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“Nel caso morissi prima io – diceva Ferrante alla moglie – dovrà essere ugualmente una festa

piero capula

 

piero capula

 

di Piero Murineddu

Ieri pomeriggio, il freschetto creatomi in campagna mi stava trattenendo dal rispettare l’impegno preso con mia moglie di partecipare al funerale del “Ferrante” di Castelsardo, Piero Capula. Riuscito a far violenza alla mia comodità, dopo una bella doccia rinfrescante siamo riusciti tuttavia a metterci in viaggio.

Arrivati a Lu Bagnu, poco prima di Castelsardo, lungo il marciapiede della via principale, vediamo seduti al fresco o a passeggio vari profughi che qui hanno ricevuto ospitalità e buona accoglienza. Credo che gli abitanti di questa sempre più popolosa frazione, seppur le case dei vacanzieri siano tante, abbiano conservato un forte senso comunitario e di appartenenza, cosa che li porta a solidarizzare con queste popolazioni che sempre più si mettono in viaggio per sfuggire i tanti pericoli e i tanti aspetti di vita disumana che si lasciano alle spalle nei loro Paesi, africani o di altrove.

Fermatici per chiedere indicazioni come raggiungere la chiesa, dopo un signore che ci risponde con molta cordialità, un altro motorizzato, di sua iniziativa c’invita a seguirlo. Del resto, la maggior parte della gente in movimento, era proprio lì che si stava recando. Arriviamo una buona mezzoretta prima dell’inizio e l’interno del luogo di culto, inaugurato appena l’anno scorso, è già stracolmo. I tantissimi ventagli cercano di supplire disperatamente all’ insufficiente ricambio dì aria. In alto ci sono si delle piccole finestre, ma è possibile che non siano state predisposte per l’eventuale apertura. Che nostalgia delle vecchie chiese di una volta, con quelle grosse mura che ti facevano arrivare all’estasi “spirituale”senza sforzarti più di tanto. Trovato posto vicino al’ingresso, improvvisamente una leggera e provvidenziale brezza da’ ai presenti un insperato sollievo. E’ possibile che sia stato direttamente lo Spirito Santo ( si sà, Lui “soffia”dove e quando vuole!), ma anche il generoso e continuo sventolìo di due signore accanto, mi aiuta a partecipare meglio al rito funebre.

L’arrivo del feretro viene accolto dal canto  “Più presso a te, Signor“, il cui testo originario è stato scritto nel 1841 da Sarah Flower Adams su musica del compositore americano Lowell Mason. Si dice che l’orchestra l’abbia suonata mentre il  transatlantico  “Titanic” mentre il 15 aprile del 1912 stava affondando. Idea azzeccatissima per accompagnare l’ultimo viaggio terreno di questo 63enne corallaro Espansivo, Gioviale, Socievole e Generoso, come al termine della Messa ha scandito il direttore del coro (e credo parroco), citando l’articolo apparso  su La Nuova il giorno dopo la tragedia.

L’omelia dell’anziano don Usai richiama il rosso del corallo, colore che rimanda al grande amore che sicuramente Piero aveva per la vita, per la moglie Pietrina, la figlia Bianca, gli amici e, non per ultimo, per il mare dove ha trascorso buona parte della sua esistenza.

Sui versi ritmati di “La Guerra di Piero”, la famosa canzone antimilitarista di De Andrè, un suo amico d’infanzia gli ha dedicato una struggente “La Pace di Piero”, in cui ha rimarcato che probabilmente, le continue immersioni marine erano un voler cercare l’essenza di sè stesso e della vita stessa. Uguale concetto espresso dalla figlia Bianca, la quale rimpiange già le amorevoli indicazioni che il padre non le faceva mancare, comprese le necessarie correzioni, così  mal sopportate da un’adolescente che spesso presume che finalmente può farne a meno. Non conosco la giovane ragazza, ma anch’io ho una figlia della stessa età, per cui so di cosa parlo. “Diceva babbo che più che coraggio a fare quel particolare lavoro, per lui sarebbe stato coraggioso il non farlo”.   Ferrante e le profondità marine erano diventate un tuttuno, per cui giorno per giorno Piero non faceva altro che realizzare sè stesso attraverso la sua insostituibile passione.

Personalmente ho vissuto l’intera serata come l’opportunità che un intero popolo si è dato per festeggiare uno dei suoi membri migliori, quella festa che la moglie Pietrina ha chiarito ai presenti: “Nel caso morissi prima io – le diceva Piero – dovrà essere ugualmente una festa”.

E’ vero – come ha detto al termine don Giuseppe – tutta quella gente, fatta d’individui con le più disparate sensibilità ed esperienze, ieri sera è stata spinta dalla Simpatia,dalla Stima e dall’Affetto  provati per quell’uomo che, in un periodo della sua vita e per motivi probabilmente non “religiosi” in senso stretto, ha sentito il bisogno di percorrere il Cammino di Santiago di Compostela. Trenta giorni e notti di cammino volutamente solitario, lui abituato alla compagnia di chiunque capitava d’incontrare, il più delle volte rallegrata dalle sue battute e dal suo buon umore. In quel mese, chissà quali e quanti sentimenti avranno riempito  il cervello ed il cuore di Piero Capula.

Durante il percorso in auto per raggiungere il cimitero di Castelsardo, ho visto molti profughi fermi e a testa china, partecipi anche loro del grande dolore che stavano vivendo non solo i familiari, ma tutte le persone che avevano conosciuto, e anche coloro che non avevano avuto la fortuna di conoscerlo (ed io sono tra loro), il protagonista della “bella serata”.

Significatamente, il percorso a piedi, durante il quale gli amici si davano il cambio per portare a spalle l’ultimo corallaro di Castelsardo, ha preso avvio dalla piazza principale del paese, dove tutti solitamente s’incontrano e creano relazioni. Per le condoglianze personali ai familiari, mia moglie Giovanna è riuscita a abbracciare le due donne di Ferrante, la moglie e la figlia, dicendo loro che una strana forza ci aveva portati a partecipare al non disperato lutto che stavano vivendo. “Venite  quando volete – le è stato risposto – la nostra casa è sempre aperta per tutti“.

Tutt’intorno, le persone si salutavano e si abbracciavano.

Ferrante di Castelsardo ed il suo ritorno a Casa

 CASTELSARDO COPERTINA FERRANTE

“Il mio desiderio è morire in mare”

di Piero Murineddu

Era espansivo,gioviale,socievole e generoso. Con la sua famiglia si occupava del sostegno a distanza di diversi bambini in difficoltà nei Paesi africani e nel’Est Europeo. Amava i bambini e insegnava loro i segreti dell’apnea. Nonostante l’età non rinunciava alle immersioni”.(Donatella Sini)

E l’ultima immersione è quella che l’ha trattenuto per sempre. Non ho conosciuto questo sessantatreenne castellanese che da 40anni godeva di quei silenziosi e sicuramente stupendi paesaggi sottomarini in diverse parti del mondo, alla ricerca di quel durissimo “scheletro calcareo”, ricercato come materiale per la costruzione di gioielli, qual’è il rosso corallo.

La lettura delle notizie legate alla sua morte, in questi giorni me lo sta’ facendo apprezzare oltremodo, con un leggero rimpianto di non averlo potuto conoscere in vita, di non aver visto la sua atletica stazza e di non aver goduto dei suoi avventurosi racconti.

