La Striscia di Gaza

VILTÀ ALLA MASSIMA POTENZA

di Michele Giorgio ( ilmanifesto.it)

Pazienti, sfollati, infermieri, medici, autisti di ambulanze, parenti di ammalati e passanti uccisi in un attimo. 500 secondo una prima stima fatta dal ministero della salute, poi il numero è stato portato da fonti ufficiose a 800 e quindi a mille.

La notizia del massacro ha scatenato forti reazioni in tutte le città della Cisgiordania: decine di migliaia di palestinesi, oltre a protestare contro Israele, hanno provato a raggiungere la Muqata, il quartier generale a Ramallah di Abu Mazen – che si trovava in Giordania – scandendo «Il popolo vuole la caduta del regime».

La polizia ha sparato prima lacrimogeni e poi proiettili veri a raffica per allontanare la folla. Spari sarebbero partiti anche dai manifestanti contro gli edifici dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Testimoni parlavano di scontri di inaudita violenza, di una «rivolta contro la Sulta (Autorità)» a tutti gli effetti. Deve averlo pensato anche Abu Mazen che ha annullato la sua partecipazione al vertice con Joe Biden previsto oggi ad Amman. Nella capitale giordana, centinaia di persone hanno tentato di assaltare l’ambasciata israeliana.

Le immagini giunte ieri da Gaza mostravano l’intero complesso ospedaliero, noto anche come il Baptist Hospital, avvolto e divorato dalle fiamme. Intorno all’ospedale i corpi di decine di persone uccise sul colpo dall’esplosione. E sangue e resti umani ovunque. Scene terrificanti.

Se confermata la responsabilità di Israele – che ieri sera non confermava il suo coinvolgimento e accusava Hamas – sarebbe il bombardamento più sanguinoso da quando Israele ha lanciato la campagna di raid aerei contro Gaza.

«Ci sono decine di corpi smembrati e schiacciati, è un bagno di sangue», ha detto un testimone, Raed Abu Radwan. Un altro testimone che non ha dato il suo nome ai giornalisti, racconta: «Stavamo visitando mio zio. All’improvviso c’è stata una grande esplosione nel centro dell’ospedale. C’erano migliaia di persone sul posto. Molti sono morti o feriti».

Un video di cui non è possibile accertare l’autenticità mostra il momento in cui sarebbe avvenuto l’attacco con un missile forse sganciato dall’alto. Il portavoce delle forze armate israeliane ha espresso forti dubbi sulla responsabilità dell’aviazione e ha puntato il dito contro il Jihad Islamico che avrebbe lanciato un razzo poi caduto sull’ospedale. Ma sempre ieri un altro bombardamento aereo israeliano ha ucciso sei persone che si erano rifugiate in una scuola dell’Unrwa (Onu).

Gli altri ospedali di Gaza intanto sono al collasso. Chiudono reparti, provano a risparmiare l’energia prodotta dai generatori autonomi ma il gasolio sta per finire. È stato lanciato un appello a tutti i cittadini a consegnare il carburante che hanno agli ospedali per tenere accese incubatrici e macchinari nei reparti di terapia intensiva. E nessuno sa come potranno essere assistite le 5.500 donne che devono partorire questo mese. Inutili gli avvertimenti sulla gravità della condizioni di Gaza lanciati dalle agenzie dell’Onu che chiedono l’invio immediato di aiuti.

Ma a Gaza anche ieri non sono entrati generi di prima necessità: acqua, medicine e materiali di pronto intervento per gli ospedali. Eppure gli aiuti sono lì dietro l’angolo, sul versante egiziano del valico di Rafah. 106 camion in attesa di entrare. Il convoglio comprende mille tonnellate di cibo, 40mila coperte, oltre a più di 50mila capi di abbigliamento e più di 300mila scatole di medicinali. Resta in alto mare la questione della tendopoli che, su insistenza americana, gli egiziani dovrebbero allestire nel Sinai per accogliere decine se non centinaia di migliaia di sfollati palestinesi.

L’egiziano Abdel Fattah al-Sisi resta contrario, teme che poi gli israeliani non facciano rientrare i palestinesi a Gaza lasciandoli nel suo paese ripetendo quanto è accaduto nella Nakba nel 1948. Settantacinque anni fa ai profughi palestinesi fuggiti o cacciati via verso Libano, Giordania e Siria, il neonato Stato di Israele non permise il ritorno nella loro terra e ancora oggi si oppone a questo diritto sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu.

