi disastrosi sulle condizioni di vita di migliaia di famiglie, una finanza “predatoria” e quasi esclusivamente speculativa, senza regole e controlli. Pertanto le forze politiche dei vari Stati appaiono sempre più deboli e ricattabili, così come anche le organizzazioni sindacali. Anzi, qualcuno sostiene che persino gli Stati come enti politici si vadano sempre più svuotando di potere sovrano, surclassati dalle imposizioni di forze economiche ormai transnazionali e quindi non vincolate a nessun obbligo giuridico.
Di fronte a questo scenario, che tra l’altro provoca alle popolazioni sofferenze difficili da sopportare, la reazione dei soggetti più deboli e vulnerabili è quella di rigettare in blocco i governanti, o aspiranti tali, che si ritengono a torto o a ragione “collusi” con questo sistema ingiusto, sia che la reazione provenga dalla destra estrema, sia dalla sinistra radicale. Pertanto non stupisce il fatto che, come nel caso delle elezioni americane, sia l’una che l’altra, seppur con i necessari “distinguo”, abbiano ritenuto tutto sommato più positiva l’elezione di Trump piuttosto che quella della Clinton, tipica rappresentante dell’odiato “establishment”. Trump, un personaggio poco presentabile sotto il profilo “istituzionale”, ma appunto per questo ritenuto più affidabile sul piano della rappresentanza effettiva dei ceti più disagiati. Quanto poi concretamente li rappresenterà o farà i loro interessi, sarà tutto da dimostrare! Qualcosa di diverso è invece successo in Francia dove, al ballottaggio, Macron ( che pure è considerato l’esponente dei “poteri forti” legati alle banche e alla finanza) ha lasciato vistosamente indietro la Le Pen: probabilmente la signora era troppo “esposta” a destra (in fondo, certe ferite nell’Europa democratica bruciano ancora). Tuttavia è già sufficientemente inquietante che il suo partito sia arrivato al ballottaggio, il che dimostra che ha comunque ottenuto un rilevante consenso sociale. E anche in questo caso, la “sinistra radicale” ha preso le distanze dall’una come dall’altro.
Come si spiega questa “convergenza”? detto molto semplicemente, si spiega con il grande malessere sociale che l’affermazione del modello incontrastato del neoliberismo e la riduzione progressiva di welfare ha provocato nei Paesi occidentali. A questo malessere, le destre, soprattutto le destre estreme, europee ma non solo, rispondono arroccandosi su posizioni di accentuato nazionalismo e “sovranismo”, rifiutando i diktat della UE e la sua politica di esasperato controllo monetaristico, considerato espressione di sudditanza nei confronti dei “poteri forti” delle banche e della finanza. Ci sarebbe solo da chiedersi se con il “sovranismo monetario” si riuscirebbe poi a eliminare la “dittatura del capitale” e le storture del “libero mercato”, posto che siano questi gli obiettivi di tali forze politiche (ma, a tal proposito, considerati anche i precedenti storici, io nutrirei qualche dubbio). Quanto al nazionalismo, la sua esasperazione non fa altro che esasperare a sua volta gli altri nazionalismi, con una crescita di potenziali conflitti, anche armati, e di attacchi terroristici. E con un grande vantaggio esclusivamente per i produttori e i venditori di armi.
I “poteri forti” vengono peraltro contestati e messi sotto accusa anche dalle sinistre radicali, certamente, ma con quali prospettive politiche? E’ qui che emerge la differenza tra le due “visioni” ma anche la sostanziale debolezza, oggi, di una proposta politica di cambiamento che venga da sinistra, la cui cartina di tornasole è rappresentata dal problema delle migrazioni.
A destra non ci sono dubbi: si tratta di “invasioni” volute e pilotate dai “poteri forti”. Si arriva a deprecare, con accenti particolarmente bellicosi e arroganti, la supposta “islamizzazione” dei territori europei come progetto politico deciso molto in alto, non si capisce per quali precisi interessi e si colpisce senza mezzi termini anche l’interferenza delle ONG che intervengono a favore dei disperati fuggiaschi e che gestiscono i progetti d’accoglienza, tutte bollate anche esse, senza alcuna analisi corretta né realistico esame, come malavitose organizzazioni di malaffare, in combutta con chi specula sulla tratta di esseri umani. Si arriva all’assurdo di stigmatizzare come criminale qualsiasi comportamento solidaristico nei confronti degli immigrati, considerato come una specie di “razzismo al rovescio”, a danno dei propri connazionali!
Ovviamente, le forze di sinistra non possono sostenere queste posizioni, che non fanno parte né del loro DNA né della loro visione storica: se lo facessero, smentirebbero la loro stessa ragione d’essere, a difesa degli ultimi e dei peggio sfruttati. Tuttavia, è proprio qui che emerge la loro posizione di attuale debolezza politica, dovuta a vari fattori. Ne cito almeno due. Innanzi tutto, la frammentazione e la divisione interna, l’incapacità di fare fronte comune in una situazione in cui un coraggioso progetto unitario fra le sue varie componenti potrebbe fare la differenza. Ne abbiamo avuto un recente esempio in Italia: la scissione del PD con l’espulsione delle forze, diciamo, più rappresentative della “ex sinistra storica”, invece di approdare a un nuovo soggetto politico con una organica visione d’insieme capace di attrarre nella sua orbita anche le altre forze più radicali, proprio a partire dalla logica di un deciso intervento almeno regolativo sullo “strapotere” dell’economia liberista e della finanza senza regole, ha portato ad una ulteriore frammentazione di gruppi ruotanti attorno a questo o a quel leader, ma senza alcuna capacità di fare sintesi e di giungere a una posizione condivisa (ci starebbe provando Pisapia, vedremo con quali risultati).
L’altra difficoltà è più oggettiva e deriva, purtroppo dal momento storico che vede crescere sempre di più una “guerra fra poveri”, con conseguente perdita di “appeal” elettorale nei confronti di chi volesse farsi paladino di migliaia di disgraziati “alieni” senza per questo rinnegare la necessità di difendere gli interessi e i bisogni dei “nostri”. Ma quando la torta da spartire diventa molto più piccola, è facile vedere dei “nemici” in tutti coloro che ambiscono a ricevere il loro pezzetto, perché hanno fame. In un contesto così, il gioco delle destre è fare leva su un incontenibile malcontento popolare e additare al pubblico ludibrio gli “stranieri” e i loro “sostenitori, razzisti al contrario”.
Questi i motivi fondamentali della convergenza, ma anche della divaricazione inevitabile tra quelle che ho definito “le forze politiche anti – establishment”.
E invece che succede nel panorama delle forze politiche che non si riconoscono in questo atteggiamento di fondo? bisogna dire, anzitutto, che anche qui la varietà è grande, per cui si va da quelle di ispirazione conservatrice o liberal- democratica a quelle di ispirazione social – democratica, seppure con diversità di vedute e di prospettive decisionali. Tuttavia né le une, né le altre sono riuscite a trovare soluzioni efficaci alla crisi che attanaglia i ceti medio – bassi, allo scadimento del mercato del lavoro, all’ allargamento delle aree di povertà e di malessere sociale. E anche da parte loro, a mio avviso, non si esce da una ambiguità di fondo: il riconoscimento, sulla carta, dei diritti umani fondamentali, come sottoscritti dalle varie Convenzioni internazionali e dalle Costituzioni democratiche nazionali, ma con una sostanziale incapacità o non volontà di opporsi alle “dittature economico – finanziarie” che in ultima analisi costituiscono l’ossatura del neoliberismo transnazionale senza regole, anzi, avallando spesso una politica “d’affari” militarista, antiecologica e antisociale. Ancora maggiore l’ambiguità ipocrita con cui si cerca di risolvere il problema dei flussi migratori: consentendo sì degli interventi di “prima accoglienza” ma al contempo rafforzando sia le misure di “protezione e chiusura” dei confini, sia comprando, con accordi bilaterali e con l’esborso di notevoli somme di denaro, la complicità di Paesi antidemocratici perché blocchino sul nascere, con metodi altamente lesivi dei diritti umani, le “fughe” dei migranti.
Dunque, che fare? cosa scegliere, come agire politico? in che direzione muoversi? Il discorso sarebbe molto complesso e non riducibile in poche righe, anche nell’ipotesi che si voglia tentare, con le nostre povere parole, di azzardare qualche risposta. Però, una nota positiva è utile farla risaltare, alfine. Io guardo con fiducia e speranza a tutte quelle forze, a tutti quei movimenti, a tutte quelle associazioni, a tutti quei gruppi di volontariato religioso e civile che continuano a prestare la loro opera e la loro intelligenza perché si possano mettere in atto iniziative solidali, per la difesa dei diritti, per la lotta contro le ingiustizie, per la creazione di modelli alternativi di economia e di vita, per il dialogo tra culture e religioni, per il mantenimento della pace, al fine di dare concretezza e speranza di futuro a tutte le giovani generazioni, a qualunque etnia appartengano.
La grande speranza è che tanto fiorire di esperienze, di azioni, di conoscenze, di scelte coraggiose siano messe al servizio di un grande progetto politico, democratico e solidale, dove ovviamente non possono livellarsi idee, culture e punti di vista diversi, ma dove si abbia la capacità di operare una mediazione intelligente e feconda, per il bene di tutti.

