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INTELLIGENTE SOLIDARIETA’

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di Piero Murineddu

Fino a qualche tempo fa, pensavamo e forse speravamo  che la Sardegna non venisse toccata dai continui arrivi di profughi migranti provenienti da condizioni invivibili nei loro Paesi. Una volta invece arrivati, il Capo di sopra (Sardegna settentrionale) pensava e forse sperava che fosse un problema che dovessero affrontare solo quelli del Capo di sotto (Sardegna meridionale). E no, così proprio non  è stato e continua a non essere, purtroppo per molti sardi “nordici”. Il Prefetto di Sassari Mulas, da poco sostituito, stava dimostrando molto equilibrato decisionismo, e anche chi ha preso ora il suo posto stà continuando necessariamente su questa scia. Ancora qualche sindaco continua coi suoi ” si, va bè,ma…”, ma la tendenza è che ai profughi bisogna, è doveroso dare ospitalità  nel miglior modo possibile. Oltre tirreno e in altre altitudini, i soliti ex appartenenti all’ormai vecchia filosofia del celodurismo – in realtà afflosciati (forse) irrimediabilmente nel senso umanitario, almeno i loro capi – continuano ad essere quelli che sono (evito definizioni che sarebbero troppo forti), arrivando addirittura a voler occupare le Prefetture per imporre il loro credo ai rappresentanti del Governo ( “rom e immigrati fora da i ball, a prescindere….”). Grazie a Dio da noi in Sardegna, probabilmente perchè abituati a patire le altrui prepotenze, ancora abbiamo conservato una buona scorta di umana solidarietà, e ai profughi che quasi giornalmente arrivano, si riesce ancora a dar loro un’adeguata sistemazione, seppur provvisoria.

 

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Questi “fuggitivi” che arrivano sono persone come noi, con sentimenti e necessità più o meno simili alle nostre. Provengono da mesi, settimane, giorni e ore di patimenti e soprusi di ogni genere, ecco perchè è possibile anche qualche loro comprensibile protesta, e la cosa non deve meravigliare più di tanto. Certo è che questo volersene lavare le mani da parte di vari Paesi europei lascia parecchio perplessi, oltre che vedere allontanarsi sempre più quegli  effettivi Stati Uniti d’Europa. Se non si condividono gli oneri, che caspita di condivisione è?

Tornando a noi italiani e sardi in modo particolare,  non tutti ancora si è accettata questa nuova situazione d’emergenza, per cui, invece di gioire quando le popolazioni che accolgono aiutano questi profughi ad inserirsi dando loro aiuto e solidarietà, qualcuno continua desolatamente a brontolare. Diversi giorni fa è apparsa la notizia che qualcuno dei profughi ospitati a Lu Bagnu, nei pressi di Castelsardo, si è addirittura (addirittura!!) fidanzato con qualche ragazza del posto. Ho sentito qualche commento, tipo : “Abà pratendini vinze di cuiuassi inogga chisthi nieddhi!(Ora pretendono anche di sposarsi ( con le nostre donne) questi neri)Appunto, come dicevo: si ha difficoltà a considerare questa massa enorme di profughi persone a tutti gli effetti, ma ho  tuttavia fiducia che lo sbigottimento sia passeggero, e che il buon senso e la ragionevolezza alfine prevalgano. Stiamo venendo a sapere che qualche sindaco delle nostre parti (no, di Sorso e Sennori no: loro tacciono desolatamente) si stanno attivando concretamente perchè queste nuove presenze  vengano trasformate  da problema da “grattare” a risorsa da valorizzare, non assistendoli solo ma valorizzandone le capacità. L’intervista che segue, che  invito a leggere, focalizza l’attenzione sulle campagne sarde in abbandono, per esempio. Qualcuno si allarma e fa allarmare il suo uditorio, dicendo che così facendo, ruberebbero il lavoro ai residenti. Insomma, la solita infondata e persistente posizione di chi del prossimo in difficoltà non gl’interessa granchè. Comunque, è meglio ribadire ancora una volta che finora, generalmente gli immigrati hanno fatto i lavori rifiutati dagli italiani, e di solito, dagli italiani sono sfruttati e sottopagati. In questo frangente particolare, si potrebbero fare delle convenzioni per valorizzarne le vere capacità, come dicevo prima. Di sicuro non ruberebbero il lavoro e le case a nessuno, ma la loro rispettata presenza potrebbe veramente arricchirci in tutti i sensi. Si tratta di allargare le nostre vedute e finirla di essere aggressivi  a causa delle tante paure che ci portiamo dietro.  Non lasciamoci perdere questa occasione per crescere, ciascuno per quello che può.

 

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“Potremo dare risposte adeguate solo affrontando l’emergenza in tutta la sua complessità”

Intervista di Pier Giorgio Pinna a Efisio Arbau

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“Tutti devono fare la loro parte per aiutare i profughi”

Efisio Arbau crede nel coordinamento tra Ue, Italia, Regioni, Comuni. E respinge con forza l’idea di una divisione nord-sud della questione migranti. «Potremo dare risposte adeguate solo affrontando l’emergenza in tutta la sua complessità», spiega il consigliere comunale. Nei giorni scorsi ritornato sindaco di Ollollai, l’avvocato-pastore non ha dubbi sui doveri di solidarietà. Di recente balzato in primo piano per la proposta di consentire la vendita a 1 euro simbolico degli immobili abbandonati per favorire il ripopolamento delle zone interne, Arbau vede un domani gli immigrati come possibili co-protagonisti del rilancio di agricoltura e pastorizia. «Ma per il momento non mescolerei i due piani dell’assistenza immediata agli esuli e degli interventi per utilizzare al meglio case e terreni lasciati in uno stato di degrado», puntualizza.

Perché è indispensabile un’azione congiunta in favore dei migranti?

«Nessuno può permettersi di voltare la faccia da un’altra parte di fronte a una catastrofe umanitaria di queste proporzioni. Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo, ciascuno nel proprio ruolo, e perciò mi sento di accogliere l’appello del prefetto di Sassari: i sindaci possono dare una mano per indicare sedi destinate all’ospitalità nei diversi territori».

Come mai pensa che in futuro tanti immigrati possano contribuire al rilancio delle campagne sarde?

«Perché vedo che molti di loro già oggi fanno gli allevatori e i contadini nell’isola. E tanti sono competenti, preparati. Così com’è evidente che la manodopera può rivelarsi un aiuto per la ripresa dell’agro-zootecnia. Naturalmente, oggi come domani, è indispensabile il rispetto delle regole: non è pensabile che siano i Comuni a farsi carico anche di queste difficoltà».

Non tutti però la pensano così: i leghisti, per esempio…

«Beh, lo ripeto: la linea di Maroni si commenta da sé. Né lui né Salvini esprimono posizioni responsabili. In questo momento non li vedo neppure come interlocutori seri. Sfruttano la questione semplicemente per scopi elettoralistici, magari sperando di guadagnare uno 0,5% in più alle prossime votazioni. Tra i leghisti salverei solo Tosi, che almeno si è preoccupato di dare un tetto agli esuli».

Che cosa pensa della possibilità che ogni Paese europeo si faccia carico di una quota di migranti?

«Ritengo sia l’ipotesi più sensata da seguire: Grecia e Italia non possono essere lasciate sole. Finalmente sembra che adesso anche a Bruxelles siano arrivati a queste conclusioni, nonostante per spingere la Ue a questa scelta ci sia voluta l’ennesima strage in mare».