Mette le mani avanti anche il re di Giordania Abdullah che oggi ospiterà ad Amman il summit con Joe Biden (atteso anche in Israele) e al- Sisi. Il sovrano hashemita sa che centinaia di migliaia di palestinesi potrebbero riversarsi in Giordania sotto la pressione militare israeliana se la guerra dovesse allargarsi anche alla Cisgiordania. È già accaduto nel 1967 e la Giordania non vuole diventare di fatto lo Stato di Palestina che Israele non ha mai voluto accettare nei Territori palestinesi occupati.

Abdallah ha messo in guardia dal tentativo di spingere i rifugiati palestinesi in Egitto o Giordania, aggiungendo che la situazione umanitaria deve essere affrontata a Gaza e in Cisgiordania.

Tra i palestinesi, intanto, si diffonde il desiderio di tornare alla propria abitazione nel nord di Gaza che avevano lasciato su intimazione dell’esercito israeliano, in preparazione dell’offensiva di terra. Diverse famiglie stanno facendo all’inverso il percorso sulla Salah Edin Road che avevano fatto alla fine della scorsa settimana nonostante i raid aerei che non si sono fermati neanche per un attimo.

Gli Abu Marasa ad esempio dopo aver trascorso varie notti in auto nei pressi di Khan Yunis, ieri assieme ad alcuni giornalisti palestinesi hanno deciso di tornare a casa. Hanno messo in moto l’auto e sono partiti. «Tanto nessun posto è sicuro a Gaza, si rischia di morire a sud come a nord, è se dobbiamo morire preferiamo farlo a casa nostra», ha spiegato Salim Abu Marasa.

Come loro tanti altri. «Coloro che hanno rispettato l’ordine di evacuazione sono ora intrappolati nel sud di Gaza, con scarsi ripari, scorte alimentari in esaurimento, accesso scarso o nullo all’acqua pulita, ai servizi igienico-sanitari, alle medicine e ad altri beni di prima necessità», ha spiegato Ravina Shamdasani, una portavoce dell’Onu

AddText_10-18-05.33.54

LA STRISCIA DI GAZA IN OTTO PUNTI

A cura di Erminio Fonzo
(da geopop.it)

1. Cos’è la Striscia di Gaza

La Striscia di Gaza è un piccolo territorio situato sulla costa orientale del Mediterraneo, lungo 41 km e largo tra 6 e 10 km, per un’estensione totale di circa 365 km2. È una delle due parti dello Stato di Palestina (l’altra è la Cisgiordania, con la quale la Striscia non ha contiguità territoriale) e si trova in una posizione geografica molto delicata, perché è un punto di passaggio tra l’Africa settentrionale e il Medioriente.
Nonostante le piccole dimensioni, la Striscia è molto popolata: ospita circa 2.200.000 abitanti (non sono disponibili dati precisi), dei quali 1.476.000 sono registrati come profughi e vivono, in larga parte, negli otto campi allestiti nel territorio. La densità è elevatissima, superiore a 5500 persone per km2 (per fare un confronto, in Italia la densità media è di 196 persone per km2).
Il concetto della Striscia come territorio separato risale solo al 1948, ma la città di Gaza ha una storia molto più antica.

2.La storia antica di Gaza

Il centro urbano di Gaza fu fondato probabilmente intorno al 1500 a.C. Dopo aver fatto parte dei domini dei faraoni egiziani, nel primo millennio a.C. finì sotto il controllo dei filistei, un antico popolo stanziato nel territorio costiero dell’attuale Stato di Israele. A Gaza ebbe luogo un celebre episodio raccontato dalla Bibbia: il giudice israelita Sansone, prigioniero dei filistei, avrebbe fatto crollare il tempio nel quale era detenuto per far morire, insieme a se stesso, i suoi carcerieri. Quel che è certo è che Gaza, per la sua posizione geografica, nel corso dei secoli fu occupata da numerosi popoli. Nel VII secolo d.C. entrò a fare parte del dominio arabo. Gradualmente la popolazione apprese la lingua dei conquistatori e si convertì all’Islam.

