Quella tragica e devastante alluvione del 1967 a Sorso

Premessa

di Piero Murineddu

Le catastrofi naturali non sono certamente una novità di oggi, ma in questi tempi – tragici per tanti altri motivi – a causa anche degli stravolgimenti climatici dovuti in parte al “progresso” forsennato che si vuole raggiungere costi quel che costi, le catastrofi idrogeologiche stanno diventando ormai appuntamenti che si ripetono a scadenze sempre più ravvicinate, e  quanto è accaduto lo scorso maggio in Emilia Romagna e ancor più recentemente quell’infinitivamente più luttuoso in Libia, ne sono tristissima prova.

Nel tempo, le alluvioni non hanno risparmiato neanche la Romangia, territorio alle porte del capoluogo Sassari. Si ricorda per esempio quella del giugno 2014, che oltre i vari danni causati a Sorso paese, ha spazzato via il ponte del fiume Pedrugnanu sulla litoranea, quel tratto di strada in cui il traffico automobilistico dopo nove anni è ancora regolato dal semaforo, e questo nonostante i  lavori – iniziati in ritardo a causa di autorizzazioni che non arrivavano e mancanza di pareri vincolanti del Genio civile – secondo la dichiarazione di un rappresentante dell’ Amministrazione Pubblica, dovevano concludersi in 18 mesi,  Ma vabbè, come si sa, la pazienza è la virtù dei…rassegnati.

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Il fermo immagine di un video amatoriale che dà un’ idea delle piogge torrenziali che in quel giugno 2014 travolsero Sorso

 

Per i più anzianotti di noi comunque, a Sorso è la catastrofe alluvionale del 1967 quella che è rimasta maggiormente  impressa nella memoria. Maggiormente e tristemente, dal momento che in quella circostanza ci furono anche delle vittime.

Ho chiesto di parlarne a due testimoni diretti.

Maria Antonietta Foddai, allora appena 6enne, nell’ occasione perse i due “nonni” Lucia e Salvatore, in realtà zii del babbo Antonino, preso a “figlio d’ anima” dalla coppia senza eredi naturali in quanto, facendo parte di una famiglia numerosa, ancora in tenera età aveva perso la propria mamma. Col tempo, le tre sorelline Foddai, Lucia, Elena e appunto l’ autrice del racconto che andiamo a leggere, coi genitori Antonino, venuto a mancare nel luglio del 2000 e di cui merita parlarne in una prossima occasione, e mamma Costanza, oggi quasi 90enne e grazie a Dio autosufficiente, vissero insieme a quelli considerati a tutti gli effetti nonni in via Sant’ Anna al civico 6, dove purtroppo avvenne la tragedia.

Il secondo testimone è Salvatore Delogu, che visse l’ evento, per Sorso molto catastrofico, quando aveva 14 anni, bloccato in campagna insieme al nonno che continua a chiamare affettuosamente “Marandra“, uno dei nomignoli che nel passato si davano per motivi più svariati, al fine di distinguere le varie famiglie con lo stesso cognome.

Anche la vicina Sennori fu colpita naturalmente dall’alluvione, ma oltre l’accenno fattomi dall’amico Giuseppe Murineddu, al tempo vice parroco in paese, che si mobilitò insieme ad un gruppo di giovani per spalare fango nelle strade, per ora non mi sono occupato di raccogliere altre testimonianze.

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I miei nonni morti per salvare l’ intera famiglia

di Maria Antonietta Foddai

Il 18 settembre 1967 avevo sei anni. Questa data è rimasta impressa in modo indelebile nella mia storia e in quella della mia famiglia. Quel mare dentro casa, la mia figura di bambina che cammina con l’acqua fino al petto, gli oggetti rubati al mobilio e diventati macerie che galleggiano sono ricordi e immagini stampate a colori nei meandri della mia memoria.

Il colore che prevale nei miei ricordi è il giallo dell’acqua, sporcata dal fango del cortile esterno e da lì corsa prepotentemente verso l’interno e dentro le stanze del piano terra.

Nella tarda mattinata di quel giorno un nubifragio imperversò su Sorso e provocò l’alluvione in cui i miei nonni paterni Lucia e Salvatore persero la vita e in cui io e il resto della mia famiglia rischiammo di morire.

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Oltre me e i miei nonni, in casa erano presenti le mie due sorelle, mia madre e mia cugina di 18 anni. Mio padre era invece a Porto Torres per lavorare. Riuscì a tornare a casa solo alla fine della bufera con grande difficoltà, dal momento che molte vie di accesso al paese erano state chiuse con posti di blocco delle forze dell’ordine.

Al suo rientro, ci accorgemmo che era in stato confusionale, come spesso avviene in queste circostanze.Nell’imminenza dell’accaduto qualcuno gli aveva dato la notizia in modo tragicamente distorto, riferendo che tutta la famiglia era stata trasportata via dalla piena.

In realtà, in pochi attimi i miei nonni, insieme a mia madre, presero in braccio noi bambine per metterci in salvo, portandoci al piano superiore. Loro, purtroppo, tornarono immediatamente di sotto con l’intento di tenere aperta la porta principale per far defluire l’acqua che entrava dal cortile, verso
l’esterno della casa.Quando anche mia madre scese al piano terra loro non c’erano più.