 

 

 

 

 

 

Padre Pio e Bisogno e Desiderio, nella religione e nella vita

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di Antonio Vigilante,

docente di Filosofia e Scienze Umane al Liceo “Santa Caterina” di Siena

 

Una teca di vetro. Nella teca il cadavere di un monaco cappuccino, con il volto di cera. Sulla teca molti fiori. Davanti alla teca una donna scatta una foto con il cellulare: un selfie, per la precisione.
Il monaco è, naturalmente, padre Pio, anzi San Pio. Il contesto è quello del Giubileo Straordinario della Misericordia, proclamato da papa Francesco II con la bolla Misericordiae Vultus, “come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti”.
La religione comprende una molteplicità di cose, spesso contraddittorie, che è possibile ordinare in uno spettro che va dal bisogno al desiderio. Il bisogno è mancanza, il desiderio è slancio. Bisogno è mangiare, bere, vestire, avere un tetto. Bisogno è avere un lavoro, riconoscimento sociale, sicurezza. Il desiderio è altro. Per dirla con il Lévinas di Totalità e Infinito: “Al di fuori della fame che può essere soddisfatta, della sete che può essere estinta e dei sensi che possono essere appagati, la metafisica desidera l’Altro al di là delle soddisfazioni, senza che il corpo possa inventarsi un gesto per diminuire la aspirazione, senza che sia possibile abbozzare una qualche carezza conosciuta o inventarne una nuova”. Questo altro del desiderio può assumere forme diverse. Nella mistica, che considero il momento più alto e puro del fenomeno religioso (e che – ma il discorso sarebbe lungo – non implica alcuna fede in Dio), l’altro è l’altro dell’io: la religione è il movimento che spinge l’io oltre sé stesso, in uno slancio che è al tempo stesso terribile e gioioso. Ma l’altro può essere anche l’io dell’altro, e la religione essere amore puro, appassionato, esigente dell’altro, apertura intensa al tu, etica rigorosa. E da questa apertura, che rifiuta la riduzione dell’altro a cosa, nasce l’esigenza di un mondo altro, di una realtà liberata dalla sofferenza, dallo sfruttamento, dall’ingiustizia. Un’etica che si fa al tempo stesso politica ed escatologia.
Il cattolicesimo di Padre Pio è il cattolicesimo del bisogno. Il cattolicesimo dell’uomo e della donna che, di fronte alle difficoltà della vita, avvertono la necessità – facile, semplice – di una figura divina di riferimento, che offra una protezione pronta e sicura. Larga parte del mondo cattolico trae alimento da questo bisogno di rassicurazione. Esiste, nel cattolicesimo, una vera e propria industria della rassicurazione, fatta di polverine di Santa Rita, acque di Lourdes, coroncine benedette, eccetera. Si tratta di un fenomeno che naturalmente confina con la superstizione e con la magia, e che il padrepiismo (o sanpiismo) rappresenta alla perfezione. Il mondo nel quale nasce e si afferma la figura di Padre Pio è un mondo rurale estremamente arretrato, quel mondo contadino pugliese nel quale la figura del santone era ordinaria non meno di quella del parroco, ma al tempo stesso è una figura che sa inserirsi nel mondo e nelle sue logiche anche politiche ed economiche con straordinaria scaltrezza.