3. I primi scontri tra arabi ed ebrei

Gaza fu coinvolta in tutte le successive vicissitudini della Palestina, alternando periodi di prosperità ad altri di declino. All’inizio del Cinquecento fu conquistata dall’Impero Ottomano e dopo la Prima guerra mondiale entrò fare parte del Mandato britannico della Palestina. All’inizio del Novecento ebbero luogo i primi scontri tra ebrei e arabi. In alcune località di quella che oggi è la Striscia di Gaza nacquero insediamenti degli ebrei europei trasferitisi in Palestina dopo la nascita del sionismo (il movimento che si proponeva di costituire uno Stato ebraico nel territorio palestinese). Alla fine degli anni ’20, quando in tutta la Palestina iniziarono i tumulti tra ebrei e arabi, gli abitanti di religione ebraica di Gaza furono costretti a fuggire.

4. La guerra arabo-israeliana del 1948 e la “nascita” della Striscia

Nel corso della prima guerra arabo-israeliana (1948-49) il territorio della Striscia non fu occupato da Israele ma dall’Egitto. Fu allora che emerse il concetto di “Striscia di Gaza” come territorio separato, perché è l’unico tratto della costa mediterranea della Palestina non conquistato da Israele. Durante la guerra del 1948, inoltre, la Striscia andò incontro a un enorme boom demografico a causa dell’esodo palestinese: circa 700.000 abitanti dei territori occupati da Israele furono costretti a lasciare le loro case e gran parte di loro si rifugiò nelle zone limitrofe, tra le quali Gaza. Nella Striscia furono perciò allestiti vari campi per profughi, inizialmente composti da tende e in seguito da edifici in muratura, nei quali vivono ancora oggi i discendenti dei rifugiati.

5. L’occupazione israeliana e la cessione all’Autorità palestinese

La Striscia restò sotto controllo egiziano, sia pure senza annessione formale, fino alla Guerra dei sei giorni del 1967, durante la quale fu occupata dalle truppe israeliane. Poco dopo iniziò la costruzione di insediamenti ebraici. Nei decenni successivi la Striscia visse tutte le tensioni del conflitto tra Israele e Palestina e negli anni ’90, quando iniziò il processo di pace, fu il primo territorio ceduto all’amministrazione palestinese insieme alla città di Gerico (in Cisgiordania). Il governo israeliano, però, eresse una barriera intorno alla Striscia, lasciando aperti solo pochi punti di passaggio.

6. Il ritiro unilaterale israeliano e l’ascesa di Hamas

Gli insediamenti ebraici, che avevano raggiunto il numero di ventuno e ospitavano circa 9.000 persone, restarono sotto il controllo israeliano, ma nel 2005 il governo dello Stato ebraico decise di smantellarli e trasferire gli abitanti perché, vista la preponderanza della popolazione palestinese, annettere la Striscia, o anche solo sue parti, non era più pensabile e garantire la sicurezza degli insediamenti era difficile. Da allora la Striscia è abitata solo da palestinesi. L’ultima evoluzione politica importante è stata l’ascesa al potere di Hamas, il movimento islamista che ha assunto il controllo della Striscia nel 2007, dopo aver vinto le elezioni generali palestinesi e dopo essersi scontrata con il partito rivale Fatah. Israele reagì al successo di Hamas imponendo un blocco navale totale. Da allora, lo stato di tensione è continuo: Hamas e altre milizie palestinesi lanciano frequentemente razzi contro lo Stato ebraico, che risponde con pesanti bombardamenti aerei e, talvolta, con operazioni via terra.

7.Le condizioni della Striscia di Gaza oggi

La Striscia di Gaza è spesso definita come una grande prigione, perché è circondata dalla barriera edificata da Israele, sulla quale si aprono solo tre valichi: due sul confine israeliano, Eretz e Kerem Shalom, e uno su quello egiziano, Rafah, attraverso il quale non possono passare le merci. Spesso le merci, incluse le armi, sono contrabbandate nella Striscia attraverso tunnel scavati sotto il confine egiziano. Il blocco navale, che inizia a poche miglia dalla costa, impedisce il commercio marittimo, lo sfruttamento di un giacimento di gas scoperto nel 2000 e la pesca oltre una determinata linea.
Le condizioni della popolazione sono drammatiche: gli abitanti vivono ammassati in edifici fatiscenti e i servizi, comprese l’assistenza sanitaria e la fornitura di acqua ed energia, sono estremamente carenti. Secondo un rapporto del 2021 della Banca mondiale, il 59,3% della popolazione della Striscia vive al di sotto della soglia di povertà e il tasso di disoccupazione supera il 50%.

