di Piero Murineddu
Universalmente conosciuta l’Hallelujah del canadese Leonard Cohen che, seduto in mutande su un tappeto d’albergo, ne scrisse un’ottantina di stroffe, girando e rigirando disperatamente tra accenni a passi biblici, delusioni d’amore e sesso a gogò, dietro sua ammissione non sapeva di preciso dove volesse andare a parare. Tra l’altro impiegó un tempo incredibile per definirla.
Per la musica, al contrario, non penso abbia avuto particolari problemi. Melodia di una semplicità disarmante, costruita indugiando sugli onnipresenti accordi di DO e LAminore, per poi proseguire col FA, SOL e rigirandosela intorno. Prima dell’esplosivo ritornello che anche mia suocera riesce a cantare, fa timidamente capolino un veloce MIsettima. Tutto qui.
Superato l’insuccesso iniziale, dall’ 84 a oggi il brano viene continuamente reinterpretato, dai grandi dei palcoscenici e dei successi ben retribuiti, fino al prete, che durante la celebrazione di un matrimonio, imbraccia la chitarra e se la canta, provocando le lacrimucce non solo alla sposa.
Versioni a non finire e per tutti i gusti, quindi, di queste sei stroffe, quante alla fine son rimaste da quelle 80 iniziali, e per chi strimpella appena appena il chitarrino, abbozzare questo brano davanti ad altri é sempre motivo di sentirsi dire. “iiihhhh, che braaaaavo!”. Mah, che poi….
Comunque, l’unirsi all’Alleluia é quasi inevitabile, la qual cosa non dispiace affatto per l’insieme corale creato. Magari avvenisse così nelle cose della vita!
Tra i tantissimi video, ho scelto questa particolare versione in sardo. Eja! Traduzione letterale, salvo un passaggio che richiama il canto a tenore, quel particolare modo di cantare a quattro voci da dove spunta incredibilmente una quinta di cui non si sa la provenienza.
L’autore é Alessandro Carta, in arte Nicola di Banari, paesino del nord Sardegna.
Alessandro, che diversi anni fa, insieme al fedele accompagnatore al violino Peppino Anfossi, insegnò ai miei due figli Giuseppe e Marta il modo per costruire strumenti musicali con materiale di reciclo, nella sua attività di musicista é intelligentemente dissacrante dei luoghi comuni, e nel modo in cui interpreta questo brano, lontanissimo da ogni divismo, quello che attira “obbligatoriamente” gli applausi, lo dimostra appieno.
Ecco il testo in sardo, seguito dalla traduzione per i peninsulari e i vari isolani sparsi per il Mediterraneo:
Inue si cuat sa ‘oghe ‘e Deu.
La sulat s’aera, la timent, peus,
sos chi no si ‘nde trement in sas tuddas.
Dae battor boghes de nues
Giagat sa ‘e chimbe chei su nie
Su re ‘e sos boes intonat Alleluja
In ojos sas pregadorias
Dae orijas unu ‘olu ‘e istria
Gai sa bellesa currit a sa luna
Ti prendet et sezzit affacc’a tie
Ti tundet s’alva, ti mujat inie
Dae ‘ula ti nde bogat s’ Alleluja
A Deus no lu fentomes
No mi l’ammentes su nomene
Si puru nachi sonet in sas undas
B’at lughe in sas peraulas
Chi siet sa sacra cantica
O custu disisperu de Alleluja
Su menzus ch’apo, est pagu ma
Naschet dae s’oru ‘e s’anima
No cretas chi in su coro no eppa nudda
Et si puru no at a ‘olare mai
‘Nanti ‘e su Deu ‘e sa Musica
Dae laras bessit solu che Alleluja
Traduzione
Dove si nasconde la voce di Dio
La soffia l’aria, la teme, peggio,
Chi non trema nei peli
Da quattro voci di nubi
La quinta caglia come neve
Il re dei buoi intona Alleluja
Negli occhi le preghiere
Dalle orecchie un volo di barbagianni
Cosi la bellezza corre verso luna
Ti lega e siede a fianco a te
Ti rade la barba, ti piega lì
Dalla gola ti tira fuori l’ Alleluja
Dio non nominarlo
Non ricordarmi il nome
Anche se dicono che suoni nelle onde
C’è luce nelle parole
Che sia la sacra cantica
O questa disperazione di Alleluja
Il meglio che ho è poco ma
Nasce dall’orlo dell’anima
Non credere che nel cuore
Non abbia niente
E se anche non volerà mai
Davanti al Dio della Musica
Dalle labbra vien fuori solo un Alleluja.