Eutanasia e Vita secondo Leo Spanu e Vito Mancuso

di Piero Murineddu

Il caro vecchio Leo, quello che si considera sempre dalla “parte sbagliata”, considerandola  una vera e propria  scelta di vita perchè  quelli dalla “parte sbagliata” sono i più deboli, che hanno sempre torto, i vinti. Seppur coi limiti delle sue forze, coi suoi scritti cerca di dare voce a chi non sa o non può parlare.  Non s’illude di poter cambiare il mondo, ma semplicemente raccontare la vita, la sua e quella degli altri,essere la buona o la cattiva coscienza di chi vuole ascoltare.

Questa volta  mi trascina in un argomento – come dice lui – “spinoso”, premettendo che probabilmente  sarà in disaccordo col mio pensiero. Cosa tutta da vedere, questa. Ma di che si parla ‘sta volta? Probabilmente avete seguito la vicenda di quella giovane 29enne americana affetta da un tumore al cervello che ha deciso di porre fine alla sua vita, Brittany Naynard. Prima di assumere un cocktail di farmaci letali, attraverso Facebook aveva motivato con queste parole la sua decisione:

Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità, davanti alla mia malattia terminale, questo terribile cancro che ha portato via così tanto da me, ma che avrebbe preso ancora di più. Il mondo è un bel posto, il viaggio è stato il mio maestro più grande, i miei amici più stretti e miei parenti sono le persone più generose e altruiste. Ho anche un cerchio di supporto intorno al mio letto, mentre scrivo… Addio mondo. Spargete buona energia. Siate generosi, pagate in anticipo per restituire ad altri il bene che ricevete “.

Eutanasia e fine vita dunque, tema che ci tocca tutti. Puntualizzo che una cosa sono le posizioni ideologiche e di principio, un’altra è l’esperienza diretta o di una persona a noi vicina. Della sofferenza, specialmente quella fisica, e di quell’altro misterioso stato detto “vegetativo”. Che penso io? Mi creo un intenso silenzio interiore, sforzandomi di osservare e ascoltare con estremo rispetto.

Dice Leo che “la vita è amore, è arte, è bellezza, è sete di conoscenza, è allegria”. Caro Leo, su questo mi viene difficile concordare. Ciascuno conosce anche tristezza, ignoranza, disamore, insoddisfazioni, incomprensioni, ingiustizie, guerre, fallimenti…… Anche queste cose fanno parte della vita, e quando ci si da da fare per superarle, sono motivo di crescita, di gratificazione, di gioia, di ….rinnovo della Creazione. Sperimentare insomma quella “resurrezione”, quel “passaggio” che non riguarda solo il Destino Futuro di ogni essere vivente, cosa  indicataci specialmente da Gesù Cristo. Quando ci si imbatte in queste situazioni, seppur poco gradite, sono ugualmente condizioni di vita, e di vita molto reale. Vita non è solamente quando tutto procede secondo i nostri desideri e aspettative.

Alle considerazioni di Leo Spanu che leggerete, faccio seguire la posizione del teologo Vito Mancuso, considerato da

http://www.agoravox.it/Eutanasia-risposta-a-Vito-Mancuso.html

uno gnostico e come tutti gli gnostici il suo obiettivo è attirare le persone a sé e non a Cristo, creare confusione nei credenti per staccarli dalla Chiesa cattolica. Per questo, nonostante continui a dirsi cattolico, nella sua carriera non ha mai scritto nulla a favore della Chiesa”.

Drastico  giudizio su cui fatico parecchio a riconoscermi, in quanto credo che essere seguaci del Messaggio Evangelico non vuol dire assolutamente pensarla allo stesso modo su tutto ciò che riguarda le vicende della vita (e della morte!)

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Eutanasia di un amore

di Leo Spanu

Nel 1977 lo scrittore Giorgio Saviane vinse il premio Bancarella col romanzo “Eutanasia di un amore”. L’anno dopo Enrico Maria Salerno ne ricavò un film di grande successo con lo stesso titolo, protagonisti Tony Musante e Ornella Muti. Un film mieloso e melenso da un romanzo mediocre. Da cancellare tutto e subito dalla memoria se non fosse per quel titolo che attirò la mia attenzione. Due termini apparentemente inconciliabili e antitetici: eutanasia e amore. La negazione della vita il primo e l’esaltazione della stessa il secondo. Apparentemente. Infatti i dubbi che ho sempre avuto sul senso di questo binomio oggi si sono sciolti definitivamente. E’ bastato poco: Brittany Naynard, la giovane americana dal dolce sorriso, malata in fase terminale, ha deciso di chiudere la sua esistenza anticipatamente. Molta stampa ha parlato di “suicidio” assistito. Niente di più sbagliato. La scelta di Brittany  ci parla e ci racconta di un grande amore per la vita. Il suicidio è quasi sempre, credo, un momento di fuga. Non esprimo mai giudizi di merito in questi casi perché non sono in grado di capirne le motivazioni ma, ogni volta che leggo di un suicidio, anche di persone totalmente sconosciute, provo un profondo senso di tristezza insieme ad affetto e solidarietà come per un amico che se ne va. Per chi non può più sopportare il  dolore, per chi precipita nell’inferno della sofferenza non valgono le leggi degli uomini o di Dio per i credenti.