8.La scena politica

Sul piano politico, la Striscia è amministrata da Hamas e, di fatto, il governo è separato da quello della Cisgiordania. Nel territorio sono attive varie milizie armate. La più importante è costituita dalle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, ma è molto attivo anche il più piccolo Movimento per la Jihad islamica in Palestina. I due movimenti, considerati organizzazioni terroristiche da Israele e da vari Paesi occidentali, godono di sostegno popolare perché buona parte degli abitanti considera gli israeliani responsabili del disagio socio-economico della Striscia, sebbene non tutti i palestinesi approvino i loro metodi di lotta e la loro ideologia.

FB_IMG_1697684107546

Intervista a YUVAL DAG,obiettore di coscienza israeliano (*)

di Elena Colonna (da left.it)

Contrario all’occupazione israeliana della Palestina, quest’anno il giovane obiettore Yuval ha passato più di due mesi in prigione per essersi rifiutato di svolgere il servizio militare. Fa parte di Mesarvot, una rete di supporto per giovani obiettori di coscienza che si rifiutano di prestare servizio militare nell’esercito israeliano.

Come per tutti i cittadini israeliani, per Yuval il massacro compiuto da Hamas dello scorso 7 ottobre è stato un trauma: soprattutto dal momento che conosceva personalmente diverse persone uccise dai miliziani di Hamas. Ma come oppositore dell’occupazione e difensore dei diritti umani dei palestinesi, è convinto che bombardare e mettere sotto assedio Gaza non sia la soluzione.

Domanda
Dag, qual è la sua posizione, e la posizione di Mesarvot, sull’escalation di violenza iniziata lo scorso 7 ottobre con l’attacco di Hamas, e continuata con il bombardamento della Striscia di Gaza da parte di Israele?

Risposta
Come Mesarvot riteniamo che ciò che Hamas ha compiuto sia semplicemente orribile, riprovevole e da condannare fermamente. Condanniamo ciò che è accaduto e non lo riteniamo in alcun modo giustificabile. Ma pensiamo anche che sia necessario guardare al contesto storico e considerare l’assedio che Israele ha imposto su Gaza per anni, e riteniamo che anche i bombardamenti su Gaza siano altrettanto orribili e da condannare. Condanniamo l’uccisione di vite innocenti in qualsiasi luogo. Al contempo conosco persone che sono state uccise nell’attacco di Hamas, e vedo l’attacco come il nostro 11 Settembre. Ma, ripeto, credo che sia molto importante guardarlo in un contesto storico: stiamo parlando di una popolazione, quella di Gaza, in cui la maggior parte dei bambini ha una diagnosi di PTSD (uno studio del 2021 ha rivelato che il 91% dei bambini di Gaza soffre di qualche forma di trauma legata al conflitto), che vive senza acqua potabile. E che ciò che i palestinesi di Gaza chiedono non è qualcosa di radicale. Nessuno vuole vivere in quelle condizioni. Per questo credo che parte di questo sangue grondi dalle mani del governo israeliano e dell’occupazione. Penso anche che non si risolverà nulla con un’altra Nakba (**), come quella che è in corso a Gaza.

D
Quanto ad Hamas?

R
Hamas rappresenta un lato estremo della lotta per la liberazione della Palestina, non rappresenta tutto quello che è la lotta per la Palestina, e molti palestinesi condannano ciò che ha fatto Hamas. Per questo motivo credo che, per quanto l’attacco di Hamas sia stato brutale e disumano, non toglie legittimità e rilevanza alla lotta di liberazione.

D
In una dichiarazione che Mesarvot ha pubblicato su Instagram dopo il massacro compiuto da Hamas, avete scritto «non era inevitabile che questo succedesse». Come persona che vive lì, che ha visto la situazione svilupparsi per anni, cosa pensa che si sarebbe dovuto fare per evitare l’attacco di Hamas? E chi avrebbe dovuto farlo?

