“Il dono di don Roberto a noi giovani”

Tanti giovani in questi anni hanno seguito don Roberto Malgesini sulle strade di Como. Due sere al mese, 130 ragazzi si trovano a pregare insieme e poi partono per i tanti letti a cielo aperto della città, col solo desiderio di incontrare e amare. Lo chiamano semplicemente “il giro”. Sedersi per terra, guardarsi negli occhi, chiamarsi per nome. Uno di loro, Samuele, ricorda don Roberto: «Ci ha mostrato cos’è una vita immersa nell’amore. Lo stile che don Roberto ci ha insegnato nello stare con le persone è questo, defilato, non da prima pagina. Lui è morto come è vissuto, come un totale dono di sé. Non poteva darci testimonianza più bella, quella di un padre che dà totalmente la vita per i suoi figli e in questo dono fa scoprire al mondo e agli altri che cose è l’amore e – paradossalmente – qual è il senso della vita: amare attraverso il dono di sé».

Don Roberto Legami 2020 09 16 At 18

 

Samuele Casartelli pronuncia ogni parola con cura e con amore. Ha 24 anni e quando ne aveva 15 proprio insieme a don Roberto Malgesini ha iniziato a fare volontariato. È uno dei membri di “Legàmi”, un gruppo di giovani e giovanissimi che ogni primo venerdì e ogni terzo sabato del mese, da anni, fa “il giro” della città di Como per incontrare persone senza dimora e migranti.

Ci si trova nella chiesa di Santa Cecilia, accanto al Liceo classico di Como, il Volta, e dopo un primo momento di incontro ci si divide in piccoli gruppi, ciascun gruppo ha un accompagnatore e una meta: si visitano le strutture di accoglienza cittadine ma anche i rifugi di fortuna e i letti a cielo aperto. Si va con una fetta di torta e un bicchiere di tè. Si va per incontrare e dare risposta al bisogno universale di umanità. Sedersi per terra, guardarsi negli occhi, chiamarsi per nome. Legàmi – i ragazzi hanno scelto un logo semplice, una scritta nera con la A scritta a mano, accentata, «che rappresenta quel valore unico che ciascuno aggiunge: perché ciò che conta è l’amore che ci si mette nel fare le cose», spiegano sul sito – è partito una decina di anni fa e oggi sono una quarantina i giovani del gruppo organizzativo, con 120/130 ragazzi coinvolti ogni mese, dai 16 anni in su.

Samuele oggi vive a Casa Legàmi, nel quartiere di Camerlata, un’esperienza di abitare generativo nata a marzo dello scorso anno per fare dell’accoglienza la dimensione centrale del quotidiano.

I suoi primi passi accanto a don Roberto li ricorda così: «Avevo qualche amico che già faceva volontariato. Le colazioni al mattino, la mensa serale in via Tommaso Grossi, il dormitorio, l’unità di strada… Per me la sua persona è stata molto importante, mi ha aiutato a imparare uno stile nello stare con le persone che è lo stile che ora tutti riconoscono in don Roberto: dritto al cuore delle persone ma allo stesso tempo semplice, defilato, non da prima pagina. Infatti sono un po’ imbarazzato a fare questa intervista, che spero davvero non venga travisata. Quello che don Roberto ci ha lasciato, come Legàmi, è stato prima di tutto la testimonianza di una vita immersa nell’amore. È come se lui avesse conosciuto e gustato l’amore che scaturiva dall’incontro con le persone più povere e volesse ogni giorno entrare sempre più nelle profondità di questo amore per condividerlo anche con noi giovani. Voleva, con la sua vita, farci scoprire come sia proprio l’amore che riempie la vita e le dà un senso. Questa è la cosa più bella e più grande che ci ha dato».

Insieme alla certezza che solo l’amore riempie la vita, c’è la forza della testimonianza della sua morte: «Noi non crediamo che la morte di don Roberto – pur rimanendo una tragedia che si poteva e si doveva evitare – abbia l’ultima parola sulla sua vita. Vediamo già dei frutti buoni che stanno nascendo nelle persone che raccontano la sua storia, che hanno reagito in modo forte e bello. Speriamo che davvero questa morte non sia invana anche dal punto di vista delle politiche sociali cittadine, speriamo che la sua testimonianza non venga lasciata cadere nel vuoto», dice Samuele. «Ora però è ancora il tempo del silenzio e dell’ascolto, per capire come ricominciare al meglio a patire dalla testimonianza che don Roberto ci ha dato. È il tempo di metterci umilmente in ascolto tutti insieme, come ha detto anche ieri Roberto Bernasconi, il direttore della Caritas, perché se restiamo divisi e frammentati non potrà nascere gran che di buono».

 
“Il dono di don Roberto a noi giovani”ultima modifica: 2020-09-17T22:54:56+02:00da piero-murineddu
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