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Felicità nel posto di lavoro?

di Piero Murineddu

C’è ancora qualcuno che ne parla? Eppure è un aspetto fondamentale, dal momento che, chi ha la fortuna di averlo, nel posto di lavoro ci si passa buona parte della propria vita.

Ne parla Stefano Zamagni, economista nato a Rimini che in gioventù ha collaborato con don Oreste Benzi per la realizzazione di progetti in favore della gioventù.

Sostenitore della giustizia “benevolente”. Andate a vedere di che si tratta e vedrete che sorprese.

Felicità, quindi. E non solo. Attenzione al senso del bello nell’ambiente delle imprese. Anche in quelle pubbliche. È penoso trascorrere ore ed ore in un ambiente squallido e freddo. Anche questo contribuisce alla buona armonia tra colleghi. È necessario essere contenti di recarsi la mattina dove si lavora, con la consapevolezza di rendere un servizio alla collettività. E sentirsi realmente servitori degli altri è qualcosa che si sta’ completamente perdendo, ammesso che ci sia mai stato.

Discorso lungo e complesso, e forse considerato inopportuno in tempi che il lavoro, e quindi la possibilità di condurre una vita dignitosa, per troppa gente manca. Ma questo è un altro discorso.

È innegabile che molte nevrosi e depressioni nascono e si alimentano proprio nel luogo di lavoro. Ci sarebbe da intentare innumerevoli cause di servizio, cosa che probabilmente farebbe piacere agli avvocati, ma meno alle casse dei datori di lavoro, privati o Stato che siano.

DioNonAbbandona

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di Piero Murineddu

È il giovane e dinamico titolare di una delle due parrocchie di Sorso, don Luca, a dire ai presenti che ciascuno di noi ha lo stesso DNA d’Iddio, quel Dio Misericordoso e pieno di Tenerezza che ci ha fatto conoscere Gesù.

Dio Non Abbandona. Appunto. Lo ha ricordato nella chiesetta di Santa Croce ai genitori e ai ragazzi che si apprestavano a recarsi nella vicina parrocchiale per celebrare la loro Prima Comunione. Lo ha detto con la solita simpatia e con la solita passione con le quali solitamente si rivolge ai suoi parrocchiani, è questa è ottima cosa. Non ci si può illudere di essere portavoce della Buona Novella con l’espressione del volto tirato e duro, senza sorriso che è specchio di ciò che si ha dentro e che illumina chi si ha davanti.

Veramente, per quanto spesso non lo sembrerebbe, quel Dio sconosciuto e che parrebbe completamente disinteressato al destino dell’umanità e di tutto ciò che ha avuto inizio per una volontà d’amore e di armonia, è presente ed è partecipe. Sul come, non ci è dato di capirlo fino in fondo, ma io di Gesù Cristo mi fido, e se ad averlo detto è Lui……

L’atmosfera è di festa e la presenza dell’ottantaduenne vescovo “in pensione” Pietro Meloni la rende ancora più festosa. Non è un grande oratore che conquista le folle il vecchio Pietro, ma è un uomo vero e un buon fratello per tutti. Nella sua omelia, pronunciata lentamente, ribadisce il concetto di un Dio che è Presente, pronto a sorreggerci, sopratutto quando sentiamo le forze venire meno. Lo dice ai ragazzi vestiti di bianco che hanno una vita davanti, e nel contempo lo ricorda a noi che di vita ne abbiamo percorso gia un lungo tratto.

“Io sarò con voi per sempre”, e ci sorride quando c’impegnamo ad accoglierci a vicenda, sforzandoci di volerci bene.

Pietro, Federico, Mattia,Margherita, Esmeralda, Paolo e gli altri, nelle “intenzioni” di preghiera, si fanno tramite dei bisogni elementari per condurre una convivenza pienamente umana e fraterna:

una fede che ci sospinga,

Il “pane” assicurato per tutti e non solo per una parte dell’umanità,

protezione per chi soffre,

necessità che tutti gioiscano del calore familiare e che non si patisca solitudine,

le famiglie facciano di tutto per mantenere l’unità nonostante facile sempre non lo sia affatto………

Cose chieste a Dio, ma che in realtà siamo noi a dover concretizzare con la nostra fatica. Col Suo aiuto, certo, ma la responsabilità ricade tutta sulle nostre scelte quodidiane.

Al termine della Mensa Eucaristica, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi al vecchio vescovo Pietro per abbracciarlo e fargli una carezza piena d’affetto. Lui stesso lo aveva detto al termine della sua omelia, ricordando il calore col quale papa Francesco abbraccia e accarezza i bambini.

In fondo bambini bisognosi di carezze lo siamo tutti. Il guaio è che spesso lo scordiamo, e le nostre “mani”, invece che per accarezzare il prossimo, le usiamo per farlo soffrire.

Percorrendo il centro storico

 

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Una vecchia abitazione nel centro storico di Sennori (SS)

 

di Piero Murineddu

Un numero civico, una vecchia porta chiusa da una catena, una finestra protetta da un’ inferriata, un muro scrostato che rende visibile il modo e il materiale con cui si edificavano le abitazioni dei nostri nonni.

Nel passarci davanti, per me è inevitabile che il pensiero vada principalmente alle persone che all’interno di essa hanno condotto la loro vita, dei più che ormai fanno parte di un aldilà a noi sconosciuto, come sconosciute ci rimangono le loro personali esistenze, che per quanto pensiamo di conoscerle, sono sempre una minuscola parte della loro vita, in ogni caso preziosa.

Possiamo sapere qualche fatto, qualche aneddoto, qualche aspetto caratterizzante, qualche luogo comune, qualche “unghia” divenuta un braccio nel passaparola paesano, ma una persona, per quanto di essa si pensa di conoscere, rimane per gli altri sempre un mistero, e in quanto tale, meritevole del massimo rispetto.

Ciascuno di noi non è racchiudibile in schemi ben precisi e delineati; non è identificabile neanche in un fatto avvenuto nella sua vita, bello o brutto che possa essere considerato da chi troppo facilmente è portato a facili schematismi, dai quali spesso ne rimane imprigionato.

In mezzo a tante differenze e a diversissime sensibilità, il trascorrere del Tempo ci accomuna tutti, trasformandoci e arricchendoci. Di esperienze sopratutto. A volte pure impoverendo la capacità di com-passione reciproca, e questo si che provoca tristezza.

Siamo umani, Tonì….

antonio don Antonio Sanna (Bottida, 15 maggio 1932  – Porto Torres, 18 dicembre 2016)

di Piero Murineddu

Lo scorso 15 maggio ne hai compiuto ottantasei, Tonì. Eh, s’invecchia, s’invecchia. E gli acciacchi? Oh, quanti…quaaaaanti ! È la vita, Tonì, e tu lo sai benissimo. Se poi ai malanni fisici si aggiunge lu zeibbeddhu (il cervello) che non è più efficiente come un dì, allora la cosa diventa ancora più dura.

Oh, tranquillo Tonì, non è certamente il tuo caso. Tu lu zeibbeddhu l’hai tenuto bello funzionante. Eccome! Sarà stato lo studio che non hai mai abbandonato, l’interesse per l’evolversi del mondo, la libertà di non mandarlo a dire, chiunque fosse il destinatario, specialmente – giusto per fare un esempio – quel “Paperone” con il villone lì, là e ancora più in là, che si vantava di questo, di quello e di quell’altro, che ha ridotto l’Italia ad una burletta davanti al mondo per oltre vent’anni e che oggi si ritrova mogio mogio in un angolo, facendo l’offeso, illudendosi di contare qualcosa e di poter ancora condizionare la vita altrui. Ah, la vanità, Tonì…. in che stato può ridurre un essere umano questa stramaledetta vanità !

Ma a te questo rischio non ti ha mai sfiorato, e puta caso la tentazione ci sia stata (esseri umani siamo!), grazie alla tua intelligenza e saggezza dei lunghi anni di vita, le hai dato un benevolo schiaffotto e l’hai messa bell’a cuccia, impedendole di nuocere al tuo pensare e al tuo agire.

Diciamoci la verità, Tonì. Tra noi siamo stati sempre franchi e ce lo possiamo permettere. Con tutte le gratificazioni che ti ha dato la musica, componendola, eseguendola ed insegnando ad altri ad apprezzarne il valore, magari un pochino di esaltazione, di crederti importante, riconosciuto, ammirato, applaudito e probabilmente pure invidiato (specialmente da qualche prete come te, ma stonato peggio della sua vecchia campana)….. Si, dai, forse questa continua gratificazione ti ha inorgoglito un pochino.

Embè? E allora? E se anche fosse? Umani siamo, Tonì. Non siamo perfetti e non ce ne impippa minimamente di non poterlo essere. L’orgoglietto che possiamo sentire ci fa piacere, ma non viviamo in funzione di esso. Ci ridiamo su e tiriamo innanzi per la nostra strada, cercando di seminare qualcosa di buono e prendendoci a pugni quando ci scappa qualche parola e specialmente qualche gesto poco piacevole per qualcuno che non lo merita, e verso cui ci precipitiamo a chiedere scusa.

Non siamo gente che ci aspettiamo che ci facciano una statua una volta che partiamo per l’Aldilà.

Una statua! Ma a occi a ga l’hai !! Ma non scherziamo, su! E poi, specialmente a te, che hai avuto sempre una forte allergia per statue e fronzoli inutili. Processioni per portare a spasso una statua? Pa cariddai! Proprio questo non è stato mai il tuo forte.

“Gli altri preti facciano quello che vogliono. Se avete bisogno di processioni e statue, andate pure in altre chiese – più o meno hai sempre detto – ma a me non cercate di far cambiare idea”.

A proposito, hai saputo che qualcuno ha proposto di dedicarti una statua? Eeeeeia… sentito l’ho !  Non ridere, Tonì. Dai, non ridere…. e sopratutto, dato che per dove sei ora potresti avere particolari poteri, non lo fulminare con una saetta bella saettata. Mi raccomando mì….Se vuoi dargli un celeste schiaffottino o calcettino va bene, ma la saetta no. Ridiamocela e lasciamoli crogiolare nelle loro umane vanità.

Stai bene, Tonì. Prima o poi ci vediamo e continuiamo quell’argomento che avevamo interrotto, e di queste cosuncole umane ce la ridiamo insieme.

Dimenticavo. Buon compleanno, don

Nota

Spero che non si prenda alla lettera e troppo seriamente la vicenda della “statua”. Il passaggio l’ ho tratto dal Corriere Turritano, dove si parla dell’intervento di Gianni Bazzoni in occasione delle serate musicali che annualmente si organizzano per ricordare il compleanno di don Tonino . Si parla si di una statua, ma in questo caso da intendere come comunemente usiamo dire quando riteniamo qualcuno di particolare valore. Sappiamo quanto il prete detestava questo modo quasi paganeggiante di esternare la fede. È invece sicuramente importante che le future generazioni conoscano il grande bene che il caro don ha seminato nella sua lunga permanenza a Porto Torres, e l’idea di una Fondazione in suo onore, punto centrale della proposta fatta dal giornalista portotorrese, e del resto ben accolta dai presenti, è sicuramente condivisibile. Raccogliere più materiale possibile e renderlo fruibile a tutti,in modo che il pensiero di Antonio Sanna, uomo, prete e musicista, venga perpetuato il più a lungo possibile. Ottima e doverosa idea.

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di Piero Murineddu

Lo so, da qualche parte ho scritto che non son proprio un uomo di mare. Che, potendo, avrei preferito nascere e vivere in altura. Ma, purtroppoemenomale, vicino al mare ho oltrepassato la mia sessantina, e cambiare ormai non posso più.

