Sul “sentire” dei vecchi

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di Piero Murineddu

Se nomino FRANCESCO FERINO, morto nel giugno del 2018, originario di San Lorenzo Valle e sennorese d’adozione, coloro che lo conobbero e gli vollero sicuramente bene capiscono di chi sto parlando, specialmente fra i tanti che a Sennori, dentro il garage della sua casa nei pressi dell’edificio che una volta ospitava la locale stazione dei carabinieri, lo vedevano intento a tutte le ore del giorno ad intagliare il legno per costruire i suoi modellini di ogni tipo.

Ne avevo parlato in

UN POMERIGGIO PIENO D’ARMONIA

Ed è proprio a quella piacevole domenica d’ottobre  che voglio riferirmi.

Erano trascorsi forse due mesi dall’ultima volta in cui, con l’amico Giuseppe, eravamo tornati a Valledoria, dove il nostro amico era ospitato presso una casa per anziani, per salutarlo e riabbracciarlo. Nell’occasione, com’è sua abitudine, non aveva mancato di regalare  ad entrambi un suo scritto, uno dei tanti librettini battuti con una vecchia olivetti e da lui stesso rilegati. Una cosa fatta in casa, insomma.

Qualche tempo dopo mi ero deciso ad aprire la busta arancione contenente il suo volumetto che, sorpresa delle sorprese, conteneva il diario proprio di quella giornata autunnale trascorsa insieme sulle alture di Giagazzu, a pochi chilometri da Viddalba.

Non l’avrei mai immaginato e con profondo rispetto ed estrema attenzione m’ ero buttato a leggere quelle pagine dattiloscritte.

Francesco non era un grande letterato, con scolarità  bassissima, come lo è stata per la maggior parte dei nostri vecchi che da piccolissimi son stati costretti a rimboccarsi le maniche per aiutare la famiglia a tirare avanti. Nonostante ciò, la passione per la scrittura Francesco l’ha avuta da sempre, e anche l’estro poetico non gli è mai mancato.

Con le sue parole, spesso sgrammaticate, con termini ripetuti e con una punteggiatura che mi aveva provocato tenerezza a non finire, mi ha fatto ripercorrere le liete ore trascorse quel pomeriggio, specialmente la gradevolissima e rilassata chiacchierata col fratello e la sorella che occupavano la casa che fu teatro della vicenda legata al “Muto di Gallura”, nella minuscola frazione chiamata “L’Avru”.

Francesco di questo incontro descriveva tutti i particolari, insieme ai sentimenti ed emozioni provate, compresa la reazione avuta quando, lasciata la coppia di anziani fratelli, proseguimmo nel salire, fino ad arrivare alla chiesetta posta sul cucuzzolo e dedicata a San Gavino.

Incomprensibile, ai suoi occhi e al suo pensare, una chiesa costruita così in alto e in stato di “abbandono”. In realtà così non è, ma davanti a lui era apparsa immersa nella desolazione e lasciata a sè.

Vi é poi il lungo capitolo della discesa, “stradette strette e tortuose con continui sali e scendi”, e con l’occhio sempre rivolto alla desiderata valle che, per lui, evidentemente non arrivava mai. Che sollievo una volta rientrato a casa. Meno male – avrà pensato – e ancora vivo, grazie a Dio!

Continuando nella lettura, avevo scoperto  che quella stessa notte dormì pochissimo, pensando alla bellezza di quella giornata trascorsa con nuovi amici e in piacevolissima compagnia. Nei pochi momenti che prendeva sonno, si ritrovava immerso nel lussureggiante verde di quei monti, conversando piacevolmente con la sua nuova amica Maddalena.

“Che bello – scriveva – poter vivere all’aria aperta e pura, lontano dall’inquinamento, lontano dal traffico velenoso e dal litigare per un parcheggio. E poi la legna per il fuoco non manca”. Come dare torto al saggio “poeta” Francesco?

L’indomani mattina, per il poco riposo, al momento di alzarsi si sentiva il corpo a pezzi, peggio di quando, da giovane, trascorreva le giornate a spaccare pietre per vivere.

Di tanto in tanto mi capita ancora di riprendere in mano quei suoi libretti ormai con le paginette scollate, con non poche sgrammaticature ma ricchissime d’impagabili e preziosi sentimenti.

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Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, sa benissimo che questi sopra sono un piccolissimo campionario di numerosissimi mini manufatti in legno raffiguranti la sempre più lontana Civiltà Contadina. Erano la passione di Francesco.Infinite ore trascorse a creare i suoi piccoli capolavori.Attrezzi della Civiltà Contadina, ma anche miniature di monumenti, utensili casalinghi e giocattoli di ogni tipo.

Se passavi davanti al suo garage – laboratorio, era un piacere scambiarci qualche parola. Non era tipo da trascorrere il suo tempo seduto al bar per parlare con gli amici di ciò che capitava, e ancor meno sparlare di persone assenti.

Il giorno del funerale ho fatto giusto in tempo a fare l’ultima parte del percorso dietro il suo feretro e dire ai suoi figli del grande babbo che hanno avuto.

Il mio amico Giuseppe mi ha detto delle parole spese per il vecchio Francesco al temine della Messa esequiale, mettendo in risalto le sue doti umane e artistiche.

È stato un vero artista Francesco, e non solo per i risultati che otteneva intagliando con le sue mani il legno, ma anche per la capacità di descrivere la sua visione del mondo attraverso versi poetici.

Sul “sentire” dei vecchiultima modifica: 2021-03-20T07:07:16+01:00da piero-murineddu
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