R
Per quanto mi riguarda è molto chiaro che se non avessimo creato le condizioni che ci sono state per anni a Gaza, se non avessimo creato questo orribile esperimento che è Gaza in cui è inconcepibile come si possa vivere, non avremmo subito queste enormi conseguenze. E non era affatto necessario imporre queste condizioni su Gaza. In Israele, ribadiamo continuamente l’importanza della sicurezza (il concetto di bitahon). Ma l’esercito non porta sicurezza, perché le politiche dell’esercito, sia a Gaza che in Cisgiordania, portano violenza e distruzione: e di rimando poi l’occupazione danneggia anche gli israeliani, ed è una situazione completamente fabbricata da noi. Quando si costringono le persone a
vivere in condizioni così estreme, accadono cose estreme. Questo non le giustifica, ma dice che anche noi abbiamo una responsabilità, e che sì, avremmo potuto evitarle. Nessuno ha tratto alcun beneficio dalla situazione in cui si trova Gaza dal 2007: su noi israeliani venivano sparati i razzi, e 2 milioni di palestinesi soffrivano ogni giorno.

D
Oltre a Gaza, anche la situazione in Cisgiordania è precipitata nell’ultimo anno. Qual è il contesto più ampio dell’ultimo anno in tutti i territori palestinesi e in Israele?

R
Da quando il nuovo governo è entrato in carica, c’è stato un forte aumento della violenza in Cisgiordania, dove il numero di palestinesi uccisi negli ultimi mesi è altissimo. Le violenze dei coloni hanno raggiunto un livello mai visto. Da sabato, è davvero indescrivibile quello che sta succedendo lì. I coloni sono fuori controllo e stanno attaccando sia i palestinesi che gli attivisti.

D
E come commenta la risposta di Israele sulla Striscia di Gaza?

R
Gaza non ha mai subito questi livelli di distruzione. Già centinaia di palestinesi sono rimasti uccisi, ci sono mezzo milione di sfollati. Israele ha comunicato a tutti gli abitanti del nord della Striscia di spostarsi, quindi un milione di palestinesi sarà sfollato. Ci sono testimonianze dell’uso di bombe al fosforo bianco, che usate contro i civili costituiscono un crimine di guerra. E l’interruzione della fornitura di acqua, di elettricità e di carburante: gli ospedali ormai non funzionano più, quindi anche i migliaia di feriti adesso non hanno più possibilità di essere assistiti. Abbiamo detto loro di fuggire dalla Striscia passando per Rafah, ma poi abbiamo anche bombardato Rafah più volte. Ho molta paura
per Gaza, penso che siamo di fronte a una Nakba o a un Olocausto. Qualsiasi termine preferisci.

D
Quanta percentuale della società civile e dell’opinione pubblica israeliana mette in dubbio l’occupazione e critica l’attacco su Gaza?

R
Al momento, praticamente nessuno. La gente mi guarda negli occhi e mi dice «penso che dovremmo radere al suolo Gaza, non possiamo più vivere vicino ai palestinesi, devono andarsene». Ed è vero che quello che abbiamo vissuto sabato è stato terribile. Ma il punto è che noi israeliani abbiamo percepito la situazione fino ad ora come una coesistenza, pensavamo di coesistere con Gaza e con Hamas. Ma in verità solo noi esistevamo, loro non esistevano. Morivano in ogni guerra, non avevano acqua e elettricità, erano malati e traumatizzati. Ma noi pensavamo che fosse una coesistenza, e ora che Hamas ha rotto questo equilibrio gli israeliani dicono che non possiamo più coesistere. Ma non abbiamo mai coesistito.

D
Cosa pensa del modo in cui i media, i politici e l’opinione pubblica stanno ritraendo gli eventi, sia in Israele che negli altri Paesi?