Chi era, davvero, padre Pio?

Scelgo solo tre episodi da Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento di Sergio Luzzatto (Einaudi). Primo. 1911-1913. Dopo essere stato ordinato sacerdote, il giovane fra’ Pio passa quasi tutto il tempo nella sua casa di Pietrelcina, perché malanni non meglio precisati gli rendono impossibile la vita in convento. E da casa sua scrive lettere ai suoi direttori spirituali, fra’ Benedetto e padre Agostino, entrambi di San Marco in Lamis. Lettere nelle quali descrive con trasporto il suo travaglio spirituale, le sue estasi, il suo rapporto personale con Cristo. Ma le lettere sono copiate, per la precisione riprese parola per parola dell’epistolario di Gemma Galgani, una donna di Lucca che aveva ricevuto le stimmate nel 1899, e il cui libro era tra le letture del giovane frate. Due. 15 agosto 1920. San Giovanni Rotondo. Un’automobile esce dal convento dei cappuccini per giungere nella piazza principale del paese. A bordo padre Pio, acclamato dalla folla. Giunto in piazza, il frate benedice la bandiera dei reduci, che nella zona hanno organizzato le prime squadre fasciste. Due mesi dopo, in quella stessa piazza, undici contadini socialisti saranno massacrati dai soldati. All’indomani dell’eccidio, il frate accoglierà con grande cordialità nel suo convento Giuseppe Caradonna, figura di primo piano del nascente fascismo in Capitanata. Tre. 1921. Il Santo Uffizio manda a San Giovanni Rotondo monsignor Raffaele Carlo Rossi, per interrogare il frate. Tra le altre cose, monsignor Rossi gli chiede conto di una certa sostanza da lui ordinata in gran segreto in una farmacia locale, che poteva servire a procurare le stimmate. Il frate si difende sostenendo che intendeva usarla per fare uno scherzo ai confratelli, mischiandola al tabacco in modo da farli starnutire.
Il profilo che emerge è quello di un fascista un po’ imbroglione, privo di qualsiasi spessore umano e culturale, che, a voler essere buoni e prendere per vera la sua deposizione, acquista sostanze pericolose per fare uno scherzo da prete ai suoi confratelli mentre si fa fotografare in pose mistiche con le stimmate in bella evidenza.
Qualche anno fa sulla facciata della chiesa di San Pietro al Cep, a Foggia, comparve una macchia di umidità. Le macchie di umidità, come le nuvole e le venature del marmo o del legno, hanno questa caratteristica: con un po’ di fantasia vi si può scorgere quello che si vuole. Soprattutto la figura tozza di un padre cappuccino. E dunque si gridò al miracolo, come succede. E come succede talmente spesso, anzi, che non varrebbe nemmeno la pena di citare la faccenda, se non fosse che in quel caso dopo qualche giorno partirono già i primi autobus di fedeli, primi segni di un promettente business o, se si preferisce, di una esaltante esperienza di fede. Per fortuna quelle macchie di umidità ebbero il buon senso di scomparire al cambiare del tempo.
La figura di padre Pio, anzi di San Pio, è una calamita che in modo irresistibile attira il peggio del cattolicesimo: la superstizione, il fanatismo, il miracolismo, l’esteriorità dei riti, la rinuncia al pensiero. E l’affarismo, la furbizia, l’abuso della credulità popolare. Se non vi fosse quest’ultimo aspetto – ma è mai separabile dal resto? – si potrebbe provare qualche indulgenza e vedere in una simile ridicola accozzaglia di assurdità e cattivo gusto una risposta al bisogno umanissimo di protezione. Il padrepiismo è una delle malattie del cattolicesimo. Una malattia che, se la Chiesa avesse buon senso, cercherebbe di contrastare, e che invece alimenta, incoraggia, esalta, inseguendo un facile consenso e successo presso masse sempre più distratte, sempre meno religiose. Resasi conto della difficoltà di una evangelizzazione, la Chiesa sembra perseguire l’obiettivo più abbordabile della padrepiizzazione delle masse.
“Il cattolicesimo deve alla sua antichità e alla sua avversione per ogni violenta formazione di massa, la quiete e l’estensione che esercitano una fortissima attrazione su molti”, scriveva Elias Canetti in Massa e potere (1960). Queste parole, valide quando furono scritte, non sono più vere dopo il pontificato di Giovanni Paolo II, il papa dei raduni oceanici, che prima di allora si erano visti soltanto nei regimi totalitari. E non è un caso che sia stato lui a volere fortemente la santificazione di padre Pio. Il santo di Pietrelcina è la figura-chiave per il passaggio del cattolicesimo dal mondo pre-moderno della società contadina al mondo post-moderno della massa anonima. Espressione architettonica di questo passaggio è il nuovo santuario di San Giovanni Rotondo progettato da Renzo Piano: un non-luogo nel quale è impossibile qualsiasi esperienza che non sia, appunto, quella della immersione in una massa anonima.