Stamattina mi son trovato con mio cognato Giorgio – il Fara sennorese ed artista, ed in quest’ultimi mesi sopratutto, nonno dell’incantevole Adele – e ricordando i grandi (mica tanto) festeggiamenti per il suo 63° compleanno, gli ho chiesto se avesse mai incontrato Piero Capula.

– “Ferrante? – mi risponde d’impeto – Sono più di quarant’anni che ci conoscevamo ed eravamo amici veramente”.

Per chi non conoscesse il mio cognato artista, sappia che è un simpaticone e allegrone, ma che a volte si fa prendere dall’entusiasmo e qualcosetta è portato ad esagerarla. Sentendolo però parlare, credo senza dubbio alcuno che questa volta dice le cose come realmente son state.

Nel ’73, mi sembra, ci siamo presentati entrambi all’OPT (Officine di Porto Torres) per un colloquio di lavoro. Eravamo freschi di diploma professionale, e a quei tempi per chi usciva da queste scuole, il lavoro era si può dire assicurato”. Piero, da tutti conosciuto “Ferrante” per la sua passione calcistica e in onore  dell’Ugo Ferrante della Fiorentina che giocava con una fascia in testa per fermare i capelli che teneva spesso lunghi (vedi nota in fondo alla pagina), era tornitore mentre Giorgio congegnatore meccanico. Erano freschissimi di diploma,si è detto, un anno o due appena, e le grandi imprese automobilistiche quali la Fiat, la Marelli, l’Alfa Romeo e compagnia sferragliante, facevano a gara per assicurarsi i migliori studenti nella loro produzione. La “Petrolchimica” faceva altrettanto, anche se il tramite di qualche “conoscenza” era utile anche allora.

Il colloquio in vista dell’assunzione avvenne nell’Ufficio Personale,presso la mensa dell’Eni. Entrati uno alla volta, ci trovammo davanti ad una commissione schierata a semicerchio, e ciascuno ti affibbiava una domanda per capire di quale pasta eri fatto. Il fumare o meno, aveva un’importanza rilevante”.

Veramente la sigaretta toglieva parecchi punti, col rischio di essere scartati in men che non si dica.Mi sembra sensato, il fumatore è alquanto spompato e conseguentemente …..poco produttivo. Comunque, il giorno dopo i candidati si presentarono per la visita medica nell’ambulatorio del lavoro, nell’incrocio di Viale Italia a Sassari. La conoscenza con Ferrante avvenne il giorno prima, in attesa del colloquio, e qui in attesa del medico che certificasse la loro sana e robusta costituzione, i due approfondirono la reciproca conoscenza. “Speriamo che ci prendano – ebbe a dire il castellanese – ma comunque, nel caso contrario non me ne faccio un dramma. A me piace il mare, e il mare può dar da vivere benissimo”. Dopo le prove pratiche, avvenute direttamente in officina, i due – manco a dirlo -vennero “arruolati e inquadrati”.

Da lì iniziarono a vedersi praticamente ogni giorno,sia perchè il pulman proveniente da Castelsardo prelevava – e continua a prelevare ancora oggi (anche se in misura molto, ma molto inferiore!) – i lavoratori, e immancabilmente il Giorgio e il Ferrante occupavano due posti vicini in fondo, e sia perchè alla sera, nella pausa mangereccia, i due nuovi amici si scambiavano il contenuto dei tegamini contenenti ben poca roba. La conversazione era sempre allegra e le battute abbondavano (anche per riprendersi dal continuo armeggiare con torni e via dicendo).

Al tempo, i giovinotti, probabilmente in cerca di – scusando il termine – “pelo” ( ahia…l’ho detto) che non fosse del paese proprio, usavano spostarsi con le prime Diane6 o 4cavalli, e naturalmente anche il Ferrante bazzicava “le vasche” di Sossu, ovvero lo stare avanti e indietro nella “passeggiata” della stazione. Era proprio qui che gli amici castellanesi e sussinchi facevano comunella.

Mio cognato la femmina (mia sorella) se l’aveva già cuccata, ma ugualmente ricambiava la visita dell’amico nel porto di Castelsardo, dove Ferrante era orgoglioso di far vedere come sapeva usare bene “lu rizzagliu”, la rete che, tenuta in un certo modo sulla spalla e data la giusta forza, dalla riva veniva lanciata e fatta roteare, calandosi sulle acque e creando una non male circonferenza.

Il lavoro negli impianti portotorresi a Ferrante non piaceva granchè, per cui, appena libero, si buttava a capofitto nella sua più grande passione, quella del mare, appunto. E nel mare ha trovato compimento la sua infaticabile vita. Dice qualcuno che è qui che l’umanità ha trovato origine, dal mare. Se così è, Ferrante non ha fatto altro che ….tornare a Casa.

Sentite condoglianze alla famiglia per la dolorosissima perdita.

giomaria pinna

Di seguito riporto due bellissimi ricordi di persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e probabilmente frequentarlo.

Ve li condivido con piacere.

FERRANTE SUB

TUO PADRE GIACE…..

Tuo padre giace a più di nove metri di profondità.
Le sue ossa sono diventate corallo;
I suoi occhi ora sono perle.
Non c’é in lui parte alcuna
che non si trasformi per opera del mare
In qualcosa di ricco e di meraviglioso
Le ninfe del mare di continuo suonano per lui:
Ding-dong. (William Shakespeare)

Con queste parole voglio ricordare quello che per me è sempre stato un eroe, una leggenda, un gigante buono. Ferrante mi ha sempre fatto sorridere con le sue battute, con le sue domande e con le sue affermazioni.Era una persona semplice, e anzi ancora lo sarà, perchè anche se ora non ci sei più ci penseremo noi a ricordarti. Ti prometto che da oggi mi immergerò portandomi giù anche la tua passione per quello che è il nostro mondo, il nostro grandissimo mondo che solo noi conosciamo bene. Ciao Piero, e non dimenticarti della promessa che mi hai fatto.. quando sarà il mio turno, mi dovrai insegnare ad usare le bombole.Grazie di tutto. (Giommaria Pinna)