 

(La Nuova del 10 giugno 2015)

Medjugorie e la “pace coniugale”

L’importante è raggiungere lo scopo?

di Piero Murineddu

 

“Il regno di Dio  è come un granellino di sènapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra ” (Gesù detto il Cristo)

 

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Come vedete, la citazione è di uno che ha vissuto parecchio tempo fa è che è morto relativamente giovane. Morto ammazzato. E per cosa? Perchè il suo predicare e specialmente il suo modo di vivere dava fastidio, molto fastidio, alle gerarchie ebraiche del tempo. Ma non fraintendetemi e non pensate troppo sbrigativamente ad un parallelo col probabile non riconoscimento dei fatti di Medjugorie da parte delle gerarchie vaticane. No, non è questo. Seguitemi.

Stamattina sono stato alla Messa presieduta dal mio amico ultra ottentenne don Tonino Sanna a Porthudorra. Come indicata dal Vangelo del giorno, da cui ho stralciato la citazione iniziale,la sua predicazione è stata proprio a riguardo di questo misterioso “Regno di Dio”.  Il prete musicista ha messo in evidenza che solitamente,  questo semino che genera una “grande” pianta, ci fa pensare ad un albero alto, grosso e frondoso, una specie di baobab che emerge nel bel mezzo di una grande foresta. Niente di tutto questo. Siamo completamente fuori strada, in quanto la senape è una pianta di orto. Bella sviluppata, ma sempre una pianta d’orto. Conclusione? Oltre che immaginarcelo dopo la morte, questo benedetto Regno di Dio pensiamo che sia la realizzazione di grandi strutture ecclesiali, di consenso generalizzato alle cose di “Chiesa”, di masse enormi di fedeli oranti e osannanti, di eventi straordinari che provocano conversioni immediate. No, dice il caro don Tonino. A parte che la senape si distingue giusto nello spazio limitato di un orticello, e poi bisogna pensare ad un “Regno” che inizia a costruirsi da subito, nelle piccole cose scelte quotidianamente, quando mi sforzo di volere il bene del mio vicino oltre che al mio, quando fatico ad accogliere invece che respingere, e via discorrendo. Una “fede” vissuta nel piccolo e non rincorrendo per forza ( e stressatamente) lo straordinario, quei grandi “segni  che mi confermerebbero che…”.

Da qui il collegamento con l’articolo  che segue queste mie poche considerazioni, con le quali, e spero qualcuno l’abbia inteso, ho ammesso che a me le GRAAAAAAAAAAAndi celebrazioni e gli straordinari  eventi non mi attirano granché. Anzi. Semplice questione di gusti, o meglio, di sensibilità. Ferdinando Camon conclude la sua interessante analisi facendo l’esempio del marito violento e ubriacone, che tornato da Medjugorie, è diventato astemio e non ha più maltrattato la povera moglie. Come dire: male non fa, per cui……

 

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di Ferdinando Camon

Tutti dicono che il papa pensa a Medjugorie, ma probabilmente non è il solo santuario che prende di mira. Poiché anche dalle nostre città partono pellegrini (e sono molti) che vanno a visitare questi luoghi sacri, e probabilmente anche tra quelli che leggono questo articolo ci sarà qualcuno che c’è andato o è amico di qualcuno che c’è andato, parliamone.

Per dire poche cose:

1) non sono luoghi maléfici, chi ci va non torna peggiore, ma semmai migliore;

2) la Chiesa non li ha mai istituiti, ma semmai, con ritardi e pensamenti vari, si è limitata a non disconoscerli, senza imporli;

3) quindi chi ci crede è libero di crederci, e chi non ci crede è libero di non crederci;

4) l’umanità ne ha bisogno, è l’umanità che li crea e li mantiene;

5) che il papa ci vada cauto non significa che spariranno;

6) hanno a che fare col mistero e col miracolo, e l’umanità ha bisogno di misteri e di miracoli;

7) i visitatori sono malati o accompagnano malati inguaribili, e le malattie inguaribili sono il terreno della disperazione, del delirio, delle apparizioni e dei miracoli.

 

Ci sono veggenti che vivono in concordanza con la visione che hanno avuto, o che dicono di aver avuto. Riferiscono i messaggi che l’apparizione gli ha comunicato, e vivono seguendo quei messaggi. Spesso si ritirano dal mondo, entrano in qualche ordine, pronunciano i voti, e li rispettano. Più impegnativo di tutti, il voto della povertà. Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes, ha fatto così. La veggente di Fatima, custode del terzo segreto, ha fatto così. Ma i veggenti di Medjugorie sono sei, adesso son grandicelli, molti si son dispersi par il mondo, uno vive in America, ha le visioni anche là, e per non perdere tempo ha sposato la Miss del Massachusetts. Non dico che sposare una reginetta di bellezza sia incompatibile col vedere la Madonna. Ma dico che la strada che fa incontrare, e mettere insieme, un uomo ricchetto nel fiore degli anni, e la vincitrice di un concorso di bellezza, è (o dovrebb’essere) diversa dalla strada che porta a un incontro tra quell’uomo e la madre del Figlio di Dio. Anzi, mettiamoci anche il Figlio stesso, perché quest’uomo racconta che, sotto Natale, la Madonna va a trovarlo col Figlio e col marito, san Giuseppe. Qui non è più un pover’uomo del villaggio di Medjugorie che incontra la Madonna. Qui è la Madonna che, dall’alto dei cieli, va in America a trovare il marito di Miss Massachusetts.
Non so se alcuni miei lettori sono stati in Messico. Io più volte. Giri per le strade e incontri farmacie. Nelle vetrine sono esposte medicine, cartelli, pubblicità, foto. Tu vedi farmaci contro il cancro, i calcoli al fegato, la prostata ingrossata. Ma vedi anche, tra un farmaco e l’altro, dipinti della Madonna col Bambin Gesù, o Gesù col Sacro Cuore. Cosa sono? Sono farmaci, anche quelli. Se tu hai una malattia, puoi comprare il farmaco adatto, ma anche un’immagine sacra, quella che s’è mostrata efficace contro quella malattia. È cultura, e non è detto che non abbia una sua efficacia. Un centravanti argentino o catalano, prima di tirare un calcio di rigore, si fa il segno della croce. Io dico sempre, dentro di me: “Ma cosa ti fai il  segno della croce, scemo, stai giocando contro la Juve, che è una squadra italiana, se il tuo Dio esiste e segue la partita, farà il tifo per l’Italia, no?, visto che qui ci ha pure il Vaticano”. Poi però quello tira e segna. Ora, non credo che abbia fatto gol per quel segno della croce, è probabile però che, se avesse trascurato di farsi il segno della croce, non avrebbe segnato. Sarebbe un pessimo allenatore uno che proibisse ai suoi giocatori di farsi il segno della croce, prima di tirare. Conosco un uomo qui vicino a me, che beveva e picchiava la moglie. È stato a Medjugorie. Non beve più e non picchia nessuno. Ha fatto bene ad andarci? Benissimo! Doveva andarci prima.

Il Piave mormorava: è un’inutile strage. Celebrare significa imbellettare il male

guerra

di Cettina Centonze

 

Da quando sono cittadina di San Donà di Piave – quarant’anni- sono abituata a passeggiare nel parco fluviale o a frequentarlo in occasione dei pic nic con la mia famiglia. La familiarità con il fiume mi ha fatto presto dimenticare che mi trovavo sulle rive del “fiume sacro alla Patria” come recita la targa posta sul ponte all’ingresso di San Donà. Conoscevo, certamente, la canzone del Piave, le battaglie combattute sulle rive: le insegnavo persino! Tuttavia stentavo a riconoscere nel “mio” Piave, quell’altro di cui parlavano le pagine di storia, come se il fiume con il suo placido corso, con la foce che immetteva sulle spiagge dei vacanzieri, la bellezza del parco naturale rigoglioso di vegetazione appartenessero ad una realtà mite, amabile, luminosa e che l’altro, quello delle battaglie e dei morti, esistesse soltanto sui libri e, quindi, in un epos lontano che riguardava tempi in cui l’umanità praticava ancora lo sport della guerra. Quest’anno, però, in occasione delle celebrazioni per la prima guerra mondiale e delle molteplici iniziative che, per ovvie ragioni, si sono tenute qui a San Donà, ecco che le due immagini del fiume si sono fuse nella mia mente. La bella immagine del “mio” placido Piave veniva intaccata da quell’altra che rimandava alla violenza e alla morte e da subito l’idea della celebrazione mi ha disturbata. Come si può celebrare una guerra e quella poi? La si celebra perché l’Italia vinse annettendosi le terre irredente? E cosa c’è di interessante nelle mostre delle armi utilizzate, anzi inventate o perfezionate per tale guerra, come fossero mostre di giocattoli e non esemplificazioni dell’ingegno umano volto a distruggere? E celebrare una guerra non significa, quindi, giustificare tutte le successive e gli attuali conflitti e quindi altra morte, violenza, “danni collaterali”?

 

Queste considerazioni hanno risvegliato un ricordo: molti anni fa, quando ancora credevo di restare nel Veneto per poco tempo e lo visitavo con spirito di turista e non di abitante, ci eravamo recati all’ossario di Oslava, località vicina a Gorizia. Mi è tornata in mente la sua imponenza, secondo i canoni dell’architettura fascista che la progettò: un torrione massiccio dalla pianta circolare che conserva i loculi di ventimila caduti identificati e trentasettemila non identificati. Cominciai a scorrere i nomi dei caduti cercando cognomi famigliari ed in quella ricerca procedevo scendendo i vari piani fino alla cripta dove arde una fiamma perenne. Seguendo l’andamento circolare delle pareti finii con il perdere l’orientamento e non fu facile risalire dalla cripta perché non capivo da quale parte procedere per trovare la scalinata più vicina. Mi sentivo prigioniera di un labirinto come d’altra parte la guerra stessa è un labirinto in cui cause ed interessi, torti e ragioni, paci e compromessi si intrecciano in maniera sospetta: il mio malessere faceva tutt’uno con la pena di quei nomi e di quelle vite giovanissime, venute a morire da ogni parte d’Italia; i loro sogni e progetti si affollavano attorno a me assieme al senso di colpa per l’insensatezza di ogni guerra e per i cento anni trascorsi da allora in cui ben poco è cambiato nella mente perversa di chi detiene il potere in ogni angolo del mondo. Tornavano alla mente le scene di documentari che mostravano i fanti che venivano drogati perché trovassero la forza di andare a morire e assieme a loro un brano tratto del romanzo di Piero Jaier “Con me e con gli alpini” “Il soldato Somacal Luigi da Castion – recluta dell’‘84, 3ª categoria – era stato cretino dalla nascita e manovale fino alla chiamata. Cretino vuol dir trascurato da piccolo, denutrito, inselvatichito. Manovale vuol dir servo operaio, mestiere sprezzato. Il suo lavoro consisteva in nulla essere, tutto fare. Ne porta i segni il corpo presentato alla visita militare. Somacal ha offerto alla patria un fardello di ossa tribolate in posizione di manovale. Sporge in fuori l’osso dell’anca che aiuta a camminar sciancati quando si deve equilibrare la secchia di calcina; gli ingranaggi dei suoi ginocchi pesanti gonfi di nocciolini reumatici empiono i pantaloni; il suo busto è una groppa che aspetta in eterno di ricevere pesi; la testa si rannicchia fra le spalle come cosa ingombrante, perché un uomo che porta, la testa gli dà noia; le sue mani di corame chiaro stringono sempre il badile; lo sguardo cerca terra: per non inciampare. Questa è la posizione del manovale in cui Somacal si è presentato.” Ero in preda ad una tenerezza materna, un desiderio di accarezzare e consolare, di mettere riparo e cancellare tante pene. Non ricordo nemmeno come ritrovai l’uscita. Rifiuto, perciò, la celebrazione della grande guerra: le celebrazioni sono inventate dai vati la cui rappresentazione del mondo è frutto di miti e fantasie eroiche o dai lacchè dei regimi che imbellettano qualsiasi turpitudine funzionale al potere di cui sono piazzisti; la confezionano secondo le regole della retorica e la impongono come verità condivisa a cui non occorrono dimostrazioni. Amare considerazioni che mi sono tenute per me perché essere sempre fuori dal coro è anche questa una croce. Fortuna che la parte più lucida di me mi ha suggerito che lo scoramento ed il dubbio a cui conduce la solitudine è il risultato delle grandi manovre della fabbrica del consenso. Se durante i totalitarismi del primo novecento il singolo superava tale condizione nelle adunate oceaniche, nel culto del capo ed in altre liturgie; le pseudo democrazie dei nostri giorni ed il totalitarismo del pensiero unico utilizzano il martellamento delle masse per persuaderle che ciò che pensa o fa la maggioranza è giusto e condivisibile. Come in soccorso, accanto alla mia voce insignificante, si sono levate ben altre voci: quella di don Tonio Dell’Olio che sulle pagine di “Mosaico di Pace” scrive: “Una giornata di lutto nazionale avrebbe aiutato una presa di coscienza molto più netta e precisa sul primo conflitto mondiale.” E ancora più forti le parole pronunciate da papa Francesco in occasione della celebrazione della Messa presso il sacrario di Re di Puglia il 13 settembre 2014: “La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare attraverso la distruzione.” Concetto ripreso qualche giorno fa dal papa che ha affermato che non ci può essere pace perché i potenti si arricchiscono con la guerra. E ancora l’eco del grido del vescovo di Molfetta quando, nel 1986 nell’Arena, gridò: “in piedi costruttori di pace!” grido ripreso da Alex Zanotelli un anno fa. Certamente don Tonino Bello è morto troppo presto per sapere che l’uomo ha inventato anche la guerra preventiva; che personalità insignite del premio Nobel per la Pace continuano a spendersi e a spendere per le guerre. Beato don Tonino che non ha fatto in tempo a sapere a quale punto di capziosità il potere può giungere pur di giustificare la guerra ed ogni forma di ingiustizia che, poi, non è altro che una forma di violenza! Ad aiutare la mia pochezza mi è giunta la comunicazione del gruppo “Noi siamo chiesa” Di cui faccio parte. Vittorio Bellavite, il responsabile della sezione italiana del gruppo, ha organizzato vari incontri tenutisi a Milano: martedì 26 maggio quello sui “no alla Grande Guerra”; di venerdì 5 giugno per parlare dei NO alle guerre di oggi. E a questo proposito riporta le conclusioni di una fondamentale conferenza dell’ONU sul Trattato di non proliferazione nucleare che è stata colpevolmente ignorata dalla stampa e di cui siamo a conoscenza attraverso il reportage inviato da Lisa Clark. Lo scoraggiamento ha quindi lasciato posto alla speranza che sempre il cristiano deve rinfocolare; la speranza cristiana che dà un volto umano al suo dissentire dai luoghi comuni e dalle celebrazioni aberranti; anima le nostre azioni non violente. Ancora una volta:  

                       “In piedi, costruttori di pace!

 

 

Articolo tratto da CDB INFORMA – Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri – giugno 2015

 

 

Il “41bis” al carcere di Bancali

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di don Gaetano Galia

Uno vorrebbe stare zitto, fare il bravo sacerdote, che sorride a tutti, buonista…. sì però certe volte non si può! In riferimento alle posizioni sul 41bis al Carcere di Bancali, a Sassari, credo che come Cappellano abbia diritto anche io ad esprimere un’ opinione. Sono state dette tante cose: Sardegna Cayenna d’Italia, pericolo d’infiltrazioni mafiose, arrivo delle cosche a Sassari.
Alcune considerazioni.

Ma tutti quelli che oggi urlano scandalizzati, dov’erano negli anni 2000 quando i vari governi di destra e di sinistra, finanziavano le nuove strutture carcerarie in Sardegna? Ho sentito con le mie orecchie, politici di destra e di sinistra, vantarsi di essere stati i “promotori di tali finanziamenti”, anche perché sarebbero arrivati in Sardegna una “vagonata di milioni di euro e migliaia di posti di lavoro”. Forse in quel periodo non c’era la lungimiranza di cogliere che la costruzione di nuove carceri, riguardava anche le strutture dei 41 bis! E allora perché oggi si grida tanto allo scandalo? Che simpatici quelli che cavalcano col senno di poi le disfatte: il petrolchimico in Sardegna, “lo dicevo io…..”.Non sopporto, inoltre, la mentalità vittimistica di chi deve sempre dire che ce l’hanno con i sardi. Fischiano un fallo contro la Dinamo e ci vogliono far fuori, danno un rigore contro il Cagliari e non ci vogliono in serie A. E basta!! Il presidente Sardara ci ha dimostrato, che dove c’è professionalità, competenza, programmazione, e passione, si può andare lontano anche contro corazzate come Milano. Dico questo perché non accetto che se carceri come L’Aquila, Ascoli, Mi lano, Reggio Calabria, Parma, Spoleto, Terni, Viterbo, Cuneo hanno i 41 bis, perché noi sardi a priori dobbiamo rifiutare questi inserimenti? Ma siamo un popolo inferiore, ci manca qualcosa? Non penso proprio.Le infiltrazioni mafiose, poi,non possono avverarsi con un colloquio al mese, fatto da un solo familiare che può entrare per fare visita. Che interesse può avere una famiglia ad abitare definitivamente in un posto per un colloquio al mese?Ma sotto questo allarmismo denoto un altro aspetto negativo: si fa passare un messaggio di debolezza della Nazione: lo Stato non deve mostrare paura nei confronti della mafia, la deve combattere, fronteggiare, deve dare ai giovani, al cittadino, la sensazione che le forze dell’ordine sono più forti delle nostre paure, che è normale che ci siano, come diceva Falcone, ma mai devono essere mostrate in maniera così
evidente. Lo Stato, la Sardegna non hanno paura della mafia e come tutte le altre regioni si organizzano di conseguenza, ma non retrocedono di un millimetro di fronte a questa forma di devianza.
La mafia, inoltre, non si combatte evitando i mafiosi detenuti, ma la si combatte con la prevenzione e la promozione di competenze sociali e di valori, nelle scuole e nelle parrocchie, nelle squadre di calcio e nelle associazioni, attivando percorsi di legalità, di onestà, di cittadinanza attiva, evitando quelle piccole raccomandazioni che tutti facciamo, dando la speranza ai nostri figli che il più bravo, il più competente, il più serio arriverà’ , non il più raccomandato.
Come possiamo vedere il percorso è lungo. Ma non per questo, noi uomini di Chiesa e uomini di Stato possiamo abbassare la guardia. Mai, per motivi politici, populisti, demagogici possiamo far passare l’idea che non c’è speranza. Sarebbe uccidere, una seconda volta, le forze dell’ordine, i magistrati, i sacerdoti, i giornalisti, gli imprenditori, gli umili cittadini che hanno dato la vita per questi ideali. E questo sarebbe un omicidio ancora peggiore, perché fatto dalle istituzioni!

 

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Alcune considerazioni e una proposta

di Piero Murineddu

Vittimismo dei sardi? In un certo qual senso è vero, ma è vero anche che spesso siamo realmente vittime di soprusi e di decisioni imposte. Vogliamo parlare delle scorie radioattive che incombono minacciose? Oppure di quando a suo tempo la Sardegna era stata scelta per installare a dismisura basi della Nato (con testate atomiche e compagnia belligerante di cui il popolino ne sapeva ben poco), poligoni di tiro e addestramenti vari alla guerra, duranti i quali la vita normale della gente (pescatori, pastori….) veniva e viene ancora pesantemente condizionata? Oppure, ma questo diversi anni addietro, quando i carabinieri e impiegati pubblici erano terrorizzati all’idea di venir “sbattuti” in Sardegna per punizione?

Basta così con gli esempi. E’ certo che i politici che nel tempo si sono succeduti hanno contribuito non poco  a questo poco rispetto nei confronti di quest’isola (dove i trasporti son quelli che sono, il tasso di disoccupazione non ne parliamo, i servizi pubblici oioia…..).

Ma torniamo al punto del salesiano Gaetano, che non può sempre  “stare zitto, fare il bravo sacerdote, sorridere a tutti, essere buonista…”(grazie a Dio!). Come altre carceri italiane, perchè Bancali non dovrebbe ospitare i mafiosi e super criminali? E infatti: perchè? D’altronde, quando si è deciso di costruire quel gigantesco mostro edilizio a Bancali, e dal momento  che il 41bis (carcere duro) è previsto dalle nostre leggi, si poteva e si doveva anche prevedere che lor malavitosoni sarebbero prima o poi arrivati. Anch’io sono d’accordo che spesso si fa dell’allarmismo infondato (e il quotidiano locale, specialmente coi suoi titoloni che non sempre rispecchiano il contenuto degli articoli, contribuisce eccome) che si parli appunto dell’arrivo dei mafiosi, di fatti riguardanti i Rom e di altro ancora.Ma comunque, sono d’accordo su molti passaggi fatti dal don. Piuttosto, è a lui che vorrei porre una questioncella.

Sicuramente la maggior parte della gente non si è dovuta mai recare dove si trova il carcerone che ha sostituito “San Sebastiano”. Ho gia detto che è una cosa enorme, oltre che brutta ed impressionante a  vedersi. A questo si aggiunge l’esterno, come appare al visitatore o al nuovo ospite non pagante: decine, decine e ancora decine di parcheggi il più delle volte vuoti e con aiuole completamente lasciate a sé, senza un minimo di ombra.Tutto assolato e desolante. Oltre il perimetro carcerario, la situazione non migliora: erbacce a non fìnire e di alberi….nemmeno l’ombra. Se sbirci internamente tra le grosse cancellate, anche lì vedi aiolone tristi e secche. In questi giorni vengo a sapere di orti sociali, nati anche con la collaborazione di detenuti: possibile che anche a Bancali non si possa fare altrettanto? Chi stà espiando pene potrebbe sentirsi utile e vivo, consumando anche i prodotti da lui stesso seminati e curati. La noia, lo sappiamo, genera vizi e malumori a non finire, e non credo che la giornata del carcerato sia molto varia e attiva. Don Gaeta’, non so se ci ha mai pensato e ci abbia già  provato, ma la sua “influenza” agli occhi del Dirigente o di altre autorità, non potrebbe riuscire ad ottenere qualcosa in questo senso? Magari, nel prossimo futuro, noi occasionali visitatori al nostro arrivo sentiremmo  l’allegro fischiettare degli ortolani …..penitenti.

E mi raccomando, riuscendo a far curare anche le aiuole esterne, qualche bell’albero per ripararci dal caldo afoso di questa estate anticipata. Saluti

“Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità”

Sicurezza, per chi? Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità; e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. (John Donne – 1572/1631)

 

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di Rita Clemente

Di questi primi cinque mesi dell’anno due date mi balzano alla memoria e m’inducono a qualche riflessione. La prima è il 7 gennaio 2015. Tutti ricorderanno che in questo infausto giorno un gruppo di jihadisti è entrato nella redazione di Charlie Hebdo e ha freddato dodici persone (tra cui sette vignettisti), ferendone altre undici. Un fatto allucinante che giustamente ha acceso l’opinione pubblica di sdegno e di raccapriccio. Uccidere, soprattutto chi è inerme, è sempre un atto efferato, comunque lo si giustifichi non avrà mai giustificazione. Uccidere poi in nome di Dio è quanto di più aberrante ci possa essere, perché ti dà un senso di onnipotenza disumana, che non può essere messa in discussione da alcuna logica, da alcuna razionalità. Quel giorno tutti siamo rimasti smarriti, come di fronte a una potenza maligna senza volto, che non sai quando e come attaccherà ancora. L’Occidente si è sentito colpito in uno dei suoi valori più alti: la libertà. E ciò ha provocato una immediata reazione di coesione identitaria: ci siamo tutti riconosciuti in Charlie Hebdo, la matita è diventata il simbolo del bene, contrapposto alle armi di chi rappresenta, senza ombra di dubbio, il Male. Dopo sono cominciate le riflessioni più articolate ed anche i “distinguo” e ovviamente le contrapposizioni. Innanzi tutto, sulla natura degli assassini. C’è chi accusa tutti i Musulmani a prescindere, come portatori di una ideologia fondamentalista e potenzialmente terrorista ( e le destre non aspettavano altro). C’è chi, pur condannando il fanatismo intollerante dei jihadisti, ritiene ingiusto fare di tutte le erbe un fascio e condannare tutti i musulmani, a prescindere. C’è chi mette in rilevo anche le grosse responsabilità dell’Occidente (gli USA in testa) nell’aver destabilizzato il Medio Oriente e creato questo vento di follia. Non meno forti le contrapposizioni sulla religione. C’è chi accusa la religione tout court di essere un seme di discordia e d’intolleranza, e c’è chi ravvisa in tutte le religioni (a ragione, secondo me) una potenzialità fondamentalista, c’è chi distingue tra modo e modo di vivere la fede religiosa. Strettamente legato al discorso sulla religione, si è scatenato poi il dibattito sulla libertà. Grande, immensa parola, ma a volte dal significato ambiguo e sfuggente. La libertà è un grande valore da difendere, senza dubbio, ma non ci sono condizioni, non ci sono limiti, non ci sono confini da rispettare? Innanzi tutto, bisogna precisare che tipo di libertà. In questo caso, la libertà di satira. La satira si sa, è fatta per fustigare i vizi, i difetti, le arroganze del potere, anzi, dei poteri. “Castigat ridendo mores” (corregge i costumi ridendo),diceva la famosa iscrizione latina sui teatri. Ma anche lì ci si chiede: può la satira diventare pura irrisione, illimitato disprezzo, offesa gratuita di ciò che altri ritengono un valore altamente significativo per sé? La mia risposta è no, perché, a mio avviso, la parola libertà va sempre coniugata con un’altra parola altrettanto importante, che è rispetto. Non semplice tolleranza, ma rispetto per l’altrui sensibilità, gli altrui valori. Certo, niente giustifica un efferato assassinio e non si può mettere sullo stesso piano chi fa satira, anche irrispettosa, con chi uccide a sangue freddo. Ciò però non esime dal dovere di rispettare ciò che per gli altri è sacro, così come non è giusto imporre ad altri i propri convincimenti religiosi. Ma come ha diviso il mondo occidentale, l’assassinio di Parigi ha anche diviso il mondo islamico, soprattutto degli immigrati che in Occidente ci vivono. C’è stato chi si è sentito offeso, umiliato nella sua stessa identità etnica e religiosa dall’assassinio dei jihadisti e ne ha provato profonda vergogna. C’è chi, pur condannando l’attentato senza remore, non ha accettato, a ragione, di essere colpevolizzato solo perché musulmano. Ad un’analisi più attenta, non dovrebbe sfuggire il fatto che l’azione dei jihadisti non ha di mira solo il mondo occidentale, ma anche gran parte del mondo musulmano, e le prime e più numerose vittime dell’ISIS si contano appunto tra i musulmani stessi. Quindi, la questione è molto complessa e non consente né una facile lettura, né un giudizio sbrigativo. L’altra data da ricordare è il 21 aprile 2015. Cosa è successo? Un’altra delle infinite stragi di migranti nelle acque del Mediterraneo, ma questa volta molto più tragica, con un numero di vittime raccapricciante: più di 900 annegati. La reazione di stampa e opinione pubblica in Occidente è stata radicalmente diversa. Al di là delle solite parole di circostanza sul dispiacere, il cordoglio per le vittime, lo sdegno contro gli scafisti che provocano le stragi, la chiamata in causa dell’Europa, il rimpallo di responsabilità tra le varie forze politiche (forze di governo, forze di opposizione) non c’è stata nessuna reazione di identificazione identitaria, come se quei morti non fossero anche “nostri”, non ci appartenessero. E anzi, dopo le prese di posizione e i cordogli formali dei primi giorni, è stato come se volessimo archiviare il tutto, demandarlo a chi di dovere e rituffarci nelle solite diatribe sugli scontri politici della nostra Italietta o sui risultati dei vari campionati di calcio. Ma, se pure è vero che ogni morto pesa come un macigno, 900 morti sono una strage che pesa immensamente di più! Sì, non ci sono esecutori “materiali” di quelle morti, ma questo è, di fatto, l’olocausto dei nostri giorni. Per il quale si invocano solo soluzioni militari: bombardare i barconi prima che si riempiano di disperati. Come se fosse possibile fermare il mare della paura, della disperazione, della miseria! Si dà la colpa di tutto agli scafisti: eliminiamo i “cattivoni” e il gioco è fatto! Ritorneremo tutti puri e innocenti come la neve. Questo dimostra la cecità e, oserei dire, anche la malafede di chi propone tali soluzioni. Gli scafisti di certo non sono dei gentiluomini, sono dei criminali, ma non sono essi la causa del problema!

Scrive Raniero La Valle:

“Parliamoci chiaro, la tesi secondo cui i migranti sono vittime degli scafisti non ha nessuna logica, non sta in piedi. Gli scafisti non vanno a prendere le persone da casa per costringerle a partire. Sono le persone che si rivolgono agli scafisti, pagano cifre spropositate e mettono a rischio consapevolmente la propria vita e quella dei loro cari pur di provare a raggiungere l’Europa. Gli scafisti fanno affari d’oro nel mercato aperto dal controllo delle frontiere esterne. Gli scafisti esistono perché chi fugge da guerre o povertà non può entrare nello spazio Schengen (https://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Schengen) con mezzi di trasporto ordinari (navi, aerei, macchine).

Le leggi di mercato (del mercato tanto osannato) ci dicono che quando c’è una domanda, si crea subito un’offerta. E la domanda c’è, disperata: la domanda di salvezza, di vita, di futuro. A questa domanda rispondono gli scafisti, approfittando della disperazione di milioni di uomini e donne. Un grande affare! Perché anche il dolore e la miseria possono diventare “affari” nel grande mercatone dove chi la fa da padrone è l’inesorabile legge del profitto! Affondiamo i barconi, colpiamo gli scafisti, eliminiamo l’offerta. Che importa se poi la domanda resterà, tragica e insistente, a soffocare al di là del mare? Se condanneremo questi uomini e queste donne a non avere scampo, né futuro e neanche vita? Ora io mi chiedo: ma davvero tra i due eventi, a parte la tragica sproporzione di perdita di vite umane, davvero non c’è collegamento, connessione? Certo che c’è: ma noi la vediamo solo nella nostra paura. Respingiamo i barconi carichi di migranti, perché tra di loro possono annidarsi i pericolosi jihadisti. Che importa se su quei barconi ci sono soprattutto quegli uomini e quelle donne che proprio dai jiadisti intendono fuggire? Ma le connessioni più tremende noi non le vediamo. Rifiutando di creare altre vie legali di scampo, dei corridoi umanitari, di organizzare su tutto il territorio europeo un’accoglienza degna di esseri umani (come richiedono i trattati internazionali) non facciamo che aumentare la rabbia, lo sconforto, la disperazione, che tutto fa osare, senza remore e senza freni inibitori. Non facciamo che alimentare la percezione rabbiosa di uno stato permanente di ingiustizia, che fa proliferare la sete di giustizie sommarie e vendicative. Non fa, in ultima analisi, che alimentare il terrorismo. Noi gridiamo Je suis Charlie pensando alla nostra sicurezza violata. Respingiamo i barconi con i profughi perché temiamo che la nostra sicurezza venga minacciata. Non ci rendiamo conto però che, se l’umanità, al di là del Mar Mediterraneo, diventa un oceano di sofferenza che non si può alleviare in nessun modo, nessuno, proprio nessuno potrà mai sentirsi al sicuro. La sicurezza di chi vive in condizioni di terrore continuo, di guerra, di violenza, di tortura, di mancanza di futuro, ci piaccia o no, è la condizione imprescindibile per la nostra stessa sicurezza. Altrimenti, saremo tutti dei profughi sballottati dalle onde tempestose dei fanatismi e delle vendette. Dai fondamentalismi di chi si aspetta di purificare il mondo con il lavacro del sangue, non importa di chi, purché nemico, o considerato tale. E qui la religione non c’entra, è solo un orribile pretesto, come dimostrano le moschee (non solo le chiese) distrutte dagli stessi musulmani.

Condividere quel poco o tanto del benessere che ci resta con chi non ha più niente da perdere è l’unica chance per sentirci sicuri e in pace, se non altro con la nostra coscienza. Ma soprattutto, per sentirci ancora uomini, degni di questo nome.

 

Editoriale di CDB INFORMA    Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri  –  Giugno 2015

A Sossu tolleranza zero verso i zozzoni? Eia, maperò verso TU-TTI, nessuno escluso

controlli-municipale-rifiuti-2

 

di Piero Murineddu

 

Avviamo la stagione estiva con una battaglia  contro tutti coloro che non rispetteranno le norme ambientali. Tolleranza zero e sanzioni per chi non mantiene il decoro pubblico“.
(lu sindaggu di Sossu Morghen – “La Nuova” di sabato  del 6 giugno 2015)

 

   Eia….. giustissimo è!

 

Ormai il senso civico, che stringi stringi non vuol dir altro che rispetto per gli altri e specialmente per la propria intelligenza, in giro sta sempre più scarseggiando, per cui, se non vogliamo buttarci tutti in muntinaggiu (per i non sussinchi: se vogliamo continuare a considerarci persone civili e rettamente pensanti), bisogna che ci decidiamo ad agire gumentisidocca, e Decisionismo e Giusta Fermezza sono necessari  da chi è preposto a far rispettare le leggi, non dimenticando che lui prima dì tutti queste leggi le deve rispettare. E’ appunto su questo che mi accingo a questionare.

Da  persone ragionevoli quali diciamo di essere, ci si aspetterebbe responsabiltà, e come dicevo, rispetto e blablablatraralallà, ma così non è. Non so oggi, ma una volta, quando all’asilo qualcuno faceva una marachella, veniva punito, e altrettanto avveniva nelle scuole elementari, da dove spesso tornavi a casa con le mani indolenzite dall’implacabile vesthighita (verga, possibilmente d’ulivo)  della maestra, oppure subìre l’onta di stare  dietro la lavagna a contemplarne il didietro impolverato, oltre che a sbirciare le gambe pelose della burbera insegnante – secondina.

Ecco, in un certo senso, seppur cresciuti in età,  ancora oggi si ha bisogno della punizione per  capire il retto vivere, e per molti, per paura di prenderne altre di punizioni. Chi sbaglia paga, senza più eccezioni e  privilegi: rilevata l’infrazione, pagata la multa.

 

Battaglia contro tutti coloro che non rispettano le norme ambientali“,

afferma senza esitazione alcuna il nostro Caroleader locale pro tempore, che per la seconda volta ha deciso di stressarsi per dover pensare diuturnamente come far vivere bene i propri concittadini (ma ga ti r’ha fattu và!)

 

Tolleranza zero!E certo. Anzi, zerissimo e anche spaccato.

 

“Sanzioni per chi non mantiene il decoro pubblico”


Sanzioni&Sanzionissime!  Ci mancherebbe. Il decoro pubblico è una casa sacrosanta e tutti – T U T T I ! – abbiamo il dovere di curarlo e rispettarlo,sia che siamo persone fisiche o persone giuridiche, che portiamo avanti attività individuali o pubbliche.

Qualche esempio? Vediamo.

1. Chi si fa portare a passeggio dal proprio cagnolino  o cagnone bau bau, sa che deve portarsi il necessario per i bisogni fisiologici densi (no, non per lui: la cosa sarebbe contro la pubblica decenza, troppo ingombrante e –  deuzinilibareggia – con tutti gli stiticoni che ci sono, nelle pubbliche strade l’aria sarebbe tremendamente ammorbata)

2. Chi  sbevazza fino a farsi scoppiare il ventre (e svuotarsi completamente le busciacche), non deve andarsene in giro a ruttare, pisciacchiare e, peggio ancora, a vomitare dove capita i litri&litri di non più fresca birrozza che si ha nello stomacone, insieme al non ancora digerito intruglio vario.

3. Chi ancora imperterrito continua il proprio lento suicidio sfumazzando, non deve buttare le schifosissime cicche qua e là dove capita, e specialmente nelle nostre spiagge super pulite e super “fornite di servizi”. Lo so, questo inaspettato  e forse immeritato riconoscimento strappa ancora qualche sorrisino , ma così è. Speriamo solo che i micidiali escherichiacoli e forse anche enterococchi intestinali riscontrati a Platamona si fermino e si estinguino lì, altrimenti chi ha assegnato l’incredibile bamdierina blu ai nostri mari, si tronca lu goddhu per venire a riprendersela.

4. Stesso discorso vale per i pubblici scarrascioni, e non tanto perchè ti ritrovi  la loro salivare produzione improvvisa&schifosissima nel marciapiede mentre a testa china te la passeggi tranquillo, quanto per il voltastomaco che ti viene quando, la mattina presto, aspettando ancora cimaggoso&sbadigliante  il bus che ti porti al lavoro, senti tutta la laboriosa preparazione che il tipo fa nella propria bocca prima di scaraventarla con forza a due-tre metri di distanza da lui e a pochi palmi da me.

 

Esempi potrei farne ancora tanti, ma vi evito ulteriore nausea per non rischiare che vi passi l’appetito o rivediate, mezzo digerito, cìò che avete già magnazzato.

Tolleranza zero – dunque –  Sanzioni per chi non mantiene il decoro pubblico. Per tutti, MAPROPRIOTUTTI, sussinchi e sinnaresi,con qualche indulgenza possibilmente verso i turisti, contro i quali solitamente e famelicamente ci si accanisce per spillar loro  dinà il più possibile.

Per chi controlla, affibbiare una sonora multa a chi sgarra è relativamente semplice, ma mi chiedo:

e se a contravvenire tali disposizioni è lo stesso controllore in agguato per prenderti in castagna?

Non voglio dire il vigilino o il vigilone sempre col taccuino e penna in mano. Intendo l’Ente pubblico, Responsabile diretto della salvaguardia non solo del decoro, ma specialmente della salubrità dell’ambiente,valore primario e assoluto per la vita delle persone, delle piante e degli animali, pabauzzi e carramerdha compresi.

Allora, siamo certi che l’Amministrazione Pubblica adempia a questo dovere? Ne siamo certi, ma proprio certicerticerti? Vediamo, e non mi si venga a dire che gli esempi che seguono non c’entrino una minchia  con ciò di cui stiamo trattando.

1. E’ di qualche tempo fa la scoperta dei vecchi cassonetti della spazzatura, tristemente accatastati nell’agro alle spalle della Piramide, struttura sportiva la cui cura spetterebbe (spetterebbe!) all’Amministrazione Pubblica.

A me sembra una grave mancanza di rispetto per l’ambiente. A voi no?

