21 novembre 1943. L’ eccidio di Pietransieri, in Abruzzo, uno dei tanti compiuti dalla criminale follia nazista

di Mario Pizzola         (pressenza.com)

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Sono passati 80 anni da quel 21 novembre 1943 quando l’esercito tedesco assassinò 110 civili inermi a Pietransieri, frazione di Roccaraso, in Abruzzo. Altre 18 persone erano state uccise nei giorni precedenti. 128 vittime,  delle quali 82 donne e 37 bambini sotto i dodici anni. Il più vecchio aveva 80 anni e il più piccolo appena un mese; unica superstite una bambina di 7 anni, Virginia Macerelli che, pur rimanendo gravemente ferita, si salvò perché nascosta dalle vesti della madre.

La loro sola “colpa” fu quella di trovarsi nel posto sbagliato, ovvero in un luogo considerato strategico per la Wehrmacht: la Linea Gustav, che Hitler aveva ordinato di costruire per cercare di fermare l’avanzata degli angloamericani, sbarcati a Salerno il 9 settembre 1943. La Linea Gustav congiungeva la parte più stretta dello stivale, dal Garigliano sul Tirreno fino ad Ortona sull’Adriatico, passando per Cassino, le Mainarde, gli altipiani maggiori d’Abruzzo e la Maiella. Pietransieri, situato su uno sperone roccioso a 1300 metri di quota, era per i tedeschi uno dei capisaldi del fronte di difesa verso il quale si dirigevano gli Alleati.

Il feldmaresciallo Albert Kesserling, comandante supremo delle forze armate tedesche in Italia, aveva fatto affiggere a Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo, Roccacinquemiglia e Pietransieri un manifesto in cui era scritto:

Tutti coloro che si troveranno ancora in paese o sulle montagne circostanti saranno considerati ribelli e ad essi sarà riservato il trattamento stabilito dalle leggi di guerra dell’esercito germanico”.

Fucilazione immediata.

Gli uomini erano stati rastrellati e costretti a lavorare alla fortificazione della Gustav, mentre donne, anziani e bambini erano stati sfollati dalle loro case, caricati a forza sugli automezzi e diretti verso Sulmona. Anche gli abitanti di Pietransieri avevano dovuto abbandonare le loro abitazioni ma molti di essi si erano rifugiati nei casolari del bosco di Limmari, dove avevano i loro animali, convinti che lì sarebbero stati lasciati in pace.

Il 12 novembre i tedeschi incendiarono la casa di una anziana paralizzata che morì nel rogo. Nei giorni successivi si susseguirono razzie, uccisioni del bestiame ed esecuzioni sommarie che portarono alla morte 17 persone. All’alba del 21 novembre una pattuglia di soldati tedeschi arrivò nel bosco di Limmari e, casolare per casolare, cominciò a mitragliare tutte le persone che vi avevano trovato rifugio. Il maggior numero di morti si avrà nell’ultimo casolare dove venne fatta esplodere anche una mina che i soldati avevano portato a dorso di un mulo.

Nessuno si salverà dalla furia omicida dei tedeschi, tranne due bambini, ambedue di 7 anni: Virginia Macerelli, protetta dal corpo della madre, sopravviverà perché la nonna la mattina del giorno dopo andrà a recuperarla; l’altro bambino, Flavio De Matteis, non verrà invece aiutato da nessuno e morirà sul luogo dell’eccidio in seguito alle gravi ferite riportate. Dopo la strage i corpi vennero abbandonati nella neve. Solo nella primavera del 1944, quando il fronte si sarà spostato verso nord, i familiari poterono recuperare i resti dei loro cari e seppellirli.

Secondo lo studioso Paolo Paoletti la responsabilità diretta dell’eccidio va attribuita all’ufficiale che era al comando del reparto militare di stanza a Pietransieri, il capitano George Schulze, morto nel 1993 e decorato con la croce d’argento proprio nel 1943. Come tante altre stragi compiute dai nazisti in Italia anche quella di Pietransieri nel dopoguerra finirà nell’oblio.

