Sentimenti in tempi di covid

di Claudio Cagnazzo 

(Rocca, quindicinale della Pro Civitate Christiana)

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Alla ricerca del sentimento più forte. Di quello che possa essere avvicinato di più alle nostre sensazioni rispetto al risorgere della pandemia. Il sentimento che, in fondo, meglio rappresenti il
nostro disagio esistenziale. La paura forse, che vediamo rappresentata in più modi. La paura del contagio, profonda ed esplosiva allo stesso tempo, se è vero che, passeggiando in qualsiasi zona della città, tra le bellezze del Corso principale, nelle vie laterali ombrose di tetti e strettoie, o nei viali alberati che costeggiano le mura della storia, d’improvviso, avvistando un passante che ti viene incontro, tendi subito a contrarre i muscoli, cerchi lo spazio dove poterti allargare per non avvicinarti troppo, guardi se il suo viso sia dotato della nuova regina dell’abbigliamento, la mascherina. La paura del contagio che fa di ogni passante un potenziale untore, al di là delle tue intenzioni, delle tue convinzioni.

Angoscioso Covid

L’angoscia, magari, che si coltiva in solitudine, tra le mura di casa, ma anche nelle tue escursioni esterne, tra la gente che non è più come prima ai tuoi occhi, ma anche probabilmente di fatto, perché il covid stravolge assetti mentali, psichici e
persino fisici, seppure impercettibilmente, affaticando sguardi e sorrisi.

L’angoscia di non potere più rivedere il mondo come l’hai conosciuto. Di vedere sparire la cronaca, la storia che ti ha costruito, polverizzando ricordi e memoria.

L’angoscia di non poter fare nulla, né singolarmente e neppure collettivamente, insieme alla tua comunità, di fronte ad un nemico muto e
invisibile che ti fa rimpiangere persino nemici orrendi, come quelli di una guerra vera, come quelli che infestano la nostra realtà, dai criminali comuni a quelli più raffinati che si nascondono dietro sigle quali camorra e mafia. Nemici odiosi, ma non subdoli, volatili e implacabili come un virus invisibile.

L’angoscia che fa dire al signore che incontri con il suo cane, di sera tardi, mentre scodinzola al tuo, un «che dice,ce la faremo?» che è più che paura, sentimento dell’immediatezza emotiva, ma è proprio angoscia, sentimento duro, filtrato dalla ragione.

L’angoscia che è uno stato da uomini assediati, da uomini con poche speranze.

L’angoscia che è, in qualche modo, un sentire estremo, da ultima spiaggia, ma che talora, durante le lunghe giornate da prigionieri del covid, lascia il posto ad una sensazione più leggera ma, in fondo, come tu avverti, poco onorevole e cioè, quella del risentimento, che è compagno della frustrazione e che ti spinge a ricercare un colpevole a tutti i costi, qualcuno a cui addossare la colpa di una situazione pesante e, in qualche momento, invivibile. Il risentimento verso un nemico frettolosamente identificato, magari da assetto variabile. Per cominciare ad pesempio, facilmente, con il governo che presiede alle scelte politiche, quel governo che, sempre più frequentemente, viene accusato di trascuratezza, di non avere pensato al possibile ritorno del virus. Un governo magari vivisezionato nei suoi elementi singoli. Così, sul banco degli imputati sale ora il ministro dell’istruzione, ora quello dei trasporti, ora quello della salute. «Governo ladro» si dice in fondo di solito. «Governo inetto» pensa, oggidì, una parte della popolazione.

Razzismo da Covid

Ma il risentimento è sentimento forse da quotidianità routinaria, qualcosa che, tutti noi, viviamo nelle nostre faticose giornate. Invece, sentimento più vicino ai giorni del covid è la rabbia, che ci assale d’improvviso quando incrociamo un gruppetto di persone beatamente privo di mascherine. Quando assistiamo, magari in Tv, alle
scene di quella che viene chiamata movida. Quando ci imbattiamo visivamente, o tramite resoconti di amici, in trasgressioni di poco o di molto conto. La rabbia che diviene condanna morale. Rabbia che spesso ci fa dimenticare qualche nostra mancanza. Rabbia che ha un che di razzistico orientata com’è verso qualcuno che
riteniamo in fondo proprio moralmente inferiore, magari persino per nascita, visto che i migranti sono spesso stati visti come portatori del virus. I migranti sempre loro, protagonisti del male. Comunque.

Questi i sentimenti che viaggiano con noi, alternandosi durante il giorno e che si agitano dentro di noi e talora escono verso l’esterno alla caccia dei responsabili del nostro malessere. Sentimenti comprensibili, talora però carichi di ostilità verso gli altri che, in altre stagioni, non avremmo coltivato. Ma, tra le tracce che la pandemia semina c’è anche questa capacità di
renderci, in qualche modo peggiori. Poi, infine, a ben pensarci, c’è un sentimento che ci pervade sempre e che potremmo definire, esso sì, come il vero protagonista dei nostri attuali giorni. Un sentimento che accompagna a tutti gli altri che ci sovrasta senza travolgerci, perché la sua essenza sta in una sottile patina che tutto permea in noi, fisicamente e spiritualmente.

Malinconia da Covid

È il sentimento della malinconia. Una malinconia soffusa, talora, acuta, ma sempre abbracciata a noi come un bambino silente. Un sentimento che narra del nostro disagio, della nostra fragilità di fronte al male, del nostro costitutivo smarrimento di fronte alle inaspettate prove della vita e del timore di non farcela, di non essere all’altezza. Malinconia da inadeguatezza e da solitudine esistenziale che la ferocia del mondo, anche con le sue malattie, ci alimenta. E, fateci caso, con chiunque parliate, chiunque incontriate o frequentiate, nei modi
oggi possibili, porta con sé un malinconico
sbalordimento, la consapevolezza di essere indifesi, lo smarrimento del bambino senza certezze. La malinconia è dunque al centro delle nostre giornate, tanto che qualsiasi cosa facciamo, comunque affrontiamo la realtà, essa riemerge accanto a noi e con noi, semplicemente perché non ci aveva mai abbandonato. Così, del maledetto
virus, non si sa se, quando ci avrà per fortuna abbandonato, potremmo dire che ci ha reso migliori o peggiori, come infantilmente molti si vanno domandando ma, di certo, che ci lascerà più tristi. Della tristezza malinconica che accompagna, come diceva il sommo Leopardi, la fine dell’illusoria felicità. Quella che ci eravamo, magari
surrettiziamente costruiti e che, adesso e dopo, non sarà facile ritrovare.

Sentimenti in tempi di covidultima modifica: 2020-12-01T16:55:45+01:00da piero-murineddu
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