Cinque dicembre, la coincidenza di una data che ha visto l’ arresto e, 57 anni dopo, la morte di quel Grande lottatore pacifico e nonviolento che è stato Mandela, che ha pagato con 26 anni carcere la sua attiva opposizione ad una della grandi tragedie del Novecento quale è stato la legge dell’apartheid. Ieri sera ho trovato un bellissimo articolo a lui dedicato il giorno dopo quel triste 5 dicembre 2013.Molto interessante, anche l’intervista a Vatican News della figlia Makaziwe. Per finire, il racconto che lo stesso Mandela fa del suo forse atteso arresto, avvenuto il cinque dicembre del 1956. (Piero)
Una vita insegnando l’ amore
di Angela Vitaliano
“Nessuno nasce odiando un’altra persona per il colore della sua pelle, per la sua storia o per la sua religione. Le persone devono imparare ad odiare e, se possono imparare ad odiare, gli può essere insegnato l’amore, anche perché l’amore arriva più facilmente al cuore umano che il suo contrario”.
Non è passato molto dalla notizia della morte di Nelson Mandela che, ad Harlem, lo storico teatro Apollo, ha illuminato le insegne in sua memoria scrivendo “ha cambiato il nostro mondo”. Solo pochi minuti prima, Barack Obama, il primo presidente americano nero aveva reso personalmente omaggio dalla Casa Bianca al primo presidente nero africano. Aveva reso omaggio a colui senza il quale, oggi, probabilmente, lui non sarebbe presidente.
C’è un filo che lega la storia, da un continente all’altro, da un secolo all’altro. E’ fatto di persone più che di eventi. Di persone che con la loro vita hanno segnato, nel bene e nel male, il nostro futuro. Persone a volte “semplici”, come Rosa Parks, che si sedette in un autobus “perché era stanca”, in barba agli infamanti divieti che riguardavano quelli con il colore della sua pelle. Quel colore tanto odiato dai bianchi. Ancora oggi tanto odiato da tanti bianchi.
Perché l’odio si insegna, appunto. E lo insegniamo ai nostri figli senza nemmeno accorgerci che in quel modo gli stiamo rubando il futuro, la libertà, la felicità e l’essenza stessa del significato della vita.
Nessuno, sicuramente non io, ha parole adatte per rendere onore alla memoria di un uomo come Nelson Mandela, sopravvissuto alla stortura più atroce dell’umanità: il razzismo. Ogni parola suonerebbe stonata di fronte alla grandezza “semplice” di quella superiorità espressa dalla sua capacità di perdonare.
“Senza il perdono, non esiste futuro”, questo, però, è ciò che ripeterò a mio nipote, diverso da me per colore di pelle, ogni volta che sarà insultato o offeso o messo da parte. Perché possiamo scegliere, e Mandela ce lo ha insegnato, fra dedicare la nostra vita a qualcosa che vale, come insegnare l’amore, o sprecarla inutilmente.
5 dicembre 1956, giorno del mio arresto e l’ inizio di 27 anni di carcerazione
di Nelson Mandela
La mattina del 5 dicembre 1956, appena dopo l’alba, fui svegliato da un forte bussare. Gli amici e i vicini non bussano in modo così perentorio, quindi capii che erano i poliziotti. Mi vestii rapidamente e trovai sulla porta il caporale Rousseau, agente dei servizi di sicurezza e figura alquanto familiare nella zona, assieme ad altri due agenti. Mostratomi il mandato di perquisizione, tutti e tre si misero immediatamente a frugare la casa in cerca di carte e documenti incriminanti. A quel punto i bambini erano svegli e mi guardavano chiedendo di essere rassicurati. Con un’occhiata severa li esortai a stare tranquilli. La polizia rovistò nei cassetti, negli armadi, nei ripostigli, dovunque potessero celarsi documenti illegali. Dopo quarantacinque minuti di ricerca, Rousseau disse semplicemente: “Mandela, tu vieni con noi. Abbiamo un mandato di arresto a tuo nome”. Guardai il mandato, mi saltarono agli occhi le parole: “Hoogverraad – Alto tradimento”.
Li seguii alla macchina. Non è piacevole essere arrestati davanti ai propri figli, anche quando si sa di non avere fatto niente di male. I bambini non comprendono la complessità della situazione: vedono semplicemente che il padre viene portato via dalle autorità bianche senza nessuna spiegazione.
Rousseau guidava e io gli sedevo accanto – senza manette – voltando le spalle alla strada. Aveva un mandato di perquisizione per il mio ufficio in città, dove ora eravamo diretti dopo aver scaricato gli altri due poliziotti in una zona vicina. Per scendere in città si percorreva una squallida tangenziale che attraversava una zona disabitata.
Mentre procedevamo lungo quel tratto, feci notare a Rousseau che doveva fidarsi molto per viaggiare con me da solo e senza mettermi le manette. Lui non rispose. “Cosa succederebbe se io le saltassi addosso e la disarmassi?” chiesi. Rousseau si mosse a disagio. “Mandela, stai giocando col fuoco,” disse.E io risposi: “Giocare col fuoco è la mia specialità”. “Se continui su questo tono sarò costretto ad ammanettarti,” disse minacciosamente Rousseau. “E se io mi rifiutassi?”
Questo teso scambio di parole continuò per alcuni minuti, ma quando entrammo in una zona più popolata vicino alla stazione di polizia di Langlaagte, Rousseau rhi disse: “Mandela, io ti ho trattato bene, e lo stesso mi aspetto che tu faccia con me. Non mi piacciono i tuoi scherzi”.
Dopo una breve tappa alla stazione di polizia fummo raggiunti da un altro agente e andammo nel mio ufficio, dove le ricerche si protrassero per altri quarantacinque minuti. Da lì fui condotto nell’edificio di mattoni rossi in Marshall Square, la labirintica prigione di Johannesburg dove avevo trascorso alcune notti nel 1952 durante la Campagna di sfida. Vi trovai alcuni colleghi che erano stati arrestati e incriminati nella stessa mattinata. Nelle ore successive arrivarono alla spicciolata altri amici e compagni. Era arrivato il colpo che da tempo il governo pensava di assestare.
Qualcuno portò dentro clandestinamente una copia dell’edizione pomeridiana dello “Star”, così apprendemmo da titoli a caratteri cubitali che la perquisizione si era estesa a tutto il territorio nazionale, e che tutti i principali dirigenti dell’Anc erano stati arrestati con l’accusa di alto tradimento e di presunta cospirazione ai danni dello stato. Coloro che furono arrestati in altre parti del paese – il capo Luthuli, Monty Naicker, Reggie September, Lilian Ngoyi, Piet Beyleveld – vennero caricati su aerei militari e trasferiti immediatamente a Johannesburg, dove sarebbero stati giudicati. Le persone arrestate furono centoquarantaquattro. Il giorno dopo comparimmo in tribunale per essere formalmente incriminati.
Nell’arco della settimana successiva furono arrestati Walter Sisulu e altri undici, che fecero salire il totale a centocinquantasei, di cui centocinque africani, ventun indiani, ventitré bianchi, e sette meticci. Tra gli arrestati quasi tutti i dirigenti dell’Anc, sia quelli già messi al bando sia altri che non lo erano. Finalmente il governo aveva fatto la sua mossa.
MANDELA, MIO PADRE
Intervista alla figlia MAKAZIWE, di Alessandro Gisotti per Vatican News
D
Suo padre è ancora una figura straordinariamente popolare in tutto il mondo. Perché, secondo lei, oggi la sua eredità è ancora tanto importante?
R
Mio padre era un uomo di coraggio e di visione. Credeva veramente nella forza dell’unità e che se le persone di tutto il mondo si fossero unite avrebbero assestato un forte colpo a qualsiasi forma di ingiustizia. Era davvero sincero in quel che credeva e c’erano dei valori centrali che plasmavano la sua vita: umiltà, perseveranza, onestà e perdono. Mio padre è cresciuto in un ambiente in cui tutti potevano esprimere liberamente e senza temere punizioni le loro opinioni, in cui i leader fossero i pastori e i custodi del loro popolo, dei suoi diritti e delle sue libertà. Ha preso molto sul serio la responsabilità di essere un leader e ha incoraggiato attivamente forme di pensiero differenti. Una delle tante cose che ha insegnato, che è importante nel nostro mondo, è che possiamo scegliere come vogliamo vivere la nostra vita; a tutti noi accadono cose buone e cose cattive, ma siamo anche permeati della responsabilità di combattere contro tutte le forme di ingiustizia, pregiudizio, crudeltà e violenza nella nostra società. Lui non ha combattuto solo per la libertà della gente nera, ma anche per la libertà di tutti i sudafricani.
D
Purtroppo ogni giorno ci troviamo di fronte a razzismo e a discriminazioni in molte parti del mondo. Secondo lei, che cosa farebbe oggi Nelson Mandela dinanzi a questo male che sembra essere così radicato nella storia umana?
R
Durante il processo di Rivonia mio padre disse che aveva combattuto contro la dominazione bianca, ma anche contro la dominazione nera. Riteneva che nessuna razza fosse superiore a un’altra, che, di fatto, geneticamente parlando non ci fossero razze, che ci fosse un’unica razza, quella umana. Mio padre giudicava le persone solo in base al loro carattere e ai loro valori. Sarebbe deluso da ciò che accade oggi: l’insorgere dell’estrema destra in politica e come il razzismo, le guerre culturali e l’arroganza, l’etnicità, la paura, il tribalismo, la violenza di genere, l’intolleranza religiosa vengano trasformati in armi e utilizzati per destabilizzare l’intero mondo democratico. Ricorderebbe a tutti noi che le nostre libertà faticosamente conquistate non sono giunte senza sacrificio, che ci sono persone che hanno dato la propria vita affinché potessimo tutti avere accesso a uguali diritti. Mio padre riteneva che tutte quelle cose erano fatte dall’uomo e che, essendo così, potevamo anche disfarcene. Si dice che re Ngubengcuka, antenato di mio padre, abbia formato la nazione Thembu unendo diversi gruppi; persone che cercavano rifugio, persone sfollate in cerca di una casa. La nazione Thembu essenzialmente era costituita da persone con cammini di vita diversi che credevano in un’unica idea. Pertanto, la nostra famiglia è profondamente permeata da questa “nazione della diversità”, che viene trasmessa da una generazione all’altra, abbracciando diverse persone e diverse idee. Mio padre riteneva che il mantenimento dello status quo fosse nemico del progresso e che dovevamo crescere ed evolverci come popolo. Vedrebbe quel che accade oggi come un deludente passo indietro che ci riporta ai tempi bui.
D
Suo padre diceva che “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”. Che cosa pensa lei a riguardo, basandosi anche sulla sua esperienza personale?
R
Mio padre non parlava solo dell’istruzione formale tradizionale. Riteneva che le persone potessero educarsi attraverso i libri, che potessero viaggiare per lungo e per largo con i libri, che potessero conoscere altre culture, che potessero davvero comprendere come vive l’altra gente. Che il fine di andare a scuola non fosse soltanto quello di imparare ciò che c’è in un libro, ma anche di imparare a trattare e ad andare d’accordo con gli altri, il contatto con altre razze, altre culture – che l’istruzione potesse liberarti dall’ignoranza. Credeva che l’educazione fosse la base delle relazioni umane – tu impari qualcosa di me e io imparo qualcosa di te e scopriamo che abbiamo cose in comune. Credeva che una volta stabiliti questi aspetti comuni, la razza non avrebbe più avuto importanza. Il Covid-19 ha messo in evidenza che la superiorità razziale in realtà non trova posto nella nostra società perché il Covid è un grande livellatore: non gli importa se sei ricco o povero, nero o bianco, istruito o non. E anche che dobbiamo davvero risvegliarci al fatto che al di là di “re colore” c’è molto poco a separarci e che siamo tutti dotati dei diritti inalienabili di esistere in questo mondo, di avere gli stessi privilegi dei nostri vicini, neri o bianchi.
D
Quando è morto suo padre, Papa Francesco ha espresso la speranza che il suo esempio potesse ispirare generazioni di sudafricani “a mettere la giustizia e il bene comune davanti alle loro aspirazioni politiche”. Quanto le nuove generazioni africane – non solo quelle in Sud Africa – sono ancora ispirate da Nelson Mandela?
R
Molte persone prima credevano che la giovane generazione dei “Millennials” qui in Sud Africa e in tutto il mondo fosse perduta, ma il movimento Black Lives Matter e alti movimenti per la giustizia sociale hanno dimostrato che sono ben presenti e consapevoli di ciò che accade intorno a loro e pronti a combattere contro l’insorgere del razzismo, la disuguaglianza, la povertà e la violenza di genere. Si tratta di giovani di tutte le razze e di tutti i cammini di vita, che chiedono conto ai politici e ricordano loro che sono responsabili anzitutto verso le persone e non verso la loro vanità; ciò davvero mi incoraggia e mi fa sperare che non tutto sia perduto in questo mondo. Se si guarda all’Africa, i giovani non stanno aspettando sussidi dai loro governi, ma presentando nuove soluzioni innovative riguardanti l’acqua e i servizi igienici, la sicurezza alimentare, l’istruzione, l’energia e l’elettricità, nonché modi per combattere il cambiamento climatico. Questi giovani sono davvero coscienziosi per quanto riguarda il migliorare non solo la loro vita, ma anche quella delle loro comunità e dei loro connazionali. Mio padre ha sempre creduto che la carità iniziasse a casa propria, dalle persone vicine o dalla propria comunità, se si vuole.
D
Papa Francesco, proprio come Nelson Mandela, ha sempre evidenziato il valore della non-violenza come forza di cambiamento. Come può essere promosso oggi questo valore, specialmente tra le generazioni più giovani?
R
Dobbiamo evidenziare che il nostro cammino in questo mondo serve a curare le ferite che ci circondano e che anche noi portiamo. Mio padre ha compreso che se non avesse lasciato perdere la rabbia e l’amarezza quando è uscito dal carcere, avrebbe continuato a stare in prigione da uomo libero. Dobbiamo imparare ad amare quanti sono diversi da noi dal punto di vista etnico, culturale, per unire le persone al di là dei confini razziali, politici ed economici. Dobbiamo costruire ponti, specialmente quelli che ci uniscono nella lotta contro la malattia, la povertà e la fame. Abbiamo tutte le soluzioni proprio davanti a noi, ma per qualche ragione chi detiene il potere si rifiuta di metterle in atto, cosa che a volte trovo sconcertante e frustrante. Oggi dobbiamo davvero ricordare l’indivisibilità della libertà umana e che la nostra libertà non può essere completa senza la libertà altrui.
D
Personalmente, qual è l’insegnamento più grande, più importante, che ha ricevuto da suo padre e che è stato più significativo nella sua vita?
R
Che nessuno nasce odiando un altro per via del colore della pelle, della cultura o della fede religiosa – ci viene insegnato a odiare, e se ci viene insegnato a odiare, è possibile anche insegnarci ad amare, perché l’amore viene naturale allo spirito umano. Da parte mia, ogni giorno mi sforzo coscientemente di trattare le persone con rispetto, dignità e compassione. Mio padre ha sempre trattato tutti allo stesso modo; che fosse la regina o lo spazzino, davvero pensava che tutti gli esseri umani fossero uguali. Applico quello stesso valore a ogni cosa che faccio nella vita.
MANDELA, MIO PADRE
Intervista alla figlia MAKAZIWE, di Alessandro Gisotti per Vatican News
D
Suo padre è ancora una figura straordinariamente popolare in tutto il mondo. Perché, secondo lei, oggi la sua eredità è ancora tanto importante?
R
Mio padre era un uomo di coraggio e di visione. Credeva veramente nella forza dell’unità e che se le persone di tutto il mondo si fossero unite avrebbero assestato un forte colpo a qualsiasi forma di ingiustizia. Era davvero sincero in quel che credeva e c’erano dei valori centrali che plasmavano la sua vita: umiltà, perseveranza, onestà e perdono. Mio padre è cresciuto in un ambiente in cui tutti potevano esprimere liberamente e senza temere punizioni le loro opinioni, in cui i leader fossero i pastori e i custodi del loro popolo, dei suoi diritti e delle sue libertà. Ha preso molto sul serio la responsabilità di essere un leader e ha incoraggiato attivamente forme di pensiero differenti. Una delle tante cose che ha insegnato, che è importante nel nostro mondo, è che possiamo scegliere come vogliamo vivere la nostra vita; a tutti noi accadono cose buone e cose cattive, ma siamo anche permeati della responsabilità di combattere contro tutte le forme di ingiustizia, pregiudizio, crudeltà e violenza nella nostra società. Lui non ha combattuto solo per la libertà della gente nera, ma anche per la libertà di tutti i sudafricani.
D
Purtroppo ogni giorno ci troviamo di fronte a razzismo e a discriminazioni in molte parti del mondo. Secondo lei, che cosa farebbe oggi Nelson Mandela dinanzi a questo male che sembra essere così radicato nella storia umana?
R
Durante il processo di Rivonia mio padre disse che aveva combattuto contro la dominazione bianca, ma anche contro la dominazione nera. Riteneva che nessuna razza fosse superiore a un’altra, che, di fatto, geneticamente parlando non ci fossero razze, che ci fosse un’unica razza, quella umana. Mio padre giudicava le persone solo in base al loro carattere e ai loro valori. Sarebbe deluso da ciò che accade oggi: l’insorgere dell’estrema destra in politica e come il razzismo, le guerre culturali e l’arroganza, l’etnicità, la paura, il tribalismo, la violenza di genere, l’intolleranza religiosa vengano trasformati in armi e utilizzati per destabilizzare l’intero mondo democratico. Ricorderebbe a tutti noi che le nostre libertà faticosamente conquistate non sono giunte senza sacrificio, che ci sono persone che hanno dato la propria vita affinché potessimo tutti avere accesso a uguali diritti. Mio padre riteneva che tutte quelle cose erano fatte dall’uomo e che, essendo così, potevamo anche disfarcene. Si dice che re Ngubengcuka, antenato di mio padre, abbia formato la nazione Thembu unendo diversi gruppi; persone che cercavano rifugio, persone sfollate in cerca di una casa. La nazione Thembu essenzialmente era costituita da persone con cammini di vita diversi che credevano in un’unica idea. Pertanto, la nostra famiglia è profondamente permeata da questa “nazione della diversità”, che viene trasmessa da una generazione all’altra, abbracciando diverse persone e diverse idee. Mio padre riteneva che il mantenimento dello status quo fosse nemico del progresso e che dovevamo crescere ed evolverci come popolo. Vedrebbe quel che accade oggi come un deludente passo indietro che ci riporta ai tempi bui.
D
Suo padre diceva che “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”. Che cosa pensa lei a riguardo, basandosi anche sulla sua esperienza personale?
R
Mio padre non parlava solo dell’istruzione formale tradizionale. Riteneva che le persone potessero educarsi attraverso i libri, che potessero viaggiare per lungo e per largo con i libri, che potessero conoscere altre culture, che potessero davvero comprendere come vive l’altra gente. Che il fine di andare a scuola non fosse soltanto quello di imparare ciò che c’è in un libro, ma anche di imparare a trattare e ad andare d’accordo con gli altri, il contatto con altre razze, altre culture – che l’istruzione potesse liberarti dall’ignoranza. Credeva che l’educazione fosse la base delle relazioni umane – tu impari qualcosa di me e io imparo qualcosa di te e scopriamo che abbiamo cose in comune. Credeva che una volta stabiliti questi aspetti comuni, la razza non avrebbe più avuto importanza. Il Covid-19 ha messo in evidenza che la superiorità razziale in realtà non trova posto nella nostra società perché il Covid è un grande livellatore: non gli importa se sei ricco o povero, nero o bianco, istruito o non. E anche che dobbiamo davvero risvegliarci al fatto che al di là di “re colore” c’è molto poco a separarci e che siamo tutti dotati dei diritti inalienabili di esistere in questo mondo, di avere gli stessi privilegi dei nostri vicini, neri o bianchi.
D
Quando è morto suo padre, Papa Francesco ha espresso la speranza che il suo esempio potesse ispirare generazioni di sudafricani “a mettere la giustizia e il bene comune davanti alle loro aspirazioni politiche”. Quanto le nuove generazioni africane – non solo quelle in Sud Africa – sono ancora ispirate da Nelson Mandela?
R
Molte persone prima credevano che la giovane generazione dei “Millennials” qui in Sud Africa e in tutto il mondo fosse perduta, ma il movimento Black Lives Matter e alti movimenti per la giustizia sociale hanno dimostrato che sono ben presenti e consapevoli di ciò che accade intorno a loro e pronti a combattere contro l’insorgere del razzismo, la disuguaglianza, la povertà e la violenza di genere. Si tratta di giovani di tutte le razze e di tutti i cammini di vita, che chiedono conto ai politici e ricordano loro che sono responsabili anzitutto verso le persone e non verso la loro vanità; ciò davvero mi incoraggia e mi fa sperare che non tutto sia perduto in questo mondo. Se si guarda all’Africa, i giovani non stanno aspettando sussidi dai loro governi, ma presentando nuove soluzioni innovative riguardanti l’acqua e i servizi igienici, la sicurezza alimentare, l’istruzione, l’energia e l’elettricità, nonché modi per combattere il cambiamento climatico. Questi giovani sono davvero coscienziosi per quanto riguarda il migliorare non solo la loro vita, ma anche quella delle loro comunità e dei loro connazionali. Mio padre ha sempre creduto che la carità iniziasse a casa propria, dalle persone vicine o dalla propria comunità, se si vuole.
D
Papa Francesco, proprio come Nelson Mandela, ha sempre evidenziato il valore della non-violenza come forza di cambiamento. Come può essere promosso oggi questo valore, specialmente tra le generazioni più giovani?
R
Dobbiamo evidenziare che il nostro cammino in questo mondo serve a curare le ferite che ci circondano e che anche noi portiamo. Mio padre ha compreso che se non avesse lasciato perdere la rabbia e l’amarezza quando è uscito dal carcere, avrebbe continuato a stare in prigione da uomo libero. Dobbiamo imparare ad amare quanti sono diversi da noi dal punto di vista etnico, culturale, per unire le persone al di là dei confini razziali, politici ed economici. Dobbiamo costruire ponti, specialmente quelli che ci uniscono nella lotta contro la malattia, la povertà e la fame. Abbiamo tutte le soluzioni proprio davanti a noi, ma per qualche ragione chi detiene il potere si rifiuta di metterle in atto, cosa che a volte trovo sconcertante e frustrante. Oggi dobbiamo davvero ricordare l’indivisibilità della libertà umana e che la nostra libertà non può essere completa senza la libertà altrui.
D
Personalmente, qual è l’insegnamento più grande, più importante, che ha ricevuto da suo padre e che è stato più significativo nella sua vita?
R
Che nessuno nasce odiando un altro per via del colore della pelle, della cultura o della fede religiosa – ci viene insegnato a odiare, e se ci viene insegnato a odiare, è possibile anche insegnarci ad amare, perché l’amore viene naturale allo spirito umano. Da parte mia, ogni giorno mi sforzo coscientemente di trattare le persone con rispetto, dignità e compassione. Mio padre ha sempre trattato tutti allo stesso modo; che fosse la regina o lo spazzino, davvero pensava che tutti gli esseri umani fossero uguali. Applico quello stesso valore a ogni cosa che faccio nella vita.