Nessuno pagherà per i 128 civili inermi assassinati. La magistratura militare italiana per 50 anni occultò le prove sui crimini di guerra compiuti dalle forze armate naziste nel nostro Paese. Solo nel 1994 vennero casualmente rinvenuti nel cosiddetto “armadio della vergogna”, presso la Procura generale militare, 695 fascicoli riguardanti eccidi compiuti nel corso dell’occupazione tedesca. Così le vittime furono uccise due volte: dalle armi tedesche e dalla giustizia negata italiana. Ma la responsabilità non fu soltanto militare, bensì conseguenza di precise scelte politiche. “L’irrisolta questione dei criminali di guerra costituiva la grande rimozione nei rapporti italo-germanici – scrive lo storico Mimmo Franzinelli nel libro “Le stragi nascoste” -; la sua eventuale soluzione esigeva l’estradizione degli imputati, provvedimento sgradito sia ai governanti tedeschi che alle autorità italiane. Nella seconda metà degli anni Cinquanta il procuratore generale militare Arrigo Mirabella concordò col ministero degli Affari esteri una linea di condotta di assoluta inerzia, ispirata alla ‘ragion di Stato’. Il liberale Gaetano Martino, ministro degli Esteri, e il democristiano Paolo Emilio Taviani, ministro della Difesa, stabilirono di lasciare impregiudicata la questione dei crimini di guerra”.

Nel 2017 il Tribunale di Sulmona ha condannato la Germania al risarcimento di un milione e seicentomila euro nei confronti del Comune di Roccaraso e di circa cinque milioni per gli eredi delle vittime dell’eccidio. Nella motivazione della sentenza si legge che “la verità è che una simile strage fu resa possibile proprio dalla sistematica accondiscendenza, quando non dalla sollecitazione, da parte dei vertici dell’esercito tedesco di tali atti di assassinio, sterminio, deportazione e violazione della vita privata ai danni della popolazione civile”. La Corte Costituzionale però, nel luglio scorso, ha imposto uno stop alla sentenza affermando che nella procedura esecutiva opera l’immunità ristretta degli Stati, come già riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia in favore della Germania, e ha stabilito che l’estinzione di diritto delle procedure pendenti è compensata dalla tutela introdotta con l’istituzione del Fondo per i ristori, di importo pari alle somme liquidate con sentenze passate in giudicato.

Nel 1967 è stato costruito il “Sacrario dei Martiri dei Limmari” dove sono state portate le spoglie degli uccisi. Le pareti del tempio sono coperte di targhette in pietra con il nome e l’età di tutte le vittime. In occasione dell’inaugurazione il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ha concesso a Pietransieri la Medaglia d’oro al Valor Militare. Ogni anno si svolge la “fiaccolata della memoria”. Gli abitanti salgono in fila fino al bosco di Limmari e, davanti alle lapidi poste a ricordo, si soffermano e leggono i nomi di tutte le persone trucidate.

Nel 2009 i registi Anna Cavasinni e Fabrizio Franceschelli hanno realizzato il film “Il sangue dei Lìmmari” con la comunità di Pietransieri e le interviste ai testimoni dei tragici eventi ancora in vita.

Medaglia al  “valor militare”?

 

Si legge nella motivazione per la medaglia d’ oro:

« Pietransieri, nobile e generosa frazione montana del Comune di Roccaraso, conferma ancora una volta le elevate tradizioni patriottiche e la insofferenza al servaggio delle forti popolazioni abruzzesi, reagiva con la più ostinata opposizione ad ogni invito dell’oppressore alla collaborazione, subendo intrepidamente depredazioni, saccheggi, incendi e distruzioni. l’uccisione ad opera dei partigiani di due militari nazisti offriva all’invasore il pretesto per far pagare a tutta la popolazione il prezzo della fiera resistenza, per cui, in sette giorni, il nemico barbaramente trucidava, con disumana e bestiale ferocia, ben centoventotto abitante per la maggior parte donne, vecchi e bambini, indifesi ed affamati. L’olocausto di tante innocenti vite umane testimonierà per sempre l’alto, nobilissimo contributo di sacrificio e di sangue offerto dalla popolazione di Pietransieri a difesa dell’onore, della libertà e dell’avvenire della Patria.18 gennaio 1967″

” …reagiva con la più ostinata opposizione…”

” …subendo intrepidamente…”

“…a difesa dell’ onore, della libertà e dell’ avvenire della Patria”

Quanta miserabile retorica! Che c’ entra questa non voluta morte col valore militare?

Come sentiremo nel filmato che segue – che raccomando vivamente di seguire con altrettanto silenzioso rispetto come fa la comitiva che ripercorre, al seguito di uno storico e di un attore/ musicista, i tragici eventi di quei giorni di novembre del 1943 – a quella povera gente trucidata non importava  subire “intrepidamente” né  tantomeno “difendere l’ onore della Patria”, ma unicamente scampare ad una morte inflitta vigliaccamente senza colpa alcuna e senza capirne minimamente il motivo, come accade nelle guerre di sempre.