Con il Vaticano II, la Chiesa aveva fatto un tentativo generoso di confronto con la modernità (ed è appena il caso di ricordare l’insofferenza di Giovanni XXIII verso padre Pio). Con Giovanni Paolo II, archiviato il Concilio, la Chiesa si è lanciata nella post-modernità. Tutta o quasi la cultura moderna viene rigettata come relativismo, si condanna la teologia della speranza, si instaura il culto della persona del papa e si esalta la santità di un frate che politicamente offre molte certezze: nessuno troverà mai, nei suoi scritti o nella sua biografia, il minimo appiglio per una interpretazione del cattolicesimo che minacci il buon ordine sociale.
Torniamo all’immagine da cui siamo partiti. Il selfie è l’espressione dell’attuale narcisismo di massa. In primo piano ci sono io, sullo sfondo tutto il resto: santo compreso. La società dei consumi, che è una società di massa, si regge al tempo stesso sul narcisismo più sfrenato. E’ una società che dice io, ed è un dire io sempre più disperato, perché l’io è puntellato dal possesso di cose, più che dalla sostanza viva delle relazioni sociali e spirituali. Un io solo, che più dice io più si smarrisce nella massa, più acquista più perde. In questo contesto economico e culturale, anche la fede – la fede cattolica – diventa narcisismo. “Dio ti ama, ti ama talmente tanto che è morto per te”: questo è il messaggio attraverso il quale le parrocchie vendono oggi il prodotto-Dio. Superate le inquietudini del passato, la fede è oggi una cosa semplice: in definitiva una questione di gratitudine. Dio ti ama ed è morto per te, e tu gli giri le spalle? Un gesto insensato, come spegnere la televisione o rifiutare l’offerta prendi tre e paghi due. Padre Pio, alter Christus, è il protagonista di questo cattolicesimo facile, consumistico, narcisistico. Di questo cattolicesimo disperato.

Lo scorso anno è scomparso, in silenzio ed umiltà come è sempre vissuto, Arturo Paoli, per tutti fratel Arturo. Nei suoi più di cento anni di vita questo uomo straordinario ha fatto la resistenza, ha salvato la vita di molti ebrei durante il fascismo (per questo è stato dichiarato Giusto delle nazioni) e poi, ordinato sacerdote, ha passato tutta la vita accanto ai poveri ed ai lavoratori, non retoricamente, ma faticando e lottando con loro: al porto di Orano, nelle miniere della Sardegna, nei boschi dell’Argentina. Non aveva le stimmate, non faceva miracoli. Metteva semplicemente in pratica il Vangelo. E’ lui il rappresentante più autentico e profondo, nel cattolicesimo italiano dell’ultimo secolo, di quella che ho chiamato religione del desiderio. Il suo è un cattolicesimo purissimo, al tempo stesso semplice e raffinato, capace di dialogare con gli umili senza corromperli con il fanatismo e la superstizione, che non stringe la mano ai fascisti ma attacca il potere esigendo giustizia. Ha indicato un’altra via, la via del desiderio. Una via che è, oggi, un sentiero non segnato sulla mappa, lungo il quale è sempre più raro che qualcuno si avventuri.

A ciascuno la sua sensibilità

di Piero Murineddu

Avevo già intravisto questo articolo nel Blog di Franco Barbero, ma non avevo voglia di leggerlo, cosa che mi ha obbligato a fare, condividendomelo nel mio spazio FB, il mio amico Giuseppe (o la moglie Irene?), probabilmente per il riferimento ad Arturo Paoli che c’è alla fine di questo lungo scritto, e i pochi che frequentano questo mio spazio, sanno della stima e dell’affetto che mi hanno legato e tutt’ora continuano a legarmi al caro Arturo, “giovanissimo” vegliardo che ha speso la sua vita per confermare a se stesso e mostrare agli altri, che il Messaggio Evangelico non è pia (!) consolazione davanti alle brutture del mondo, ma è impegno concreto per cambiarlo. Per la mia sensibilità non sono stato mai attratto nè da padre Pio, nè dalle apparizioni mariane, nè da veggenti sparsi qua e là, supposti portavoce della Volontà Superiore….Ripeto: questo è il mio sentire. Il mio carattere, e non solo esso,mi porta anche a stare lontano dalle grandi folle che ascoltano estasiate qualche oratore illuminato. Preferisco la riflessione personale e il dialogo interpersonale o in un piccolo gruppo.  Comunque, a differenza di come facevo negli anni giovanili e anche fino a qualche anno fa, non mi sento però di giudicare chi da questi aspetti della vita religiosa sono attratti e, da quel che dicono, traggono giovamento. Quando mi capita di parlare con qualcuno di loro, chiedo semplicemente se questa loro sensibilità di fede ha incidenza nella vita concreta, se si sentono motivati di più ad essere accoglienti verso gli altri, ad avere il coraggio della denuncia, a far prevalere sempre la giustizia, a smascherare i sepolcri imbiancati, a non scendere a compromessi con la loro coscienza, a far partecipi altri delle loro possibilità economiche…….. L’idea di esporre a Roma il corpo alla venerazione pubblica non mi ha entusiasmato granchè, ma nello stesso tempo non ho provato delusione nei confronti di Papa Francesco (a proposito, perchè Vigilante parla di un Francesco II?). Continuo a credere che questo Papa sta’ cercando di dare una svolta, e lo sta’ facendo nonostante i tanti che all’interno della stessa Chiesa lo stanno avversando, certi apertamente, la maggior parte ….facendo finta di applaudire. Non dubito che i fatti su padre Pio riportati da Antonio Vigilante siano veritieri, ma sicuramente ne fa una lettura personale, come del tutto personale e soggettivo è il suo giudizio sul vastissimo popolo dei credenti, dove convivono diverse (e a volte diversissime) realtà e sensibilità. In ogni caso, ho avuto lo stimolo per conoscere meglio la vita di Francesco Forgione, noto Padre Pio da Pietrelcina