Il corpo di mio nonno fu avvistato a cento metri dall’abitazione, incastrato tra la spaccatura dell’asfalto. Mia nonna venne trascinata dall’acqua fino alla metà di via Umberto.

Fu raccolta da una pala meccanica che aveva già iniziato a spalare il fango. Era ancora viva, ma morì otto giorni dopo in ospedale per le gravi conseguenze traumatiche subite.

Io oggi posso dire che due nonni sono morti per salvare tutta la famiglia.

In breve tempo la nostra casa fu invasa dalle forze dell’ordine, dai vigili del fuoco e da tante persone del vicinato che offrivano aiuto e solidarietà. Ricordo molta tristezza e una lacerante disperazione nei volti dei miei genitori e degli altri adulti.

Quanto a me, per l’ età che avevo non potevo realizzare né mettere a fuoco l’entità del danno e neppure capire che i miei nonni, con i quali fino ad allora avevo condiviso le mie giornate, non sarebbero più tornati. Avevano sempre vissuto con noi – loro al piano terra e noi al primo piano – e trascorrevamo insieme la maggior parte del nostro tempo, visto che dal pianterreno avevamo facile accesso al cortile in cui poter giocare. Anche quel
giorno eravamo lì.

Da quello stesso cortile, in un pomeriggio di settembre, arrivò con furia l’onda che li trascinò via, e solo un’impresa eroica avrebbe potuto salvarli.

Di nonna Lucia e nonno Salvatore mi resta il ricordo delle loro coccole e della loro casa, confortante e caldo rifugio per me e le mie due sorelle. Come solitamente fanno coi  nipotini, erano sempre pronti a proteggerci e viziarci quando nostra madre ci inseguiva per sculacciarci dopo qualche marachella.

Delle vicende del paese e di cosa successe quel giorno ad altre famiglie non so granché, se non qualche racconto riferitomi in seguito. Uno di questi mi aveva colpito particolarmente, a tal punto che si era impresso nella mia mente come la storia esemplare dell’impresa eroica che tanto avrei desiderato capitasse ai miei nonni.

Giovanni Maria Doro era un sarto di mezza età che abitava accanto a noi con la madre ultranovantenne. Schivo e scorbutico, non era certo ai miei occhi una persona particolarmente simpatica.

Il giorno dell’alluvione anche la sua casa si era allagata e lui era riuscito a prendere in braccio la sua mamma anziana e a sistemarla sopra un armadio. Quella nonnina era riuscita a salvarsi grazie alla prontezza e all’audacia di suo figlio e con mia grande sorpresa un uomo antipatico si era da allora trasformato ai miei occhi in un supereroe, lo stesso che – pensavo – era purtroppo mancato ai miei nonni, portati via dalla bufera.

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Ancora oggi ricordo con terrore gli avvenimenti di quel lontano giorno

di Salvatore Delogu

La mattina del 18 settembre del 1967 io e nonno Malandra  andammo in campagna. Giornata ancora estiva, nulla lasciava presagire quello che poi sarebbe successo.

A lu Padru, nonno aveva una casetta, dove in seguito l’Enel ci costruì di fronte la cabina elettrica.

Sbrigati alcuni lavori, nonno preparò un pranzo veloce di quello che la campagna offriva in quel periodo. Subito dopo aver pranzato, si appisolò su una brandina, mentre io rimasi fuori a giocare.

Nel primissimo pomeriggio i primi lampi e tuoni,accompagnati da dei goccioloni che mi costrinsero a rientrare dentro casa. Svegliai in fretta nonno, che mi tranquillizzò dicendomi che presto sarebbe passato e che comunque dovevamo aspettare che smettesse di piovere, mentre in lontananza si iniziavano a vedere campi allagati.

Terminato di piovere, potemmo finalmente rientrare in paese. La strada verso La Marina era diventato un fiume in piena. La zona “l’Ippoiu”, subito dopo le Magnolie, era un lago con tanti contenitori e bidoni che galleggiavano.

La mia e altre famiglie avevano messo su casa nella parte bassa di via Tibula, non ancora asfaltata. La piena che da Sennori era scesa lungo via Umberto e via Tibula si portò dietro la fogna e la terra,  provocando enormi voragini. Gli orti di mio zio completamente allagati. Fortunatamente, la nostra casa fu una delle poche dove non  entrò una goccia, per cui molti vicini trovarono rifugio da noi.  Antonino Sanna, nostro dirimpettaio, si diede un gran da fare trasportando gente sopra il suo trattore. La  piena aveva travolto in modo disastroso alcune case, provocando anche delle vittime,  La fabbrica di conserve nei pressi del lavatoio distrutta, il ponte sulla strada per Castelsardo insieme alla  casa rossa ugualmente. Stessa sorte per il ponte sulla Sorso – Marina, del cui asfalto era rimasto ben poco.

Ancora oggi ricordo con terrore quel drammatico giorno.

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Quella tragica e devastante alluvione del 1967 a Sorsoultima modifica: 2023-09-18T05:13:38+02:00da piero-murineddu
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