A seguire la testimonianza di Virginia Macerelli, allora sette anni, unica superstite all’ orrore, salvatasi perché non vista e perché, poco più tardi, creduta morta. (Piero)


“Il sangue mi si era assunto addosso”

 

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A novembre, cominciarono a venire i tedeschi. Dicevano che dovevamo scappare perché il paese doveva essere distrutto. Si sono presi tutti gli uomini per la guerra, anche mio padre ed altri due miei fratelli, quelli più grandi.Dopo, Pietransieri è stata sfollata, perché bombardavano il paese e mettevano fuoco alle case.

Siamo andati alle masserie, a Lìmmari. Mia madre con sei figli è andata a Lìmmari e siamo stati per due notti sotto un albero, con una tenda. Avevamo tutti fatto delle tende. I tedeschi venivano, ci interrogavano, bombardavano il paese e prendevano tutti gli animali, i maiali e quello che trovavano.

Il 16 novembre per primo hanno preso mio fratello. L’hanno portato a Pietransieri con i maiali e l’hanno ucciso. Poi hanno preso l’altro mio fratello e l’hanno ucciso in un boschetto.

Noi siamo rimasti sotto la tenda per altri cinque giorni. Il 21 novembre sono venuti di nuovo i tedeschi dicendo che dovevano ammazzare tutti quanti. Poi venne un tedesco, era bravo, e ci disse che dovevamo scappare, perché sarebbe venuta la SS e tutti kaputt. Con la mano aveva fatto cenno: tutti kaputt. Abbiamo cominciato a scappare verso Castel di Sangro…

Dopo mezz’ ora è arrivata la SS e ci hanno raggruppati. C’era un tronco d’albero e hanno fatto sedere la gente intorno. Poi hanno messo una mina, grande come un vaso di fiori e l’hanno fatta saltare. Dopo che la mina era scoppiata, i tedeschi cominciarono ad uccidere i feriti con la mitragliatrice.

Io stavo sotto braccio a mamma. Ero la più piccola dei figli. Si sa che quando c’è un pericolo la madre stringe a sé tutti i figli. Io ero la più piccola e così mi ha abbracciato. Mia madre aveva uno scialle sulle spalle e come i tedeschi hanno mitragliato è caduta ed è morta all’ istante.Io sono caduta sotto a mamma e sono rimasta lì, lo scialle di mamma mi aveva coperto…

Tutti strillavano. La prima volta che hanno cominciato ad uccidere che urli si sentivano! Poi è rimasto solo silenzio. Non si sentivano neanche più gli uccelli. Niente. Non si sentiva niente. Tutto il mondo era silenzio. Sono rimasta lì sotto a mamma, zitta, non parlavo. Ero piena di buchi, sono piena di buchi. Buchi che passano da parte a parte. Dopo un po’ ho cominciato a muovermi, ma ho visto che c’erano solo morti. Uno sopra l’altro, tutti morti.

Avevo alzato la testa quando ero ancora sotto a mamma ed avevo visto mio fratello che mi stava vicino. Mi ha detto: Virginia, è morta mamma? Io gli risposi di sì. Era morta sull’istante, l’avevo morta su di me. Mio fratello aveva un buco fatto con la mitragliatrice. Un buco da parte a parte che gli aveva trapassato un occhio. Poi, dopo che gli avevo risposto, abbassò la testa e morì anche lui…

I tedeschi si erano allontanati un bel po’, avevano ammazzato e se ne erano andati. Dopo un po’ però sono ritornati per vedere se i morti erano davvero morti. Andavano con la pistola in mano, e con il piede spostavano la gente. Allora io abbassai la testa sotto lo scialle di mamma e così non mi videro. Chi invece si muoveva ancora, veniva ucciso con un colpo di pistola alla testa. Sono rimasta sotto a quei cadaveri per due giorni e due notti.

Poi, dopo tutto questo tempo, ho visto due donne di Pietransieri che venivano lì vicino. Allora le chiamai, perché le avevo riconosciute e chiesi loro se mi potevano portare via. Mi sollevarono dai morti e mi portarono vicino ad un ruscello d’acqua. Poi mi dissero: “Adesso vediamo se c’ è qualcuno della tua famiglia, così ti mandiamo a prendere. Tu aspetta qui”. Loro non mi poterono portare via, perché ognuno cercava di scappare per salvarsi.

Sono rimasta vicino a quel ruscello un’altra notte, insieme ad un ragazzo che si era salvato. Questo ragazzo stava peggio di me, era ferito gravemente alle mani e poi non poteva camminare.

Quella notte, quelle due donne ci misero dentro ad una mangiatoia in una masseria, dove c’erano gli animali. Era notte tardi e vennero ancora i tedeschi. Questa volta misero fuoco alla masseria. Cadevano tutte le travi di legno del soffitto. Ci cadevano addosso grossi carboni. Dissi a quel ragazzo che si chiamava Flavio: “Se non ci hanno uccisi i tedeschi, mica dobbiamo morire abbruciati”, e così siamo saltati giù dalla mangiatoia. Poi tutti e due ci siamo rotolati per terra e siamo usciti dalla masseria. Siamo andati vicino ad un ruscello d’acqua. Stavamo tutti e due stesi per terra.

La mattina seguente, i tedeschi andavano ancora in giro con il fucile in mano. Così dissi a Flavio: “Questi abbaiano come i cani, quindi non sono italiani. Tornano un’altra volta”. Forse è stato Iddio….. Stavamo stesi per terra come morti, e come i tedeschi sono venuti ci puntavano il fucile dietro le spalle, e con il piede ci muovevano per vedere se eravamo morti. Niente. Noi non ci siamo mossi. Né io né Flavio. Quelli dissero: “ja, ja, kaputt, kaputt” e se ne andarono.

Più tardi, sempre di mattina, arrivò mia nonna che era viva e che era stata in un’altra masseria. Quelle donne che mi avevano visto le avevano detto che stavo lì. La sentivo strillare. Chiamava e chiamava i miei fratelli, mia sorella e mia mamma, ma sapeva che erano morti. Lo faceva con disperazione. Poi chiamava me: “Virginia, Virginia”. Era venuta con un’altra donna. Si avvicinarono ed avevano una pizza fatta con il pane. Quelli sono bambini ed avranno fame, pensavano. Ma io neanche dopo otto giorni ho potuto mangiare. Quel ragazzo invece ha preso la pizza e l’ ha mangiata. Mia nonna quel ragazzo non l’ha potuto portare. Era ferito peggio di me. Quando mia nonna mi prendeva sotto le gambe io strillavo, se mi prendeva sotto le braccia lo stesso.

Mia nonna diceva: “Come faccio a portarti, figuriamoci Flavio”. Poi mi prese per una spalla, dove avevo meno dolore e mi caricò su di sé. Quel ragazzo è rimasto lì, non l’hanno potuto portare.

Mi hanno portato in una masseria dove c’era tanta gente di Pietransieri, che si era salvata.

Quando mi videro ero un vaso di sangue. I panni mi si erano attaccati addosso, ero senza scarpe… Non sapevano dove mettere le mani. Dicevano: “E ora come facciamo?” Non mi potevano toccare perché i panni mi si erano attaccati addosso; dopo quei giorni il sangue si era assutto addosso. Così prepararono un caldaio d’ acqua, lo misero in una bagnarola e mi calarono lì dentro per un bel po’. Poi una donna di Pietransieri, che ora è morta, cominciò con una forbice a tagliare piano piano i vestiti. Quando mi tolsero tutto e videro tutti quei buchi, tutte quelle ferite, strillarono loro per me.

Io ho cinque buchi, al braccio, al petto e alle gambe. Alla fine mi lavarono tutta e con qualcosa di lino mi disinfettarono i buchi. Dopo mi avvolsero dentro un lenzuolo, senza mettermi niente addosso e mi sistemarono in quella masseria. Acqua e sale mi hanno guarito…

Le donne che mi avevano curato andarono il giorno dopo a prendere Flavio, per salvare quell’altra anima di Dio. Così dicevano le donne di allora. Ma non era andato nessuno a prenderlo. Aveva camminato molto perché lo ritrovarono in un’altra masseria. Morto.

Dopo, da Pietransieri io, mia nonna e quella vecchietta andammo a S. Demetrio, dove siamo rimasti fino alla fine della guerra…

21 novembre 1943. L’ eccidio di Pietransieri, in Abruzzo, uno dei tanti compiuti dalla criminale follia nazistaultima modifica: 2023-11-21T05:22:20+01:00da piero-murineddu
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