Tutto prezioso il materiale che il vecchio Andrea ha lasciato scritto. Sopratutto è apprezzabile lo sforzo che insieme all’amico e collega prof. Peppino Manzoni facevano per trasformare in frasi scritte e quindi nel modo più corretto possibile, i termini che normalmente comunicavano nella loro usuale parlata locale, Andrea specialmente. Probabilmente era solo con la moglie Marisa che si sentiva costretto a parlare in italiano, essendo romana. Non so coi figli. Nell’ultimo periodo della sua vita, la sua pignoleria nell’usare i corretti termini sorsesi era divenuta quasi un’ossessione, e ci teneva a metterlo in risalto con la sua pignoleria e il tono a volte simpaticamente scorbutico.
E’ possibile che i due libri “Ammenti” contengano più di un errore, ma credo più che altro che siano errori di battitura oppure di pronuncia da parte dell’amico Peppino, essendo lui di nascita e di madre lingua casthiddhana.
Nell’ultima parte dei due libri pubblicati sono contenute brevi storielle più o meno ispirate dalla vita quotidiana e che si rifanno a dei proverbi conosciuti, e come sappiamo, i proverbi fanno parte del bagaglio culturale di un popolo. Consideriamo ad esempio quello che segue, conosciuto e applicabile a tutte la latitudini in cui le persone devono bene o male accordarsi su qualsiasi cosa, il più delle volte per migliorare la loro vita personale e collettiva. Ci piaccia o no, ciascuno di noi non è un’isola, e se non vogliamo intristircela questa beneetta e provvisoria vita che ci ritroviamo, E’ NECESSARIO creare ponti di collaborazione, e ciò sappiamo che comporta parecchia fatica
Torniamo al raccontino, la cui conclusione è in verità amara: “Laghemmu tuttu cumenti è“. Lasciamo tutto com’è, modo per non rischiare d’inclinare i rapporti tra umani già di per se alquanto precari. Questa conclusione è molto comune e spesso molto diffusa. Non vogliamo rischiare? Lasciamo allora tutto come stà. Conclusioni? Fate voi.