FERRANTE

ECCOLI QUA I TUOI AMICI

Eccoli qua, i tuoi amici, quelli di più antica data ma anche quelli che ti hanno conosciuto solo da qualche anno. L’ultima volta che ci siamo trovati tutti insieme, in macchina, uno di loro, seduto nel sedile posteriore, disse:Amici, finalmente ancora tutti qui, insieme, pronti per una nuova avventura!” mentre stavamo andando a Cala Serraina, per cena. Tu, con modi umili e amabili ti sei girato e, pacato e riservato come sempre, ci hai rivelato il tuo discreto sorriso, buono e rassicurante sotto quei baffetti così curati. Tu che non amavi la ribalta, che non cercavi i riflettori nonostante il tuo lavoro ti portasse spesso agli onori della cronaca italiana per le tue imprese subacque e di pesca al corallo fatte con grande passione e rispetto per il mare. 
Tu, che preferivi la concretezza dell’agire alla vacuità delle parole di qualcuno di noi che tu con graffiante ironia definivi “Filosofo” . Qualcuno di noi si divertiva a imitare il tuo portamento davvero singolare: camminavi sempre silenzioso, in punta di piedi, strascicandoli un po’, quasi un americano danaroso, un po’ Yankee. Qualcuno di noi ti chiamava Pedro de Campos y Burgos, per i tuoi modi da gran signore, sempre raffinati e misurati. Davvero un Gran Signore, lì, nel cuore.
Eri sempre un po’ distratto, spesso silenzioso, asociale ti definivamo talvolta: tuttavia, forte dell’esempio di uno di noi sempre molto chiassoso ed estroverso, ti lasciavi andare a battute che erano davvero esilaranti e sempre più spesso ti divertivi a misurarti con questo lato umoristico del tuo carattere. Non potremo più dimenticarci del tuo sguardo, dolce e introspettivo, che riusciva in un attimo a cogliere i disagi dei tuoi interlocutori, e la tua silenziosa risposta fatta di sguardi pacati e riservati. 
E’ un momento in cui le parole faticano a venir fuori e lasciano spazio ad un silenzioso urlo di straziante dolore. Te ne sei andato il giorno del tu 63esimo compleanno: è crudele a volte il destino! Hai lasciato la tua adorata figlia Bianca appena diciottenne dicendole che avevi svolto il tuo dovere di padre e che poi te ne potevi anche andare: ma non è certo così che avresti voluto andartene… ma partendo con tua moglie Pietrina verso le spiagge calde e dorate dell’Africa! Ora loro gridano di rabbia, perché sanno che una dura prova della vita le attende e non sanno se ce la faranno. Una rabbia impotente verso quelle maledette leggi della pesca al corallo che ti hanno obbligato ad andare sempre più in profondità per pescare qualcosa! Certo ti consola il pensiero che sono circondate da amici sinceri su cui loro potranno per sempre fare affidamento. Ma non basta! Perché sai che dovranno fare parte della strada da sole. Come hai fatto tu, quando decidesti di percorrere da solo il Cammino di Santiago e come facevi sempre quando, solo, t’immergevi nella profondità del mare. Come ora, quel cammino che dalla profondità del mare ti ha condotto al tetto del mondo dal quale si vede tutto.
Quell’ultimo pezzetto di cammino che va fatto da soli. (Rita Bordot)

FERRANTE 2 L'UNIONE

 

nota

Ugo Ferrante, quindi  https://it.wikipedia.org/wiki/Ugo_Ferrante    e non Marco come erroneamente pensavo. Ci ha pensato cortesemente il fratello di Piero a correggermi, Antonio Giuseppe, che ringrazio. È la riprova che chi si sforza di portare avanti un blog non è affatto un tuttologo, ci mancherebbe, ma solamente uno che crede nel valore della comunicazione, anche attraverso questo nuovo modo. O almeno, io ci credo.

La “Birosa di l’Isthintini” di quell’otto giugno scorso

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di Piero Murineddu

Tra la decina circa di notizie che volevo  commentare dopo aver letto il giornale (questa volta l’Unione, giusto per evitar  l’inserto che quest’oggi La Nuova  ha dedicato agli Eroici Pallacanestristi Rimbalzanti Tattaresi) l’occhio mi è andato a finire su un articolo riguardo la Sosta Selvaggia al Poetto, spiaggiona cagliaritana dove a quanto pare , pur di risparmiare i preziosi euro di tassa per poter tenere il culetto a mollo, gli automobilisti posteggiano addirittura sulla …..Sella del Diavolo. Si si, proprio sopra quel promontorio lì. La qualcosa, è risaputo, è assolutamente vietata, anche perchè ultimamente il diavolo soffre di una dolorosissima artrosi alla schiena, e se s’incazza lui (il diavolo), sono fulmini e saette.

 

CagliariLa-Sella-del-Diavolo

 

Fattostàechissàperchè, mentre leggevo delle salatissime multe appioppate dagli implacabili vigili del capoluogo sardo, la mia mente è andata a finire allo scorso 8 giugno, quando per festeggiare gli appena venticinque anni della mia dolce ed adorata consorte – benedetto sia Iddio che me l’ha messa accanto – siamo stati addirittura nella spiaggia tutta “pelosa” da far schifo di Stintino. Eia….S  T I N T I N O.

Fatta scendere la mia dolce ed adorata consorte ( benedetto sia……), io, allergico come sono a sborsare qualsiasi minimo euretto per un qualsiasi stramaledetto parcheggio a pagamento , ho proseguito finsùmasùmasù e ancora masù, fin quando non ho trovato un bello spazietto che mi stava aspettando, tra l’altro al freschetto. Oh che culoculo e ancora culo, mi son detto. Va be’, mi aspettava una discesona di parecchie gambate per raggiungere  la mia dolce e adorata consorte ( benedetto sia…….), ma la cosa non mi pareva drammatica, pur di non sborsare il già detto euretto di tassaparcheggio.

Caricatomi sul povero corpicino poco atletico l’ombrellone, due sdraio, la borsa frigo (piena), il librone sotto un braccio e La Nuova sotto l’altro, mi incammino felice e quasi fischiettante. Fatti circa duecento metri, la curiosità mi spinge a controllare da vicino un fogliettino colorato sul parabrezza di un’auto in sosta: una multa mica poco per mancata esposizione di tagliando di pagamento. O perbachetto, ma allora anche qui si paga!

Lesto lesto, col fiato corto e già sudato, faccio retromarcia e via a raggiungere la Focus da qualche giorno ammaccata da un autoarticolato che per poco non distrugge un’intera famiglia (s’intende la mia). Ricaricato tutto dentro, compreso il mio poco atletico corpicino, via, alla disperata ricerca di un altro posticino agratisi.

Andando andando trovo si dei buchi gratuiti, ma mi trovavo ormai a qualche chilometro di distanza dalla mia dolce e adorata consorte (benedetto sia…..).  Mi devo rassegnare – penso – e qualche euretto sborsare, non prima di essermi fermato davanti ad un tabellone per leggere l’impressionante tariffario. Aia! Come temevo, i prezzi non potevano che essere altini. Orsù, dunque, la dolce e adorata consorte ( benedetto sia…..) la devo pur raggiungere. Eppoi devo smetterla con questa ridicola tirchiaggine. Del resto, per festeggiare il compleanno della mia dolce e adorata consorte (benedetto sia….), qualche sacrificino lo dovevo pur fare, no?

Parcheggiata l’auto, vado al tachimetro o come malasorte si chiama, quando mi accorgo che dinà appresso non ho. Mi scusi – supplico il  posteggiatore – non mi metta la multa che vado giù in spiaggia per prendere i soldelli. “Vada pure – mi dice comprensivo – ma si sbrighi”. Raggiunta la moglie, che intanto era già felicemente immersa nelle fresche e limpide acque, le grido: “I ni sò li dinàààààà…..”  “Ite se’ nendhe?“, mi risponde lei. ”  I soldi dove sono che non ho in tasca neanche un cito”, le ribatto col tono di voce che si gira l’intera spiaggia. Recuperata una banconota (li minuddi soldellini che anche quando dai 2 euro sembrano bazzecolette, quando servono spariscono sempre, maledetti), mi arrampico oltremodo sfiatando sulla strada. Scusi – chiedo al parcheggiatore – avrebbe da cambiare. “No, mi dispiace –  mi risponde falsamente dispiaciuto – provi a chiedere al ragazzo di colore“, ribatte lui. “Di colore? Ma se lui è orrendamente abbronzato che sembra un gambero! ” ( Questo non lo dico, perchè i parcheggiatori, i vigili, gli sopazzini e i controllori di treno bisogna trnrrseli sempre buoni perchè non si sa mai. “Scusi – chiedo all’ambulante senegalese – avrebbe da cambiare 20 euro?” Il giovanottone controlla e mi dice che ha solo 17 euro.  “E va bè, mi dia quelli e col resto si faccia un’aranciatina fresca”.

Regolarizzata la sosta,  posso finalmente raggiungere pantpantpant  la mia dolce e adorata consorte (benedetto sia…..), che già da lontano mi grida dolcemente che la sentono in tutta la spiaggia “Pièèèèèèè, buttati che è belliiiiissimo”Stai fresca – penso tra me – io il bagno me lo fò (se me lo fò!) forse all’inizio di agosto, quando l’acqua è calda da da bruciarti il pisellotto. Tuttavia, dopo le sue ripetute insistenze ( e sopratutto pannofamminnimagnàluzeibeddhu), mi azzardo a mettere i piedini in acqua, facendo estrema attenzione che non mi arrivasse agli slipponi “alla Fracchia”.

La cosa si è poi pian pianino felicemente assestata, specialmente grazie a quel consolante e fresco tronco al quale mi sono appolpato. Ma che fatica quella risalita per ripartire alla volta di non ricordo più dove! Comunque, pur di  festeggiare gli appena venticinque anni della mia dolce e adorata consorte – benedetto sia Iddio che me l’ha messa accanto – l’ho affrontata quasi senza brontolare

 

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Si..si….si….DINAMO SCUDETTATA…..maperò !

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di Piero Murineddu

Per carità,quel  “maperò” nel finale del titolo, non faccia pensare che io non gioisca della vittoria di questi benedetti giocatoroni dalla palla continuamente rimbalzante. Non sono un grande tifoso, e per dirla tutta, condizionato da un collega che se lo togli dalla testa nel canestro non saprebbe di cos’altro parlare, l’altra sera anch’io mi son sdraiato sul divanone per seguire una di quest’ultime partite. In verità, fino a quando non ho intravisto l’allenatorone occhialuto coi baffetti (allegro solo se sa di essere davanti ad una fotovideocamera) non avevo capito bene per chi dovevo tifare, ma dopo cinque minuti mi son rialzato e mi sono affacciato alla finestra per gustarmi il fresco della sera. Insomma, a fare il tifoso non ci son proprio buono.

Ma torniamo al dunque. Quel “maperò” si riferisce alle decisioni ….del direttore de La Nuova Sardegna, il sig. Andrea Filippi. E perchè mai, potrebbe subito far pensare la cosa. Subito detto.

Quest’oggi, per poter leggere qualche notizia che non riguardasse l’Evento sportivo, son dovuto arrivare addirittura a pag 11. Praticamente, per il quotidiano sassarese che  conduce una strenua lotta “contro” L’Unione per contendersi giornalmente i lettori sardi,  il massacro dei bagnanti in Tunisia, l’attacco in Francia ad una centrale del gas, l’altro massacro in Kuwait sempre da parte di questa brava gente dell’IS, la lotta tra i Paesi europei riguardo alle decisioni da prendere sui rifugiati migranti, le lotte che gli insegnanti portano avanti per il loro lavoro, il dramma della Grecia ed altro ancora, davanti a questa Notiziona del giorno è passato tutto in secondo piano. Neanche un piccolo richiamo in prima pagina, completamente occupata dall’Evento del giorno, ovvero gli eroi pallacanestristi. C’è da dire che ben tre pagine delle dieci, erano occupate dagli sponsor che chissà quanto pagano ai giocatori e quanto hanno pagato per l’inserzione pubblicitaria, mascherata naturalmente dalle congratulazioni ai loro beniaminoni giocatoroni.

E’ lecita questa mia modestissima perplessità? “Eh, quanto sei permaloso!” potrebbe dire più di uno o forsanche tutti coloro che leggono queste righe. Come, non l’avevate ancora capito che sono permalosissimo? Adesso la conferma ce l’avete. Comunque, dall’undicesima pagina in poi, qualcosa d’interessante l’ho trovata, oltre appunto la doverosa lettura di quelle gravissime notizie che su dicevo.

Una notizia è la seguente

( e cliccateci su per renderla leggibile…quante volte ve lo devo dire?)

 

pannona

 

Avete letto questa storiaccia riguardante le belle e attraenti paste alla panna, compresa quella che si trova confezionata nei supermercati  e temo anche i miei amatissimi e algidosi cornetti? Continuate a mangiarla,continuate….

 

Un’altra l’ho trovata nella pagina dedicata alle lettere, che spesso trovo più interessante delle notizie scritte dai giornalisti …titolati.

Eccovela

 

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Giustappunto. So che dalle parti di Alghero, il vescovado è molto coinvolto in questa problematica. E il simpatico padre Paolo che fa’ in proposito? Non voglio dire che non fa’ niente, ma se lo fa’, lo faccia sapere, perdinci. Qui non si tratta di non strombazzare in giro il bene che si compie (la tua destra non sappia ciò che fa’ la sinistra  ecc….), ma è necessario conoscere la posizione al riguardo di una figura come il vescovo, e naturalmente non solo la posizione, ma anche come la Chiesa sassarese sta’ rispondendo a questa necessaria accoglienza verso chi bussa alle nostre porte. Basta

Per quanto riguarda La Nuova e la Dinamo, spero che da martedì, quando riinizio a comprarla, in prima pagina non continui a vedere i giocatoroni pallacanestristi che giochicchiano al rimbalzo.

Ed anche per oggi la pennichella pomeridiana è fottuta.Buona domenica

 

“Billellera Jazz Band”,ovvero l’Ouandusseng Sussinca di umbè d’anni va

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di Piero Murineddu

 

Prima metà degli anni ’70, cioè appena ieri l’altro.

In questa prima foto, a partire da sinistra, con la barba e la grancassa  a tracolla è ANGELO ENAS, storico fondatore della Radio Alice sussinca.

SALVATORE RUGGIU, che dalla chitarra basso a quattro corde non si è mai staccato, è il secondo. Non gli si vedono le lunghe gambe,ma garantisco che di lui trattasi: lui, il solerte vigilone sempre vigilante e altrettanto multante, a volte tollerante ma pochino pochino (scherzo, Tore, sai che ti voglio bene……).

Segue VINCENZO SECHI, bravo chitarrista che all’occorrenza non disdegna ancora di scorrere le dita sulle tastiere elettroniche, così almeno ricordo (sono più o meno trentanni che non lo vedo più).

NINO MANUNTA, trombonista ” a spinta” che continua a vendere strumenti musicali all’Emiciclo Garibaldi. A proposito, com’è che nella piazza sassarese dedicata  al barbuto Eroe dei due mondi troneggia il busto di Giuseppe Mazzini? Mah……

Alla sua sinistra vi è la tromba sempre accordata e squillante di PIERO TANGIANU, proprietario di queste foto che ringrazio.

All’estrema destra c’è il bassoamericano  disperatamente soffiato da ANTONIO DEROSAS. Ho detto “estrema destra”, indicando la posizione nella foto, senza allusione alcuna alla…politica. Ma se così fosse, sono affaracci suoi, l’importante che quello strumentone (chissà gantu marasolthi pesa!) inventato in America lo suonasse bene, come credo (buon per lui e per i suoi ascoltatori).