Non sono amante della tintarella e non ho muscoloni né tatuaggi da mettere in mostra sulla spiaggia, per cui raramente mi si vedrà facendo il bagnante sorretto dalle mie magri gambette di peli prive. Certo, una o massimo due volte verrò costretto dalla mia dolce e “convincente” mugliera sinnarèsa, e qualche volta le mogli bisogna pur “accontentarle”, altrimenti – e molti mariti mi capiscono – il finimondo “casalingo” può succedere, e questo senza dover aspettare quel pazzoide di Donald l’Americano.

Ad ogni modo, il mare in se non è che lo detesti. Figuratevi che, quando mi è possibile, la passeggiatella a Porthuddorra me la faccio volentieri, ma più che altro per vedere le barche e godere dell’atmosfera creata dalla gente che dal mare ci vive. Mi fermo spesso a parlare con loro e li osservo mentre, nei giorni festivi, riparano le loro reti.

Mi diverto anche a guardare i diversi tipi d’imbarcazioni, di grandi e per lo più di piccole dimensioni, addirittura coi remi pronti all’uso. Ecco, quelle mi fanno proprio tenerezza.

Eppoi i nomi. Per tutti i gusti e scelti con la massima libertà: Antonio, Giuseppina, Anna, Topogigio, Chicca, Saturno, Albatros, Stella Maris, Geltrude, San Crescenzio, Esperio, Biru Biru, Tripesce, Cruviera, Marlu, Bavaria, Alioth, Caronte, Saledam, Bebu, Rinascita, Tigre, Madote,San Silverio, Savian……

Riconoscere il tipo d’imbarcazione ancora non mi è dato. A mala pena vedo che ci sono diversi combinati cabinati e gozzi latini, ma prima o poi, più poi che prima, saprò dire pane al pane, vino al vino, arancia all’arancia, barracoccu al barracoccu e via dicendo.

Ah, dicevo dei nomi. Ma sapete anche che ci ho trovato pure la Sacra Famiglia? Eia. E non mi infaurate perché l’ho fotografata: Buon Gesù, San Giuseppe e Mamma Maria. Lo so, quest’ultima potrebbe essere mia e anche vostra madre. Ma d’altronde lo sappiamo benissimo: tutte le nostre mamme sono e son state sante, pur senza ufficialità. Ciascuno di noi sa il bene che ci hanno voluto e continuano a volercene, che siano ancora in carne e ossa, vecchie ed acciaccate , o che abbiano già raggiunto quell’altra Misteriosa Dimensione.

No, non sono uomo di mare, ma di tanto in tanto……

Se porta alla solidarietà, ben venga la devozione

di Piero Murineddu

Chi mi conosce, sa che queste manifestazioni popolari di fede non fanno per me. Anzi, i numerosi eccessi mi porterebbero quasi a diventare “protestante”, a trovare consolazione e soddisfazione in una piccola comunità dove tutti ci si conosce e ci si impegna ad essere vicendevolmente solidali.

Epperò, come diceva il mio carissimo Carlo Carretto, io sono cattolico e tale voglio romanere, seppur “diversamente”, nonostante tutte le condraddizioni e spesso i tradimenti del Messaggio originario del Maestro.

Provate a leggere questo articolo sulla Nuova di oggi e constatate le vostre personali reazioni.

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Gente che segue in processione una statua, inginocchiandosi davanti ad essa, e che si accalca per toccare una teca che contiene la cintura di questa donna che divenne monaca dopo una tormentata vita faliliare.

Il contenuto della teca è definito “sacro”, degno di venerazione. Appunto: che concetto abbiamo del sacro?

No, proprio penso che in questi atteggiamenti non mi ci troverò mai, per i pochi o lunghi anni che avrò un cervello e un cuore che batte.

Forse hanno ragione coloro che dicono che il vedere e il toccare aiutano ad alimentare la fede. Forse….

Mi consola che, almeno in questo caso, l’evento è legato ad un gesto concreto di solidarietà, quando i pastori sardi, in occasione di un terremoto, aiutarono i loro colleghi umbri a riprendersi dalle perdite subite. Ecco, questo lo considero realmente un agire da “cristiani”, e se la fede popolare porta a questi impegni concreti, ben venuta sia la devozione, per santa Rita, sant’Antonio e tutti i santi e madonne che volete.

 

Bruno, Adriana…….Accogienza

 

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di Piero Murineddu

Bruno ci ha lasciati. Ha trascorso buona parte della sua vita dandosi da fare per superare l’istintiva indifferenza verso il prossimo che troppo spesso caratterizza l’esistenza di molta gente, compresi noi, compreso me.

Un sostegno certo e per molti versi insostituibile per quel frate che tanti anni fa decise di dedicare il suo impegno e il suo ministero sacerdotale per curare le “ferite” di innumerevoli nostri fratelli, principalmente quelli caduti nella trappola della tossicodipendenza.Padre Salvatore, originario di Bonorva, a cui tante famiglie sarde – e a Sorso e Sennori non sono poche – non cesseraranno mai di essere grate per l’aiuto dato ai propri figli che avevano perso e continuano a perdere la loro libertà a causa di questa micidiale schiavitù moderna.

Bruno è stato al fianco di Salvatore sin dalla primissima ora, inserendo inevitabilmente la famiglia, che intanto si era creata, nella realizzazione della Casa Famiglia per malati di Aids che si trova a Sassari, in Piazza Sant’Antonio.

“Uomo della visitazione”, tra le lacrime ha definito Salvatore oggi durante la Messa d’ adDio il suo amico, vinto da una malattia incurabile. Bruno era quello che andava a trovare coloro che avevano intenzione d’intraprendere il cammino duro e faticoso di rompere con le varie droghe dei nostri tempi o con altre problematiche che tolgono la bellezza della vita. Della “visitazione”, ma ancor di più dell’accoglienza. Grazie caro Bruno per il tanto bene che hai seminato nel tuo cammino terreno.

L’accoglienza reciproca dovrebbe essere uno dei valori primari delle relazioni tra esseri umani. Ma quanto è difficile tradurlo in prassi quotidiana!

 

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Quest’oggi sono entrato piacevolmente in contatto qui a Sorso con un’esperienza di accoglienza familiare. Due coniugi, che insieme ai propri figli, decidono in pieno accordo di permettere ad un giovane immigrato di far parte della piccola comunità qual’è appunto il nucleo familiare.

La cosa mi ha fatto enormemente piacere. Qui non si tratta di dare un piccolo aiutino ogni tanto a chi ne ha bisogno. Assolutamente no. Qui si tratta di qualcosa di molto diverso e impegnativo: decidere di sostenere e far proprie le difficoltà che si trova davanti chi proviene da luoghi per noi il più delle volte sconosciuti, alla ricerca di condizioni di vita più degne di quelle che ci si è lasciate alle spalle.

Per quanto possiamo tentarci, non si riesce a capire tutto il turbinìo di sentimenti che può provare una qualsiasi persona quando, per i più diversicati motivi, si trova costretta a lasciare la propria terra, la propria famiglia, le proprie abitudini….

Ritrovarsi improvvisamente catapultato in una terra fino ad allora sconosciuta, di cui ben poco si sapeva fino ad allora.

Tante aspettative, molte delle quali vane e illusorie. I più attenti sanno delle problematiche legate, in questo caso, all’immigrazione dai Paesi del sud del mondo. Le reazioni e le posizioni sono le più diverse. Nelle ultime elezioni politiche l’argomento è stato quasi centrale, e sicuramente i risultati son stati da esso condizionati.

Non è mia intenzione entrarci dentro, almeno in questo momento.Oggi voglio solo ringraziare e incoraggiare Adriana e la sua famiglia, facendo i migliori auguri al giovane Sidiki, proveniente dalla Guinea.

Angelo&MariaRosa

di Piero Murineddu

Sono trascorsi due mesi dalla morte di Angelo, avvenuta in un ospedale a Guadalajara, in Messico, a causa delle complicanze di una broncopolmonite. Aveva 84 anni ed era missionario saveriano, quei religiosi che vivono a stretto contatto con la povera gente, facendo propri i problemi che l’essere poveri comportano.

Nel Paese centroamericano conduceva un programma tv, ma sopratutto dava aiuto e rifugio a tanti messicani ed indios vittime dell’estrema violenza che caratterizza quel martoriato Paese.

“Il mio posto è qui – diceva – la mia gente è questa”.

A Cantù, città dove la famiglia aveva messo su casa, sono rimasti i due fratelli Giacomo e Antonio.

Di cognome fanno PISANO, originari di SORSO, il mio paese.

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A Ronciglione, nel locale monastero delle carmelitane, vive la sorella maggiore Maria Rosa, con la quale da sempre Angelo ha avuto un rapporto estremamente confidenziale e di comprensione reciproca.

I due, da giovanissimi, ma specialmente per la ragazza, sin dal primo momento che avevano manifestato l’intenzione d’intraprendere una vita religiosa, erano stati osteggiati sopratutto dal padre, che non riusciva a vedere di buon occhio quest’intenzione dei due figli, probabilmente i più sensibili della numerosa famiglia.

Maria Rosa questa vocazione alla vita consacrata ha iniziato ad intravederla molto precocemente, e col procedere degli anni, è stato motivo di dissapori col genitore, che alla fine si è dovuto arrendere alla ferma volontà della figlia.

Col figlio maschio era più possibilista, ma nel dover decidere se comprare un terreno agricolo per i figli Gavino e Antonio o pagare la retta del seminario, decisero insieme di dar la possibilità ad Angelo di studiare a Sassari, dove partì una volta finita la quinta elementare.

A Sorso il sostegno alla fede, il fratello e la sorella l’hanno trovato in don Chelo e don Spanedda.

Maria Rosa aveva avuto la malaria per tanto tempo. Lei era riuscita a cavarsela, mentre la sorella Giovannina non ce l’aveva fatta. In seguito dovette patire anche la perdita della sorella Angelina, con la quale aveva particolare intesa. I figli maschi non erano riusciti a vedere la sorella sul letto di morte, in quanto erano costretti a vivere in campagna per evitare il contagio.

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Nello stretto rapporto epistolare che Maria Rosa e Angelo hanno sempre tenuto in seguito, quest’ultimo le aveva confidato che per lui la sorella Angelina, venuta a mancare a diciot’anni dopo sei mesi immobilizzata nel letto in preda ad atroci dolori, gli sembrava che fosse sempre viva, proprio perché non aveva assistito alla morte e al funerale.

Maria Rosa e Angelo, una rinchiusa una vita dentro un monastero, facendo vita comunitaria con giornate scandite dalla preghiera e dal lavoro; Angelo una vita condotta molto attivamente, in mezzo alla gente e nell’impegno sociale.

Due modi apparentemente opposti di vivere la fede. Per il sentire comune più comprensibile il secondo, meno il primo.

“Il mio posto è qui”, diceva Angelo. “Il mio posto è qui” continua a dire Maria Rosa.

L’importante è capire cosa Dio vuole da ciascuno, e una volta che si capisce e si accetta, fare di tutto per non tradire la scelta fatta liberamente e in piena consapevolezza.

Un abbraccio alla ultra novantenne suor Maria Rosa e condoglianze a tutti i familiari e parenti di padre Angelo.

Fino a quando prevarrà la colpevole imbecillità?

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di Piero Murineddu

Credetemi, sono talmente stanco che volentieri eviterei di farvi partecipi di questa mia indignazione, o meglio, incazzatura.

Ho sentito che nella “Predda nieddha” sussinca è stato installato un distributore di carburante automatico che, mi dicevano, si risparmia qualcosetta. Che poi, detto tra noi, il risparmio te lo sogni.Ma non è questo il punto.

Per arrivarci, ho percorso la strada della Biblioteca, che già lì i “pendenti” tra le gambe iniziano a rigirarsi:

piantine spontanee con le radici nel marciapiede e nell’asfalto,

alcuni porta fiori all’entrata del luogo della cultura per antonomasia usati come porta cicche,

giardinetto attiguo recintato sommerso dalla “spontaneità” primaverile della natura,

parcheggio recintato e inaccessibile da quel dì e di cui non se ne conosce il destino,

stradetta che conduce all’entrata secondaria della Billellera – Billellera! Per carità, non tocchiamo l’argomento….- recintata anch’essa e diventando gradualmente quello che vi era una volta, un muntinaggiu.

Arrivo al lavatoio, ristrutturato tempo fa e divenuto un piccolo gioiello. Blocco la macchina, allungo il collo e sento i pendenti di sotto che aumentano di velocità. Apro la portiera, sbattendola talmente forte che Ciuffo si sudruneggia completamente, scendo i pochi gradini, mi affaccio all’interno: il vortiginoso giramento si blocca di scatto, ma in compenso mi cascano giu le braccia:

oltre le scritte e la spazzatura, qualche povero imbecillotto ha provato sulla paretina anteriore della fontana se la gradazione del viola che voleva ottenere era quella giusta. Imbecille e cretino alla massimissima potenza!

Continuiamo a farci male, insomma. Senza tregua.

Un altro simbolo della nostra storia ridotto in questo stato pietoso ed estremamente incazzoso.

Ma che bisogna fare?

Piazziamo delle mine in vari punti del paese e ci facciamo saltare tutti in aria?

Ci estinguiamo definitivamente?

Ma qualcuno riesce a vedere una vita d’uscita a quest”assoluta mancanza di rispetto per la Cosa Pubblica, e in questo caso, della nostra storia, dei nostri avi….di noi stessi?

Per questi amministratori non trovo più parole adeguate per definirli, ma ancor meno per quelli fra noi che hanno raggiuto un livello d’inciviltà parecchi metri sotto terra. Son sicuro che è una minima parte delle migliaia di sussinchi che siamo, ma alla fine tutti ne piangiamo le conseguenze.

Si sa, i delinquentini o delinquentoni imbecilloni agiscono vigliaccamente non visti, ma se non c’è un risveglio collettivo di dignità, le cose andranno sempre peggio, facendoci arrivare addirittura a vergognarci di essere sussinchi.

Ecco, e anche per oggi mi son rovinato l’umore. Chiedo scusa se vi ho coinvolti. Avrei voluto raccontare qualcosa di bello e divertente, visto il bisogno di ottimismo che abbiamo tutti. Ma non posso rimanere indifferente al troppo degrado in cui siamo immersi.

Sognar nuoce? Certo che no, anzi……

 

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di Piero Murineddu

Ed io che mi preoccupavo di come trascorrere il tempo durante il pensionamento, se non prossimissimo, prossimo sicuramente.
Mi compro un’Ape o quel che l’è, mi faccio aiutare a modificarne l’aspetto e in giro me ne vò, con la cara mugliera, la suocera e altri che ne hanno piacere. Loro se ne stanno belli comodi ed impoltronati in cassone a farsi tutte le loro sacrosante chiacchierate che desiderano, io alla guida con a fianco l’inseparabile e sopratutto silenziosiiiiiissimo Ciuffo, che di sentire il continuo parlare parlare parlare del femminile genere non ne può più. Attenzione, ho detto che è lui che non ne può più, non io. Eh, no…è meglio chiarire: non voglio essere minimamente sospettato di misoginia, seppur latente.

Se poi a qualcuno piacerà farsi un giretto qua e là, sgancerà quel che dovrà sganciare e il girettino lo farà.
Che dite: il sogno si realizzerà? Chi vivrà vedrà.
Ma mi raccomando, mi……. adesso non mi rubate l’idea.
Anche perchè l’ho già rubata io.