Comunicare per crescere

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Comunicazione vera o cos’altro?

di Piero Murineddu

Le lettere di tal Francesco Manai di Bonorva, che saltuariamente vedo ospitate nelle pagine de La Nuova Sardegna, il più delle volte mi trovano d’accordo, e anche in questo caso, salvo alcuni passaggi, l’essenza del suo pensiero lo condivido. E’ innegabile che la comunicazione diretta (in “carne e ossa”, ma anche con espressioni, col gesticolare, col tono della voce, con l’atteggiamento di ascolto, vero o apparente che sia……) rimane sempre quella più completa e vera, ma anche le altre forme sono utili allo scopo, che è quello di condividere all’esterno il nostro mondo interiore.Dico utili, o almeno possono esserlo. L’importante è che l’interesse a comunicare ci sia ancora, sempre che non lo si voglia fare per esibire particolare eloquenza o capacità di elaborare dei concetti più o meno intelligenti. Se si crede ancora che io posso dare qualcosa agli altri e gli altri possono arricchirmi e aiutarmi a rivedere o correggere certe mie posizioni, la cosa può avere sicuramente valore.

Veniamo quindi alla lettera.
Ognuno è “solo” col suo computer, col suo cellulare….“. Indubbiamente nel momento non può essere che così, ma quel momento di “solitudine” potrebbe aiutare a riflettere e quindi a comunicare  meglio ciò che passa per la testa. Ho detto potrebbe, e lo sottolineo anche. Lo scrivere correttamente e in modo comprensibile, è segno di rispetto, per gli altri e principalmente per sè stessi. Giustamente ci si aspetta che anche l’interlocutore faccia altrettanto, ma non sempre i fatti corrispondono alle aspettative. Dico questo perchè oggi abbiamo a disposizione una fonte di informazioni e un mezzo di comunicazione fino a ieri inimmaginabile, qual’è lo web.  Sta’ a noi utilizzarlo al meglio.

Come già detto, nella comunicazione diretta, interpersonale o pubblica, vi sono tutti gli elementi perchè l’incontro tra persone sia più vero, per costruire insieme, certamente, ma anche per trasmettere il proprio pensiero davanti a chi ha giudizi diversi dal proprio.

Nel breve testo del Manai intravedo una nostalgia, un rimpianto per un qualcosa in cui ai nostri giorni è sempre più difficile imbattersi, specialmente nei nostri paesotti di provincia: assemblee dove la gente si riunisce, non tanto per ascoltare un oratore esperto in un qualsiasi campo, quanto per costruire ponti di dialogo. Per chi ha una sensibilità per l’aspetto “spirituale” dell’esistenza, momenti assembleari fissi sono rimasti soprattutto i riti religiosi, ma bisogna riconoscere che non sono proprio luoghi di interscambio dialettico, cosa che considero un’opportunità persa. Rimanendo in ambito “religioso”, nelle parrocchie non mancano incontri biblici, di preparazione al matrimonio o di altro genere, ma i partecipanti rimangono solo quelli strettamente interessati. Sarebbe non solo bello ma anche molto costruttivo e sicuramente edificante se anche nelle normali funzioni domenicali, a volte frequentate saltuariamente da persone “di passaggio”,  ci fosse uno spazio per lo scambio dialettico tra i presenti (per esempio, riflessioni condivise e impegni comuni….). E sarebbe anche un segno importante che la “fede” non è avulsa dal vissuto reale delle persone. Sarebbe prova concreta che certe adunanze sono momenti di vero incontro, e l’incontrarsi comporta il mettere in comune sentimenti, pensieri,parole, aspettative,atteggiamenti…….
Sui “segni positivi sul piano economico occupazionale” visti dal Manai, meglio lasciarli al giudizio dei troppi che continuano a sbattersi per arrivare alla fine del mese. Sicuramente, come anche da lui auspicato, il lavoro per recuperare  la sempre più sbiadita e afona identità culturale è più che mai urgente e necessario.

 

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TRE – Paura della morte

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Alberto Maggi ha visto la morte da vicino. Ma poiché, oltre che frate, raffinato teologo e religioso spesso accusato di “eresia”, è un uomo spiritoso, il titolo del libro che dà conto di quell’esperienza, uscito da poco per Garzanti, suona: Chi non muore si rivede.”Avevo appena ultimato un saggio sull’ultima beatitudine. La morte come pienezza di vita, ma sentivo che mancava qualcosa. Poi sono stato ricoverato d’urgenza per una dissezione dell’aorta: tre interventi devastanti, settantacinque giorni con un piede di qua e uno di là. È stato allora che ho capito cosa mi mancava: l’esperienza diretta e positiva del morire. E ho anche capito perché San Francesco la chiami sorella morte: perché la morte non è una nemica che ti toglie la vita, ma una sorella che ti introduce a quella nuova e definitiva.
Nei giorni in cui ero ricoverato nel reparto di terapia intensiva, con stupore mi sono accorto che le andavo incontro con curiosità, senza paura, con il sorriso sulle labbra. Oltretutto percepivo con nettezza la presenza fisica dei miei morti, di coloro che mi avevano preceduto e ora venivano a visitarmi… Chissà perché quando qualcuno muore gli si augura l’eterno riposo, come se si trattasse di una condanna all’ergastolo. Io penso invece che chi muore continua a essere parte attiva dell’azione creatrice del Padre”.