Non possiamo decidere quando nascere ma possiamo decidere quando andarcene. E’ un diritto inalienabile di ciascun individuo, l’espressione più alta e terribile della libertà. Chi siamo noi per imporre ad un nostro simile sofferenze inaudite in nome di norme e dogmi assoluti? Chi ci ha dato il potere di giudicare e condizionare la vita degli altri? A volte mi capita di vedere in TV dei servizi sui malati di SLA. Non ascolto mai  le parole dette, mi concentro su quei poveri corpi incapaci spesso anche di parlare, solo leggeri movimenti degli occhi, e mi chiedo:  condividono tutte le cose dette in loro nome o invece urlano dentro il loro mondo di silenzio. Lo spettacolo, perché questo spesso diventa, della sofferenza esibita senza pietà, mi spaventa. Il dolore ha bisogno di rispetto, di comprensione, di riservatezza.

Invece mi pare che ci sia una specie di compiacimento nel mostrare persone in difficoltà e situazioni terribili. Anni fa, ho dedicato molto tempo alla lettura di libri che trattavano della seconda guerra mondiale, delle sue degenerazioni, di quella mostruosità che è stato il nazismo. Decine e decine di libri di vari autori per capire le ragioni che hanno portato un popolo civile come quello tedesco a creare Auschwitz. Non ho capito. Ho provato anche a guardare le immagini di quella tragedia ma ho smesso subito. Mi sono sentito male. Ancora oggi evito certe immagini perché l’angoscia mi toglie il sonno e l’appetito. Ma sarebbe il minimo: infatti provo un senso di vergogna perché quelle azioni sono state volute da uomini come me. Appartengo quindi ad una razza che pratica scientemente il male e spesso se ne vanta. E’ possibile dimettersi dalla razza umana? A volte mi vengono queste tentazioni magari quando i militanti dell’Isis decapitano gli ostaggi in diretta.

Brittany invece ci lancia un messaggio d’amore. Per il marito, per i familiari, per gli amici, per le cose che avrebbe voluto fare, per i sogni che non potrà realizzare. Amore per la vita perché questo è la vita: è amore, è arte, è bellezza, è sete di conoscenza, è allegria. Allora perché cancellare tutto questo per guadagnare un mese o sei di terribile agonia. In nome di quale principio devi maledire tutto quello che fino al giorno prima eri tu? Perché il dolore ti cambia, ti trasforma. Il dolore è una bestia cieca e feroce che spazza ogni residuo di umanità.

A me piace immaginare Brittany col suo dolce sorriso di oggi, non con i lineamenti del viso stravolti dalla sofferenza fra qualche mese. Mi piace ricordare le persone care con il volto dei giorni felici non con una maschera di dolore. Perché la morte è nell’ordine naturale delle cose, non dovrebbe far paura. Allora che sia una dolce morte, tenendo per mano la persona che ami e con gli occhi rivolti ad un cielo azzurro e senza nuvole.

Da teologo dico sì alla libertà di scelta sul fine vita

di Vito Mancuso

Alleviare la sofferenza sempre, in ogni caso laddove sia possibile. Rispettare  libera autodeterminazione della coscienza sempre, con senso di solidarietà e di vicinanza umana. È questo il duplice punto di vista a partire dal quale a mio avviso occorre disporre la mente di fronte al grave e urgente problema dell’eutanasia o suicidio assistito.

Alleviare la sofferenza è la forma più misericordiosa di rispetto per la vita. Io non ho dubbi (e penso che in nessuna persona responsabile ve ne siano) sul fatto che la vita vada rispettata sempre e che la vita sia qualcosa di sacro. È la stessa conoscenza scientifica ad attestarci mediante i suoi dati che la vita è un fenomeno stupefacente, emerso lungo i miliardi di anni percorsi da questo Universo a partire dai gas primordiali scaturiti dalla Grande Esplosione iniziale, e tutto ciò non può non generare in chi ne prende coscienza un sentimento di sacralità. Basta applicare la mente al lunghissimo viaggio della vita apparsa sul nostro pianeta per sentire che ogni forma di vita merita di essere considerata sacra, anche la vita delle piante e degli animali, anche la vita dei mari e delle montagne, tutto ciò che vive è sacro e va trattato con rispetto dal concepimento fino alla fine.

La vita umana non fa eccezione: anch’essa è sacra e va trattata con rispetto dal concepimento fino alla fine.Ancora più stupefacente però è il fatto che il fenomeno vita emerso dalla materia (se per caso o per spinta intrinseca della materia nessuno lo sa, anche gli scienziati si dividono al riguardo) si evolva secondo diverse forme vitali, già individuate dal pensiero filosofico greco mediante i seguenti termini: vita-bios, cioè vita biologica; vita-zoé, cioè vita zoologica o animale; vita-psyché, cioè vita psichica; vita-logos, cioè logica, calcolo, ragione; vita-nous, cioè vita spirituale o della libertà.
Quando diciamo “vita” esprimiamo con una parola sola tutto questo complesso processo evolutivo, filogenetico e ontogenetico al contempo, in cui ciascuno di noi consiste. E quando diciamo “rispetto per la vita” dobbiamo estendere tale rispetto in modo da abbracciare tutte le forme vitali, dalla vita biologica alla vita della mente.

Normalmente si dà armonia tra le diverse forme vitali. Normalmente rispettare la vita di un essere umano significa rispettarne la vita biologica che si esprime nel corpo e rispettarne la vita spirituale che si esprime nella libertà.
Si danno però situazioni nelle quali l’armonia tra le diverse forme vitali viene interrotta e il processo virtuoso in cui fino a poco prima consisteva la vita si trasforma in un lacerante conflitto, fisico, psichico e spirituale. Sto parlando ovviamente della malattia e della disarmonia che essa introduce tra le varie fasi del processo vitale, tra la vita fisica (bios + zoé), la vita psichica (psyché) e la vita spirituale (logos + nous). La malattia cronica e inguaribile segna il conflitto irreversibile tra le diverse forme vitali nel cui intreccio ciascuno di noi consiste: a partire da essa la vita fisica, la vita psichica e la vita spirituale non sono più in armonia. Che cosa significa in questo caso rispettare la vita?

Io penso che il rispetto della vita di un essere umano debba consistere alla fine nel rispetto della sua vita spirituale, della sua coscienza o libertà. Di fronte ai casi estremi di malattia, quando la disarmonia tra le forme vitali diviene lacerante, vi sono esseri umani che intendono mantenere l’armonia tra corpo, psiche e spirito e quindi scelgono di piegare la psiche e lo spirito alle condizioni del corpo, accettandone la sofferenza. Per loro, tale sofferenza è una forma di partecipazione responsabile alle sofferenze del mondo e di tutto ciò che vive, emblematicamente compendiato per i cristiani nella passione di Cristo.

Questi esseri umani intendono mantenere fino in fondo l’armonia tra corpo, psiche e spirito, sentono di avere le risorse interiori per farlo, e io ritengo che vadano rispettati nel loro prezioso proposito.
Personalmente mi piacerebbe, quando toccherà a me, esserne parte, anche se non so se ne avrò la forza e il coraggio, penso che molto dipenderà dalla malattia con la quale avrò a che fare.

Ci sono però altri esseri umani che non riescono, o non vogliono, mantenere l’armonia tra la loro vita biologica, la loro vita psichica e la loro vita spirituale. Per loro la vita-bios diviene un tale carico di ansia, paure e sofferenze da risultare devastante per la salute psichica e spirituale. Che cosa significa in questo caso rispettare la loro vita? In che senso qui si deve applicare l’etica del rispetto della sacralità della vita? E che cosa è più sacro: la vita biologica oppure la vita spirituale?

A mio avviso rispettare la vita di un essere umano significa in ultima analisi rispettare la sua libera coscienza che si esprime nella libera autodeterminazione. E se un essere umano ha liberamente scelto di mettere fine alla sua vita-bios perché per lui o per lei l’esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramente vuole il “suo” bene, chi veramente si dispone con vicinanza solidale alla sua situazione, lo deve rispettare.

Questo sentimento di rispetto, se è veramente tale, deve tradursi in concreta azione politica, nell’impegno a far sì che lo Stato dia a ciascuno la possibilità di “vivere” la propria morte nel modo più conforme a come ha vissuto la propria vita, in modo tale che si possa scrivere l’ultima pagina del libro della propria vita con responsabilità e dignità. Il diritto alla vita è inalienabile, ma non si può tramutare in un dovere. Nessun essere umano può essere costretto a continuare a vivere.

Un’ultima parola a livello teologico. Ha dichiarato Jorge Mario Bergoglio dialogando con il rabbino di Buenos Aires: “Occorre assicurare la qualità della vita”. Io penso che non vi sia al riguardo assicurazione migliore della consapevolezza che le nostre volontà siano rispettate da tutti, Stato e Chiesa compresi.

(da la Repubblica del 5 maggio 2013)

Eutanasia e Vita secondo Leo Spanu e Vito Mancusoultima modifica: 2014-11-04T23:39:55+01:00da piero-murineddu
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