2. Per lungo tempo una zona dell’agro sussincu è stata attraversato da un misterioso ed inquietante fiumicciatolo proveniente da chissà dove, e a subire i rimpalli delle responsabilità sono state naturalmente le famiglie che nella zona vi abitano.

Come e quando si è intervenuti per evitare i disagi e le preoccupazioni dei residenti?

 

3. Per lungo tempo, una famiglia di via Tibula ha dovuto subire le infiltrazioni umide provenienti da una abitazione confinante. Invano e a lungo gli occupanti hanno chiesto che s’intervenisse per porre termine a ciò.

L’Ente pubblico ha il dovere o no di alleviare i disagi dei cittadini?

 

4. Più o meno da quando la stazione locale dei carabinieri è stata trasferita, il vecchio edificio centrale, anticamente un convento, è in stato di estremo degrado. La proprietà è sempre dell’ormai irrelevante Provincia, ma possibile che finora non si sia riuscita a trovarla una stramaledetta  soluzione? Stesso discorso per lo stradefunto Lido Iride e per la vecchia fabbrica privata di conserve attigua a La Billellera, ma quest’ultimo tasto evito di toccarlo, pa cariddai….

Anche qui, si è fatto tutto il possibile per ovviare a tale stato di vergognoso abbandono?

Ne vogliamo ancora uno di esempietto? E dai…

Per quanto tempo nella vasta zona pinetata sono state segnalate la presenza di grossi pneumatici, carcasse di auto, resti di amianto, gravemente nocivi per l’ambiente, e l’autorità costituita non si è prontamente attivata?

Come abbiamo visto, non si tratta solo di salvaguardare il decoro urbano nello stretto significato del termine.

 

Allora,riassumendo:

“Tolleranza zero e sanzioni per chi non mantiene il decoro pubblico”

Eia…Eia…..Eeeeiaaaaaa…. ma  che la cosa sia reciproca:

per il popolo amministrato, in mezzo al quale vi sono molti zozzoni irresponsabili, ma anche per chi siede nelle stanze dei bottoni, dove a volte si annida qualche zozzoncello….responsabile.

 

 

n.b.

Nella vicenda su esposta si parla di Sorso, ameno paesotto a nord ovest della costa sarda, ma con gli opportuni adattamenti, potrebbe riguardare qualsiasi  situazione dove vi sono comandanti (pochi) e comandati (molti), oltre che raccomandati (un’infinità). Ma questo è un altro discorso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riprendono i lavori di Pedrugnanu: “Ave” ai 480mila euro regionali

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di Piero Murineddu

 

Ed ecco che oggi il solerte e puntuale corrispondente de “La Nuova”, Saivadori da Sossu, che si firma   S.S. nei trafiletti e nei secondari articoli (oggi il suo primo articolo è dedicato ai sussinchi morosi che  se non pagano l’eba sentiranno lu zoccu dalla bene-male-merita Abbanoa), quest’oggi ci rallegra la domenica facendoci sapere che i lavori della strada che porta alla chiesetta campestre dove quel dì lontano si sarebbe fatta ritrovare la Vergine, impuntatasi perchè voleva una chiesa tutta per sé, sono ripresi. Finalmente! Non ne potevo più. Ogni volta che dovevo percorrerla, il dubbio di sapere se dovevo tornare indietro o meno, mi stava logorando li neivvi, visto che il cartello d’interruzione è rimasto sempre  lì, fisso e minaccioso.

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Comunque, ora sappiamo che dall’8 al 19 giugno, la strada sarà interdetta agli automobilisti e ai carrattuneri, esclusi chi abita in quelle case a cui sono state aggiustate le entrate chissà con quanti dinà. A proposito, non sarà per questo che sono venuti a mancare i finanziamenti per poterli concludere entro la data indicata dal cartellone, cioè 9 luglio 2013? L’alluvione no v’entra nuddha perchè si è abbattuta sulla povera Sossu lo scorso giugno di un anno fa. A ri-proposito, cosa dicono le previsioni meteo? Mancano pochi giorni al primo anniversario, e con lo stravolgimento del clima a cui noi umani abbiamo contribuito, non vorrei che……..Stiamo all’erta stiamo.

cartellone

 

E va be’. Comunque, percorrendola nell’ultimo periodo, durante il tragitto, incrociando un’altra auto, ho dovuto fermarmi o spostarmi alla mia destra diverse volte, in quanto lo spazio per due auto non era sufficiente. E che è? Non vorrei che avessero preso male le misure al momento della progettazione. E poi quei cordoli così alti del marciapiede, la cui larghezza è varia in diversi punti.

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Se lo spessore del caro asfalto ( “caro” nel senso di prezzo, intendo, non nel senso …affettivo) non compenserà la cosa, ho paura che le mie (e anche vostre, sia chiaro) gomme ne piangeranno le conseguenze, dal 20 giugno in poi (?). Spero che i numerosi (!) pulman di pellegrini percorreranno il tratto dalla “Madonnina”, altrimenti, incrociandoli, dovrò tornare indietro fino a Sossu, coi birighitti girati e incazzatissimo. Buon lavoro, dunque: il 20 giugno non è lontano.

 

 

 

 

Tangibili incentivi per invogliare alla partecipazione

 

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di Piero Murineddu

Interessantissima questa iniziativa che arriva da Orotelli, un piccolo comune di poco più di 2000 abitanti non lontano da Nuoro. Un modo molto concreto e “gratificante” per invogliare la gente a curare il proprio territorio. Non male neanche l’idea di far curare il verde pubblico a cittadini volontari in cambio di sgravi fiscali. Quest’altra notizia è di qualche tempo fa, e starebbe prendendo forma a Sassari, e si spera, anche a Sossu, Sennari, Porthudorra e ovunque ci sia ancora voglia di partecipare attivamente per migliorare la convivenza. Naturalmente bisognerebbe  organizzare il tutto con intelligenza e lungimiranza. Riuscendo ad avviare tale iniziativa, potrebbe essere l’inizio di un diverso rapporto fra cittadini e istituzioni, quello che da troppo tempo è stato mortificato e non incoraggiato dai politici, ovvero quella

            partecipazione attiva alle decisioni

              che riguardano la vita collettiva,

compreso il “Bilancio partecipato” (decidere le priorità col coinvolgimento della cittadinanza), aspetto fondamentale di una Democrazia Partecipativa che, generalmente, continua a rimanere una chimera, al di là dei miserevoli blablabla dei politici che ogni tanto si sentono risuonare nelle aule consiliari o in qualche pietosa dichiarazione pubblica.

Se fate attenzione, ogni tanto si viene a sapere della nascita di comitati spontanei che decidono di attrezzarsi per pulire spiagge, pinete, piazze e spazi degradati. Con questo spirito, oltre che per abbattere gli alti “muri” tra vicinato, sempre a Sassari sono nati due condomini solidali. E’  un chiaro segno di volontà di essere attivi, nel  “fare” e nell’  “essere“. Comunque, oltre che per richiamare alla necessità di rispettare                   l ‘ambiente in cui si vive, sicuramente lo si fa’ anche per suonare la sveglia all’Ente pubblico, spesso negligente su quelli che sono i suoi compiti.

Quindi, armati di zappetta, cesoie, rastrello e carriola, a curare la porzione di verde pubblico o altro spazio assegnato, risparmiando qualcosa che permetterebbe di adempiere alle scadenze mensili con maggiore tranquillità. Concretizzandosi l’idea, magari migliora la responsabilità verso la Cosa Pubblica. E’ possibile anche la nascita di qualche problemuccio, tipo il far dispetti a quell’antipaticone che cura quel pezzo di giardino pubblico e chissà cos’altro, e considerando la famosa gravidanza continua della mamma degli incalcolabili imbecilli, bisogna considerare anche questo aspetto. Ripeto, la cosa è da vedere con attenzione, prevedendone il più possibile gli sviluppi.

Se la cosa venisse realizzata a Sorso, sarebbe un passo avanti considerevole, visto l’abissale distacco di chi amministra e il più delle volte silenti amministrati.Nella cittadina romangina si ha ormai la sensazione che chi ha accesso alla stanzina dei bottoni lo faccia per tirare a campà,senza voglia e senza alcun entusiasmo, probabilmente a causa anche del persistente vuoto delle casse comunali, che non permetterebbe ldi adempiere puntualmente agli impegni presi. Di oggi è la notizia che l’Amministrazione comunale si è arresa all’ultimatum imposto dalla Regione per rinunciare ad un assessore. Lo si è fatto a denti stretti, per non essere commissariati. In confidenza vi dico  che  speravo nell’arrivo del Commissario (ma mi raccomando che rimanga tra noi: conosciamo la permalosità di lor signorincelli, e non vorrei che mi bloccassero …..gli avanzamenti di carriera). Non la vedevo un’onta, ma una speranza di uscir fuori da questa avvilente stagnazione. Ma comunque, se proprio non si ha il coraggio di buttare la spugna, sarebbe un atto di grande dignità iniziare finalmente un’opera di attivo coinvolgimento della popolazione, sia per migliorarci il posto dove viviamo e sia sopratutto per crescere tutti culturalmente e con vero senso civico. Così facendo, chi sta’ amministrando in questi scarsi produttivi anni la non più ridente cittadina romangina, lascerebbe  uno dei pochi ricordi positivi di sé ai posteri.

 

manifesto elettorale sbeffeggiato (5)

 

Così Francesco riabilita la Chiesa del dissenso

francesco

di Paolo Rodari

 

 

L’ultimo è Timothy Radcliff, nominato sabato scorso consultore del dicastero di Giustizia e pace. Teologo controverso, nel 2011 il suo nome venne depennato dalla lista dei discorsi ufficiali all’assemblea di Caritas Internationalis. Le sue posizioni in favore dell’abolizione del celibato sacerdotale e aperte sul tema dell’omosessualità non piacevano oltre il Tevere, dove la censura dell’ex Sant’Uffizio era tenuta in buon esercizio. La sua “riabilitazione”, invece, dice di un papato che non vuole porre museruole, e che sa attendere anche da alcuni dei teologi cosiddetti “del dissenso” contributi decisivi per l’esercizio di una vera sinodalità.

Contributi che trovano spazio anche sull’ Osservatore Romano, che tre giorni fa ha messo in pagina un testo di Jon Sobrino edito da Emi. Gesuita basco emigrato nel Salvador, celebre teologo della liberazione, qualche anno fa ha visto le sue tesi bollate dal Vaticano come «erronee e pericolose». E a nulla valse un articolo in sua difesa di Víctor Manuel Fernández, rettore della Pontificia Università Cattolica di Argentina, osteggiato in curia romana proprio per la sua difesa di Sobrino, ma riabilitato da Francesco con l’elevazione al rango di arcivescovo.


Prima di Sobrino, Gustavo Gutiérrez. Il teologo peruviano fondatore di quella teologia della liberazione che nei precedenti pontificati era sinonimo di connivenza col marxismo, una settimana fa era fra i relatori alla conferenza di presentazione dell’assemblea della Caritas aperta poi da Francesco. Già due anni fa Gutiérrez venne ricevuto dal Papa in segno di un’amicizia che anche Ratzinger non mancò di mostrargli: nel 1996, in un incontro con i vertici dell’episcopato latino-americano, l’allora cardinale prefetto della Dottrina delle Fede ebbe parole di elogio nei suoi confronti.


I segnali di apertura di Francesco verso alcune teologie controverse ci sono fin dall’inizio del suo pontificato. Da subito egli ha sbloccato la causa di beatificazione di Oscar Romero, sul quale la recente biografia di Roberto Morozzo della Rocca apre scenari inaspettati: di nemici, Romero, ne aveva molti, alcuni fra i sui confratelli vescovi, altri in Vaticano fra prelati ossessionati dal suo presunto filo marxismo e invidiosi dei suoi successi di popolo. Ma fra questi nemici non si possono annoverare i Papi della sua difficile epopea: Paolo VI e Giovanni Paolo II. Francesco ha autorizzato anche l’apertura del processo diocesano del vescovo de La Rioja (Argentina), monsignor Enrique Angelelli, ucciso dai militari argentini il 4 agosto 1976. E, insieme, è arrivata l’apertura del processo diocesano per la beatificazione di Dom Hélder Câmara, il vescovo «delle favelas». Romero, Angelelli, Câmara: uccisi perché cristiani ma, insieme, osteggiati da una Roma curiale conservatrice e a tratti miope.

(La Repubblica 22 maggio 2015)

Voglio un’umanesimo della compassione

andreoli  di Vittorino Andreoli

 

 

Voglio vivere in un umanesimo che contenga la compassione.


Voglio sostenere ed essere parte di una cultura che ponga la compassione come legame centrale.

Voglio che si attivi e si promuova una memoria del dolore dell’altro, per combattere l’indifferenza e la finzione di una felicità attaccata all’ultima invenzione del lusso.

Voglio che l’uomo senta il dolore di un altro uomo, senza pregiudizi, perché il dolore è lo stesso e certi dolori sono inutili.

Voglio che chi spende tutto per l’inutile si ricordi di chi non può spendere nulla nemmeno per l’essenziale, e scopra che forse quanto noi stiamo sprecando è necessario ad altri.


Questo nuovo umanesimo riattiverebbe il piacere dell’aiuto, non del fare l’elemosina che serve solo a puntualizzare la differenza e dare prova di grandezza o del diritto a vivere nel benessere mentre l’altro, a cui si danno le briciole, ha il dovere di fare il poveretto.


Si riscoprirebbe la bellezza del dono, che è prima di tutto offerta di se stessi, metaforicamente espressa da un oggetto pieno di noi.


Si riscoprirebbe la grandezza dell’ospitalità, che vuol dire stare insieme per conoscere l’altro con la curiosità che l’altro abbia qualcosa da dare, proprio perché diverso.

La diversità come arricchimento, non come fonte di sospetto e di esclusione.
Domina invece il «mio», chiuso dentro mura o filo spinato e circondato da mine anti-diverso. Il diverso come ladro – e si dimentica che quel diverso diventa ladro perché è stato escluso.


La nostra non è una società della compassione, del sentire il dolore e la gioia dell’altro, ma una società del volontariato, di chi concede a ore servigi a basso prezzo, con indosso i guanti della prevenzione e il terrore di una contaminazione immaginaria. Il mondo è pieno di preclusioni e di odio, compensati da un volontariato operato, per lo più, da genie che si annoia e che non ha nulla da fare e allora va a vedere lo spettacolo della povertà (…).


Voglio far parte di un umanesimo senza volontari, dove tutti siano disposti ad aiutare l’altro. Dove il bisogno non serva a dare soddisfazione ai volontari, handicappati di diversa natura. Dove tutti siano allo stesso momento bisognosi di essere aiutati e desiderosi di aiutare, e non esista la categoria di chi da e quella di chi riceve (…).


Voglio armarmi di bontà e debellare l’indifferenza: per cogliere il dolore dell’altro: se non sai cosa mi fa soffrire, come fai a dire che mi ami?; per cogliere il dolore dell’altro come inutile, ingiusto, intollerabile ed evitabile; per sentire il dolore dell’altro come un imperativo a fare qualcosa per allevarlo o eliminarlo; per aver voglia di compassione: asciugare le lacrime di chi si è incontrato e soffre; per amare la compassione come hanno fatto sempre gli uomini veramente grandi e quelli che avevano le parvenze degli dei.

(tratto da “Capire il dolore, di V.Andreoli)