Fatto sta che oggi si persegue tutt’altro sogno, quello di una tendenziale immortalità garantita dalle biotecnologie.
“È una novità che mette in difficoltà anche la Chiesa, chiamata ad approfondire il senso del sacro. Perché se è sacra la vita dell’uomo, anche quando si riduce alla sopravvivenza di una pura massa biologica, allora è giusto procrastinare quella vita all’infinito, utilizzando tutti gli strumenti della scienza medica. Se invece ad essere sacro è l’uomo, bisognerà garantirgli una fine dignitosa… Io non capisco questa smania di accanirsi su un vecchio, portarlo in ospedale, intervenire a tutti i costi, anche in prossimità del capolinea. Si potrà prolungare la sua esistenza ancora per un po’, ma in compenso lo si sottrae alla condivisione familiare di quel passaggio decisivo rappresentato dalla morte.

Quante volte mi capita di venire chiamato in ospedale per l’estremo saluto e assistere alla seguente commedia. I parenti mi implorano: la prego, non gli dica niente. Crede di avere soltanto un’ulcera. E il morente, perfettamente consapevole del suo stato, a sua volta mi chiede di rassicurare i familiari perché non sono pronti alla sua dipartita. Quando io ero piccolo, il vero tabù era rappresentato dal sesso. Ora invece è la morte il tabù. È scomparsa qualunque dimestichezza con la pratica mortuaria, delegata alle pompe funebri, e gli annunci funebri escogitano ogni escamotage pur di non affrontare il punto: il tal dei tali si è spento, ci ha lasciati, è tornato alla casa del padre. Mai una volta che si scriva semplicemente: è morto”.

Per un credente questo passaggio dovrebbe essere reso più facile dalla credenza nella resurrezione dei morti.
“Io veramente credo alla resurrezione dei vivi. La resurrezione dei morti è un concetto giudaico. Ma già con i primi cristiani cambia tutto, come mostra San Paolo nelle sue lettere: “Noi che siamo già resuscitati”, “noi che sediamo nei cieli”. Gesù ci offre una vita capace di superare anche la morte. Ecco perché i primi evangelisti usano il termine greco zoe. Mentrebiosindica la vita biologica, che ha un inizio, uno sviluppo e, per quanto ci dispiaccia, un disfacimento finale, la vita interiore (zoe) ringiovaniscedi giorno in giorno. Da qui le parole folli e meravigliose del Cristo: chi crede in me, non morirà mai”.

E allora l’Apocalisse, il giudizio universale, la fine dei giorni?
“Gesù, polemizzando con i Sadducei, afferma che Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi. E non resuscita i morti, ma comunica ai vivi una qualità di vita che scavalca la morte stessa. Questa è la buona novella. Quando qualcuno muore e il prete dice ai parenti: un giorno il vostro caro risorgerà, questa parola non suona affatto come consolatoria, ma incrementa la disperazione. Quando risorgerà?, si chiedono. Tra un mese, un anno, un secolo? Ma alla sorella di Lazzaro, Gesù dice: io sono la resurrezione, non io sarò. E aggiunge: chi ha vissuto credendo in me, anche se muore continua a vivere. Gesù non ci ha liberati dalla paura della morte, ma dalla morte stessa”.

Non è una visione del cristianesimo un po’ troppo gioiosa, consolatoria?
“Tutta questa gioia però passa attraverso la croce, non ti viene regalata dall’alto. Quando stavo male, le persone pie  –  che sono sempre le più pericolose  –  mi dicevano: offri le tue sofferenze al Signore. Io non ho offerto a lui nessuna sofferenza, semmai era lui che mi diceva: accoglimi nella tua malattia. Era lui che scendeva verso di me per aiutami a superare i miei momenti di disperazione”.

Torniamo al nostro tema. Per un lunghissimo periodo il freno principale all’effrazione del limite era rappresentato proprio dal terrore di incorrere nel peccato di superbia, di credersi onnipotenti come Dio.
“Questo secondo l’immagine tradizionale della religione, che presuppone un Dio che punisce e castiga. Per scribi e farisei è sacra la Legge, per Gesù invece è sacro l’uomo. Per i primi il peccato era una trasgressione della Legge e un’offesa a Dio, per Gesù il peccato è ciò che offende l’uomo “.

Ecco che salta fuori Maggi l’eretico, che vede nella religione un ostacolo che si frappone alla vera fede.
“La religione ha inventato la paura di Dio per meglio dominare le persone e mantenere posizioni di potere acquisite. Per religione si intende tutto ciò che l’uomo fa per Dio, per fede tutto ciò che Dio fa per l’uomo. Con Gesù invece Dio è all’inizio e il traguardo finale è l’uomo. Per questo ogni volta che Gesù si trova in conflitto tra l’osservanza della legge divina e il bene dell’uomo, sceglie sempre la seconda. Al contrario dei sacerdoti. Facendo il bene dell’uomo, si è certi di fare il bene di Dio, mentre quante volte invece, pensando di fare il bene di Dio, si è fatto del male all’uomo”.

Se non è più il terrore di commettere peccato a fare da freno alla nostra hybris, cos’altro spinge un cristiano a riconoscere la bontà del limite?
“Il tuo bene è il mio limite. La mia libertà è infinita; nessuno può limitarla, neppure il Cristo, perché quella libertà è racchiusa nello scrigno della mia coscienza. Sono io a circoscriverla. Per il tuo bene, per la tua felicità. È così che l’apparente perdita diventa guadagno. Lo dicono bene i Vangeli: si possiede soltanto quello che si dà”.

Mi sbaglierò, ma è proprio la parola limite che non si attaglia al suo vocabolario.
“Preferisco il termine pienezza. La parola limite ha una connotazione claustrofobica. La pienezza mi invita a respirare. Ogni mattina che mi sveglio, io mi trovo di fronte all’immensità dell’amore di Dio e cerco di coglierne un frammento, per poi restituirlo al prossimo. A partire, certo, dal mio limite. San Paolo usa a riguardo una bellissima espressione: abbiamo a disposizione un tesoro inestimabile e lo conserviamo in vasi da quattro soldi. Questa è la nostra condizione: una ricchezza immensa, a fronte della nostra umana fragilità e debolezza. Che però non necessariamente è negativa. Perché sarà il mio limite a farmi comprendere anche il tuo. E di nuovo ecco la rivoluzione di Gesù. Nell’Antico Testamento il Signore dice: siate santi come io sono santo. Gesù invece non invita alla santità, dice: siate compassionevoli come il Padre è compassionevole. La santità allontana dagli uomini comuni, la compassione invece ci unisce”

(intervista apparsa su La Repubblica)

Attentati Parigi: la strage, il silenzio e lo sgomento

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di Andrea Scanzi

Silenzio. Finora non ho detto né scritto nulla sui fatti di Parigi. Me lo avete chiesto di continuo (grazie), ma ho preferito deliberatamente il silenzio. Karl Kraus, in quel capolavoro inaudito che è “Gli ultimi giorni dell’umanità”, notava con toni satirico-allucinati come la Prima guerra mondiale non avesse indotto l’umanità a riflettere di più. Al contrario: tutti avevano un’opinione e dovevano esternarla, generando un cicaleccio inutilmente assordante come la coda della deandreiana La domenica delle salme.

Provo quasi invidia per chi, un attimo dopo la strage, aveva già un parere. O addirittura una soluzione. Ovviamente era quasi tutta gente che non sa nulla, ma proprio nulla, di Abu Bakr al-Baghdadi, di sciiti e sunniti, delle mirabili analisi di Zack Beauchamp, della guerra civile in Siria e del suo sconfinamento in Iraq. La stessa rivalutazione (a casaccio) delle capacità “profetiche” di Oriana Fallaci è stata tanto colpevole quanto puerile. E neanche riesco, come lavacro della coscienza, a farmi bastare un avatar col tricolore francese. Beati voi: a me non riesce, non mi viene. So che siete sinceri e senz’altro sbaglio io. Come ha scritto qualcuno – mi pare si chiamassero Gaber e Luporini – mi volto indietro e quel che provo (e trovo) è questo: “Io cohttp://pieromurineddu.myblog.it/wp-admin/post-new.phpme uomo posso dire solo ciò che sento/ cioè solo l’immagine del grande smarrimento (..) Di fronte al terrorismo e a chi si uccide c’è solo lo sgomento”. A volte, prima di parlare, occorrerebbe stare zitti (questa arriva tardi, ma arriva).

I due poli. Il dibattito, soprattutto nell’immediato, non pareva contemplare qualcosa che fosse diverso dal pacifismo tout court, che fa tanto sinistra flowerpower peace and love, oppure dal rutto becero guerrafondaio di chi si compiace nel cavalcare gli istinti peggiori dell’uomo. Impossibile una via di mezzo: uno spazio serio di dibattito. Dire (da qui) che Hollandeha sbagliato a dichiarare

guerra è molto comodo, ma se la strage fosse accaduta in Italia avrei probabilmente voluto anch’io una reazione analoga. Quantomeno nell’immediato. E non sono certo un guerrafondaio. (Anche per questo, spesso, è meglio stare zitti. Studiare. Riflettere. Per non pentirsi di quello che si è appena detto).

L’odio e Bergonzoni. Allo stato attuale, dopo lo studio e la riflessione, le lacrime e lo smarrimento, il mio stato d’animo si attesta dalle parti del marito della donna uccisa al Bataclan. Era sua moglie, ma non per questo – così ha scritto – i terroristi avranno il suo odio. E’ una lettera bellissima, come lo è l’ennesimo guizzo di genio di Alessandro Bergonzoni, che stamani trasforma sul Fatto l’invocazione “O Dio Onnipotente credo in te” in un oltremodo misericordioso – e dunque utopico – “Odio onnipotente/ Non credo in te!/ ma non ti farò una guerra spietata”. Ieri ho goduto delle parole di Moni Ovadia a Ballarò quasi che fossero un balsamo per l’anima, e persino Salvini – quasi mai condivisibile ma certo non stupido – per una volta è stato zitto e ha incassato il colpo. Mi tornano, una volta di più, le parole di Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”. Per meglio dire: torniamo umani. O addirittura diventiamolo: una volta per tutte.

Sì, ma la guerra serve? Tutto questo però non è una risposta politica o strategica, ma emotiva: l’unica possibile, per noi che non abbiamo ruoli di governo. Difendere la propria umanità, ove ammesso che sia presente, dovrebbe essere il nostro orizzonte quotidiano. Poi però uno si chiede: la guerra servirebbe? In primo luogo siamo già in guerra. L’Occidente la fa da decenni in Medioriente, con risultati quasi sempre disastrosi. Un certo Tony Blair, professione “macellaio ilare della sinistra” (per questo piace a Renzi), con una decina di anni di ritardo ha ammesso che la guerra in Irak era sbagliata, e che proprio la guerra ha permesso allo Stato Islamico di germogliare. Tutto vero, ma ora cos’è cambiato? Semplice: adesso la guerra è alle nostre porte. E dunque ci interessa molto di più. Finora l’Europa era stata quasi sempre salvata, a parte Madrid e Londra più di dieci anni fa. Esprimere solidarietà agli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, era facile da lontano. Con la mattanza di Charlie Hebdo è cambiato tutto. E ora che il Giubileo sta per cominciare, scopriamo di colpo quanto la nostra vita sia smisuratamente labile.

Crozza Paradox. Ieri Maurizio Crozza ha coraggiosamente sottolineato come tanti italiani si riempiano la bocca (e la bacheca) di slogan tipo “Je suis Paris”, ma poi non glie n’è mai fregato nulla delle morti lontane. Insomma: ipocrisia. Pensate ai curdi: vengono massacrati da decenni, ma non mi risultano fiaccolate nostrane. Di curdi e peshmerga si parla solo adesso perché ora all’Occidente d’improvviso fanno comodo, visto che in Iraq e Siria gli “stivali sul terreno” ce li mettono loro (e stanno” “dalla nostra parte”). Crozza ha ragione, ma è sempre stato così: i morti non sono tutti uguali. Non solo perché alcune morti sono salvifiche (esempio: Hitler) ma anche perché il morto più vicino è più morto degli altri. Perché? Perché il morto vicino ci ricorda la nostra morte. Spesso, più che compassione, la nostra è egoistica – ma umanissima – paura di morire.

E’ colpa dell’Occidente”. Certo che lo è, ma dirlo non aiuta a risolvere il problema. Non del tutto. Saddam Hussein, per lungo tempo, agli Stati Uniti ha fatto comodo. La Francia è intervenuta in Siria contro il despotismo di Assad, finendo però col fare il gioco dell’Isis (e dando addirittura ragione a Putin, che infatti adesso in Francia – e non solo – è tornato di moda). Anche l’Italia resta equivoca: che rapporti ha Renzi con gli emiri, che ha riverito anche di recente in alcuni dei suoi viaggi tragicomici? Ed è proprio necessario vendere altri caccia Eurofighter al Kuwait per 8 miliardi con la compartecipazione di Governo e Alenia (cioè gruppo Finmeccanica), con la scusa che “il Kuwait è nostro alleato e pure moderato”? Esaurite l’analisi e l’autoanalisi atte a individuare il colpevole, resta il problema di fondo: che fare concretamente? Bombardare? Non reagire? Azzerare i finanziamenti (a chi? All’Isis, che i soldi se li procaccia benissimo già da solo col suo autogoverno)? Oppure, come sento ripetere ovunque come un mantra, “Operare con un’attenta intelligence?” (che vuol dire, di grazia?). Io non ho soluzioni, ma mi fanno un po’ sorridere quelli che alla mattanza reagiscono prendendosela con Belpietro (che resta Belpietro: lo scoprite adesso?) o invocando la misericordia. E’ un atteggiamento che va certo perseguito come esseri umani, ma se foste governanti cosa fareste? Vale anche per i 5 Stelle, che hanno avuto il merito di attendere prima di dare una risposta – per il frastuono inutile bastavano Fiano e Luttwak – ma che hanno poi dato risposte eticamente accettabilissime ma concretamente fumose.

E l’Italia che farà? Neanche l’Italia lo sa ancora. E’ ovvio che, appellandosi all’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona, la Francia non chiede all’Europa soltanto “un appoggio morale”, come tartagliava un po’ pateticamente ieri il rutilante Gentiloni a Otto e mezzo (mamma mia, in che mani siamo). La Francia ci chiede di intervenire militarmente. Magari non con nuove milizie a terra, ma verosimilmente intensificando le attività aeree e di informazione. Al momento la Francia è parsa comprensibilmente confusa e drammaticamente impreparata sul fronte dell’intelligence, ambito – per quanto possa sembrare assurdo – in cui invece l’Italia sa eccellere.

Purtroppo siamo abituati a fronteggiare terrorismo e malavita organizzata. E questo ci ha tenuto allenati. Gli stessi Servizi Segreti, quando non deviati, non sono privi di eccellenza. Resta però il quesito dirimente: che fare concretamente? Renzi è un politico imbarazzante quando si occupa di politica interna, di questione morale, di economia. E ha pure una “classe dirigente” che fa quasi sempre pena. E’ un disastro e si sa. In questi giorni, almeno per ora, sta però usando toni equilibrati e ponderati. Ha giustamente tirato per le orecchie il ministro Pinotti (sì, la Pinotti è un ministro), che aveva straparlato di bombardamenti, e lui stesso sarà terrorizzato all’idea di dipendere da Gentiloni. E’ una fortuna – se non altro – che oggi al governo non ci sia un premier guerrafondaio (Berlusconi, Salvini). Renzi sta prendendo comprensibilmente tempo. Forse perché è sgomento pure lui, forse perché un intervento armato non sarebbe elettoralmente redditizio. Non è dato sapere. Ma è già qualcosa.

Il santanchismo. Gli attentati parigini, pensati e commessi – giova ricordarlo – da terroristi ritenuti “troppo eccessivi” persino da Al Qaeda, hanno ovviamente ringalluzzito le carampane querule dell’ignoranza. Sono in servizio permanente in tivù, possibilmente da shampiste fraintese per giornaliste. Straparlano genericamente di musulmani, dimenticando per esempio che l’uomo che ha evitato la strage allo Stade de France era musulmano. O che il 95% delle vittime del sedicente Stato Islamico è a sua volta islamico. Di fronte alle tragedie e alle paure, gli avvoltoi dell’odio sono i primi a volare. Per questo sarà dura non cedere alla rabbia e all’odio. Ma occorre provarci. Anzi riuscirci.

P.S. Qualche caso umano, che non cito perché “se gli sputo li profumo”, ha colto l’occasione in questi giorni per spalare merda su Emergency. E’ gente così repellente, intendo non solo fisicamente, che perfino la repellenza si vergogna di albergare in loro. Io, per quel che vale, trovo che essere connazionale di Gino Strada sia una cosa bellissima. E ne vado fiero.