Su Dio, sulla vita…

Profonda riflessione quella di cui la mia amica Rita mi ha fatto partecipe, chiedendomi un parere. A me, che per capire il significato di certe parole devo precipitarmi a consultare il provvidenziale dizionario.

No, non ho proprio il cervello per addentrarmi in tali profondità, considerando anche che sono oltremodo impegnato per vivere al meglio le piccolezze quotidiane, quelle che sommate, se vissute con attenzione e tentando di impregnarle di quell’Amore che eleva e riempie l’esistere, lo rendono Grande, così per me come per chiunque altro.

M’interessa, appunto, unicamente la fatica di lasciarmi dietro piccoli semi, con la speranza che attecchiscano in un terreno che io per primo e per quanto riesco cerco di fertilizzare, con la speranza di vedere finalmente la Vita più accettabile per tutti, ed arrivare persino a considerarla un Dono.

Lasciando ad altri la possibilità di elaborare gli stimoli che seguono, sono grato alla sempre gentile Rita da Chieri.  (Piero)

download

Su Dio e sulla vita

di Rita Clemente
Per me Dio è anzitutto una grande domanda di fronte a cui si possono avere due atteggiamenti:

  1. Non si sente nemmeno il bisogno di porsela. Ci si accontenta del fenomenico, di ciò di cui possiamo fare esperienza diretta, e va bene così. Magari il senso della vita lo si cerca altrove, per esempio nell’impegno per la giustizia sociale. Ma se ci poniamo la domanda, allora cerchiamo una risposta. E ci sono tante risposte quante sono le menti umane. Sono risposte condizionate, certo, anzitutto dalla nostra tradizione culturale – religiosa. Qualcuno dice che Dio è indefinibile e ineffabile, è un mistero, anzi, il Mistero. Ma anche questa è una risposta. Il Mistero può essere inconoscibile, ma è. Se dunque Dio è il Mistero, Dio è.
  2. Che relazione c’è tra il mio piccolo essere transeunte e il Dio che è? C’è una relazione? Se facciamo riferimento a Gesù, sappiamo che ha costruito tutta la sua vita sulla relazione con un Dio che chiamava padre. Il linguaggio umano è sempre metaforico quando si parla del Mistero, anche la parola Padre, che però riporta a una fortissima e intensa relazione, anche affettiva. E non riguarda solo Gesù, ma tutti coloro che credono alla parola di Gesù “Padre nostro (non mio), che sei nei cieli…”. Sul Golgota sembra che questo padre non gli risponde, lasciandolo solo. Gesù sperimenta il dolore la paura e la solitudine della morte, come ogni essere umano. Ma il suo rapporto con Dio va visto nell’arco di tutta la sua vita e oltre. Come dice bene padre Alberto Maggi, la vita eterna è la pienezza di vita che non comincia “dopo” la morte, ma è un continuum che comprende la morte fisica, andando oltre. Se c’è una relazione, c’è dunque un rapporto reciproco “cosciente”. Il Dio persona non è necessariamente un Dio antropomorfico, ma un Essere cosciente sì. E che senso ha il rapporto, la relazione, con lui? Un effetto liberante. Da che cosa? Dal Male. Il male si può declinare e concretizzare in tre espressioni: il dolore, la morte, il peccato. Ma il dolore e la morte sono “mali” che fanno parte della natura e di cui l’ essere umano fa esperienza in quanto “essere naturale”. Se il bene supremo per ciascuno di noi è la Vita nella sua pienezza, il male è ciò che limita, ferisce, in qualche modo danneggia la vita. Da questo punto di vista, la Natura non è innocente, perché la natura produce vita, ma anche dolore e morte. Eppure forse il dolore e la morte hanno una loro sensatezza. Il dolore è la protesta viva che qualcosa sta offendendo la vita, La morte si dà perché altra vita possa continuare. Però Gesù, nel suo percorso terreno, ha anche insegnato con le parole e dimostrato con i fatti che l’essere umano doveva essere liberato anche dal dolore e dalla morte.

Per il peccato la questione è diversa, perché attiene solo all’essere umano e alla sua coscienza. E’ il danno, la ferita che si compie in qualche modo alla vita coscientemente, cioè con piena avvertenza e deliberato consenso. La liberazione dal peccato dipende dalla volontà umana, esige una metànoia, una trasformazione che è presa di coscienza. Dunque, l’essere umano non può essere liberato dal peccato senza la sua partecipazione e collaborazione. Vito Mancuso direbbe senza la sua libertà. Ma se l’essere umano è natura, partecipa anche del limite della natura. Certo, è aggressivo, è predatore, come tutti gli altri esseri viventi e produce danno. Però è qualcosa di più della natura, è essere cosciente. Pertanto non deve diventare “innaturale”, ma “soprannaturale”. Secondo l’ottica d’amore del Padre, l’Essere con cui è in relazione. Il rapporto con Dio libera dal male, non perché ci esime dal provare il dolore e la morte. Ma perché ci pone in una prospettiva di superare il dolore e la morte. Infatti Gesù nella sua esperienza terrena guariva i malati e liberava dall’angoscia di morte. Lui stesso fa esperienza della morte, e la fa “con timore e tremore”. Ma ciò non toglie che sia poi andato oltre la morte, con quella nuova esperienza che viene chiamata “resurrezione”. Ma per essere nella resurrezione piena, occorre immettersi nella logica che richiede la relazione con l’Essere Dio. Quindi una logica di superamento di tutto ciò che ferisce, umilia, limita la Vita. Cioè il peccato.

Ultima cosa. Mi piacerebbe che, alla fine della nostra vita, non si dicesse di noi: “santa subito”, oppure “era una brava cristiana”, o cose del genere. Mi piacerebbe molto che si dicesse “molto le è stato perdonato, perché molto ha amato”. Parole più sublimi di queste rivolte a un essere umano secondo me non si danno. Perché riconoscono la sua natura di essere fragile e “peccatore” (diversamente non avrebbe bisogno di perdono), ma ne apprezzano il suo instancabile sforzo di superarlo attraverso l’amore, cioè la volontà di non limitare, ma di aggiungere vita alla vita.

Su Dio, sulla vita…ultima modifica: 2021-07-21T14:27:06+02:00da piero-murineddu
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *