Lu fuggaroni di sant’ Antoni, ma anche la giusta reazione di un popolo stanco

 

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di Piero Murineddu

Sempre dovuta riconoscenza nei confronti di Andrea Pilo per i suoi preziosi racconti, e naturalmente anche verso Peppino Manzoni per il suo contributo nello scrivere in modo più corretto possibile in sussincu.

Se si é riusciti ad aguzzare bene la vista, il raccontino su riportato viene concluso col termine  “Aggabannìra”, ovvero finirla, smetterla, parola pressoché sconosciuta alle nuove generazioni e, temo, alle meno recenti. Vengo gentilmente informato che il termine deriva dal castigliano “acabar“, finire.

Che piacere provavo quando, andato a trovare il caro Andrea Pilo, ormai vecchio e tutto acciaccato, la nostra conversazione si svolgeva esclusivamente in sussincu. O meglio, lui in vero sussincu, mentre io ci provavo ma, a volte, ero tentato di prendermi a schiaffotti di quanto sentivo ridicolo il mio, al suo cospetto, completamente ….italianizzato.

Quando di bocca gli usciva un termine per me sconosciuto, lo fermavo, glielo facevo ripetere, gli chiedevo spiegazioni, e lui, orgogliosamente, era contentissimo che io volessi soffermarmi per approfondire.

E quindi veniamo a sapere che lu fuggaroni di Sant’Antoni a Sorso si faceva nel piazzale di Cabuzzini, e quando la fiamma si abbassava, ci si teneva per mano e si saltava, diventando cummàri e cumpàri, per l’ appunto, di foggaroni.

Tutto raccontato dal padre di Andrea, morto quasi centenario. I conti del prof lo portano a dedurre che ai primi dell’Ottocento a Sorso vi erano tremila abitanti, naturalmente oppressi da un parassita in quel caso  barone che , come si sa, viveva dalla fatica del popolino. Ma li sussinchi erani zirriosu e isthraffutenti e una volta si erano permessi di non sganciare lu terratiggu, tanto da portare il baronazzo ad avvertire il governatore di Sassari. Costui avverte il sindaco romangino che, tramite lu bandidori, fa avvertire la popolazione, intimandole di sganciare, altrimenti non so cosa sarebbe successo. Cosa fanno i sorsinchi? Si passano la voce e la stessa sera fanno cucinare dalle mogli dei bei padelloni di pasta e faglioli, per caricarsi per bene l’intestino di aria. L’indomani mattina, invece di recarsi a triburà in campagna, si presentano sotto il palazzaccio del signorotto, e fattolo acciarare, al via dato da Franzischinu Maria Jelithon, discendente diretto dei primi abitanti del luogo, tirano su la gamba destra e fanno uscire tutti insieme l’aria creatasi abbondantemente e generosamente nottetempo nell’intestino di ciascuno, il cui incredibile “tuono” si sentì fino a Viddaeccia e anche più in lá. Lo spostamento dell’aria fu tale che il palazzo “nobiliare” rischiò di crollare. Il barone e signora hanno immediatamente chiuso le finestre, ma il tremendo e vendicativo accumolo di aria intestinale sussinca s’inoltrò ugualmente nelle loro stanze, rimanendovi giorni, giorni e giorni ancora, a monito che quando al popolo glieli fai proprio girare, ne piangi le amare conseguenze.

Vista la mia cronica ignoranza in tutto, ho chiesto ad un amico, esperto in storia locale, del modo in cui il barone sparì da Sorso. Mi ha risposto che lo decise spontaneamente e in pieno accordo con la consorte. Io sono piu propenso a credere che le valige le feccero perché costretti, in quanto del Provvidenziale Odore Intestinale di li sussinchi, macchi si fa per dire,  se n’erano impregnate le pareti del palazzaccio, e viverci era diventato praticamente impossibile. I battaglieri sorsinchi nonviolenti avevano finalmente lasciato un potente e indelebile mascharoni al signorotto  parassita, ed é questo che conta.

Lu fuggaroni di sant’ Antoni, ma anche la giusta reazione di un popolo stancoultima modifica: 2022-01-17T05:22:11+01:00da piero-murineddu
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