Qualche considerazione sul 2 giugno

di Alessandra Algostino     (volerelaluna.it)

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Con consapevole autolesionismo, provo a cercare notizie sulle celebrazioni del 2 giugno e prontamente compare una circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito (per inciso, leggere del “merito” rinnova la ripulsa verso l’elevazione a dogma di una logica contraria all’emancipazione della Costituzione) che ricorda ai dirigenti scolastici che «il 77° Anniversario di fondazione della Repubblica verrà celebrato, oltre che con la consueta solenne cerimonia di deposizione di corona di alloro presso l’Altare della Patria, anche con la successiva rivista militare in via dei Fori Imperiali» e invita «le istituzioni scolastiche interessate a partecipare all’evento».

Ora, può essere che sia prassi per la ricorrenza del 2 giugno invitare le scuole a una celebrazione “militarizzata”, ma, alla luce delle precedenti lettere, circolari e posizioni del Ministro, e di un aleggiante revisionismo storico, l’invito trasmette una certa inquietudine.

Invero, peraltro, l’inadeguatezza della celebrazione appare anche a prescindere dal colore dell’attuale Governo: perché celebrare la nascita della Repubblica con un omaggio all’altare della Patria (o con la parata militare), e non, ad esempio, con una cerimonia proprio nella e per la scuola, «organo vitale della democrazia», espressione di «uguaglianza civica», fondamentale nel permettere a ciascuna persona «di avere la sua parte di sole e di dignità» (Calamandrei)?

L’essenza della Repubblica è nella sua Costituzione (il 2 giugno 1946 insieme al referendum istituzionale monarchia/repubblica vengono eletti i membri dell’Assemblea Costituente), ovvero nei suoi principi (uguaglianza, solidarietà, diritti, pace), nel suo progetto di trasformazione della società.

La Repubblica non si risolve in un territorio presidiato da confini da difendere in armi (mentre scrivo, penso alla sorveglianza delle frontiere contro i migranti), ma è un luogo, una comunità, dove costruire la democrazia conflittuale e sociale disegnata nella Costituzione, una democrazia proiettata in una comunità internazionale di pace e giustizia.

Se pur pensiamo alla Patria, è la stessa Corte costituzionale a ragionare del «dovere di difesa della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di IMPEGNO SOCIALE NON ARMATO» (Corte cost., sentenza n. 164 del 1985): una posizione alla quale il giudice costituzionale giunge recependo le lotte per l’obiezione di coscienza (a ricordarci che i diritti, e la Costituzione, vivono nella storia e nei conflitti).

La Patria, da difendere, è «comunità di diritti e di doveri», una comunità «più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto», che «accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi come in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono doveri, secondo quanto risulta dall’art. 2 della Costituzione là dove, parlando di diritti inviolabili dell’uomo e richiedendo l’adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l’appunto, dal legame stretto di cittadinanza» (Corte cost., sentenza n. 172 del 1999).

Ecco, ammesso e non concesso, che il 2 giugno si voglia parlare di Patria, è questo il concetto da richiamare. La distanza rispetto a quanto si legge, da ultimo, nel testo del videomessaggio di Giorgia Meloni, per il convegno “Nazione e Patria. Idee ritrovate” (30 maggio 2023), è siderale. Nelle parole del(la) Presidente del Consiglio si sente la morsa di una nuova egemonia culturale che, sotto le insegne del “Dio, Patria e famiglia”, mira a un populismo identitario, che converge nel tributo al Capo.

La fascinazione della destra per l’idea di una Nazione insieme omologante ed escludente, inscritta nella dicotomia amico-nemico, si incontra con la freddezza di un neoliberismo competitivo che resta dogma indiscutibile e lo mistifica: costituisce una sorta di disciplinamento, consolatorio a fronte delle diseguaglianze e anestetizzante rispetto al conflitto sociale. È una narrazione antitetica rispetto a quella della Costituzione, che, non a caso, si accompagna a operazioni di revisionismo storico.

L’impulso, a questo punto, avvolta nei tempi oscuri che attraversiamo, è scrivere, nel giorno della sua celebrazione, di quanto minaccia la Repubblica:

– invio delle armi e mancate azioni per una soluzione diplomatica) in luogo della pace come mezzo e come fine (art. 11 Costituzione);

– dell’autonoma differenziata che si appresta ad affossare quanto resta dello Stato sociale e di una promessa di emancipazione uguale per tutti (art. 3, comma 2, Costituzione);

– del “presidenzialismo”, minaccia ancora nebulosa ma chiara nella volontà di sancire il potere del Capo proseguendo a grandi passi nella deriva autoritaria;

– della repressione del dissenso;

– della distruzione dei diritti dei lavoratori;

– della colpevolizzazione della povertà;

– dello svuotamento del diritto di asilo e della disumanizzazione delle persone che migrano…

Con tristezza, e con rabbia, penso alle «speranze di allora» (Calvino, Cantacronache, Oltre il ponte) e al disincanto di oggi nel vederle abbandonate, neutralizzate, negate, magari derise.

Non voglio però limitarmi a demistificare il presente e redigere un cahier de doléances ma, con i piedi saldamente sulla terra, nella consapevolezza della dialettica della storia, dei suoi corsi e ricorsi, scrivere delle “speranze di oggi”. Non è facile. Certo, la nube nera dilaga ovunque (dalle nostrane elezioni amministrative alle votazioni in Grecia, Spagna e Turchia, per restare alle ultime), le diseguaglianze crescono, le democrazie scivolano verso l’autocrazia, l’olocausto nucleare incombe ignorato, la devastazione ambientale prosegue in un mondo governato dalla logica del profitto appiattito sul presente.

Poi penso ai lavoratori della Gkn, alle lotte dei riders e dei braccianti agricoli, agli attivisti di Extinction Rebellion e Fridays for Future, alla disobbedienza civile dei ragazzi di Ultima Generazione, alle occupazioni delle scuole contro il merito e l’alternanza, alle tende degli studenti per il diritto all’istruzione e alla casa, ai tanti tentativi di convergenza dei movimenti che attraversano il paese (da ultimo, la campagna “Ci vuole un reddito”), a chi soccorre i migranti alle frontiere, alle mille associazioni che animano la società: frammenti di quella Resistenza dalla quale è nata la Repubblica. Ecco, un modo per festeggiare la Repubblica: ricordare le lotte di tutti coloro che la democrazia conflittuale e sociale praticano, e parteciparvi.

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Qualche considerazione sul 2 giugnoultima modifica: 2023-06-02T22:19:15+02:00da piero-murineddu
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