R
C’è un’enorme divisione tra chi è pro-Israele e parla degli eventi, orribili, di sabato senza guardare in alcun modo a quello che abbiamo fatto e stiamo facendo noi di orribile, e chi è pro-Palestina e non vede il dolore degli Israeliani. Molti bambini sono stati e continuano a essere uccisi da entrambe le parti, e da entrambe le parti vengono usati come un modo di mostrare quanto orrendo sia il nemico, ma uccidere un bambino con una bomba non è diverso da uccidere un bambino con un fucile. E a volte il fazionismo è sottile: per esempio un articolo di BBC ha riportato il numero di israeliani che «sono stati uccisi» da Hamas e poche righe dopo il numero di palestinesi che «sono morti» per i bombardamenti. C’è un rifiuto di vedere l’umanità dell’altro lato, e questo non fa fare nessun passo avanti. Ed è difficile parlare con persone che conosco, a cui voglio bene, e sentirli supportare una vendetta che porterà a un’altra Nakba. E chiaramente capisco il loro dolore, perché è anche il mio dolore, ma non possiamo permettere che questo dolore ci disumanizzi. Non possiamo fare quello che ha fatto Hamas perché a quel punto non saremmo in nessun modo migliori di loro. Non possiamo ricorrere al terrore, e il fatto che l’ha fatto l’altro lato non ci da la legittimità di farlo. Ma in Israele, non solo non mi riconosco più in quello che dicono gli altri, non posso nemmeno più dire con tranquillità quello che penso. Chiunque critica i bombardamenti su Gaza viene additato come terrorista e minacciato.

D
La spaventa quello che succederà nelle prossime settimane?

R
Può finire in due modi: o annientando completamente Gaza, oppure permettendo loro di vivere in quanto esseri umani come tutti. Le atrocità contro gli israeliani sono già state commesse, potremmo cercare una via diplomatica invece che commettere ancora altre atrocità. Diciamo di sostenere i diritti umani e di volere che due popoli possano vivere in pace. Ma come possiamo raggiungere questo obiettivo? Certamente non massacrando migliaia di persone e gettando bombe sui civili. La violenza, da qualsiasi parte provenga è altrettanto negativa e non raggiunge l’obiettivo.

FB_IMG_1697684228347

(“) Per conoscere meglio Yuval
Dag

https://www.assopacepalestina.org/2023/03/20/domani-rifiutero-di-arruolarmi-nellesercito-israeliano/

(**) Storia della Nakba

https://www.ilpost.it/2023/10/16/nakba-esodo-palestinesi/

LA STRISCIA DI GAZA OLTRE LA CITTÀ PRINCIPALE

(ilpost.it)

La Striscia di Gaza, il territorio palestinese che Israele sta bombardando da giorni per ritorsione contro l’enorme attacco subito sabato 7 ottobre dal gruppo radicale Hamas, prende il nome della sua città più grande e popolata, Gaza. Ma all’interno del territorio della Striscia esistono diverse altre città, più piccole e meno urbanizzate, soprattutto nella sua zona centrale e meridionale.

È verso questi territori che si stanno spostando decine di migliaia di palestinesi. L’esercito israeliano ha infatti ordinato ai civili palestinesi di evacuare la città di Gaza e il nord della Striscia, dove si pensa che si trovino gran parte degli uffici e delle basi militari di Hamas.

Non esiste una stima precisa di quante persone abitino a Gaza: le stime più basse indicano che siano almeno 500mila. Obbligarle a trasferirsi in poco tempo verso zone che non sono attrezzate per accoglierle creerà moltissimi problemi a persone che già oggi vivono in una regione fra le più povere e isolate al mondo.

La Striscia di Gaza ha un clima semiarido e quasi desertico: confina a sudovest con la penisola del Sinai, un territorio quasi del tutto disabitato per via delle sue condizioni desertiche e inospitali. Anche nella Striscia la vita è piuttosto complicata, principalmente per via dell’embargo imposto da Israele nel 2007 per ragioni di sicurezza. C’è un problema cronico di approvvigionamento di acqua, e la rete di infrastrutture è molto fragile: le strade sono sconnesse, la rete elettrica funziona a intermittenza, il carburante scarseggia sempre.

Nella città di Gaza uno dei problemi più pressanti riguarda la densità urbana: ci abitano più di 9mila persone per chilometro quadrato (per fare un confronto a Milano e a Roma ce ne sono poco più di 2mila). Nelle altre città i problemi sono altri, soprattutto le minori possibilità economiche.

La più grande città della Striscia dopo Gaza è KHAN YOUNIS, che ha circa 400mila abitanti. È situata nel sud della Striscia, a circa 10 chilometri dal confine con l’Egitto. Nata come città a vocazione commerciale fra le città del nord e l’Egitto, ancora oggi ospita un importante mercato beduino il mercoledì e il giovedì, ma per i suoi abitanti non offre molto di più. La sua economia si basa soprattutto sull’agricoltura, che però è sempre più minacciata dai cambiamenti climatici: circa il 38 per cento del territorio cittadino è occupato da campi e serre. Non ci sono industrie o aziende di rilievo. Il suo tasso di disoccupazione è vicino al 50 per cento.

In condizioni normali viene considerata una città che l’esercito israeliano bombarda meno di frequente rispetto a Gaza: in questi giorni però è stata più volte presa di mira.

A metà strada fra Khan Younis e la città di Gaza c’è la città costiera di DEIR AL BALAH. Un tempo era famosa per l’abbondanza delle sue piantagioni di datteri (il suo nome in arabo significa “monastero dei datteri”) e per il suo mare pescoso. Le piante da dattero esistono ancora, ma non sono coltivate intensivamente, e l’industria locale della pesca ha subìto moltissime restrizioni da parte delle autorità israeliane. Deir al Balah ha il più alto tasso di disoccupazione di tutta la Palestina, pari al 54,8 per cento.

In città sono presenti varie strutture dell’UNRWA, l’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi e delle loro famiglie, fra cui otto scuole. In queste ore proprio a Deir al Balah si stanno rifugiando moltissime persone che stanno scappando da Gaza: verosimilmente scelgono Deir al Balah per la sua relativa vicinanza alla capitale e per la presenza di varie strutture dell’UNRWA, che di solito vengono ritenuti luoghi piuttosto sicuri in cui rifugiarsi dai bombardamenti israeliani.

Associated Press ha scritto che negli ultimi due giorni migliaia di persone si sono rifugiate in una delle scuole dell’UNRWA a Deir al Balah, che di fatto si è trasformata in un rifugio. «Sono venuta qui con i miei figli. Dormiamo sul pavimento, non abbiamo né vestiti né un materasso. Voglio tornare a casa, anche se verrà distrutta», ha raccontato una donna di 63 anni scappata da Beit Hanoun, nella periferia nord della città di Gaza.

Sia Khan Younis sia Deir al Balah oltre ai normali quartieri ospitano enormi aree di campi profughi, dove le persone vivono in condizioni ancora più precarie. Molti sono nati in seguito alla sconfitta dei palestinesi nella guerra del 1948, e da allora si sono allargati senza mai strutturarsi. Dentro ai campi profughi si vive in casette fatiscenti, spesso senza accesso ai servizi essenziali e a cure mediche.

La quarta e ultima città della Striscia è RAFAH, in cui vivono circa 150mila abitanti. Rafah in realtà è una città divisa in due, più o meno a metà: una parte si trova in territorio palestinese, l’altra in territorio egiziano. Le due metà vennero divise nel 1982 in seguito a un accordo fra Egitto e Israele (che cedette il controllo della frontiera ai palestinesi in seguito agli accordi di Oslo).

Da allora l’economia della città si basa in gran parte sulla frontiera regolare con l’Egitto, l’unica frontiera di terra della Striscia che non confina con Israele, e su quella irregolare: si stima che sotto la città esistano moltissimi tunnel sotterranei con cui Hamas controlla un discreto viavai di merci e persone.

Se fosse aperta, la frontiera di Rafah potrebbe permettere alle persone che scappano dalla città di Gaza di rifugiarsi in Egitto. Le autorità egiziane però l’hanno chiusa all’inizio della settimana, dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia, temendo che un ingente flusso di persone cercasse di entrare in territorio egiziano. Al momento l’Egitto ha fatto sapere che non intende riaprire la frontiera, almeno a breve.

La Striscia di Gazaultima modifica: 2023-10-18T04:48:47+02:00da piero-murineddu
Reposta per primo quest’articolo

Commenti (2)

  1. Maria Antonietta Foddai

    Grazie Piero per la divulgazione di questi documenti utilissimi e chiari. Tutti noi ci sentiamo impotenti davanti a queste atrocità ma Prendere coscienza e fare arrivare quanto più possibile il messaggio di pace è comunque un passo importante.

    Rispondi
    1. piero-murineddu (Autore Post)

      Piccolo contributo per contrastare la disinformazione di Stato. Buongiorno, Maria Antonietta

      Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *