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Un 25 aprile di rinnovata Resistenza

di Tomaso Montanari

Giorno dopo giorno, la matrice fascista del partito di maggioranza relativa e della cultura politica della presidente del Consiglio diventa più chiara. Perché sempre meno dissimulabile: ma anche sempre meno dissimulata, via via che la permanenza al potere costruisce sicurezza, e senso di impunità.

Sono profondamente persuaso che, dopo un eventuale approvazione della riforma costituzionale, Meloni e i suoi getterebbero progressivamente la maschera, facendoci svegliare in una situazione ungherese. Di lì in poi, nessuno è oggi in grado di prevedere cosa succederebbe.

Questo 25 aprile 2024 appare dunque rivolto al futuro almeno quanto lo è al passato. È un 25 aprile di rinnovata resistenza, innanzitutto sul piano intellettuale e culturale.

A questo servono egregiamente due libri recenti che connettono, come in un tramando generazionale, due figure di intellettuali antifascisti.

Il primo è di LUCA CASAROTTI, giurista universitario: un libro urgente, scritto meravigliosamente e venato di amara ironia. Urgente perché se la seconda carica dello Stato, il cui secondo nome è Benito, dice serissimo che la Costituzione non è antifascista, è davvero necessario spiegare cosa sia l’antifascismo: così spiegando anche perché chi non riesce ad aderirvi lo fa per una sola ragione, e cioè per una intramontabile affezione al suo contrario.

Casarotti non si dedica all’anti-antifascismo di chi è oggi al potere: che non ha bisogno di analisi, ma solo di un buon udito e di onestà intellettuale. Si occupa invece di quella paludosa zona grigia che – in nome di una caricatura del liberalismo, di un anticomunismo viscerale, di un programmatico disimpegno, della tutela dello stato delle cose – da anni scredita la Resistenza, ne contesta il ruolo di fondamento della Repubblica, nega un diritto di agibilità politica attuale all’antifascismo e difende il diritto dei fascisti di dirsi fascisti (per sempre invece negato dalla Costituzione).

Casarotti analizza, con grande finezza, gli scritti di più o meno fortunati esponenti di quella zona grigia, a partire da quelli del professor Ernesto Galli della Loggia, la cui «fascinazione ultima per il patriottismo di Giorgia Meloni è un esito di impeccabile logica», perché «il punto di caduta di tutta la sua critica all’antifascismo» è che esso «non va accolto come un patto di mutuo riconoscimento – esteriore quanto si vuole – tra forze pure in reciproca competizione, ma va rigettato perché rappresenta il lasciapassare per il comunismo nell’Italia democratica».

L’antidoto proposto da Casarotti a questa retorica ormai mainstream è la capacità di tenere in tensione il discorso pubblico di oggi con una conoscenza diffusa della storia: «L’inquinamento del discorso pubblico si misura dal livello di riduzione della storia a mito. Nazismo, Liberazione, Resistenza sono luoghi retorici a cui spesso attingono le propagande, in cerca d’una esasperazione dell’emotività: restituire alla Resistenza la sua materialità storica, insieme di nessi causali e dunque processo pluridecennale, è il modo di sottrarla agli usi propagandistici che di volta in volta se ne vogliono fare».

Ma che rapporto c’è tra la ricerca storica e la coscienza di massa nelle nostre società democratiche? Viene in mente la terribile profezia di Johan Huizinga nel 1929: «Una scienza storica che si appoggia esclusivamente su un’associazione esoterica di eruditi non è sicura; deve invece affondare le sue radici in una cultura storica posseduta da tutte le persone civili».

In un intreccio commovente, accanto al libro di uno studioso trentacinquenne che riflette sul nostro rapporto con la storia, compare quello di uno studioso che ci ha lasciato a novantanove anni, quattro mesi fa: GASTONE COTTINO, partigiano protagonista della Liberazione di Torino, anche lui giurista, accademico dei Lincei.

Avendo combattuto per riconquistarsela, Cottino non temeva di usarla, la sua libertà: «La presidente del Consiglio e il suo partito – scrive – sono gli eredi diretti del fascismo di ieri. Lo sono per esplicite rivendicazioni, per i simboli a cui fanno riferimento, per la cultura che esprimono, per il linguaggio che usano, per le immagini del passato che portano con sé. Non ingannino le prese di distanza di maniera né l’inevitabile condanna delle leggi razziali, che avvengono in assenza di una lettura seria e approfondita del fascismo nei suoi fondamenti e nelle sue pratiche: di quel fascismo che è stato la stella polare del Movimento sociale e che continua a esserlo nella fiamma del simbolo di Fratelli d’Italia. E non ingannino neppure le diverse modalità con cui il fascismo di oggi si presenta rispetto a quello di ieri, anch’esse inevitabili, dato il mutare dei tempi».