Alla destra di Vincenzo (quello degli strumenti musicali nella piazza dove manca il busto dell’eroe ecc….) , nascosta dal manico del basso di Salvatore ( il solerte vigilone ecc……), affiora la folta capigliatura del clarinettista del gruppo, CENZO CARBONI, di cui, mi scuserete, ma non so un…..piffero.

 

Era un bel po’ che i baldi giovanotti ogni tanto si ritrovavano insieme per rompere, insieme ai loro, anche i timpani dei vicini di casa. Un bel giorno, il sempre frenetico (e in effetti aveva un bel caratterino, dai…) Pietro, il siculo “Sig. Falesi” da tutti conosciuto e che aveva interrotto l’insegnamento come maestro elementare per avviare quell’esaltante e irripetibile esperienza del Centro di Lettura, li coinvolse per animare il carnevale ormai alle porte. I sei giovanottoni non si fecero pregare, anche perchè scalpitavano dalla voglia di esibire in pubblico  il repertorio che erano riusciti, il più delle volte allegramente, a mettere su.

La data fatidica e tanto attesa della sfilata finalmente arrivò, insieme ad un persistente acquazzone che accompagnò praticamente per tutto il giorno il numeroso popolo giovanile mascherato. Oltre che rallegrare l’intero percorso, la “Billellera Jazz Band“, con la sua coinvolgente e allegra musica, intrattenne per l’intera serata la giovinaglia sussinca, mai abbastanza sazia  di divertimento e di fracassona baldoria. Mi dice Piero, (il trombista&trombettista che tutt’oggi evita puntigliosamente di mettere la sordina al suo strumento, sia perchè  occorrerebbe soffiarci dentro con più energia, sia perchè ci tiene troppo a farsi sentire fin nella periferia opposta  del paesotto dove abita, Sossu) che durante la sfilata, durata due ore circa, buona parte del tempo l’hanno trascorsa davanti al bar di Larenzinu, suonandogli insistentemente la canzone che da lui prende nome (Larenzì, pon’a bì  ecc….). Il mitico Larenzinu, sull’orlo di una carnevalesca crisi dei nervi, finalmente si era deciso ad uscire, offrendo alla sfrontata band una bottiglia di brucia budella. E’ il Tangianu che me l’ha detto, per cui bisogna fermamente crederci.

E’ possibile che la gratificazione avuta durante il piovosissimo carrasciari abbia dato ai musicanti stimolo ed entusiasmo per altre esibizioni pubbliche. Per adesso non ci è dato  di saperlo, ma probabilmente lo scopriremo in seguito.

In quest’altre due foto, vi sono impressi altri momenti della festa carnevalesca di quel dì. A voi, e se qualcuno si riconosce sotto gli ombrelli o baldanzosamente sotto la pioggia, lo faccia sapere che non lo mangiamo mica.

 

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Putacaso che il sindaco di Sorso, o di Sennori, ma anche di Chieri…..

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di Piero Murineddu

Letto avete? Si?

Oh, caspiterina! Va bè che il novello sindaco Sean Hwheer  chechissàcomesipronuncia  è stato sempre un tipoatipico, nel look come nel pensare et agire, va bè che questi benedetti giovanotti e giovanotte seguaci del Grillo genovese, che a differenza di prima chemifacevaumbèridereoramifasolopinsàeavolteincazzà, ci tengono a rimarcare la differenza tra i politici dioggidiieriedisempre e loro, ma a me questa storia che il nevello sindaco sportivo se ne vada per spiagge a pulirle sembra un ottimo inizio. Che poi l’abbia fatto per ingenua convinzione oppure che abbia manovrato per richiamare il corrispondente porthuddorresu di La Nuova per dedicargli l’articolo, in questo momento non m’importa.

Pronti a seguire le mie solite strampalate considerazioni? Via.

 

1. Putacaso che il sindaco di Sorso, o di Sennori, o di Chieri, o di dove volete (ma anche chi sindaco non è ed è qualcos’altro….. fate voi), per capire come si vive nelle case popolari,  decidesse di prendere in subaffitto (sempre che si possa fare) un appartamentino popolare in Dororiziu o in qualsiasi quartiere popolare e periferico per capire come ivi si vive ( vita condominiale che non sempre è il massimo per trascorrerci l’esistenza, muri trasperenti, possibili bisticci per lavare le scale…..) ?

2. Putacaso che il sindaco di Sorso, o di Sennori  ecc ecc…. , almeno una volta al mese (ma volendo anche di più)  decidesse di fare l’operatore ecologico, per capire cosa vuol dire uscir presto ( specie in inverno) per ritirare la spazzatura, liberare le “isole ecologiche” da montagne di un po’ di tutto, dover lavorare in un ambiente poco salubre, dover ramazzare ciche&ciche&ciche&ciche sparse nella pubblica strada e che s’infilano loro sanno dove, ripulire i vomiti notturni, dannarsi l’anima per tentare di staccare le dannatissime gommette da masticare  dai marciapiedi ecc ecc………?

3. Putacaso che il sindaco di Sorso, o di Sennori ecc ecc….. decidesse di trascorrere un periodo insieme ad una famiglia Rom e si vedesse mandato via dal territorio romangino ( o da qualsiasi altro buco sparso in tutto l’italico stivalone)  perchè ufficialmente non in regola, ma in realtà perchè odiato e malvisto dalla popolazione locale?

 

Ora passo al punto 4, ultimo e necessariamente lunghetto per l’argomento trattato. Andiamo, va’…

 

4. Putacaso che il sindaco di Sorso, o di Sennori  ecc ecc….., per capire veramente il dramma dei profughi,  decidesse:

a. di prendere l’aereo per un Paese centrafricano dove le persone subiscono immani nefandezze o son costretti alla fame;

b. si colorasse tutto il corpo di neroafrica;

c. si mettesse in viaggio insieme a molti disperati verso la costa  che da’ sul  Mediterraneo;

d. venisse fermato in qualche campo libico dove dei meschini approfittatori sfogano tutti i loro bassi istinti con persone inermi;

e. si aggregasse ad altre centinaia di poveracci che, sfiniti dalla stanchezza, fame e maltrattamenti, s’imbarcassero in trabiccoli del mare profumatamente pagati e dopo un’attraversata infernale durante la quale vede morire altri “passeggeri”, nel bel mezzo del mare è raccolto dalla nave “Arrivanoinostri” con cui riescono ad arrivare in Sardegna;

(scusate, faccio un pò di pausa) ……mumble mumble mumble ………

f. il sindaco in incognito quivi viene rifocillato amorevolmente dai santi volontari, mentre i Prefetti sardignoli cercano di convincere i 377 comuni dell’isola, più le miriadi di frazioni, a prendersi in carico, in proporzione agli abitanti, tutta questa gente;

g. il sindaco in incognito, visto che parla e capisce bene l’italiano, “intuisce” che molti residenti nel sardo sandalone non ne vogliono proprio sapere di avere questi “sudici negracci” in mezzo a loro;

h. il sindaco in incognito, avvicinatosi ad una ragazzina cagliaritana con l’apparecchietto in bocca per i denti, tatuaggi, tatuaggini, percing (che tenerezza!) e quell’altro coso supertecnologico in mano (che naturalmente stà smanettando su Facebook!), sbircia e legge commenti di stampo ferocemente razzistico e di rifiuto verso gli eventi  di questi ultimi tempi;

i. nel sindaco  in incognito iniziano a nascere atroci dubbi sulla sua precedente visione delle cose, ripensando a quando il Prefetto di Sassari Mulas, appena trasferito,  aveva fatto l’invito ai comuni di mobilitarsi, e lui, il sindaco ancora in incognito, non si era precipitato per dare la disponibilità, come molti altri suoi colleghi “che devono pensare prima ai propri concittadini“;

l. a questo punto il sindaco decide di uscire dall’anonimato – nel senso che non è più in incognito –  telefona al segretario del suo comune, ordinandogli di far attivare tutti i canali possibili perchè a Sorso ( e in qualunque comune della Sardegna, ma anche di Chieri ecc ecc…..) si creino le condizioni per accogliere il maggior numero possibile di questi profughi, mettendo finalmente da parte la  ridicola (e incredibile per le persone sensate!) convinzione che questi disperati siano parassiti che vogliono mettere a rischio la nostra incolumità, e pensando (finalmente!)  che SONO PERSONE CHE DOVEROSAMENTE BISOGNA AIUTARE,e lui che ci è passato lo sa benissimo,per cui se ne infischia se la Francia, l’Inghilterra e altri Paesi Europei ( compreso quello là mattacchione che si è costruito  chilometri e chilometri di muro per ….. proteggersi), non ne vogliono proprio sapere, e che loro la Civiltà è così che la concepiscono: impippandosene degli altri.

L’ipotetiche cronache future racconteranno di quando, diversi anni addietro, il sindaco di Sorso (o di Sennori ecc ecc….), dopo aver sperimentato sulla propria pelle certe situazioni di disagio, aiutò i suoi concittadini a liberarsi dei pregiudizi (conseguenti alle paure) e a diventare veramente un popolo accogliente e solidale, fra loro principalmente, ma nello stesso momento con tutte le persone che sono in difficoltà, siano essi neri, marron, turchese, gialloglioli ……..

 

Dicevo all’inizio del Sean portotorrese chechissàcomesipronuncia, ma di questo argomento, che si preannuncia (speriamo)  molto interessante, ci sarà tempo per parlarci su.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel mio quotidiano (e faticoso!) pendolarismo

Binario-trenitalia

 

di Piero Murineddu

E anche oggi devo fare il sacrificio di rinunciare alla pennichella pomeridiana per potervi raccontare ciò che mi è successo in mattinata. Va bè che basta semplicemente essere presenti a quello che si vive in ogni momento per trovarci materia di racconto, ma se continuo ad essere troppo “attento”, dopo pranzo …….non riposo proprio più!

Allora, vediamo…..da dove posso cominciare….. Faccio così, salto tutte le cose interessantissime vissute dalle 6,30 alle 13 e trendadue esatti e parto direttamente dall’una e trentatrè.

Appena salito sul Sirio, il preziosissimo e unico tram circolante a Sassari, riconosco il “Prof” sussincu, tal Nicola Tanda docente universitario, storico, conferenziere e non so cos’altro ancora. “Professo’ Tanda!“- dico io – “E ga sei?”  “Piero Murineddhu soggu”  “Ah, ischusami Biè, ma da gandu vaggiu ghisthu problema all’occi no cunnosciu assai la ienti“. La conversazione di pochi secondi fino alla fermata successiva in cui deve scendere è intensa. “Bisogna chi femmu casche cosa pa ghissa Banca di la Mimoria chi sei fendi“, mi dice mentre in piedi lo reggo perchè non cada. “E difatti….. Parò bisogna ghi zi muvimmu achì mi nè passendi la gana. D’ugna dantu diggu in giru di mandà gasche cosa su chissu chi è sthaddu Sossu e Sennari di li tempi passaddi e puru d’abà, ma ga ripondi sò umbè pogghi. Ma comunque già vaggiu l’innummaru soiu. Appena pussibiri lu giamu”, gli prometto. “Avvidezzi sani” . “Eiè“. mi risponde.

Arrivato alla stazione, affretto il passo, con la preoccupazione che ci sia la capostazione col berrettino rosso e il fischietto ansioso di squillare, la qual signora solitamente fa  partire il treno alle 13,40 spaccate, e non credo che capirà mai di aspettare la coincidenza del Sirio per far viaggiare col “suo” treno gli anzianotti affaticati come me che ogni volta si chiedono ” ce la faccio o non ce la faccio!?”. Meno male la gentil signora capotreno non è di turno ed il treno è lì, aspettando pazientemente proprio me.

Prendo posto nel sedile davanti ad una donna di una certa età che quando vede che il macchinista è un donna, si fa d’istinto il segno di croce, scuotendo preoccupata la testa. Diffidenza ….di genere? Possibile. Le faccio un timido sorriso d’incoraggiamento, volendola rassicurare che a Sorso saremmo arrivati sani,salvi e probabilmente ancora interi.

Il treno  è partito da qualche minuto, quando sento la macchinista dire al controllore che le è a fianco: “Eccolo, è ancora lì…me lo immaginavo“. Nel mentre inizia a suonare il ridicolo clacson (clacson?) e a rallentare. Io mi sporgo per vedere cosa succede. Più avanti, a meno di mezzo metro dai binari, c’è una persona a dorso nudo, accovacciato e immobile: aspirante suicida, malessere o cos’altro? Non ottenendo reazione alcuna, la macchinista ferma il treno costruito nei primi anni ’60 e viaggiante ancora, seppur a malapena. Coraggiosamenteeteroicamentesifaperdire, mi offro per dare eventuale aiuto al controllore, scendendo insieme a lui e dirigendoci verso quella persona eventualmente da soccorrere, la quale, sentito l’invito a spostarsi, finalmente si alza e si allontana. Mi accorgo che è barcollante e che è intento ad iniettarsi qualcosa d’indefinito nella vena del braccio.

Mentre il treno può riprendere felice e risollevato la sua corsetta verso Sossu, il controllore mi ringrazia con una pacchetta sulla spalla. Al nostro passaggio lungo i sedili, mi accorgo dei tanti visi interroganti su cosa fosse successo, ma purtroppo per loro, l’ interrogativo rimane senza risposta. Magari, ora che vi ho fatto sapere la cosa. potete essere voi a risolvere il di loro amletico dubbio.

Considerazioni? Fate voi. Io intanto mi distendo e cerco di recuperare quella pennichella che dicevo all’inizio.

Non è per dire, ma quel sali&scendi mi ha sfiancato

Chissàcomechissàperchèperupepè

 

di Piero Murineddu

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Viaggiare coi mezzi pubblici è comodo e poco dispendioso. Se lo si facesse in tanti, sicuramente l’aria sarebbe meno inquinata e in giro ci sarebbe meno stress,meno nervosismo e forse ci si saluterebbe di più.

Il fatto è, che quando al rientro dal lavoro, intorno alle due di pomeriggio d’estate, devi percorrere la strada per casa in salita, la cosa si fa leggermente pesantina. E infatti, quando sono a metà circa di via Europa (stò parlando di Sorso, il solito paesotto allegretto e spensierato etc etc…dove ho avuto l’avventurasventura di nascere e vivere), mi viene da pensare “ma per quale zozzo miseriaccio motivo non fanno una bella scala mobile per i vecchietti come me, sulla soglia del pensionamento?”

Ma al solito mi devo rassegnare, fare una piccola pausetta, e proseguire a schiena curva verso casa, tinendimi bè li gùmmari.

All’incrocio – menomaleperò – costeggiante il famoso  e mostruoso edificio dove vi lavora mezza Cina, mi consola il fresco prodotto da quelle verdi e rigogliose magnolie coloratissime ( e velenosissime per gli animali e per i cristiani). Il fatto è – miseriacciarizozza – che percorrendo gli ultimi cento metri che mi separano dall’agognatadesiderata pastasciutta del mezzodì, devo fare sali&scendi dal marciapiede perchè le sviluppate fronde ne impediscono il passaggio.

La cosa si ripete ormai da quel dì, per cui mi chiedo, e questa volta fuori dalle buffunature:

ma a Sorso i cittadini sono tutti uguali, nel senso che indistintamente si hanno   diritti e doveri da rispettare, oppure qualcuno è più uguale degli altri?

Qualcuno non riesce a capire il perchè di questa mia domanda? Subito chiarito, allora:

perchè non s’impone al proprietario (del famoso e mostruoso edificio etc etc….) di lasciare libero dalle fronde il pubblico marciapiede, oggi, domani, posdomani e sempre?

Passi che a suo tempo si è permessa simile obbrobriosa costruzione, chissàcomechissàperchèperupepè;

passi che sia stato permesso di costruirvi sopra appartamenti che personalmente non vorrei neanche a gratisi, chissàcomechissàperchèperupepè;

passi che si è impedito la nascita di un bellissimo parco centrale,chissàcomechissàperchèperupepè;

passi che i mostri meccanici, scavandoscavandoeancorascavando, per mesi  e mesi avevano messo a dura prova il sistema nervoso di noialtri che già abitavamo tutt’intorno, una quindicina di anni orsono,chissàcomechissàperchèperupepè;

passi che dedicando tale via a quel povero carabiniere trentenne caduto in un conflitto a fuoco coi banditi gli si è disonorata quasi la memoria,chissàcomechissàperchèperupepè……….

ma che rincasando ogni giorno intorno alle due pomeridiane d’estate debba fare su&giu dal marciapiede…. no eee… questo proprio non lo sopporto,

          porcaccialamiseriazozzona !!!!

 

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BENE COMUNE “GOVERNATO” DA TUTTI? Eia…..sisi…..

Breve premessa con proposta

di Piero Murineddu

 

REGOLAMENTO COMUNALE PER LA PARTECIPAZIONE NEL GOVERNO E NELLA CURA DEI BENI COMUNI”

Si, avete letto bene. In altri termini, i cittadini che partecipano al governo della Cosa  di loro proprietà. Eia,finalmente loro a governare ciò che a loro appartiene.E quanto leggerete in fondo all’articolo che segue, sempre che abbiate la buona ed intelligente volontà di leggerlo fino alla fine. Questo succede a Chieri, cittadina micapiccola piemontese posta a ridosso delle colline torinesi. Tra qualche settimana, precisamente dal 9 al 12 luglio, ci sarà il “Festival Internazionale dei Beni Comuni“, tre giorni di dibattiti e proposte a cui parteciperanno anche personaggi di rilievo della vita pubblica non solo italiana.

Purtroppo vorrei partecipare con tutto il cuore e frattaglie varie, ma purtroppo non posso. Faccio comunque una piccola proposta, indirizzata più che altro ai miei vicini conterranei sardignoli, più precisamente sussinchi, sinnaresi e porthuddorresi anche: io, se qualche amministratore delle nostre parti è disposto a parteciparvi e ad impegnarsi a realizzare qui le cose che sentirà, sono disposto a pagargli il caffè dei tre giorni del festival. Qui lo dico e non lo nego. Qualcun’altro potrebbe pagargli il caffelatte e la pastina, i biglietti degli autobus, il giornale, l’entrata al museo, il menù economico a pranzo e la pizzetta a cena, la birrettina e il pacchetto di caramelle alla menta…. Lo finanziamo noialtri, insomma. Però alla condizione che ho su detto. Se invece lui va, e al suo rientro in Sardegna dice che in Romangia tale cosa non si può attuare per la diversità delle  condizioni socialieconomiche&storiche e blaterazione varia, lo invitiamo a venire nella pubblica piazza e lo bersagliamo di grassi scarrascioni maschili e gentili sputelli femminili, facendogli pesare tutto il nostro sdegno a  vergogna per  essere guidati da siffatti politici sifaperdire. C’è ancora tempo. Chi ci stà, lanci un un sonoro ruttone maschile o un delicato e gentile ruttino femminile. Ma comunque sia, e qui è il siculo novantenne Camilleri ad insegnarmelo, chi non è d’accordo con le mie “stravaganze mentali” , si faccia liberamente le sue, con buona pace di tutti. E così sia

 

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                       IL BENE COMUNE QUESTO SCONOSCIUTO

di Piergiorgio Tenani

Questa riflessione nasce dalle nostre esperienze e da scritti ed azioni di tanti che in Italia e nel mondo si impegnano da sempre per rendere il nostro vivere una continua ricerca del Bene Comune. Cosa hanno in comune l’acqua potabile, una foresta, una piazza, con la salute dei cittadini o i flussi di conoscenza che scorrono nella rete, oppure con la salute e la democrazia?

La risposta è che in tutti casi si tratta di “beni comuni”,vale a dire beni che non appartengono né possono diventare proprietà esclusiva del singolo o dello Stato e proprio per questo non possono essere oggetto di mercificazione.

L’acqua non può essere privatizzata perché, come l’aria, è condizione essenziale del diritto alla vita; la piazza perché costituisce luogo di incontro e di socializzazione per chiunque in qual momento vi sosti, l’informazione perché è strumento irrinunciabile di sviluppo dell’intero genere umano e così via. Il Bene Comune è ciò che offre in termini di qualità della vita un vantaggio a tutti: la sua caratteristica intrinseca è quella di esseremezzo/strumento essenziale alla sussistenza/convivenza, senza essere merce.

Parliamo di beni in comune, in condivisione, “cose ” necessarie per vivere… cose che, non potendo vivere da soli, si manifestano come necessarie per vivere con altri, viveretra altri, cose necessarie a convivere (vivere con, tra; ma anche prima e dopo, fino all’inter/transgenerazionale che, fra l’altro, è insito nel concetto di sostenibilità).

Per beni comuni si intendono quelli naturali/materiali, locali o globali, ricevuti in eredità e da conservare per le future generazioni –ambiente, paesaggio, acqua, aria, terra, territorio, oceani ma anche il linguaggio e i saperi, il lavoro –quelli sociali, intesi come servizi costruiti dagli uomini come la sanità e il socio assistenziale, le infrastrutture, la salute. che assicurano il bene comune cioè il benessere della comunità.

I Beni Comuni sono anche cose immateriali, come le relazioni, la fiducia, i sistemi sociali, la democrazia, la partecipazione, la cultura, l’istruzione, la sicurezza e la pace, la giustizia.

il problema originario dei beni comuni era quello di stabilire delle regole che permettessero l’uso tendenzialmente universale della risorsa prevenendone l’esaurimento; con il tempo, il concetto si è allargato, e con esso gli obblighi che derivano dall’uso dei beni comuni:

– la prevenzione dell’esaurimento della risorsa;

– il mantenimento della qualità originaria;

– il mantenimento – o addirittura l’incremento – della disponibilità della  risorsa, stante l’incremento demografico e dei consumi;

– l’accesso universale;

– la difesa della proprietà comune del bene;

– Il recupero del controllo democratico sulla loro destinazione d’uso e gestione.

Un bene comune richiede, più che il rispetto della legge che esprime l’interesse generale, l’impegno di ciascuno come condizione di mantenimento e valorizzazione del bene comune stesso.

Una vita umanamente degna e un vivere insieme costruttivo sono un diritto universale e un dovere collettivo. Da qui deriva l’inevitabilità della responsabilità e della cura, anche individuale, di tutti i beni e servizi essenziali e insostituibili alla vita. La questione è di passare dal concepire un patrimonio personale, da tramandare alla propria discendenza, ad un patrimonio collettivo, comune,territoriale, partecipando alla sua cura e manutenzione affinché si mantenga e possa essere tramandato a tutti. La scelta del bene comune presuppone una auto responsabilizzazione delle persone, che decidono di voler essere protagoniste nella costruzione della comunità locale in una visione globale. Il bene comune vive e migliora con azioni quotidiane alla nostra portata, con nuove interpretazioni dei nostri ruoli contemporanei di individui, genitori/coniugi/figli, lavoratori, abitanti, automobilisti, turisti, amministratori, imprenditori, cittadini, ecc. A ognuno di noi decidere cosa è un bene comune per noi e quale impegno vogliamo dare per preservarlo e mantenerlo a disposizione di tutti in una visione NON parziale ed interessata ma in una visione del mondo ecologica, fondata sulla comunità, su olismo e una dimensione altamente qualitativa, dove la sopravvivenza individuale è legata al rapporto con gli altri, con la comunità, con la terra, con l’ambiente. È importante anche che le organizzazioni ed i cittadini impegnati in una fattiva operazione di cittadinanza attiva vengano valorizzati e si valorizzino grazie a questi percorsi.

A Chieri, anche grazie alle possibilità aperte alla popolazione grazie all’approvazione del “REGOLAMENTO COMUNALE PER LA PARTECIPAZIONE NEL GOVERNO E NELLA CURA DEI BENI COMUNI” sono diversi mesi che cittadini ed associazioni hanno cominciato a chiedersi come sia possibile riappropriarsi e fare rivivere alcune parti della città, ad esempio l’ex fabbrica Tabasso.

Abbiamo iniziato a cercare di capire sia come usare questo in funzione del bene comune sia come valorizzare quanto già molti fanno in città nell’ottica dei beni comuni con l’intenzione di armonizzare, condividere ed estendere ancora di più l’azione dei singoli e dei gruppi.

Una ulteriore occasione di approfondimento e riflessione sarà costituita da “AREAFESTIVAL INTERNAZIONALE DEI BENI COMUNI”, dal 9 al 12 luglio, una manifestazione culturale promossa dalla Città di Chieri, per promuovere un modello di collaborazione nuovo tra cittadinanza e amministrazione pubblica per la partecipazione al governo e alla cura dei Beni Comuni.

Il festival è nato quale luogo aperto per discutere, confrontarsi, condividere esperienze, tessere relazioni costruttive, capire insieme quali, cosa e chi sono i beni comuni, partendo dal territorio locale per passare progressivamente alla scala nazionale e giungere fino all’ambito internazionale.

Tutte le informazioni ed il programma sono visibili su http://www.festivalbenicomuni.it.

Sii il cambiamento che vuoi vedere attorno a te

 

Articolo trattto da “c.d.b. informa” – Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri -n° 61 –  giugno 2015

 

 

 

 

 

Un fugacissimo e piacevolissimo incontro domenicale con LUCIANO ASARA

 

LUCIANO ASARA

 

di Piero Murineddu

Rientrando a casa a fine mattinata, dopo aver gustato un decaffeinato davanti al mare insieme ai miei amici ultranovantenni Albino e Salvatore, vedo sfrecciare sul marciapiede con la sua motoretta da invalido lo spericolato Luciano. Prontamente risponde al mio invito a fermare il suo trabiccolo per chiacchierare un po’.

L’incontro sembrerebbe casuale ma non più di tanto, e infatti Luciano, spesso insieme ai suoi  compagni  d’avventura(sventura?) motorizzati, lo si vede per le strade di Sorso che se la passeggia più o meno allegramente. Si tratta solo di volersi fermare per parlocchiare. E così è stato quest’oggi.

Mi chiede subito se ho già visto il filmato che qualcuno ha caricato su youtube, realizzato nel lontano 2001 a Biancareddu per una festa di beneficenza, in cui la sua potente voce è egregiamente accompagnata dai bravi Giuseppe Cubeddu, fisarmonicista di Ossi, e Tore Matzau, chitarrista sennorese. “Che mangiata quella sera! –  mi dice – pecora in capotto e gnocchi alla sarda che non ti dico“. Chissà quanto vino hai anche bevazzato, gli domando maliziosamente. “ Ma gosa – risponde lui – biggu eba da gandu soggu naddu”. “M’ammentu la sgiaradda di barzelletti ghi aggiu raccuntaddu la sèra. Sinnò ghiss’altrha vostha ghi soggu sthaddu da mezzanotti fin’a li zincu di manzanu sempri raccontendi barzelletti….una fatt’a l’altrha…”

Luciano, che il prossimo 20 agosto compie la bellezza di 62 anni, ha fatto il macellaio fino al 2000, attività che per problemi cardiaci ha dovuto lasciare. Tuttavia, per continuare a vivere, non si è allontanato di molto dall’ambiente delle bestie ammazzate per saziare gli stomaci umani. Ha infatti continuato a fare l’esattore per conto della Sarda Alimentari Carni almeno per quattro o cinque anni. Ricoverato per qualche problemuccio renale, poco prima della dimissione viene colpito da un ictus che gli paralizza la parte sinistra del corpo. Lunghi e sofferti mesi di riabilitazione, combattendo nel contempo anche la solita e immancabile depressione, in agguato come spesso accade, specialmente quando la tua vita è colpita da eventi che te la stravolgono. Grazie a tanti fattori e sicuramente a persone che non gli hanno fatto mancare il loro aiuto e il loro affetto, oggi Luciano è riuscito ad accettare la sua condizione di disabile, e – mi dice lui – d’ugna manzanu soggu cuntentu di pudè  aibrì l’occi. La vita, quella grande e strana cosa che  solitamente si dà per scontata e si inizia  a capirne il valore quando la si sente scivolar via dalle proprie dita. Così per me come credo per tutti. Mi dice Luciano che sicuramente il suo carattere lo ha aiutato tantissimo per riprendere a vivere, e tutti quelli che giornalmente lo incontrano, senza dubbio confermano.

Non ho mai frequentato Luciano. In qualche occasione l’avevo sentito cantare, e le sue doti vocali mi avevano sempre impressionato. Suo babbo Francesco, contadino come molti dei nostri padri, era cantadore alla sarda, e chissà quante volte si son trovati col mio di babbo, Antonino di nome e contadino e cantadore pure lui. Il cantare in “Re” è stata sempre la sua predilezione.  A differenza dei loro due figlioli Luciano e Piero entrambi astemi, chissà quanto se ne son bevuto di quello buono nei buttighini della Sorso che fu!

Luciano, cantante all’italiana, cantadore alla sarda e alla sassaresa e, sopratutto barzellettaro. Bisogna che mi fermi più spesso con lui, per farmi venire il buon’umore con il suo vastissimo repertorio di barzellette, compresa qualcuna leggermente zozzoncella.

Godetevi la sua voce in questo filmato che dicevo prima.