Come in un ideale passaggio di testimone, Luca si pone il problema del rapporto col passato, Gastone di quello con il futuro.

Scrive quest’ultimo: «Non basta guardare al passato. Bisogna guardare anche al presente. Un antifascismo vero deve estendere il suo impegno a realizzare una società opposta a quella che il nuovo fascismo – in continuità con il vecchio – ci propone: una società in cui si persegua la partecipazione e non il culto del capo, in cui si metta al centro il pubblico e non gli interessi privati, che concentri i suoi sforzi sulla salute e sull’istruzione, che persegua l’uguaglianza e condizioni di vita accettabili per tutti e tutte “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, come vuole l’articolo 3 della Costituzione». Che è poi il più urgente augurio per questo 25 aprile, così terribilmente decisivo.

Un nuovo 25 aprile per rafforzare la Resistenza

Insieme alle tantissime, coraggiose e forti donne di oggi a cui DOBBIAMO ESSERE GRATI (Piero)

CATERINA E LA SUA BICICLETTA

di Giorgia Satta (*)

Caterina,

veloce in bicicletta senza cantare,

e quella borsa da portare piena di batticuore

e di pane di carta.

Caterina,

le forcine perse lungo la salita

vita senza tempo per pettinarsi i capelli…

attenta agli sguardi diversi che vogliono vedere i pensieri.

Caterina,

non c’è modo di godersi la luna,

meglio se non c’è per fare la strada,

punge il vento della sera, e bagna gli occhi il coraggio

Caterina,

veloce in bicicletta senza farsi sentire,

senza capire tutto solo voglia di andare,

che la vita non è niente se c’è un solo colore

se un altro decide per te di chi è il sole

e la canzone che puoi fischiare e il Dio che puoi pregare

Caterina,

non temere non è niente la vita

se non te la puoi giocare.. libera.

(*) Il mio grazie a Caterina,una mia zia acquisita,staffetta partigiana che su quella bicicletta ha ”pedalato” la libertà per regalarla a noi,come migliaia di donne e di uomini, che mai dobbiamo dimenticare. Amo i partigiani!

 

Il pensiero del vecchio saggio Andrea Camilleri, morto nel 2019, con riferimento al fascismo mutante impersonato da un ignobile esserino che oggi, 2024, ci ritroviamo ancora addirittura come vice premier (Piero)

https://youtu.be/2Yvvf9LnVHE?si=mH03VvAhCk_Zxrpz

Alessandro Barbero sulla Resistenza

Genocidio armeno

 Da it.gariwo.net
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Nel corso della Prima guerra mondiale si compie, nei territori dell’Impero ottomano, il genocidio del popolo armeno. Il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi, emanazione del partito “Unione e Progresso”, sceglie di turchizzare l’area anatolica e decide di deportare e sterminare l’etnia armena presente nel territorio fin dal 7° secolo a.C, integrata ma non assimilabile. Il genocidio degli armeni viene oggi considerato il prototipo dei genocidi successivi.

Le radici del genocidio

I prodromi sono da ricercare nel quadro politico internazionale del XIX secolo e nel declino dell’Impero ottomano, il grande malato d’Europa, che entra in crisi scontrandosi con le aspirazioni dei popoli alle riforme, alla partecipazione politica e all’autodeterminazione.
La Grande Guerra determinerà poi la fine dei tre grandi Imperi, austroungarico, zarista e ottomano. Il genocidio del 1915 fu preceduto dai pogrom del 1894-96, voluti dal Sultano Abdul Hamid II e da altri massacri, in particolare quello del 1909 in Cilicia, all’indomani della rivoluzione dei Giovani Turchi – che avevano preso il potere nel 1908, paradossalmente in nome della libertà e uguaglianza di tutti i popoli dell’Impero.
Ben presto prese il sopravvento l’ala oltranzista del partito Unione e Progresso e nel 1913 si formò una dittatura militare composta dai triumviri Djemal, Enver, Talaat, gli uomini forti del regime, responsabili della messa in atto del progetto genocidario.

Moventi ideologici

Il movente fondamentale che ispirò l’azione di governo dei Giovani Turchi e del triumvirato fu l’ideologia panturchista, il sogno di un immenso territorio dal Mediterraneo all’altopiano turanico e la determinazione a riformare lo Stato su una base monoetnica, linguisticamente e culturalmente omogenea. Armeni, greci, assiri, ebrei: l’Impero ottomano era costituito di fatto da un mosaico di etnie e religioni. La popolazione armena, la più numerosa, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di uguaglianza, costituiva un ostacolo al progetto di omogeneizzazione del regime.

L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli armeni che servì da base economica alla futura repubblica kemalista.

Il genocidio

La pianificazione avviene tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, con l’aiuto di consiglieri tedeschi, data l’alleanza tra Germania e Turchia.
L’ala più intransigente del Comitato Centrale del Partito Unione e Progresso (CUP) ha pianificato il genocidio, realizzato attraverso una struttura criminale paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S), diretta da due medici, Nazim e Chakir. L’Organizzazione Speciale dipendeva dal Ministero della Guerra e attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia. La Prima guerra mondiale (1914-1918) offrì al governo dei Giovani Turchi l’occasione per risolvere una volta per tutte la “questione armena”, esplosa già al tempo del trattato di Berlino del 1878 a conclusione della guerra russo-turca.

La notte del 24 aprile 1915, l’élite armena di Costantinopoli venne arrestata, deportata ed eliminata. Si procedette poi al disarmo e al massacro dei militari armeni, costretti ai lavori forzati sulla linea ferroviaria Berlino-Baghdad, e nella primavera fu dato il via alla deportazione sistematica della popolazione armena verso il deserto di Der es Zor.

Pochi vi giunsero vivi. La maggioranza fu sterminata nel corso di vere e proprie marce della morte. La quasi totalità degli armeni scomparve dalla terra abitata da più di duemila anni. I loro beni furono confiscati.

I politici responsabili dell’esecuzione del genocidio furono: Talaat, Enver, Djemal, i triumviri esponenti del partito unico al potere. Emanarono i decreti di abolizione delle riforme, di deportazione e di confisca dei beni degli armeni – decreti mai ratificati dal parlamento – determinando la distruzione del popolo armeno.

Entità dello sterminio

Un milione e mezzo di persone persero la vita, i due terzi degli armeni dell‘Impero ottomano. Molti furono i bambini islamizzati e le donne inviate negli harem.
Mustafa Kemal, detto Ataturk, nella Turchia sconfitta all’indomani del trattato di Losanna (1923), fonderà la Repubblica turca, conservando il territorio che era stato diviso con il trattato di Sevres (1920) in zone di influenza tra le grandi potenze e assegnato per la parte occidentale ai Greci e all’Italia, per la parte orientale agli Armeni, ai Curdi, alla Francia (Siria) e all’Inghilterra (Palestina, Giordania e Iraq). Mustafa Kemal aveva completato e avallato l’opera dei Giovani Turchi, sia con nuovi massacri ed espulsioni, sia con la negazione delle responsabilità dei crimini commessi, sia accaparrandosi definitivamente i beni degli armeni senza risarcimento.

Responsabilità della Turchia

La storiografia ufficiale turca nega che ci sia stato un piano intenzionale e specifico di sterminio e considera i massacri una dolorosa conseguenza della guerra che ha colpito sia la popolazione armena sia la popolazione turca. Parlare di genocidio in Turchia può costare il carcere e anche il riconoscimento del genocidio da parte di un Paese terzo suscita le proteste di Ankara.

In realtà la Grande Guerra fu un’utile circostanza per risolvere una volta per tutte il problema armeno e anche per mascherare l’intenzionalità del progetto di sterminio.

La montagna sacra, l’Ararat, che oggi appartiene alla Turchia ma che gli armeni della piccola Repubblica Indipendente sorta nel 1992 dalla dissoluzione dell’Impero sovietico possono contemplare oltre la frontiera turca, alimenta quotidianamente un sentimento di perdita. Sulla Collina delle Rondini (Dzidzernagapert), nella capitale Yerevan, il Memoriale del Metz Yeghern, il Grande Male, racchiude ed esprime l’imponenza della tragedia.

 

Ulteriori contributi

Scalzo, né giacca né camicia…

Col pensiero a tutti i partigiani che hanno perso la vita per la nostra libertà, ancora oggi minacciata (Piero)

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SU IN COLLINA

di Francesco Guccini

Pedro, Cassio ed anche me, quella mattina
sotto una neve che imbiancava tutto
dovevamo incontrare su in collina
l’altro compagno, Figlio del Biondo, il Brutto

Il vento era ghiacciato e per la schiena
sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo, compagni su in collina
che non riuscivi neanche a respirare

Andavamo via piano, “E te cammina!”
perché veloci non si poteva andare
Ma in mano tenevam la carabina
ci fossero dei crucchi a cui sparare

Era della brigata Il Brutto su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
e insieme all’altra stampa clandestina
doveva consegnarci “l’Unità”

Ma Pedro si è fermato e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore!
Legato a tutto quel filo spinato
guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”

Non capimmo più niente e di volata
tutti corremmo su per la stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
dai pugni e i calci di quegl’assassini

Era scalzo, né giacca né camicia
Lungo un filo alla vita e tra le mani
teneva un’asse di legno e con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”

Dopo avere maledetto e avere pianto
l’ abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
che avrebbero pagato tutto quanto.

L’abbiam sepolto là sulla collina
e sulla fossa ci ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
un saluto da tutto il battaglione

Col cuore stretto siam tornati indietro
sotto la neve andando, piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
piano tenendo stretta l’asse in mano

Quando siamo arrivati su al comando
ci hanno chiesto: “La stampa clandestina!”
Cassio mostra il cartello in una mano
e Pedro indica un punto su in collina

Il cartello passò di mano in mano
sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
guardava quel bastone su in collina.

Caso Scurati e i giornasquadristi

 

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Il FQ di ieri, 21 Aprile

Alla fine Antonio Scurati il discorso sul 25 aprile lo ha letto. Non in un programma della Rai, dove lo ha pronunciato la conduttrice Serena Bortone, ma alla festa di Repubblica a Napoli. Un momento contrassegnato da un lungo applauso finale, una standing ovation dei presenti nel cortile d’onore del Palco reale e il grido dalla platea “Viva l’Italia antifascista”.

Durante la lettura del testo l’autore di M ha anche inserito qualche “fuori programma”, come li ha definiti. Lo fa quando parla del fascismo stragista e dice: “Non solo prima della guerra e durante la guerra, ma anche nel dopoguerra fino a tutti gli anni Ottanta”. “Pensavo che la Rai fosse anche mia, del resto è di tutti, è dello Stato italiano – ha detto Scurati nella successiva intervista sul palco – ma alla fine mi hanno detto ‘tu non entri‘, come un ospite indesiderato. Si è perso il senso di democrazia in questo Paese”.

Scurati dice di non voler “essere e fare la vittima”, è la premessa di ogni risposta. “Non posso trovarmi in questa posizione di eroe della democrazia, non voglio fare il paladino” ripete. Anzi: “Mi sono innervosito dopo che in seguito al post della Meloni sono stato costretto a fare una replica. Ma io non voglio fare la vittima”, ha spiegato. Più avanti dice che non se la sente proprio di “passare per l’eroe della libertà d’espressione: vorrei uscire da qui fumarmi una sigaretta e mangiarmi una pizza”.

Tuttavia “dopo che accadono delle cose arriva la paura, esci di casa e guardi a destra e sinistra. La tua vita è già cambiata”. In che senso? “È duro, faticoso, doloroso, sono un privato cittadino che legge e scrive libri e all’improvviso per aver fatto lo scrittore mi ritrovo al centro di una polemica politico-ideologica accanita, spietata e fatta di attacchi personali denigratori che mi dipingono come un profittatore, quasi come un estorsore, quando l’agenzia che mi rappresenta aveva negoziato un semplice ingaggio totalmente in linea con quello degli altri scrittori che mi avevano preceduto. Poi qualcun altro mi ha dipinto come una specie di estorsore. Il problema è che questo qualcun altro non è uno qualunque, è il capo del Governo”.

Per questo Scurati riprende il concetto già espresso nella sua replica alla premier sabato sera: “Devo dire che questo tipo di aggressione non fisica è una forma di violenza. Come ho vissuto la giornata di ieri? Male. La verità è che, al netto di una piccola vertigine momentanea e narcisistica, è duro, è faticoso, è doloroso“. “Quando un leader politico di tale carisma, come sicuramente è la presidente del Consiglio Meloni, che ha un seguito molto vasto, nel cui seguito da qualche parte là sotto, vista anche la storia politica da cui proviene, c’è sicuramente qualche individuo non estraneo alla violenza, probabilmente non molto equilibrato, quando il capo punta il dito contro il nemico e i giornali, o meglio i ‘giornasquadristi’ fiancheggiatori del governo ti mettono sulle prime pagine, con il titolo sotto ‘l’uomo di M.’, ti disegnano un bersaglio intorno alla faccia. Poi magari qualcuno che mira a quel bersaglio c’è. Succede, è già successo”.

Più precisamente a scrivere “l’uomo di M.” – con l’ambiguità che il lettore potrà capire tra il titolo della saga di cui è autore Scurati – è stato Libero, con relativo editoriale di Mario Sechi, in cui ha definito Scurati un “censurato immaginario” e “scrittore-partigiano a gettone”.

Quanto poi al merito della questione – che si è persa nella polemica della censura della Rai e al quale alla fine la premier non ha mai risposto – lo scrittore spiega perché la seconda parte del suo discorso era rivolta proprio alla presidente Meloni. “Mi attengo alla superficie visibile delle cose, non c’è bisogno di dietrologie, leggo la storia di queste persone, tendo ad adottare come romanziere una prospettiva storica sugli eventi. Sembra semplicissimo, vediamo da dove viene, dalla militanza giovanile nel Movimento sociale italiano fondato da Almirante e Romualdi, i servi degli aguzzini tedeschi, i massacratori, i fucilatori“. E, continua, “il loro motto è sempre stato non rinnegare, non restaurare. Un motto al quale ancora oggi ci si attiene. Ecco direi che è così”. Scurati giura di non essere “ossessionato” dal tema fascismo (“Ho scritto 11-12 libri e non c’è mai un riferimento al fascismo, ho anche altri interessi”), non c’è niente di “personale”. Viceversa, ribadisce, “sono loro che non vogliono dire quella parolina e che non vogliono fugare le ombre e recidere quel legame. Le ombre camminano con loro“.

C’è anche un risvolto più strettamente politico, secondo Scurati, di tutti questi ragionamenti. Lo scrittore sostiene che “gli avversari della democrazia liberale, della democrazia compiuta e matura, sono già qui, in alcuni Paesi già governano. I nemici o gli avversari della democrazia liberale non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni. Poi erodono le basi della democrazia liberale con le riforme, a volte censurando qui o lì, ma magari attraverso una riforma costituzionale. Però noi progressisti non dobbiamo avere paura, perché la paura è la passione politica della destra sovranista”. “Non aspettate il ritorno delle squadracce fasciste – è il richiamo dello scrittore – E’ mia opinione che la democrazia corra dei rischi da parte di leader e movimenti che hanno un largo seguito popolare e che ritengono superata, inetta, vecchia e corrotta la democrazia liberale, così come noi l’abbiamo conosciuta e come si esprime nel nostro Parlamento, garantito dalla nostra Costituzione”.

Infine a Scurati viene chiesto qual è il modo per difendere la libertà d’espressione. Qui l’effetto è un po’ straniante perché le domande vengono poste anche dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari che non più tardi di due settimane fa ha bloccato un articolo sgradito all’editore e mandato al macero 100mila copie di Affari e Finanza. Non è la Rai, non è una testata pubblica, la controparte non è il premier, ma il contesto non aiuta a delimitare i confini del dibattito sulla libertà d’espressione. Ad ogni modo a Scurati tocca una risposta “politica” e la risposta è questa: “Non c’è modo migliore per imparare l’arte della parola libera che esercitarla. Ce la possiamo fare anche noi a tenere la testa alta. Non ho ricette su come difendere la parola o formule magiche o preghiere da insegnare a nessuno, penso che tutti noi dobbiamo ritrovare il gusto, l’ebbrezza, la vertigine della parola franca e libera e del parlare e della politica, di tentare di risolvere problemi collettivi con mezzi collettivi e non ridurre tutto a questioni personali“.

 

Lettura di Scurati

Lettura di Serena Bortone

Lettura di Gramellini e Vecchioni
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Reazione di Saviano

Lettura di scrittori vari

La Rivoluzione di Yeshu’a

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Qualche parola d’introduzione

Piero Murineddu

Nel 2019 le donne del paesino di Barchi, piccolo centro nel comune marchigiano di Terre Roveresche, hanno realizzato all’uncinetto una coperta gigante per ricoprire tutta la facciata di Porta Nuova che dà accesso alla parte più elevata e più antica del borgo di neanche mille abitanti. Coi suoi colori sgargianti la bellissima opera vorrebbe trasmettere un messaggio di gioia.

Con la divulgazione che Alberto Maggi fa del Messaggio Evangelico mi sembra un ottimo accostamento. La lunga riflessione sull’Uomo Nazareno che vado a proporre è ricavata dall’audio registrazione di una conferenza  tenuta l’8 luglio 2018 proprio a Barchi. Concetti ripresi dal frate servita in suoi vari articoli pubblicati generalmente nel sito della rivista ventennale gratuita illibraio.it e che non disdegno, di tanto in tanto, di  proporre nel mio profilo FB. In questo paginone che si costruirà cammin facendo, ho deciso invece di riportare l’intera conferenza, e nelle conferenze non “cattedratiche” generalmente, seguendo dei punti prefissati, si parla perlopiù, come si dice, “a braccio”, per cui è doveroso chiarire che l’intero testo non è stato rivisto dall’autore.

La Gioia del Vangelo Alberto usa trasmetterla anche attraverso vari canali comunicativi, che poi non è  altro che il frutto dei suoi quasi cinquant’anni di studio quotidiano dei libri sacri. Gioia Interiore, tutt’altra Cosa degli sterili ( e a volte ipocriti!) devozionalismi che portano ad adempiere a ripetitivi precetti ma che lasciano come si è, e ancor peggio, sono sordi e muti in mezzo allo sconquasso che avviene tutt’intorno, spesso causato, ma guarda un po’, proprio da potenti “religiosissimi”.

Ma Alberto non comunica l’Urgente e Rivoluzionaria Gioia del Vangelo solo “in veste ufficiale” di biblista. Avendo un corpo che non gode purtroppo della massima salute possibile, so e sappiamo che in qualche occasione ha goduto della comoda ospitalità in ospedale servito e riverito di tutto punto, a parte il cibo immangiabile, cosa comune ad Ancona e, temo, sempre in troppi altri ospedali della sanità pubblica. Il riferimento non è solo a quei tre mesi della primavera 2012 quando un gravissimo problema cardiaco lo portò ad affacciarsi alla Porta dell’aldilà, esperienza su cui ci scrisse un libro che tengo ancora accatastato nel comodino e che saltuariamente riprendo in mano per farmi più di due santissime risate. Nel pieno della pandemia altro ricovero per un intervento di toracotomia per dare un aiutino elettronico al cuoricino che non è più quello di un adolescente. Anche durante questi ricoveri fratello Alberto non manca di comunicare il suo sentire interiore, che son certo non è solo questione caratteriale.

Vuoi vedere che è principalmente questo il motivo che porta molti, io tra questi, ad avere per lui un grande senso di gratitudine, nonostante che certi pestilenziali “fumi” del satanasso, assai diffusi in diversi ambienti di certa cattolicità eccessivamente ‘nostalgica’ ( di cosa poi? Boh!) accusino il biblista di non credere nella Bibbia?  Nella “loro” tetra Bibbia sicuramente no, mi viene da pensare, e questo è solo un Bene.

Ps

Dimenticavo. Tra i tantissimi consigli che indirettamente elargisce, sant’ Alberto da Ancona, due anni per raggiungere gli ottanta, suggerisce di non leggere troppo i bugiardini dei farmaci o vagare in Rete per capire l’origine dei mille e più sintomi che capita di ritrovarsi: gli uomini possono riconoscere anche quello di una…gravidanza.

Buona lettura

Parte prima

Eliminato perché infastidiva il potere sacerdotale

 

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Il Nazareno da noi conosciuto come Gesù non era un pio giudeo, cioè una persona osservante delle leggi, dei riti del suo tempo. Non era nemmeno un riformatore come si attendeva a quel tempo, venuto a purificare la religione, purificare il Tempio. Questa era l’aspettativa dell’epoca e questo è stato il crimine che lo ha portato poi alla sua morte.

Da quando studio i vangeli ogni volta mi pongo un interrogativo: come ha fatto Gesù a campare così tanto? Non mi meraviglio che sia stato ammazzato, mi meraviglio che sia riuscito a sopravvivere tanto e lo faceva perché si dava alla latitanza. Quando vedeva un pericolo scappava dall’altra parte, e non per vigliaccheria, ma perché prima doveva organizzare un piccolo gruppo capace di portare avanti il suo programma. Gesù ha osato l’inosabile e per questo è stato ammazzato.

Attenti quando leggiamo nei vangeli i titoli, che non fanno parte del testo ma sono normalmente opera dei traduttori o degli editori. “Purificazione del Tempio”  oppure  “cacciata dei mercanti del Tempio”: né l’uno né l’altro. Purificare significa eliminare la stortura, lo sporco, per riportarlo alla sua funzione originaria. Gesù invece è andato a toccare il tasto nevralgico dell’economia dell’Istituzione religiosa.

Gesù non è stato neanche un profeta inviato da Dio. Chi sono i profeti? Uomini carismatici che all’interno dell’Istituzione religiosa ne auspicavano il cambiamento, la trasformazione, un miglioramento. Gesù ha tentato ed è riuscito a fare quello che nessun profeta o riformatore religioso aveva tentato o era riuscito a fare prima di Lui. Perché? Gesù che è l’Uomo/Dio, almeno noi credenti crediamo questo: non si è mosso nell’ambito del sacro, ma ne è uscito, ha sradicato le radici della religione e ne ha mostrato il marcio. Quello che gli uomini credevano permettesse la comunione con Dio, Gesù lo ha denunciato come quello che in realtà lo impediva, ecco perché lo hanno ammazzato. E Gesù, e questo sia chiaro, non è morto perché questa fosse la volontà di Dio ma per l’interesse e la convenienza della casta sacerdotale al potere che, messa in pericolo da questo agitatore che veniva a denunciare il marcio della religione, ha preferito eliminarlo.

Gesù ha fatto una fine, secondo i vangeli, veramente tremenda: è morto abbandonato dalla famiglia, tradito dai suoi discepoli, ridicolizzato dai romani – basta  pensare al processo farsa che gli hanno fatto – deriso dalle autorità religiose ed è stato inchiodato al patibolo dei maledetti da Dio.

Se leggiamo il vangelo quello che emerge di Gesù è veramente desolante. Per le autorità religiose Gesù è matto, ha un demonio, che non significa essere indemoniato ma significa essere pazzo. Per gli scribi, che come vedremo erano le massime autorità religiose, Gesù è un bestemmiatore, quindi merita la pena di morte. Per i sommi sacerdoti e per i farisei è un impostore, anche per la folla che lo seguiva dicono che è uno che inganna la gente, e Gesù è riuscito a deludere perfino Giovanni Battista. Questi lo aveva riconosciuto come Messia. È in carcere, eppure quando sente parlare delle azioni di Gesù, gli manda un ultimatum che ha tutto il sapore di una scomunica: sei tu quello che doveva venire o ne dobbiamo aspettare un altro? Ma come? Io ho annunziato un Messia che ha in mano la scure, ogni albero che non porta frutto lo taglia e lo brucia….

Questa è l’immagine del Dio della religione, il Dio che punisce, il Dio che castiga, e Gesù invece dice che se un albero non porta frutto io si zappetta attorno, si concima, si aspetta uno, due, tre anni. Quindi è un Dio completamente diverso da quello che il Battista aveva annunciato e perfino i suoi discepoli e nel vangelo di Giovanni c’è scritto che da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Quindi ha deluso anche i suoi discepoli, dalla gente era conosciuto come un mangione e un beone, un ghiottone, e ha fatto la fine dei maledetti da Dio.Com’è stato possibile questo?

 

Parte seconda

 

Primo scontro tra Gesù e l’istituzione

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Il vangelo di Marco, il più antico, il più rude e il più vivace. Gli altri evangelisti, per motivi di convenienza e di relazione “pacifica”, hanno dovuto un po’ attenuare o smorzare certe frasi, certi insegnamenti, certe posizioni di Gesù. Il vangelo di Marco no. Qui si parla del primo scontro tra Gesù e l’Istituzione religiosa, fino al punto che l’uno esige l’eliminazione dell’altra. Perché?

Per l’istituzione religiosa come si raggiunge Dio? Attraverso l’osservanza delle leggi, la pratica dei riti, l’osservanza di quanto comandato. Molti, non riuscendoci, di fatto rimangono “fuori”. Gesù ha fatto il contrario, portando Dio verso gli uomini, e non attraverso una dottrina da tradurre, interpretare e che invecchia già dal momento in cui viene emanata, ma attraverso la tenerezza e l’amore, e una carezza amorosa che capiscono tutti non ha bisogno di essere tradotta o interpretata.

Da subito Marco ci dice che ogni qualvolta Gesù si trova ad avere a che fare con l’istituzione religiosa è una situazione di conflitto. Nel primo capitolo leggiamo che Gesù va nella sinagoga a Cafarnao, città di frontiera, di sabato, e si mette ad insegnare. Ogni volta che partecipa al rito sinagogale o nel Tempio, Gesù non partecipa al culto che non riconosce, perché il culto è quello che l’uomo deve fare verso Dio invece Lui è venuto a proporre quello che Dio fa verso gli uomini. E cosa insegna? L’esatto contrario di quello che veniva insegnato nella sinagoga, cioè la dottrina tradizionale, quella tratta dalla sacra Scrittura, tutta una serie di obblighi, di osservanze e soprattutto una minaccia continua dell’azione divina, un Dio che era pronto a premiare i pochi buoni e a castigare i malvagi.

Il messaggio di Gesù su questo smonta le radici stesse dell’impianto della religione: come si fa a sottomettere le persone e far sì che obbediscano a delle leggi
strampalate che non hanno ne capo ne coda, attraverso la paura? La religione si impone attraverso il terrorismo religioso. Pensate noi cattolici: generazioni e generazioni hanno creduto all’inferno. Ma vi rendete conto? Una condanna per tutta l’eternità. Oggi che la civiltà è avanzata si comprende che una condanna per tutta la vita, l’ergastolo, è anche troppo perché altrimenti non è più una pena rieducativa ma diventa una vendetta. Abbiamo attribuito a Dio un comportamento inaccettabile. Perché questo? Perché bisogna mettere paura alle persone, per sottometterle attraverso un evidentissimo  terrorismo religioso, ovvero castigo da parte di Dio.

Quindi l’insegnamento che veniva fatto nella sinagoga era che Dio premia i buoni ma castiga i malvagi. Arriva Gesù e dice: è falso, non è vero, Dio non premia i buoni ma neanche castiga i malvagi e Gesù non lo fa con argomenti teologici difficili, filosofici, ma con argomenti che tutti potevano comprendere e diceva: avete visto oggi che giornata di sole? E Cosa fa il sole? Illumina e riscalda tutti quanti, non è che illumina le persone per bene e le altre non le illumina. E se domani dovesse piovere, cosa fa la pioggia? Bagna soltanto l’orticello della persona pia, devota? La pioggia bagna tutti quanti, buoni e cattivi. E così è Dio. Dio è amore e si rivolge a tutti, poi sta alle persone accoglierlo o no. Quindi Dio non premia e non castiga le persone.

Ma come – scrive l’evangelista – ci hanno insegnato che bisogna obbedire a Dio, che se non obbediamo commettiamo peccato, che c’è tutta una serie di azioni che ci rendono in peccato e che se pecchiamo meritiamo i suoi castighi…

Si, completamente stupiti del suo insegnamento.

Avete presente l’ “Atto di dolore”, quell’ orrendo passaggio “..perché peccando ho meritato i vostri castighi”? Una bestemmia! Ho toccato con mano quanto un insegnamento religioso o spirituale errato possa incidere negativamente nella vita delle persone. Quando si è attaccati da un male improvviso, in quasi tutti sopraggiunge l’interrogativo: “Che cosa ho fatto per meritare questo?”. Ce l’abbiamo nel DNA questa idea di un Dio che castiga e questa è una bestemmia. Dio non castiga,

Dio è amore e sta alle persone accogliere o no quest’amore.

 

Continua…

In memoria di Tore

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Piero Murineddu

Ammettilo,carissimo Tore, spesso ti sentivi incompreso, specialmente da chi si ferma alle apparenze e usa giudicare con troppa facilità e superficialità. Chi veramente ti ha avvicinato senza pregiudizio ha avuto la fortuna di capire quanto era grande il tuo cuore.

Con spontaneità non facevi mancare attenta benevolenza verso chiunque ti capitava giornalmente d’incontrare, fossero vecchi seduti in strada, anziane casalinghe che spazzano la propria porzione di marciapiede, ragazzini giocando spensieratamente…..

Eri un vero e fantasioso artista, Tore caro. Le tue stravaganze fatte ad “arte” difficilmente sfuggivano. A chiunque, ma chi ha il dono di avere un occhio capace di superare l’evidenza, riusciva ad andare oltre le solite banali e istintive reazioni.

Certe regole sociali ti stavano strette e ad esse ti ribellavi, specialmente quando non le consideravi rispettose della dignità delle persone, quelle che più di altre fanno fatica a tirare avanti, quelle guardate con diffidenza e giudicate dall’alto di certo falso e spesso ipocrita perbenismo.

Ora sorridi di tutto questo, continuando a modo tuo a manifestare quella tenerezza che a volte noi, che ancora percorriamo queste tortuose e non sempre facili strade del mondo siamo costretti a mascherare.

Sicuri di sé occorre presentarsi nel rapporto con gli altri. È questa la “prigione” che ci siamo costruiti e far questo ti creava sicuramente sofferenza e comprensibile ribellione. Ma ora sei pienamente quello che volevi essere, libero e senza nessun tipo di costrizione.

Al di là delle parole di circostanza, per onorare al meglio la tua memoria sicuramente vorresti che

CI DECIDESSIMO A METTERE DA PARTE LE COSE SUPERFLUE,

CI GUARDASSIMO RECIPROCAMENTE CON OCCHI FRATERNI,

CI ACCOGLIESSIMO CON SORRISO SINCERO E NON FORMALE,

CI SOSTENESSIMO A VICENDA, E NON SOLO A PAROLE

EVITASSIMO DI GIUDICARCI CON TROPPA SEVERITÀ CREDENDOCI MIGLIORI DEGLI ALTRI,

CI SFORZASSIMO DI RILEVARE ECCESSIVAMENTE LA PAGLIUZZA NELL’OCCHIO ALTRUI E  CI IMPEGNASSIMO A RICONOSCERE E A TOGLIERE LA TRAVE CHE ABBIAMO NEL NOSTRO…

Tore carissimo, ti ringraziamo per il bene che hai seminato nel tuo cammino terreno e a tuo nome,

tua mamma Maria Giuseppa,

tua sorella Giovanna,

tuo babbo Giuseppino, tuo fratello Mario e tua sorella Maria Antonietta che già gioiscono in quell’Altra Dimensione con te,

i tuoi carissimi nipoti Giuseppe, Marta, Silvia e Sergio,

tuo cognato Piervanni

e infine io,

siamo grati a tutti coloro che ti hanno voluto bene e che conservano un buon ricordo di te.

Il fascismo, fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista

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Antonio Scurati

Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023).

Siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

Censura RAI al monologo di Antonio Scurati

IL FASCISMO, FENOMENO DI SISTEMATICA VIOLENZA POLITICA OMICIDA E STRAGISTA

Antonio Scurati

Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023).

Siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”.

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Lettura di Scurati

Lettura di Serena Bortone

Lettura di Gramellini e Vecchioni
https://amp-video.repubblica.it/amp/spettacoli-e-cultura/roberto-vecchioni-e-massimo-gramellini-leggono-il-monologo-di-antonio-scurati-sul-25-aprile/467444/468400

Reazione di Saviano

Lettura di scrittori vari

Reazione di Travaglio (cerca di sopportare la vista della mummia che ha di fronte)

Reazione di Saudino (cercasi urgentemente un pettine e una spazzola)